L’erede del socio di snc non può dedurre le perdite afferenti alla partecipazione del de cuius

L’erede del socio di una snc non può dedurre le perdite del defunto legate alla partecipazione di quest’ultimo all’ente. I successori, infatti, assumono solo la posizione di creditori della società e l’eventuale accordo di continuazione stipulato con gli altri partecipanti non ha carattere retroattivo.

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 1216/21 del 21 gennaio, con cui ha respinto il ricorso di alcune contribuenti. Subentro eredi al socio di società di persone no diritto iure successionis . La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha invece affermato che in base all’articolo 2284 del codice civile gli eredi del socio fin dal momento dell’apertura della successione, assumono esclusivamente la posizione di creditori e tale posizione rimane immutata anche nell’ipotesi in cui i soci superstiti decidessero, come nella specie, di stipulare un accordo di continuazione con gli eredi ciò in quanto il contratto sociale stipulato con il socio de cuius è intuitus personae . Nelle società di persone il contratto sociale è caratterizzato dalla considerazione personale e soggettiva del singolo contraente pertanto, la morte del socio non determina la trasmissione della sua quota agli eredi, ma la trasformazione ope legis della quota nel corrispondente importo pecuniario di cui diventano creditori gli eredi e debitrice la società. L’accettazione dell’eredità comporta, quindi, solo il diritto alla liquidazione della proporzionale quota del capitale sociale spettante e non dà diritto a subentrare nella società al posto del defunto, in quanto il rapporto sociale non si trasmette mortis causa cfr. Cass. 3671/2001 . Ne consegue che in caso di accordo di continuazione della società tra i soci superstiti e gli eredi non potrà darsi luogo a una successione in senso tecnico e che nel patrimonio ereditario entra a far parte esclusivamente il valore della partecipazione sociale del defunto che si concretizza in un credito. In caso di continuazione, in sostanza, si verifica solo una modifica soggettiva del contratto sociale che non presenta nulla di diverso da ogni altra ipotesi di adesione di nuove parti al contratto di società. Del resto anche la disciplina tributaria conferma tale assunto tanto è vero che, in tema di imposta di successione il patrimonio degli eredi non si incrementa della partecipazione, ma di un credito consistente nel diritto alla liquidazione della quota di una società personale cfr. Cass. 31589/2019 . Con l’ulteriore conseguenza, conclude la Cassazione, che non è consentito agli eredi presentare la dichiarazione dei redditi deducendo pro quota le perdite di competenza del de cuius derivanti dalla partecipazione in società dello stesso, non assumendo i predetti la qualità di socio, ciò in quanto la modificazione soggettiva del contratto sociale verificatasi a seguito del patto parasociale con cui si era disposta la continuazione della società, non aveva efficacia retroattiva . Caso concreto. Le ricorrenti, a seguito della morte del loro dante causa, hanno presentato la dichiarazione di successione e, successivamente, la dichiarazione dei redditi nella quale hanno evidenziato, tra l’altro, che il de cuius , quale socio di una snc, aveva diritto al riconoscimento delle perdite fiscali. Conseguentemente hanno riportato nella propria dichiarazione la quota parte delle perdite deducibili dal defunto. L’Agenzia delle Entrate ha quindi comunicato che non esisteva alcuna previsione normativa in materia, né era ammissibile un’applicazione analogica della disciplina se non espressamente prevista dal legislatore. Il provvedimento è stato quindi impugnato di fronte al Giudice tributario che ha respinto i ricorsi delle donne sia in primo che in secondo grado. In particolare, secondo la Ctr gli eredi di socio di società di persone non acquisivano automaticamente la qualifica di socio se non prevista dallo statuto ex articolo 2284 c.c., ma un credito di pari valore della quota alla data della morte del defunto. Inoltre, l’intrasferibilità della posizione di socio in capo agli eredi, perché non prevista dall’atto costitutivo, non poteva essere sanata dalla stipula dell'atto ricognitivo e modificativo in quanto atto nuovo che faceva acquisire la qualifica di socio da quella data. La controversia è così giunta in Cassazione dove le contribuenti hanno denunciato violazione dell’art. 8 del TUIR e dell’art. 2284 c.c., ritenendo che non esiste una norma che neghi ai contribuenti il diritto al riconoscimento delle perdite fiscali del defunto .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, ordinanza 3 novembre 2020 – 21 gennaio 2021, n. 1216 Presidente Zoso – Relatore Fasano Ritenuto che A seguito della morte di F.F., le eredi, T.M., F.D. e F.G. presentavano la dichiarazione di successione e, successivamente, la dichiarazione dei redditi nella quale evidenziavano, tra l'altro, che il de cuius, quale socio della società Agrinatura di F.F. e c. S.n.C, aveva diritto al riconoscimento delle perdite fiscali per complessivi Euro 217.005,00, di cui Euro 133.199,00 riportabili senza limiti di tempo ed Euro 83.806,00 entro i cinque anni. Conseguentemente, gli eredi riportavano nella propria dichiarazione la quota parte delle perdite deducibili dal de cuius. Successivamente, l'Agenzia delle entrate comunicava agli eredi di avere eseguito un controllo automatizzato delle dichiarazioni e che avrebbe provveduto a variare gli importi delle perdite non compensate di pertinenza del de cuius. Le contribuenti inviavano all'Ufficio distinte istanze di riconoscimento delle perdite fiscali relative agli anni 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011 e l'Agenzia delle Entrate emetteva tre distinti provvedimenti di diniego, sulla base del rilievo che non esisteva alcuna previsione normativa in materie, nè era ammissibile una applicazione e/o interpretazione analogica se non espressamente prevista dal legislatore. I provvedimenti diniego venivano impugnati innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia deducendo l'illegittimità degli stessi per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, ed il conseguente diritto delle contribuenti al riconoscimento delle perdite indicate. L'adita Commissione, con sentenza n. 831/2/15, respingeva i ricorsi riuniti. Le ricorrenti appellavano la pronuncia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, con sentenza n. 4407/23/17, rigettava il gravame. I giudici di appello rilevavano che per quanto riguarda le partecipazioni in società di persone gli eredi non acquisivano automaticamente la qualifica di socio se non prevista dallo statuto ex art. 2284 c.c., ma un credito di pari valore della quota alla data della morte del defunto. Inoltre, la intrasferibilità della posizione di socio in capo agli eredi perchè non prevista dall'atto costitutivo non poteva essere sanata dalla stipula dell'atto ricognitivo e modificativo dei patti sociali di società in nome collettivo stipulato in data OMISSIS , in quanto avente natura di nuovo atto che faceva acquisire la qualifica di socio da quella data. F.G., F.D. e T.M. propongono ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. L'Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Considerato che l. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi, dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione a falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, in relazione all'art. 187 TUIR e all'art. 2284 c.c Le ricorrenti rilevano che in base all'art. 187 TUIR, si applicano le disposizioni del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, e quindi anche il riporto delle perdite del de cuius. Ne consegue che la Commissione Tributaria Regionale, ritenendo che gli eredi per statuto non acquisiscono automaticamente la qualifica di soci e non hanno diritto di beneficiare delle perdite di impresa riportabili di pertinenza del de cuius, sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione delle disposizioni citate, atteso che non sussiste una norma che neghi alle contribuenti il diritto al riconoscimento delle perdite fiscali del de cuius ovvero sostenere che l'utilizzo è legittimo solo in caso di eredità giacente. 2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8 e dell'art. 2284 c.c., in quanto i giudici di appello avrebbero erratamente ritenuto che la permanenza del rapporto di partecipazione nella società da parte degli eredi, prevista nello statuto, sia requisito imprenscindibile per potere dedurre le perdite maturate dal de cuius negli anni precedenti il decesso e che, conseguentemente, con la cessazione della qualità di socio, le perdite maturate non sono riportabili nè utilizzabili dagli eredi. 3. I motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione logica, sono infondati, per i principi di seguito enunciati. 3.1. Non è contestato che a seguito del decesso di F.F., socio della società Agrinatura di F.F. & amp c. S.n.C , la quota di partecipazione della società venne devoluta alle eredi, che presentarono in data OMISSIS la dichiarazione di successione e, conseguentemente, la dichiarazione dei redditi con cui deducevano pro quota la perdita relativa ad attività di impresa maturata dal de cuius negli anni precedenti. In data OMISSIS , le eredi ed i soci superstiti stipularono un Atto ricognitivo e modificativo di patti sociali di società in nome collettivo , con cui si conveniva che, previo consenso degli altri soci, subentravano nella quota del socio defunto F.F 3.2. Ciò premesso in fatto, va precisato che ai sensi dell'art. 2284 c.c., a seguito della morte del socio, e quindi dello scioglimento del rapporto sociale che faceva capo al defunto, i soci superstiti devono procedere alla liquidazione della quota agli eredi. In alternativa, i predetti soci, qualora lo preferiscano, possono decidere di sciogliere direttamente la società, in tal caso le spettanze agli eredi saranno regolate nell'ambito della generale procedura di liquidazione dell'intera società. Infine, i soci superstiti possono continuare la società con gli eredi del socio defunto, sempre che questi vi consentano, mediante la stipula di un accordo di continuazione. Nella specie, i soci superstiti hanno deciso di stipulare un patto sociale, registrato in data OMISSIS , con cui, dando atto della morte di F.F. hanno stabilito il subentro delle eredi, attuali ricorrenti in cassazione v. pag. 8 controricorso e pag. 17 ricorso nella quota sociale dello stesso e, quindi, netta posizione del loro dante causa. Le contribuenti censurano la decisione della Commissione Tributaria Regionale che, pur dando atto del patto sociale del OMISSIS , ha ritenuto che la acquisizione della qualifica di soci decorra dal momento della stipula del negozio e non ha effetto retroattivo. Le ricorrenti, sostengono, invece, che la posizione di socio retroagisca alla data del decesso v. pag. 1.7 ricorso per cassazione . 3.3. Le critiche non hanno peso. Ai sensi dell'art. 2284 c.c., gli eredi del socio, fin dal momento dell'apertura della successione, assumono esclusivamente la posizione di creditori e tale posizione rimane per essi immutata anche nell'ipotesi in cui i soci superstiti decidessero, come nella specie, di stipulare un accordo di continuazione con gli eredi ciò in quanto il contratto sociale stipulato con il socio de cuius è intuitus personae. Nelle società di persone il contratto sociale è caratterizzato dalla considerazione personale e soggettiva del singolo contraente pertanto, la morte del socio non determina la trasmissione della sua quota agli eredi, ma la trasformazione ape legis della quota del corrispondente importo pecuniario di cui diventano creditori gli eredi e debitrice la società. I soci superstiti hanno il dovere di liquidare la quota del de cuius con la relativa assunzione da parte degli eredi del socio defunto della qualità di creditori dell'indicato valore art. 2284 c.c. . Ai sensi dell'art. 2289 c.c., nel termine di sei mesi dalla morte del dante causa gli eredi dovranno vedersi attribuita dalla società una somma di danaro che rappresenti il valore della quota di partecipazione che faceva capo al de cuius e che dovrà essere calcolata sulla base della situazione patrimoniale della società, quale risultante al momento in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto sociale, dovendosi, comunque tenere conto degli utili e delle perdite relativi alle operazioni in corso. Questa Corte ha chiarito che l'evento della morte del socio porta alla cessazione della qualità di socio la quale non si trasferisce agli eredi, essendo il contratto sociale stipulato intuitus personae e determina la trasformazione ope legis della quota quale insieme di diritti sociali nel corrispondente importo pecuniario, di cui diviene creditore l'erede e debitrice la società. L'operazione di liquidazione della quota, già di pertinenza del socio defunto, secondo i criteri fissati dall'art. 2289 c.c., è quindi solo un procedimento contabile conseguente al già verificatosi scioglimento della società relativamente al predetto socio defunto. Queste stesse considerazioni valgono ad escludere che, in tale ipotesi, si verifichi un fenomeno di divisione, sia pure parziale, del patrimonio della società, in quanto il diritto dell'erede ha per oggetto fin dal primo momento un importo pecuniario, corrispondente al valore della quota, mentre il patrimonio sociale rimane immutato, sorgendo a carico della società solo l'obbligo di corrispondere il valore della quota . Cass. n. 5809 dei 2001 . Occorre stabilire se i detti eredi, una volta aderito alla proposta di continuazione e conclusosi, così, il negozio inter vivos con i soci superstiti possano in qualche maniera sostituirsi al loro originario dante causa, nella identica posizione che faceva capo al medesimo nel momento della sua morte e, quindi, in definitiva, subentrare nella stessa quota di partecipazione, senza che vi sia alcuna frattura temporale tra il momento della morte ovverosia della apertura della successione e quello successivo della manifestazione del consenso alla continuazione della società da parte degli stessi. La risposta è negativa. Come disposto dall'art. 2284 c.c., quando muore uno dei soci gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano . L'accettazione dell'eredità del de cuius comporta, quindi, solo il diritto alla liquidazione della proporzionale quota del capitale sociale spettante e non dà diritto a subentrare nella società al posto del defunto, in quanto il rapporto sociale non si trasmette mortis causa Cass. n. 3671 del 2001 . Sul presupposto che la quota di partecipazione sociale non sia suscettibile di un trasferimento per causa di morte, ne consegue che nel patrimonio ereditario del socio defunto non potrà, in nessun caso, esistere, con riferimento alla partecipazione di cui lo stesso in vita risultava titolare, una entità nei confronti della quale possa verificarsi quel meccanismo di sostituzione di un soggetto ad un altro, nella medesima posizione, e del quale, pertanto, si va a prendere il posto. Ciò in ragione della intrasmissibilità iure successionis della partecipazione del socio a responsabilità illimitata, sicchè in caso di accordo di continuazione della società tra i soci superstiti e gli eredi del socio defunto non potrà darsi luogo ad una successione, in senso tecnico, dei suoi eredi nella partecipazione di cui lo stesso era titolare. Il vincolo sociale che faceva capo al socio defunto dovrà ritenersi, anche in questo caso, immediatamente e definitivamente estinto al momento della sua morte, sicchè l'accettazione dell'eredità da parte degli eredi del socio defunto non potrà comportare per gli stessi l'acquisto della qualità di soci, cosa che sarà invece riconducibile esclusivamente al perfezionamento dell'accordo di continuazione. 3.4. Secondo l'indirizzo della dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, apertasi la successione del socio e definito il suo oggetto per quanto riguarda il rapporto societario, è solo il valore economico della sua partecipazione che viene trasmesso agli eredi mediante l'accettazione dell'eredità. Nel patrimonio ereditario entra a far parte esclusivamente il valore della partecipazione sociale del de cuius, che poi attraverso l'attività di liquidazione si concretizzerà in un eventuale credito. La fattispecie così definita impedisce agli eredi del socio di assumere, in ogni caso, la qualità di soci della società di cui faceva parte il loro dante causa, e di subentrare, comunque, nella sua quota di partecipazione. Nè a seguito dell'accordo di continuazione è consentito riaprire la vicenda successoria, ormai definita in ogni suo elemento, facendo così rivivere ex post un rapporto sociale che si deve ritenere immediatamente e definitivamente estinto con la morte del socio. In caso di accordo di continuazione, come nella specie è avvenuto, si verifica solo una modificazione soggettiva del contratto sociale che non presenta nulla di diverso da ogni altra ipotesi di adesione di nuove parti al contratto di società, la cui efficacia decorre dal momento in cui l'accordo viene stipulato nella specie il OMISSIS sicchè la morte del socio anche in ipotesi di continuazione, non determina il trapasso mortis causa della partecipazione agli eredi. Secondo il principio affermato da questa Corte, che si condivide l'erede del socio defunto diventa socio non iure successionis, ma ad opera di un accordo che è atto inter vivos Cass. n. 6849 del 1986 . Nè assume rilievo nella fattispecie il richiamo all'istituto dell'eredità giacente, tenuto conto che gli eredi hanno provveduto ad accettare l'eredità, non configurandosi alcuna situazione di incertezza al momento della apertura della successione. Sicchè è inconferente anche il richiamo all'art. 187 TUIR, la cui previsione serve per procedere alla liquidazione provvisoria e definitiva delle imposte dovute in riferimento ai periodi di imposta di vigenza dell'eredità giacente. 3.5. Da siffatti rilievi consegue che nessuna censura può essere espressa alla sentenza impugnata, tenuto conto che la Commissione Tributaria Regionale ha fatto buon governo dei principi espressi, non essendo consentito alle eredi ricorrenti presentare la dichiarazione dei redditi deducendo pro quota le perdite di competenza del de cuius derivanti dalla partecipazione in società dello stesso, non assumendo le predette la qualità di socio, ciò in quanto la modificazione soggettiva del contratto sociale, verificatasi a seguito del patto parasociale con cui si era disposta la continuazione della società, non aveva efficacia retroattiva. Si è detto, infatti, che la morte del socio comporta l'estinzione del rapporto partecipativo, e nella prospettiva tributaristica, lo conferma la disciplina delle imposte sulle successioni, per la quale il patrimonio degli eredi non si incrementa della partecipazione, ma di un credito consistente nel diritto alla liquidazione della quota di una società personale, nei casi previsti dall'art. 2289 c.c., sia pure da determinarsi con gli stessi criteri previsti per le quote di partecipazione v. Cass. n. 31589 del 2019 . 4. In definitiva, il ricorso va rigettato. Tenuto conto della novità delle questioni trattate, le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.