“Consultazioni con il cliente"" e ""corrispondenza informativa"", precetto e sentenza definitiva

Le voci Consultazioni con il cliente e corrispondenza informativa , ai sensi del d.m. 127/2004, sono ripetibili a precetto anche in caso di sentenza definitiva. Ove la domanda sia anche solo parzialmente accolta, l'attore non può essere condannato al pagamento anche parziale delle spese.

Tale in sintesi il contenuto dell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 1572, depositata il 23 gennaio 2018, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Motivi di ricorso. Il provvedimento in esame riguarda un giudizio di opposizione a precetto. Il ricorrente affida il ricorso in terzo grado a due motivi con il primo contesta due voci dei diritti indicate a precetto, le consultazioni e la corrispondenza con il cliente , che secondo la corte territoriale non potevano ritenersi escluse dalla disciplina temporalmente applicabile con il secondo motivo contesta la sentenza di appello per la condanna alle spese parziale, motivata in sentenza con la soccombenza parziale. Vediamo da vicino come la Corte affronta le due questioni. Voci consultazioni con il cliente e corrispondenza informativa , precetto e sentenza definitiva. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente afferma l'illegittimità delle due voci di precetto suindicate, in quanto non ammesse dal d.m. 8 aprile 2004, n. 127 nella fase di esecuzione fase cui potevano essere riferibili solo le voci della tabella B II , ma solo fino alla sentenza definitiva, mentre la norma di chiusura della detta tabella B II, che rinviava, per ogni altra prestazione concernente il processo di esecuzione ivi non prevista, agli onorari e diritti stabiliti nel paragrafo riguardante le prestazioni corrispondenti punto 74, tabella B II, d.m. 127/2004 , non poteva applicarsi al precetto, in quanto atto prodromico ed esterno al processo esecutivo. Dunque, non vi era da registrare alcuna novità rispetto al momento in cui vigeva la norma, poi venuta meno, che stabiliva che le voci in questione ed altre erano dovute anche dopo ogni sentenza non definitiva, dopo ogni ordinanza collegiale, dopo ogni riassunzione del processo e fissazione di nuova udienza tabella B, d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, dopo il punto 45 . Il motivo è non accolto dalla Corte, la quale dichiara di seguire l'orientamento di cui alla sentenza Cass. 20/06/2011, n. 13482, che non ritiene, contrariamente al ricorrente, essere stato superato dalla sentenza 29/07/2014, n. 17224 afferma la Corte che quest'ultima sentenza – che testualmente afferma che come già affermato da questa Corte con sentenza n. 12270 del 20/08/2002, gli onorari e i diritti di procuratore per le voci tariffarie n. 20 consultazioni con il cliente e 21 corrispondenza informativa con il cliente non sono ripetibili, ai sensi dell'art. 1 della tariffa forense in relazione alla tabella B, parte 1, nei confronti della parte soccombente in sede di precetto intimato dalla parte vittoriosa anche successivamente ed in relazione alla sentenza definitiva - non si riferiva al d.m. 127/2004, ma al d.m. 585/1994 ciò desume dall'indicazione della numerazione delle voci, diversa tra i due d.m. . Pertanto, prosegue la Corte, non può dirsi che la sentenza del 2014 abbia invertito l'orientamento espresso, esplicitamente, nella sentenza n. 13482/2011, in cui si osservava che con il d.m. 2004 era venuta meno la previsione di cui al punto 45 succitato ed era tale previsione il riferimento testuale da cui l'orientamento rappresentato da Cass. n. 12279/2002 desumeva la non applicabilità delle voci alla sentenza definitiva non menzionata nel punto 45 l'art. 5, comma 6 cap. I, d.m. 127/2004 , riferito espressamente agli onorari, ma logicamente estensibile anche ai diritti afferma che la liquidazione dell'onorario [ ] deve essere fatta in relazione a tutte le prestazioni effettivamente occorse ogni volta che vi sia stata una decisione anche se espressa con ordinanza collegiale o con sentenza non definitiva , dunque a maggior ragione, anche in caso di sentenza definitiva la comune esperienza insegna che uno dei momenti in cui normalmente avvengono le consultazioni con il cliente è proprio dopo l'emissione della sentenza definitiva per decidere come muoversi in relazione alla fase esecutiva il mandato alla lite si estende normalmente, salvo diversa o contraria volontà del mandante, anche alla fase esecutiva la facoltatività del precetto non consente di escludere il riconoscimento di un'attività riconducibile all'attività del difensore ed effettivamente posta in essere dal punto di vista testuale, l'ammissibilità delle due voci anche alla fase esecutiva è rinvenibile dal rimando, per ogni altra prestazione non prevista, agli onorari e diritti stabiliti nel paragrafo riguardante le relative prestazioni punto 74, tabella B, parte II . In caso di contestazione, però, ricorda la Corte, le attività indicate devono poter essere provate. Ricordiamo che il d.m. 127/2014 è applicabile solo ratio temporis , e che oggi, dopo l'abrogazione delle tariffe, il testo di riferimento è il d.m. 55/2014, il quale prevede un importo complessivo con riferimento al precetto. L'attore, se soccombe parzialmente, non può essere condannato alle spese. Con il secondo motivo il ricorrente contesta la condanna al pagamento delle spese, pur essendo risultata, anche se parzialmente, fondata l'opposizione. Il PM giustifica la condanna al pagamento delle spese per il ricorrente osservando che la domanda originaria conteneva due rimedi uno di opposizione agli atti esecutivi, con cui si contestava la nullità della notifica l'altro di opposizione all'esecuzione, con cui si contestavano alcune voci a precetto. Sul primo rimedio vi era da registrarsi una completa soccombenza”, atteso che, con la costituzione in giudizio ad opera dell'opponente, l'atto aveva comunque raggiunto il suo scopo. Quanto al secondo rimedio esperito, questo era stato solo parzialmente accolto, dunque vi era da registrare una soccombenza reciproca”. Ne consegue, sempre secondo il PM, la legittimità della condanna alle spese per il primo rimedio e della compensazione con riferimento al secondo. Afferma invece il Collegio il principio secondo cui il giudice, nel liquidare le spese, deve conservare una visione complessiva della lite, in quanto, ai fini della liquidazione delle spese, la valutazione della soccombenza opera [ ] in base ad un criterio pur sempre unitario e globale cita sul punto Cass. n. 12005/17 . Spiega la Corte di allienarsi all'orientamento giurisprudenziale per cui, ai sensi dell'art. 91, c.p.c. nella versione successiva alla riforma ex l. 18 giugno 2009, n. 69 , al di fuori di quanto previsto dal comma 1, per. sec., l'attore parzialmente vittorioso su un'unica domanda, dunque anche quello vittorioso su una delle domande proposte, cioè parzialmente vittorioso e anche parzialmente soccombente, non può essere condannato alle spese può vedersi compensate le spese, parzialmente oppure totalmente nel primo caso, però, la condanna al pagamento di quella parte di spese non compensate potrà riguardare solo il convenuto menziona Cass. 19 ottobre 2016, n. 21069 , che poi distingue il caso di un'unica domanda da quello di più domande provenienti da più parti, prevedendo che in caso di compensazione parziale la condanna parziale delle spese possa essere effettuata a carico di quella parte la cui domanda, pur accolta, si presenta sostanzialmente di minor valore rispetto a quella accolta a favore dell'altra parte . Conferma di ciò è data, secondo la Corte, ragionando a contrario, dalla constatazione dalla previsione espressa di condanna a carico di chi si vede accolta la domanda, ed è nel comma 1, per. sec. si tratta, cioè, della mancata accettazione senza giustificato motivo della proposta conciliativa e conseguente condanna per le spese successive eccetto l'ipotesi di compensazione ex art. 92, comma 2, c.p.c. se il sistema contiene tale previsione espressa, ciò vuol dire che in mancanza di tale ipotesi, la regola generale è un'altra il sistema dunque segue il principio di causalità e, salvo l'eccezione espressa, esclude la condanna a carico di chi è stato costretto” a rivolgersi al giudice per far valere, seppur parzialmente, le proprie ragioni. Certamente su un piano diverso opera l'ulteriore ipotesi, che qui si aggiunge, di condanna, indipendentemente dalla soccombenza”, pronunciata per violazione del dovere di lealtà e probità, ex art. 88 c.p.c. v. artt. 91 e ss. c.p.c. .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 28 novembre 2017 – 23 gennaio 2018, n. 1572 Presidente Chiarini – Relatore Porreca Fatti di causa 1. Nel 2009 S.C. convenne dinanzi al Tribunale di Trieste la società Generali Italia S.p.A., esponendo di avere stipulato con la stessa un’assicurazione contro gli infortuni di essere rimasto vittima di un sinistro stradale che gli provocò gravi lesioni personali che la società non aveva corrisposto l’indennizzo contrattualmente pattuito. Chiese pertanto la condanna della società convenuta all’adempimento della propria obbligazione contrattuale. La Generali si costituì contestando sia l’efficacia della copertura assicurativa, sia la dinamica dell’infortunio così come descritta dall’attore. 2. Con sentenza 24 aprile 2013 n. 372 il Tribunale di Trieste accolse la domanda. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza 6 agosto 2014 n. 499, accolse il gravame dell’assicuratore e rigettò la domanda. La Corte d’appello ritenne che, pur essendo incontestabile che l’assicurato avesse patito lesioni personali, la domanda andava comunque rigettata, perché l’assicurato non aveva dimostrato in modo chiaro e netto la concreta dinamica dell’infortunio. Soggiunse che la polizza escludeva dalla garanzia gli infortuni derivanti da partecipazioni a corse e gare comportanti l’uso di veicoli a motore e le contraddittorie prove raccolte nel corso del giudizio non consentivano di escludere che l’infortunio non potesse essere derivato da una di queste attività. 3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.C. , con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso la Generali Italia, anch’essa depositando memoria. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., che la Corte d’appello avrebbe violato gli articoli 1362 e 2697 c.c. Deduce che il contratto prevedeva l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo al verificarsi di un infortunio, e che la polizza definiva tale ogni evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna che produca lesioni corporali obiettivamente constatabili . Il contratto inoltre soggiungeva che la copertura era valida per gli infortuni subiti sia nello svolgimento delle attività professionali dell’assicurato, sia nello svolgimento di ogni altra normale attività . Dinanzi a tali pattuizioni, l’attore aveva dunque l’onere soltanto di provare che si era verificato un infortunio e che questo aveva provocato una invalidità permanente, ma non avrebbe anche dovuto dimostrare l’insussistenza delle cause di esclusione della copertura assicurativa. 1.2. Il motivo è fondato. Fatto costitutivo della pretesa dell’assicurato, nel giudizio promosso nei confronti dell’assicuratore ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo pattuito, è l’avverarsi di un rischio corrispondente a quello descritto nella polizza. L’assicurato, dunque, ha l’onere di dimostrare che si è verificato il fatto avverso previsto nella polizza, che sia derivato dalle cause previste dalla polizza, e che abbia prodotto gli effetti previsti dalla polizza. 1.3. È noto tuttavia come il rischio previsto nel contratto di assicurazione sia di norma un rischio delimitato, attraverso patti di vario genere che circoscrivono, a seconda delle volontà delle parti e del premio pagato, l’indennizzabilità ai sinistri derivanti da determinate cause, ovvero ai sinistri consistiti in determinati eventi, od ancora ai sinistri che abbiano prodotto determinati effetti. Per effetto dell’inserimento nel contratto di assicurazione di queste clausole di delimitazione del rischio, gli effetti avversi cui l’assicurato è teoricamente esposto possono essere classificati in tre categorie a i rischi inclusi b i rischi esclusi c i rischi non compresi. I rischi inclusi sono quelli per i quali il contratto accorda all’assicurato il pagamento dell’indennizzo. I rischi esclusi sono quelli del tutto estranei al contratto ad es., il rischio di infortuni rispetto ad una polizza che copra la responsabilità civile . I rischi non compresi sono invece quelli che astrattamente rientrerebbero nella generale previsione contrattuale, ma l’indennizzabilità dei quali è esclusa con un patto espresso di delimitazione del rischio ad esempio, in un contratto di assicurazione contro i danni da incendio, si esclude l’indennizzabilità degli incendi provocati dal fulmine . 1.4. La distinzione appena riassunta, risalente e condivisa da sapiente dottrina, riverbera effetti sul piano del riparto dell’onere della prova. La circostanza che l’evento dannoso rientri tra i rischi inclusi è fatto costitutivo della pretesa, e va provata dall’assicurato. La circostanza che l’evento verificatosi rientri fra i rischi non compresi costituisce invece un fatto impeditivo della pretesa attorea, e va provato dall’assicuratore. Tale circostanza infatti non rappresenta un fatto costitutivo della domanda, ma un fatto costitutivo dell’eccezione di non indennizzabilità, e come tale deve essere dimostrato da chi quell’eccezione intenda sollevare. 1.5. Nel caso di specie è pacifico che la polizza stipulata da S.C. coprisse qualunque tipo di infortunio derivante da attività lavorative o non lavorative. Onere dell’assicurato era dunque soltanto quello di provare l’esistenza dell’infortunio. Era, invece, onere dell’assicuratore dimostrare che, pur essendosi verificato il rischio contrattualmente pattuito l’infortunio , questo rientrava tra i rischi non compresi , a causa dell’esistenza di una delle circostanze di non indennizzabilità previste dal contratto. Nel caso di specie, l’esistenza dell’infortunio non è mai stata in discussione. L’assicuratore, per contro, non ha mai provato che questo fosse derivato da una corsa automobilistica clandestina, o da altre cause delimitative dell’indennizzabilità previste dal contratto. Sicché, essendo stato provato il fatto costitutivo della domanda, ma non quello costitutivo dell’eccezione, la Corte d’appello non avrebbe potuto rigettare la prima ed accogliere la seconda. 1.6. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla corte d’appello di Trieste, la quale nel riesaminare il gravame proposto dalla società Generali Italia si atterrà al seguente principio di diritto nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo assicurativo, è onere dell’attore provare che il rischio avveratosi rientri nei rischi inclusi , ovvero nella categoria generale di rischi oggetto di copertura assicurativa. Se il contratto contiene clausole di delimitazione del rischio indennizzabile soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali , la sussistenza dei presupposti di fatto per l’applicazione di tali clausole costituisce un fatto impeditivo della pretesa attorea, e va provato dall’assicuratore . 2. Gli ulteriori motivi di ricorso. 2.1. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti dell’accoglimento del primo. 3. Le spese. Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.