L'avvocato radiato non può chiedere all’Ordine l'applicazione di una sanzione meno rigorosa

Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli dell'Ordine degli Avvocati, ed il relativo procedimento, hanno natura amministrativa, e non giurisdizionale. A tale stregua, essi non hanno il potere di conoscere dell'esecuzione delle sanzioni disciplinari irrogate nei confronti degli iscritti. Né in contrario può invocarsi l'art. 35 Regolamento C.N.F. n. 2 del 2104 recante Esecuzione della decisione disciplinare , poiché la disciplina ivi dettata attiene salva l'ipotesi della sospensione agli aspetti meramente amministrativi dell'esecuzione.

È quanto affermato dalle SS. UU. della Corte di Cassazione con sentenza n. 19652/18 depositata il 24 luglio. Il fatto. Il C.N.F. dichiarava inammissibile il gravame proposto da un avvocato in relazione alla decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati territorialmente competente con la quale veniva dichiarata l'inammissibilità dell'istanza denominata incidente di esecuzione” proposta con riferimento a precedente decisione sempre pronunciata dal medesimo Consiglio dell'Ordine, con la quale era stata irrogata la sanzione della cancellazione dall'Albo degli Avvocati, non impugnata, e pertanto, passata in giudicato, ai fini della rideterminazione della sanzione applicata, in termini di minor rigore”, alla luce della vigente normativa introdotta dalla l. n. 247/2012. Avverso la suindicata pronuncia del C.N.F., l'avvocato propone ricorso per Cassazione. La Corte. Gli Ermellini hanno ritenuto in parte inammissibili ed in parte infondati tutti i motivi di ricorso proposti dal ricorrente sulla scorta dei quali lo stesso censurava la circostanza che il C.N.F., in aperta violazione a norme di legge, non avesse ritenuto che il provvedimento adottato dal Consiglio dell'Ordine territorialmente competente si inserisse, a pieno titolo, nella fase esecutiva del procedimento disciplinare celebratosi innanzi allo stesso C.O.A, e rappresentasse, dunque, decisione adottata in materia disciplinare” che promana da un Ente legittimato – a suo dire – a norma dell'art. 35 del Regolamento 21 febbraio 2014, n. 2 Procedimento disciplinare”, a dare esecuzione a tutte le sanzioni disciplinari. Secondo i Giudici di legittimità, le censure mosse del ricorrente, in primo luogo, risultavano essere state formulate in violazione dell'art. 366, comma 1., n. 6, c.p.c. atteso che egli poneva a loro fondamento atti e documenti del giudizio di merito limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente – per la parte di interesse nella sede oggetto del presente giudizio – riprodurli nel ricorso né fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come prevenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, con precisazione dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, nonché se essi fossero stati rispettivamente acquisiti o prodotti in sede di giudizio di legittimità. La mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendeva il ricorso inammissibile. Nel merito, il Collegio evidenziava che come da consolidato orientamento di legittimità le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli dell'Ordine degli Avvocati, ed il relativo procedimento, hanno natura amministrativa, e non giurisdizionale con la conseguenza che questi ultimi non hanno il potere di conoscere dell'esecuzione delle sanzioni disciplinari irrogate nei confronti degli iscritti. Inoltre, nella specie, proseguono i magistrati, non può, altresì invocarsi l'art. 35 Regolamento C.N.F. n. 2 del 2104 recante Esecuzione della decisione disciplinare , poiché la disciplina ivi dettata attiene salva l'ipotesi della sospensione agli aspetti meramente amministrativi dell'esecuzione. Concludendo. I Giudici, concludono affermando che il nuovo codice deontologico disciplina da un canto l'istituto della riapertura del procedimento disciplinare concluso con provvedimento definitivo art. 36 , a richiesta dell'interessato o d'ufficio con le forme del procedimento ordinario comma 2 , con provvedimenti di competenza del C.O.A. che ha emesso la decisione comma 3 . Per altro verso, la possibilità per il professionista radiato, decorsi 5 anni dall'esecutività del provvedimento sanzionatorio, di chiedere di essere nuovamente iscritto, ove sussistano i presupposti di cui all'art. 17 l. n. 247/2012 art. 30, comma 5 .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 ottobre 2017 – 24 luglio 2018, n. 19652 Presidente Canzio – Relatore Scarano Svolgimento del processo Con sentenza del 14/2/2017 il C.N.F. ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dall’avv. C.A. in relazione alla decisione del C.O.A. di Lecce del 3/2/2016 di inammissibilità dell’ istanza denominata incidente di esecuzione , proposta con riferimento a precedente pronunzia del 10/7/2013 di quest’ultimo di irrogazione della sanzione della cancellazione dall’albo degli Avvocati, non impugnata e pertanto passata in giudicato, ai fini della rideterminazione della sanzione applicata, in termini di minor rigore , alla luce della vigente normativa introdotta dalla L. n. 247/2012 . Avverso la suindicata pronunzia del C.N.F. il C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 360, co. 1 n. 1, c.p.c. . Si duole che il C.N.F. abbia erroneamente ritenuto non rientrare l’atto impugnato in alcuna delle categorie di provvedimenti che può emettere in materia disciplinare, giacché il provvedimento impugnato si innesca, a pieno titolo, costituendone parte integrante, nella fase esecutiva disciplinata dall’art. 35 del Titolo V del Regolamento 21 febbraio 2014, n. 2 Procedimento disciplinare - ai sensi dell’art. 50, co. 5, Legge 31 dicembre, n. 247 del procedimento disciplinare celebratosi innanzi al C.O.A. di Lecce e definito con provvedimento n. 15/13 , trattandosi di Ente legittimato, a norma dell’art. 35 del menzionato Regolamento, a dare esecuzione a tutte le sanzioni disciplinari e, dunque, a conoscere situazioni per così dire patologiche che possono verificarsi a seguito del passaggio in giudicato della decisione e che riguardano, per jus superveniens, la sanzione . Lamenta che - come affermato da Cass., Sez. Un., 24/10/2014, n. 18821- la volontà del legislatore di regolamentare situazioni verificatesi a seguito del passaggio in giudicato della decisione e della definitività del provvedimento emesso e di inserirle nell’ambito del c.d. procedimento disciplinare , rappresentando dunque materia disciplinare , si desume dalla previsione dell’art. 36 del Titolo VI , sicché il legislatore ha considerato materia disciplinare le situazioni sopravvenute al giudicato, che riguardano il fatto , disponendo addirittura la riapertura del procedimento , non sussistendo particolari ragioni per negare la stessa valenza di materia disciplinare a circostanze che riguardano la sanzione , sopravvenute al giudicato ed introdotte da una legge successiva . Si duole non essersi considerato che, come dalle S.U. del pari sottolineato, il nostro ordinamento non ignora ipotesi di flessione dell’intangibilità del giudicato, sul cui valore costituzionale prevalgono altri valori, ai quali il legislatore assicura un primato. In caso di abolitio criminis, infatti, è prevista la revoca della sentenza di condanna art. 673 cod. procomma pen. e ne cessano la esecuzione e gli effetti penali art. 2, comma secondo, cod. pen. . Analoga previsione è contenuta nello stesso art. 673 cod. procomma pen. per l’ipotesi di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice. Altra ipotesi di cedevolezza del giudicato è quella prevista dall’art. 30, comma quarto, legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo cui cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in applicazione della norma dichiarata incostituzionale. L’art. 2, comma terzo, cod. pen . statuisce, inoltre, che la pena detentiva inflitta con condanna irrevocabile deve essere convertita immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, se la legge posteriore prevede esclusivamente quest’ultima, regola questa che deroga alla previsione di cui al successivo comma quarto dello stesso articolo, che individua nel giudicato il limite all’operatività della lex mitior. All’ipotesi introdotta dall’art. 14 della legge n. 85 del 2006 può essere accostato, in via analogica, il novum dettato dalla Corte EDU in tema di legalità convenzionale della pena in entrambi i casi è l’esigenza imprescindibile di porre fine agli effetti negativi dell’esecuzione di una pena contra legem a prevalere sulla tenuta del giudicato . Lamenta che, come è stato al riguardo dalle S.U. già posto in rilievo, la questione si risolve essenzialmente nell’esigenza di individuare lo strumento processuale idoneo a consentire l’intervento correttivo dello stesso giudicato , ravvisato proprio nell’ incidente di esecuzione , a conoscere del quale è ai sensi dell’art. 665 cod. procomma pen. il giudice dell’esecuzione. Si duole non essersi considerato che l’ assimilazione della sanzione disciplinare a quella penale, che ha indotto il superamento del principio del tempus regit actum in favore del principio del favor rei , e la incontrovertibile operatività del comma 4 dell’art. 10 del Regolamento 21 febbraio 2014, n. 2 consentono ineluttabilmente, nella fattispecie de qua, di mutuare, nella sua interezza, il principio di diritto e le argomentazioni svolte nella sentenza n. 18821 del 2014 resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte giungendo a stabilire, contrariamente a quanto contenuto nella impugnata sentenza, che il provvedimento adottato dal Consiglio territoriale si inserisce, a pieno titolo, nella fase esecutiva del procedimento disciplinare celebratosi innanzi al C.O.A. di Lecce e rappresenta, dunque, decisione adottata in materia disciplinare che promana da un ente legittimato, a norma dell’art. 35 del menzionato Regolamento, a dare esecuzione a tutte le sanzioni disciplinari . Lamenta che il provvedimento impugnato si inserisce, a pieno titolo, nella fase esecutiva disciplinata dall’art. 35 del Titolo V del Regolamento 21 febbraio 2014, n. 2 Procedimento disciplinare , e promana da un Ente legittimato, norma del cit. art. 35 del menzionato Regolamento, a dare esecuzione a tutte le sanzioni disciplinari , e, dunque, a conoscere situazioni per così dire patologiche che possono verificarsi a seguito del passaggio in giudicato della decisione e della definitività del provvedimento emesso e di inserirle nell’ambito del c.d. procedimento disciplinare , rappresentando materia disciplinare , come si desume dalla previsione dell’art. 36 del Titolo VI . Con il 2 subordinato motivo denunzia violazione dell’art. 59 L. n. 69 del 2009, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c Si duole che il C.N.F. abbia omesso immotivatamente di uniformarsi al proprio nomofilattico orientamento giurisprudenziale non tenendo conto della disciplina introdotta dall’art. 59 1 comma della L. 18/06/2009 n. 69 con cui il legislatore ha espressamente esteso il regime della transiatio iudicii anche ai rapporti tra giudici ordinari e giudici speciali , né abbia altrimenti indicato il giudice munito di giurisdizione, previa individuazione della natura del provvedimento impugnato . Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 7, 33, 50 L. n. 33 del 1933, 60 r.d. 22/10/1934, in riferimento all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c Si duole che il C.N.F. abbia ritenuto inammissibile il ricorso per difetto dello ius postulandi, laddove la inammissibilità del ricorso avverso provvedimenti del Consiglio dell’Ordine territoriale non può essere legata alla carenza di iscrizione del ricorrente nel relativo Albo , attenendo la stessa alle modalità di presentazione del menzionato ricorso e, specificatamente, alla rappresentanza e difesa del professionista privo dello ius postulandi innanzi al giudice della giurisdizione speciale . I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati. Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366, 1 co. n. 6, c.p.c., atteso che il ricorrente pone a suo fondamento atti e documenti del giudizio di merito in particolare, il ricorso per incidente di esecuzione 08.01.2016, depositato in data 09.01.2016 - docomma 2 , le note integrative 18.01.2016, depositate il 19 succomma - docomma 3- , le note integrative 20.01.2016, depositate in pari data - docomma 4- , le note integrative 01.02.2016, depositate in pari data - docomma 5- limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente - per la parte d’interesse in questa sede - riprodurli nel ricorso né fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220 , con precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità v. Cass., 23/3/2010, n. 6937 Cass., 12/6/2008, n. 15808 Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157 , la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701 . A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento v. Cass., 18/4/2006, n. 8932 Cass., 20/1/2006, n. 1108 Cass., 8/11/2005, n. 21659 Cass., 2/81/2005, n. 16132 Cass., 25/2/2004, n. 3803 Cass., 28/10/2002, n. 15177 Cass., 12/5/1998 n. 4777 sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo v. Cass., 24/3/2003, n. 3158 Cass., 25/8/2003, n. 12444 Cass., 1/2/1995, n. 1161 . Non sono infatti sufficienti affermazioni - come nel caso - apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione v. Cass., 21/8/1997, n. 7851 . Va per altro verso posto in rilievo che, come queste Sezioni Unite hanno avuto più volte modo di affermare, le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli dell’Ordine degli Avvocati, ed il relativo procedimento, hanno natura amministrativa, e non giurisdizionale v. Cass., Sez. Un., 18/11/2015, n. 23540 Cass., Sez. Un., 22/12/2011, n. 28339 . Orbene, a tale stregua essi non hanno il potere di conoscere dell’esecuzione delle sanzioni disciplinari irrogate nei confronti degli iscritti. Né in contrario può invero invocarsi l’art. 35 Regolamento C.N.F. n. 2 del 2014 recante Esecuzione della decisione disciplinare , la disciplina ivi dettata attenendo salva l’ipotesi della sospensione v. Cass., Sez. Un., 26/9/2017, n. 22358 agli aspetti meramente amministravi dell’esecuzione. Va al riguardo per altro verso posto in rilievo che il nuovo Codice deontologico approvato il 31/1/2014, pubblicato il 16/10/2014 ed entrato in vigore il 15/12/2014 , pur non prevedendo più la sanzione della cancellazione dall’albo, contempla invero quella della radiazione art. 30, comma 4 . Il nuovo Codice deontologico disciplina altresì, da un canto, l’istituto della riapertura del procedimento disciplinare concluso con provvedimento definitivo art. 36 , a richiesta dell’interessato o d’ufficio con le forme del procedimento ordinario comma 2 , con provvedimenti di competenza del C.O.A. che ha emesso la decisione comma 3 . Per altro verso, la possibilità per il professionista radiato, decorsi 5 anni dall’esecutività del provvedimento sanzionatorio, di chiedere di essere nuovamente iscritto, ove sussistano i presupposti di cui all’art. 17 L. n. 247 del 2012 art. 30, comma 5 . All’inammissibilità e infondatezza dei motivi nei suesposti termini, assorbita ogni altra e diversa questione, consegue il rigetto del ricorso. Non è peraltro a farsi luogo a provvedimento in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.