Anche se il ricorso per cassazione dell'Ufficio è infondato, le spese di lite possono essere compensate

È prevista la compensazione delle spese di lite anche nell’ipotesi in cui il ricorso per cassazione dell’Ufficio risulti infondato. Tale assunto è stato statuito dalla Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 13520 del 2 luglio 2020.

Vicenda. Il Fisco contestava ad un contribuente maggiori imposte dirette per la cessione di un terreno. Il nuovo valore accertato è stato desunto ai fini IRPEF sulla base di quanto definito ai fini del registro. Il predetto contribuente impugnava così l'atto impositivo provando, tramite l’allegazione di alcuni documenti, l'effettiva somma incassata dalla cessione. Il giudice di primo grado rigettava il ricorso introduttivo, ma la pronuncia veniva riformata in appello. Il Fisco ricorre in Cassazione lamentando l'errore della CTR per non aver attribuito alla definizione, ai fini del registro, valore di presunzione qualificata, con inversione dell'onere della prova. I Supremi Giudici, con la pronuncia citata, rigettano l'impugnazione del Fisco precisando che non è a carico dell'Ufficio la dimostrazione dell'effettivo prezzo di vendita. Tuttavia, la CTR non si era limitata a mere asserzioni sull'idoneità del valore contestato, ma aveva verificato la prova documentale sull'ammontare del corrispettivo incassato. Per gli Ermellini riguardo a tale prova, sebbene non sia stata specificamente indicata, viene fatto riferimento alla prova documentale prodotta nel precedente giudizio di primo grado e non oggetto di contestazione . Da qui la conferma della sentenza di appello favorevole al contribuente. Tuttavia, i Giudici di Legittimità hanno compensato le spese di lite per la mancata specifica indicazione della prova fornita dal contribuente, che avrebbe indotto l'Agenzia al ricorso infondato. Gli stessi Giudici hanno adottato la decisione di compensare le spese di lite, malgrado la soccombenza, per la mancata specificazione della prova fornita dal contribuente che avrebbe indotto l'Agenzia al ricorso infondato. L'articolo 385 c.p.c. prevede che se la Cassazione rigetta il ricorso , deve condannare il ricorrente alle spese. In base all'articolo 92 c.p.c. in caso di soccombenza reciproca o di assoluta novità della questione, o mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese. La compensazione può quindi esser attualmente disposta, oltre che nelle ipotesi di soccombenza reciproca, di assoluta novità, delle questioni trattate e di mutamento della giurisprudenza su questioni dirimenti, solo quando le specifiche circostanze prese in considerazione dal giudice di merito hanno connotazioni tali da renderle assimilabili alle altre ipotesi previste dall'art. 92 c.p.c., comma 2 Cass. civ. Sez. VI - 2, Ord., del 24-06-2020, n. 12484 . Le ipotesi illegittimamente non considerate dalla disposizione censurata articolo 92 c.p.c. possono identificarsi in quelle che siano riconducibili a tale clausola generale e che siano analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità. Le quali ultime quindi - l' assoluta novità della questione trattata ed il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti - hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale cfr. Corte Cost. 77/2018 . Occorre precisare inoltre che la Corte Costituzionale, con sentenza 77/2018, ha dichiarato illegittimo l'art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dal D.L. n. 132 del 2014, convertito con L. n. 162 del 2014 ove non prevedeva la possibilità di compensare le spese processuali anche in presenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, diverse dall'assoluta novità della questione o dal mutamento di giurisprudenza , ritenendo lesivo del canone di ragionevolezza l'aver il legislatore del 2014 tenuto fuori dalle fattispecie nominate, che facoltizzano il giudice a compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale, le analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata . Secondo il Giudice delle leggi, la rigidità di tale tassatività ridonda anche in violazione del canone del giusto processo art. 111 Cost., comma 1 e del diritto alla tutela giurisdizionale art. 24 Cost., comma 1 perché la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite anche in qualsiasi situazione del tutto imprevista ed imprevedibile per la parte che agisce o resiste in giudizio, può costituire una remora ingiustificata a far valere i propri diritti . La Corte Costituzionale, in definitiva , con la sentenza n. 77 depositata il 19 aprile 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, non solo nelle due ipotesi di assoluta novità della questione trattata” o di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti”, ma anche in presenza di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”. La Consulta, dunque, ha ampliato i casi in cui il giudice può stabilire la compensazione delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez V Civile, ordinanza 30 gennaio – 2 luglio 2020, n. 13520 Presidente Sorrentino – Relatore Maisano Rilevato che con sentenza n. 45/66/13 pubblicata l'8 aprile 2013 la Commissione tributaria regionale della Lombardia sezione distaccata di Brescia ha accolto l'appello proposto da Bo. Pi. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia n. 27/7/11 con la quale era stato rigettato il suo ricorso avverso l'avviso di accertamento n. omissis emesso nei suoi confronti dall'Agenzia delle entrate e con il quale era stato recuperato a tassazione il maggior valore di un terreno ceduto dal medesimo Bo. nel 2004 per Euro 1.030.000,00 dichiarato a fronte del valore di Euro 1.600.750,00 accertato ai fini della tassa di registro con sentenza passata in giudicato che la Commissione tributaria regionale ha considerato che il valore accertato ai fini della tassa di registro non vincolava ai fini delle imposte dirette, stante la diversità dei presupposti impositivi, dovendosi considerare, ai fini dell'imposta diretta in questione, il prezzo effettivamente ricevuto per la vendita del bene e documentato dal contribuente che l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi che Bo. Pi. resiste con controricorso considerato che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 68 del D.P.R. 917 del 1986 anche in combinato disposto con l'art. 2697 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che erroneamente la Commissione tributaria regionale aveva affermato l'irrilevanza dell'accertamento del valore del bene ceduto eseguito ai fini dell'imposta di registro, in quanto tale accertamento di valore costituisce una presunzione particolarmente qualificata riguardo alla corrispondenza dell'importo accertato con il prezzo effettivamente riscosso per la cessione del bene, con conseguente inversione dell'onere della prova in capo al contribuente che con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 D.Lgs. 546 del 1992, 132 e 118, comma 2, n. 4 disp. att. cod. proc. civ. e vizio di motivazione apparente in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. In particolare si assume che il giudice dell'appello non avrebbe indicato le prove che afferma avere fornito il contribuente a sostegno del prezzo effettivamente riscosso per la cessione del bene in questione che con il terzo motivo si lamenta omessa ovvero insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 primo comma, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la Commissione tributaria regionale non avrebbe indicato gli elementi di prova addotti dal contribuente per contrastare la presunzione del valore data dall'accertamento eseguito ai fini dell'imposta di registro che i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente riferendosi entrambi alla prova del prezzo a cui effettivamente è stato ceduto il bene in questione. Le argomentazione della ricorrente relative all'onere della prova che incombe sul contribuente in relazione all'effettivo prezzo di vendita del terreno in questione sono esatte, ma il giudice dell'appello ha fatto corretta applicazione dei relativi principi, non limitandosi ad affermare l'inidoneità, ai fini dell'imposta diretta, del valore accertato ai fini dell'imposta di registro, ma affermando anche che il contribuente ha fornito la prova dell'ammontare del prezzo riscosso. Riguardo a tale prova, sebbene non sia stata specificamente indicata, viene fatto riferimento alla prova documentale prodotta nel precedente giudizio di primo grado e non oggetto di contestazione che il terzo motivo, comunque infondato per quanto affermato sopra riguardo ai primi due motivi, è inammissibile non tenendo conto della nuova formulazione dell'art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis Le spese vengono compensate in ragione della mancata specifica indicazione della prova fornita dal contribuente e che ha indotto l'Agenzia delle Entrate al ricorso comunque infondato che non sussistono i presupposti per il versamento, a carico del soccombente, del versamento, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma I-bis del medesimo art. 13, in quanto tale versamento non può aver luogo per quelle parti, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito. P.Q.M. la Corte di Cassazione rigetta il ricorso Compensa le spese.