Rapporto di parentela con l’avvocato e superamento della presunzione di onerosità del mandato

Ai sensi dell’art. 1709 c.c., il mandato professionale si presume oneroso e la misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o in mancanza è determinata dal giudice.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 17384/18 depositata il 3 luglio. Il caso. L’avvocato ricorrente otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali svolte in favore di un albergo. Il GdP accoglieva, con sentenza confermata anche in secondo grado, l’opposizione dell’albergo, il quale deduceva di nulla dovere poiché il rapporto professionale era stato costituito a titolo gratuito. L’onerosità del mandato professionale. Nel caso di specie, con il motivo di ricorso, il professionista sostiene che la sussistenza del mandato è stata accertata dal Giudice di prime cure e non essendo stata oggetto del giudizio di appello deve ritenersi statuizione passata in giudicato e, ribadita la presunzione di onerosità del mandato professionale, ex art. 1709 c.c., la domanda di pagamento deve essere accolta, mancando la prova di gratuità dell’incarico professionale. Quanto detto non viene accolto dagli Ermellini, in quanto la sentenza impugnata asserisce che l’attività professionale era svolta a titolo gratuito sulla base delle prove testimoniali che hanno dichiarato l’intenzione del difensore di non voler essere remunerato dall’albergo per il compito eseguito, essendoci anche un rapporto di parentela tra le parti. Il ricorso è quindi respinto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 20 aprile – 3 luglio 2018, n. 17384 Presidente Orilia – Relatore Fortunato Fatti di causa L’Avv. G.G. ha proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Rimini, n. 385/2014. Il ricorrente aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento di prestazioni professionali svolte in favore della Albergo Mercedes s.a.s Quest’ultima aveva proposto opposizione, deducendo di nulla dovere in quanto il rapporto professionale era stato costituito a titolo gratuito. Il Giudice di pace ha accolto l’opposizione ed ha revocato il decreto ingiuntivo, con pronuncia confermata in appello dal Tribunale di Rimini, che ha ritenuto che il mandato professionale fosse stato conferito a titolo gratuito in virtù dei rapporti di parentela intercorrenti tra l’avv. G. e i soci della società resistente. Il ricorso è sviluppato in tre motivi, illustrati con memoria. La resistente ha depositato controricorso. Ragioni della decisione 1. Va anzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, il cui contenuto consente comunque di individuare le censure mosse alla sentenza di merito, senza pregiudizio per l’intellegibilità delle questioni e per l’esercizio dei diritti di difesa della resistente. 2. Il primo motivo censura la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. per aver la sentenza escluso la sussistenza del mandato professionale, benché l’opponente ne avesse eccepito solo la sua gratuità. Il secondo motivo censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., per aver il giudice negato fatti non contestati, e cioè l’avvenuto rilascio del mandato professionale in favore del difensore. Il terzo motivo censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1709 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., sostenendo che la sussistenza del mandato era stata accertata dal giudice di pace e non essendo stata oggetto di appello, doveva ritenersi statuizione passata in giudicato che di conseguenza, stante la presunzione di onerosità del mandato, ai sensi dell’art. 1709 c.c., la domanda di pagamento doveva essere accolta, non essendovi prova della gratuità dell’incarico professionale. 3. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, vertendo sulle medesime questioni, sono infondati. Il ricorrente, estrapolando dal contesto singoli passaggi argomentativi della sentenza impugnata, sostiene erroneamente che il Tribunale abbia confermato la pronuncia di rigetto della domanda di pagamento per mancanza di prova del conferimento dell’incarico e dell’espletamento delle prestazioni professionali. Al contrario, la sentenza impugnata ha asserito che l’attività era stata svolta a titolo gratuito, poiché i testi avevano dichiarato che il difensore aveva fatto intendere di non voler essere remunerato e poiché tra l’avv. G. e i titolari della struttura alberghiera intercorrevano, all’epoca, rapporti di parentela. La domanda di pagamento del compenso non è stata, quindi, respinta per la ritenuta insussistenza del rapporto professionale e, di conseguenza, le censure - da un lato - non si confrontano con il reale contenuto della pronuncia e, per altro verso, sollecitano un non consentito riesame delle risultanze di causa al fine di accertare il carattere oneroso dell’incarico che competeva al giudice di merito verificare e che quest’ultimo ha motivatamente escluso, con valutazione non sindacabile sotto i profili dedotti in ricorso. Inoltre, posto che la presunzione di onerosità ex art. 1709 c.c. assume carattere relativo, correttamente la sentenza impugnata l’ha ritenuta superata in base alle risultanze della prova per testi e alle relazioni di parentela che intercorrevano fra le parti Cass. 27.6.2014, n. 14682 Cass. 27.5.1982, n. 3233 Cass. 24.1.1980, n. 605 . Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese come da liquidazione in dispositivo. Il ricorrente va - altresì - condannato al pagamento in favore della controparte dell’importo di Euro 1000,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo c.p.c., avendo proposto il ricorso sottoponendo a questa Corte contestazioni in fatto, avulse dalle risultanze di causa e non pertinenti rispetto a quanto motivatamente deciso in entrambi i gradi del giudizio di merito. Sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte di Euro 1000,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo, nonché delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 800,00 per compenso, oltre ad iva, cna e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%. Si dà atto che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.