Procura alle liti vs conferimento dell’incarico professionale

In mancanza di una prova del conferimento dell’incarico professionale da parte di altro soggetto, si deve presumere che il cliente – tenuto al pagamento del compenso professionale – è colui che ha rilasciato la procura alle liti.

La Sez. I Civile della Cassazione sentenza n. 7382/16 depositata il 14 aprile ha affrontato un caso piuttosto interessante, avente ad oggetto la questione del conferimento dell’incarico ad un avvocato con il solo” rilascio di una procura alle liti. In ultima analisi, si tratta di stabilire chi sia il soggetto tenuto al pagamento della parcella del difensore. Il caso. Un avvocato otteneva ben quattro decreti ingiuntivi per il pagamento di diversi compensi nei confronti di alcuni clienti. A seguito di opposizione, alcuni decreti venivano pienamente confermati, in altri casi il compenso veniva ridotto. In seguito, la Corte d’appello rigettava in particolare l’eccezione tesa a far valere l’insussistenza di un rapporto professionale tra i clienti e l’avvocato eccezione che si fondava sulla circostanza per cui in realtà l’incarico professionale era stato affidato ad altro difensore, che poi aveva aggiunto” nella procura alle liti il professionista che aveva in seguito preso l’iniziativa monitoria. Basta il conferimento di una procura alle liti per il contratto di patrocinio? I giudici di merito avrebbero sbagliato per aver desunto l’esistenza di un contratto di patrocinio dal semplice” rilascio di una procura alle liti che avrebbe rilievo solo a fini processuali e per non avere considerato che il compenso per l'attività professionale svolta dovrebbe essere corrisposto dall’altro professionista, del quale il primo era collaboratore. In caso di procura alle liti il conferimento dell’incarico professionale si presume II Tribunale ha accertato, in fatto, il conferimento delle procure alle liti a favore dell’avvocato da parte dei ricorrenti e da ciò ha tratto la presunzione di conferimento dell'incarico professionale, desunta anche dallo svolgimento dell'attività processuale risultante dai verbali di causa e dalla successiva comunicazione di revoca degli stessi mandati alle liti. La Corte d'appello ha condiviso questo accertamento ed ha precisato che il rapporto professionale con il professionista in questione si era aggiunto a quello regolato dal contratto di patrocinio in essere con altro legale. Da tale precisazione i ricorrenti vorrebbero desumere la mancanza di un rapporto diretto tra di loro e l’avvocato intimante, al quale l'incarico professionale sarebbe stato conferito dal collega al quale loro si erano effettivamente rivolti, con la conseguenza che sarebbe solo quest'ultimo tenuto a corrispondergli il compenso. Certo, il compenso non sempre deve essere corrisposto da chi ha rilasciato la procura alle liti La tesi dei ricorrenti sarebbe confermata dalla giurisprudenza di legittimità che, valorizzando la distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporto di patrocinio, ha ritenuto che obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l'opera professionale richiesta, se ed in quanto la stessa sia stata svolta, non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alle liti, potendo anche essere un soggetto diverso, cioè colui che abbia affidato ad altro legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell'interesse di un terzo cioè del cliente finale , instaurandosi in tale ipotesi, collateralmente al rapporto con la parte che abbia rilasciato la procura ad litem , un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale. Ogni situazione deve essere esaminata a sé, con indagine di fatto riservata ai giudici di merito. La situazione va accertata caso per caso e nella fattispecie i giudici di merito hanno accertato che la procura alle liti era stata conferita direttamente dai ricorrenti e che l'opera da lui svolta non rientrava tra le attività costituenti oggetto della collaborazione professionale con l’altro difensore oltretutto i legali non facevano neppure parte dello stesso studio professionale. Chi rilascia la procura alle liti si presume essere il cliente”. Questa conclusione è conforme a diritto. Se è vero che per la conclusione del contratto di patrocinio con il cliente non occorre il rilascio della procura alle liti, che è necessaria solo per il compimento dell'attività processuale, e se è anche vero che obbligato al pagamento del compenso potrebbe essere chi non ha dato la procura, è però anche vero che, in mancanza di una prova del conferimento dell'incarico professionale da parte di altro soggetto, si deve presumere che il cliente è colui che ha rilasciato la procura e, quindi, è tenuto al pagamento. La libertà di forma quanto al mandato di patrocinio. Del resto, aggiunge la Suprema Corte, per il mandato di patrocinio vige il principio di libertà di forma e non v'è ragione di ritenere che, in difetto di prova contraria, la procura alle liti sia un atto intrinsecamente inidoneo al conferimento del mandato di patrocinio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 febbraio – 14 aprile 2016, n. 7382 Presidente Valitutti – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo 1.- Il Tribunale di Milano emise quattro decreti ingiuntivi che intimavano ai sig.ri C.L. e V.F. e alle società Soleluna e Yo Company il pagamento di diversi compensi per prestazioni professionali in favore dell’avv. G. . Il Tribunale rigettò le opposizioni di V. e Soleluna e condannò C. e Yo Company a corrispondere somme inferiori a quelle contenute nei relativi decreti che revocò. 2.- La Corte d’appello di Milano, con sentenza 13 novembre 2012, ha rigettato i motivi di gravame con i quali gli appellanti avevano dedotto l’insussistenza di un rapporto professionale tra loro e l’avv. G. , ma solo con l’avv. Ce. al quale avevano corrisposto il compenso ha ritenuto dimostrato con il rilascio della procura alle liti il conferimento di specifici mandati professionali anche all’avv. G. , che li aveva espletati in aggiunta al mandato conferito all’altro avvocato, ad eccezione per la redazione di un contratto discografico con la Universal e la proposizione di un atto di appello riguardante il cosiddetto caso F. . Inoltre, la Corte, in parziale accoglimento dei motivi volti a contestare la congruità dei compensi, li ha condannati a corrispondere somme inferiori, avendo ritenuto erroneo il computo nelle spese dell’aumento del 20% per ciascuna parte oltre la prima, poiché la relativa disposizione della tariffa forense si applicava solo all’aumento dell’onorario unico, mentre nel caso di specie lo stesso professionista aveva dedotto la sussistenza di quattro attività professionali diverse ha compensato interamente le spese del secondo grado di giudizio. 3.- Avverso questa sentenza C. , V. e le società Soleluna e Yo Company hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Il G. ha proposto controricorso e ricorso incidentale, resistito dai ricorrenti principali. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2230 c.c., 82 ss. c.p.c. e 85 del codice deontologico, per avere i giudici di merito desunto l’esistenza di un contratto di patrocinio con l’avv. G. dal rilascio di procure alle liti che avrebbero rilievo solo a fini processuali e per non avere considerato che il compenso per l’attività professionale svolta dovrebbe essere corrisposto all’avv. G. dall’avv. Ce. , del quale il primo era collaboratore. Con il secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., i ricorrenti negano di avere conferito uno specifico mandato professionale all’avv. G. , avendolo conferito solo all’avv. Ce. , e sarebbe a carico dell’avv. G. , quale sedicente creditore che aveva agito in via monitoria, l’onere di dimostrare l’esistenza di un contratto di patrocinio e il compimento di attività professionali diverse da quelle commissionate all’avv. Ce. , ma tali prove non sarebbero state offerte. 1.1.- Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Il Tribunale ha accertato in fatto il conferimento delle procure alle liti all’avv. G. da parte degli attuali ricorrenti principali e non dall’avv. Ce. e da ciò ha tratto la presunzione di conferimento dell’incarico professionale, desunta anche dallo svolgimento dell’attività processuale risultante dai verbali di causa e dalla successiva comunicazione di revoca degli stessi mandati alle liti in data 2 ottobre 2003 . La Corte d’appello ha condiviso questo accertamento ed ha precisato che il rapporto professionale con l’avv. G. si era aggiunto a quello regolato dal contratto di patrocinio in essere con l’avv. Ce. . Da tale precisazione i ricorrenti vorrebbero desumere la mancanza di un rapporto diretto tra di loro e l’avv. G. , al quale l’incarico professionale sarebbe stato conferito dallo stesso avv. Ce. , con la conseguenza che sarebbe solo quest’ultimo tenuto a corrispondergli il compenso. Tale conseguenza sarebbe confermata dalla giurisprudenza di legittimità v., tra le altre, Cass. n. 25816/2011 che, valorizzando la distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporto di patrocinio, ha ritenuto che obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l’opera professionale richiesta, se ed in quanto la stessa sia stata svolta, non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alle liti, potendo anche essere un soggetto diverso, cioè colui in tesi, l’avv. Ce. che abbia affidato ad altro legale in tesi, all’avv. G. il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell’interesse di un terzo cioè del cliente finale , instaurandosi in tale ipotesi, collateralmente al rapporto con la parte che abbia rilasciato la procura ad litem , un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi avv. Ce. ha richiesto per lui l’opera professionale. La conclusione invocata dai ricorrenti, tuttavia, non è condivisibile. La medesima giurisprudenza ha chiarito che accertare, di volta in volta, quale situazione ricorra nel caso concreto - cioè se la procura al legale che chieda il pagamento del compenso sia stata conferita dal legale che abbia ricevuto la procura alle liti dal cliente ex art. 2232 c.c. oppure come nel nostro caso direttamente dallo stesso cliente finale - costituisce una questione di fatto che, essendo rimessa alla valutazione del giudice di merito, si sottrae al vaglio di legittimità di questa Corte, quando sia adeguatamente motivata. Nella fattispecie in esame, come si è detto, i giudici di merito hanno accertato che la procura all’avv. G. è stata conferita direttamente dai ricorrenti e hanno precisato che l’opera da lui svolta non rientrava tra le attività costituenti oggetto della collaborazione professionale in esclusiva con l’avv. Ce. e che il primo non faceva parte dello studio del secondo. L’affermazione secondo la quale non ci sarebbero stati contatti diretti tra i ricorrenti e l’avv. G. non scalfisce la portata del suddetto accertamento, dal quale i giudici di merito hanno tratto la conclusione del conferimento al medesimo avv. G. del mandato di patrocinio professionale. Questa conclusione è conforme a diritto. Se è vero che per la conclusione del contratto di patrocinio con il cliente non occorre il rilascio della procura ad litem , che è necessaria solo per il compimento dell’attività processuale v., da ultimo, Cass. n. 13927/2015 , e se è anche vero, come si è detto, che obbligato al pagamento del compenso potrebbe essere chi non ha dato la procura, è però anche vero che, in mancanza di una prova del conferimento dell’incarico professionale da parte di altro soggetto, si deve presumere che il cliente è colui che ha rilasciato la procura e, quindi, è tenuto al pagamento v. Cass. n. 13401/2015, n. 26060/2013, n. 4959/2012 . Del resto, per il mandato di patrocinio vige il principio di libertà di forma e non v’è ragione di ritenere che, in difetto di prova contraria, la procura alla lite sia un atto intrinsecamente inidoneo al conferimento del mandato di patrocinio. 2.- Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, delle tariffe forensi approvate con d.m. 8 aprile 2004 n. 585, per avere quantificato il compenso dell’avv. G. secondo criteri ignoti e privi di logica. 2.1.- Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha ridotto l’importo del compenso, in ragione del fatto che l’avv. G. aveva emesso diverse parcelle con importi diversi per ciascun cliente e che, tuttavia, ognuna di esse era stata aumentata del venti per cento per ciascuna parte oltre la prima, facendo in tal modo erronea applicazione della tariffa professionale. Avverso questa statuizione, intrinsecamente favorevole nei loro confronti, i ricorrenti propongono il motivo di ricorso in esame che non tiene conto della necessità che il ricorso per cassazione sia, a pena di inammissibilità, articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata in particolare, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, n. 3, c.p.c. deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice - come nel caso in esame - in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione v. Cass. n. 22499 e 8106/2006 . 3.- Il ricorso incidentale è articolato in tre profili con i quali l’avv. G. si duole del governo delle spese e dell’affermata inesistenza, per mancanza di prova, del mandato professionale relativo al contratto discografico con la Universal e alla redazione dell’atto di appello nella causa F. . 3.1.- Il ricorso è inammissibile, alla luce del principio secondo cui il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo di ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata - come nel caso in esame - con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito v. Cass. 19959/2014 . 4. In conclusione, il ricorso principale è rigettato, l’incidentale è inammissibile. Le spese sono compensate, in considerazione della reciproca soccombenza e della complessità della vicenda fattuale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale compensa le spese del presente giudizio.