Il principio del favor rei si applica al nuovo Codice Deontologico Forense, ma non al procedimento disciplinare

Ai sensi dell’art. 65, comma 5, l. n. 247/2012, il nuovo Codice Deontologico Forense si applica anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato. Tale disposizione non opera però per il Regolamento del CNF n. 2 del 2014, recante il Procedimento disciplinare a carico dell’avvocato.

Il caso. Sul tema si sono pronunciate le Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 19653/18, depositata il 24 luglio, decidendo sul ricorso presentato da un avvocato avverso la dichiarazione del CNF di inammissibilità del gravame proposto conto la sanzione disciplinare inflittagli dal COA di Gela. Il ricorrente deduce violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990 affermando che la decisione del COA era priva dell’indicazione dei termini di impugnazione, circostanza che aveva determinato il suo errore scusabile nel ritenere operante il termine di impugnazione previsto dal nuovo regolamento n. 2 del 21/02/2014, all’epoca già emanato ma non ancora vigente. Su tale premessa, la seconda censura invoca il principio del favor rei nell’ipotesi di successione delle norme nel tempo, posta la natura afflittiva della sanzione disciplinare. Favor rei. In applicazione della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense di cui alla l. n. 247/2012, il CNF ha adottato il nuovo Codice Deontologico Forense con il regolamento n. 1 del 2014, pubblicato sulla G.U. n. 241/2014 ed entrato in vigore il 15 dicembre 2014. Il Consiglio ha poi adottato il Regolamento n. 2 del 21 febbraio 2014 – Procedimento disciplinare – in vigore dal 1° gennaio 2015 poi modificato a decorrere dal 7 maggio 2017 . La l. n. 247/2012 nel disciplinare il regime transitorio, dispone che l’entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato art. 65, comma 5 . È dunque testualmente prevista dalla nuova legge professionale l’applicazione del criterio del favor rei nella successione nel tempo delle norme previste dal vecchio e dal nuovo Codice deontologico e, dunque, della disciplina delle fattispecie incriminatrici e del relativo trattamento disciplinare. Precisa però il Collegio che nel dettare la disciplina transitoria stabilendo che si applicano le norme più favorevoli per l’incolpato anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, l’art. 65, comma 5, l. n. 247/2012 fa espresso e specifico riferimento alle norme del nuovo Codice Deontologico Forense Regolamento CNF n. 1 del 2014 e non anche a quelle del Regolamento CNF n. 2 del 2014 recante il Procedimento disciplinare” . Ne consegue dunque che, nel caso di specie, il termine perentorio d’impugnazione della decisione del COA era quello stabilito dalla previgente disciplina, termine ormai decorso al momento della proposizione del gravame. Conclude la Corte sottolineando l’irrilevanza della scusabilità dell’errore nell’individuazione del termine d’impugnazione applicabile non rinvenendosi atti o circostanze positive tali da ingenerare in capo al ricorrente l’erronea convinzione sul significato della norme di cui all’art. 65 l. n. 247/2012. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 ottobre 2017 – 24 luglio 2018, n. 19653 Presidente Canzio – Relatore Scarano Svolgimento del processo Con sentenza del 4/4/2017 il C.N.F. ha dichiarato inammissibile, per tardività, il gravame interposto dall’avv. S.G. in relazione alla decisione del C.O.A. di Gela del 12/5/2014 irrogativa della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi 3. Avverso la suindicata decisione del C.N.F. lo S. propone ora ricorso per cassazione affidato a 2 motivi. Gli intimati C.O.A. di Gela e Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 3 L. n. 241 del 1990, in riferimento all’art. 360, 1 n. 3, c.p.c Si duole che la pronunzia di 1 grado non recasse anche l’indicazione dei termini di relativa impugnazione. Lamenta essere stata tale decisione emessa quando il nuovo regolamento n. 2 del 21/2/2014 avente ad oggetto il procedimento disciplinare era stato già emanato sicché, pur se non ancora vigente, tale circostanza fonda la fattispecie dell’ errore scusabile , atteso che il ricorrente ha erroneamente ritenuto applicabile il nuovo termine d’impugnazione di cui al regolamento n. 2 del 21/02/2014 piuttosto che . quello di cui all’art. 50, comma 2, del R.D.L. n. 158/1933 , a fortiori in quanto l’art. 26 del nuovo procedimento disciplinare stabilisce che il dispositivo deve indicare il termine entro cui ricorrere innanzi al C.N.F. , lasciando così intendere che trattasi di requisito importante la cui omissione può indurre in errore il soggetto interessato . Con il 2 motivo denunzia eccesso di potere violazione del principio del favor rei . Si duole non essersi considerato che l’ indubbia natura afflittiva” delle sanzioni disciplinari deve . indurre all’applicazione del principio del favor rei , atteso che la retroattività piena ed incondizionata della legge abrogatrice è in realtà giustificata da un’esigenza di parità sostanziale di trattamento riconducibile alla disposizione di cui all’art. 3 della Cost. , e che la giurisprudenza di legittimità ha d’altro canto affermato che le norme del nuovo codice si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, avendo l’art. 65, comma 5, della L. n. 247/2012 recepito il criterio del favor rei in luogo del criterio del tempus regit actum , non potendo non rilevarsi come vi sia stata una successione di discipline nel tempo sia per ciò che concerne il Codice Deontologico Forense, sia per ciò che concerne la regolamentazione del procedimento disciplinare , essendo pertanto suo diritto . vedersi riconosciuta la disciplina . più favorevole . Il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. Con la L. n. 247 del 2014 recante Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense il C.N.F. è stato delegato ad emanare il nuovo Codice Deontologico Forense art. 3, commi 3 e 5, art. 35, comma 1 lett. d , art. 65, comma 5 . Il C.N.F. ha adottato il nuovo Codice Deontologico Forense con Regolamento n. 1 del 2014, approvato il 31/1/2014, pubblicato nella G.U. n. 241 del 16 ottobre 2014 ed entrato in vigore il 15/12/2014. Ai sensi dell’art. 50, comma 5, del Titolo V Il Procedimento disciplinare della L. n. 247 del 2012 il C.N.F. ha successivamente altresì adottato il Regolamento n. 2 del 21 febbraio 2014 recante Procedimento disciplinare , divenuto vigente il 1 gennaio 2015 v. Cass., Sez. Un., 3/11/2017, n. 26148 Cass., Sez. Un., 26/9/2017, n. 22358 , e successivamente modificato con delibera assunta nella seduta amministrativa del 24 marzo 2017 a far data dal 7 maggio 2017. Come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, la L. n. 247 del 2012 all’art. 65 rubricato Disposizioni transitorie , comma 5 interamente dedicato all’emanando nuovo codice deontologico , dispone che l’ entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato v. Cass., Sez. Un., 18/4/2018, n. 9558 Cass., Sez. Un., 16/2/2015, n. 3023 . Si è da queste Sezioni Unite osservato che, nel fissare il momento di transizione dall’operatività del vecchio a quella del nuovo Codice Deontologico, la nuova legge professionale espressamente regola a tale stregua prevenendo le incertezze interpretative manifestatesi in occasione di precedenti successioni di norme deontologiche la successione nel tempo delle norme dell’allora vigente e di quelle dell’ allora emanando nuovo codice deontologico e delle ipotesi d’illecito e delle sanzioni da esse rispettivamente contemplate improntandola al criterio del favor rei v. Cass., Sez. Un., 16/2/2015, n. 3023 . Si è al riguardo altresì posto in rilievo che tra le principali innovazioni rispetto a quello previgente il nuovo Codice Deontologico Forense presenta la ancorché non assoluta, certamente tendenziale tipicizzazione degli illeciti e la predeterminazione delle sanzioni correlativamente applicabili. Si è per altro verso sottolineato che la norma di cui al suindicato art. 65 è volta a regolare la successione tra le norme del vecchio e del nuovo Codice deontologico, e quindi delle fattispecie incriminatrici e delle correlative sanzioni di natura amministrativa applicabili, laddove per gli istituti regolati da fonte diversa dal Codice deontologico, e in particolare dalla legge, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative , attesa la scelta discrezionale del legislatore volta a potenziare l’efficacia dissuasiva della sanzione, eliminando per il trasgressore ogni aspettativa di evitare la sanzione grazie a possibili mutamenti legislativi Corte cost. 20 luglio 2016, n. 193 così Cass., Sez. Un., 18/4/2018, n. 9558 . Va in argomento ulteriormente precisato che nel dettare la disciplina transitoria stabilendo che si applicano le norme più favorevoli per l’incolpato anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, l’art. 65, comma 5, L. n. 247 del 2012 fa espresso e specifico riferimento alle norme del nuovo Codice Deontologico Forense Regolamento C.N.F. n. 1 del 2014 , e non anche a quelle del Regolamento C.N.F. n. 2 del 2014 recante Procedimento disciplinare . Ne consegue che erroneamente l’odierno ricorrente invoca l’applicazione nella specie anche della norma di cui all’art. 33 Regolamento C.N.F. n. 2 del 2014 sul Procedimento disciplinare, in base al principio del favor rei. Quest’ultimo si applica infatti, come detto, solamente alle norme del Codice Deontologico Forense, laddove trattandosi di atto come nella specie d’impugnazione la norma applicabile avente ad oggetto i relativi termini è quella vigente al momento della sua proposizione, in applicazione del principio tempus regit actum, invero richiamato nelle stesse premesse del Regolamento C.N.F. n. 2 del 2014 mediante il riferimento all’art. 65, comma 1, L. n. 247 del 2012. A tale stregua, il termine perentorio d’impugnazione della decisione del C.O.A. di Gela in argomento era quello stabilito dalla previgente disciplina tra l’altro ormai decorso al momento dell’entrata in vigore -oltre 6 mesi dopo del Codice Deontologico Forense . Pertanto, non già -come sostenuto dall’odierno ricorrente-quello di 30 giorni dalla data di notifica della decisione ex art. 33 Regolamento CNF 21 febbraio 2014 n. 2, bensì quello di 20 giorni ex art. 50, 2 co., r.d.l. n. 158 del 1933 all’epoca ancora vigente. Termine che, come indicato nell’impugnata sentenza, in considerazione anche del periodo di sospensione feriale dal 1 Agosto al 15 Settembre e che l’ultimo giorno cadeva di sabato è venuto nel caso a scadere lunedì 29/9/2014. Correttamente il gravame è stato pertanto nell’impugnata sentenza dal C.N.F. che allorquando pronunzia in materia disciplinare è un giudice speciale istituito con d.lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382, e tuttora legittimamente operante giusta la previsione della VI disp. transitoria della Costituzione v. Cass., Sez. Un., 23/3/2005, n. 6213, e da ultimo, Cass., Sez. Un., 3/11/2017, n. 26148 ritenuto tardivamente proposto. Non può infine sottacersi che non viene nel caso in rilievo l’istituto della scusabilità dell’errore con riferimento all’individuazione del termine d’impugnazione nella specie applicabile, non rinvenendosi anche in considerazione della mancata relativa deduzione da parte dell’odierno ricorrente nel rispetto dei requisiti a pena d’inammissibilità richiesti all’art. 366, 1 co. n. 6, c.p.c. , atti o circostanze positive tali da ingenerare in capo all’odierno ricorrente la suesposta erronea convinzione sul significato della norma ex art. 65 L. n. 247 del 2012, dovendo per converso trovare al riguardo applicazione il diverso principio di autoresponsabilità. Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. P.Q.M. La corte dichiara il ricorso inammissibile. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.