Il giudicato nei confronti dell’Agente della Riscossione è opponibile all’ente creditore che non ha partecipato al giudizio

Il giudicato formatosi su una cartella impugnata in giudizio contro l'Agente della Riscossione è opponibile anche all’Agenzia delle Entrate quale ente impositore anche se non ha partecipato al relativo contenzioso.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza numero 31476 depositata il 3 dicembre 2019. Vicenda. Una società ha impugnato una cartella, emessa ex art. 36- bis del d.P.R. numero 600/1973, mediante due separati ricorsi. Il primo proposto dinanzi alla commissione competente rispetto alla sede dell'Agente della Riscossione che aveva notificato il provvedimento il secondo al giudice competente rispetto alla sede dell'ente impositore. La controversia con l’Agente della Riscossione si è conclusa con sentenza passata in giudicato formale favorevole al contribuente. La controversia con l'ente impositore, viceversa, si è conclusa con una pronuncia favorevole all'Ufficio nonostante il deposito in atti della decisione passata in giudicato dell'altro procedimento. In particolare, il giudice del gravame ha respinto l'appello della società, ritenendo che l'altro collegio non era competente territorialmente e che pertanto la decisione era irrilevante. La società ha proposto ricorso in Cassazione lamentando l'illegittimità della sentenza impugnata, poiché non considerava il giudizio parallelo. L'Agenzia delle Entrate ha ritenuto, viceversa, che tale altro procedimento era irrilevante perché svolto solo nei confronti dell'Agente della riscossione. Pronuncia. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno precisato che il giudicato formatosi tra il contribuente e l'Agente della Riscossione spiega effetti anche nei confronti dell'ente impositore. In caso contrario, infatti, il contribuente non trarrebbe alcun beneficio dalla decisione resa, atteso che l'agenzia delle Entrate potrebbe sempre reiterare gli atti anche in caso di riconosciuta insussistenza della pretesa tributaria. La Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che l'azione svolta dal contribuente può essere rivolta indifferentemente nei confronti dell'ente impositore o del concessionario senza che si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario. È rimessa alla sola volontà dell'agente della riscossione, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore. Il concessionario ha solo l'obbligo di informare l'ente impositore della lite altrimenti risponde in proprio. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza citata, ha cassato senza rinvio la sentenza di appello, annullando l’atto impositivo originariamente impugnato, con condanna alle spese di lite sia a carico dell’Ufficio che dell’Agente della Riscossione. Conclusioni. Il giudicato che si forma nei confronti dell’Agente della Riscossione spiega i suoi effetti anche nei confronti dell’ente creditore, nonostante quest’ultimo non abbia partecipato al relativo giudizio. Non esiste infatti un’ipotesi di litisconsorzio necessario ed il concessionario può solo evocare in giudizio l’Agenzia delle Entrate rimasta estranea al procedimento. Sotto il profilo processuale, durante l’attività di riscossione avviene una scissione tra titolarità del credito e legittimazione all’esercizio delle azioni e tutele correlate alle situazioni giuridiche soggettive nascenti dal rapporto di imposta queste ultime spettano infatti all’Agente della riscossione, che si sostituisce, sotto questo aspetto, all’ente impositore. Pertanto, nei confronti di quest’ultimo hanno efficacia anche le pronunce rese nei giudizi ai quali non ha partecipato, non essendo configurabile nemmeno un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i due soggetti, potendo il concessionario però chiamare in causa l’Ufficio ove lo stesso non sia stato destinatario del ricorso. Ai sensi dell‘art. 39 d.lgs. numero 112/99, l'Agente della Riscossione, chiamato in causa per vizi riconducibili al solo ente impositore, deve chiamare in causa quest'ultimo, se non vuole rispondere della lite il contribuente può, indifferentemente, agire nei confronti dell'uno piuttosto che dell'altro soggetto, senza che sussista un litisconsorzio necessario tra questi, e senza che la scelta possa comportare profili di inammissibilità.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 25 giugno – 3 dicembre 2019, n. 31476 Presidente Cristiano – Relatore Fanticini Rilevato che - la Diners Club Italia S.r.l. impugnava la medesima cartella, emessa ai sensi dell'art. 36-bis D.P.R. n. 600 del 1973 e recante pretesa tributaria dell'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Roma 1, proponendo distinti ricorsi alla C.T.P. di Milano luogo in cui era stata notificata la cartella da parte dell'agente della riscossione Equitalia Esatri e alla C.T.P. di Roma sede dell'ente impositore a fondamento delle proprie iniziative la società poneva identiche motivazioni - con sentenza n. 351 del 20/12/2007 la C.T.P. di Milano accoglieva il ricorso della contribuente e la decisione passava in giudicato il successivo 3/3/2009 - all'udienza di discussione del 3/12/2008, innanzi alla C.T.P. di Roma, la società depositava la sentenza della Commissione milanese che allora non era ancora passata in giudicato , ma il giudice di merito romano, senza rilevare la litispendenza, rigettava il ricorso quest'ultima decisione veniva impugnata innanzi alla C.T.R. del Lazio e la società eccepiva l'esistenza di giudicato e la violazione del principio ne bis in idem - la C.T.R. del Lazio, con la sentenza n. 103/10/11 del 30/3/2011, respingeva l'appello e condannava l'appellante alle spese del grado nella parte che ancora qui rileva la C.T.R. affermava Per quanto concerne la sentenza n. 351 del 20-12-07 emessa dalla CTP di Milano, passata in giudicato per mancata impugnazione, il Collegio rileva che la società a suo tempo aveva presentato due identici ricorsi avverso la stessa cartella esattoriale n. omissis , per IRPEF 2002, uno presso la CTP di Milano e l'altro presso la CTP di Roma Il Collegio rileva che l'Ufficio competente cui presentare il ricorso avverso la cartella è solamente quello proposto presso la Commissione Tributaria Provinciale di Roma e, quindi, avverso l'Agenzia delle Entrate di Roma 1. Pertanto, a nulla vale la decisione della CTP di Milano - avverso tale decisione la Diners Club Italia propone ricorso per cassazione articolato in due motivi, al quale resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate - l'intimata Equitalia Nord S.p.A. subentrata a Equitalia Esatri non ha svolto difese in questo grado - la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. insistendo per l'accoglimento del ricorso. Considerato che 1. Col primo motivo la Diners Club Italia lamenta l'illegittimità della decisione per violazione dell'art. 2909 cod. civ., perché, in contrasto con quanto affermato dalla C.T.R. del Lazio, la sentenza n. 351 del 20/12/2007 della C.T.P. di Milano costituiva res iudicata, per mancanza di impugnazione, anche in punto di competenza territoriale del giudice adito, di talché il giudice d'appello non avrebbe potuto considerare tamquam non esset la predetta decisione e, anzi, avrebbe dovuto prendere atto delle statuizioni definitive contenute nella succitata sentenza. 2. Il motivo è fondato. Nella sostanza, la C.T.R. del Lazio fa discendere dalla pretesa incompetenza territoriale della C.T.P. di Milano per giunta, errando anche su tale presupposto Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15829 del 29/07/2016, Rv. 640647-01 Cass, Sez. 5, Sentenza n. 20671 del 01/10/2014, Rv. 632866-01 e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7635 del 24/3/2017 l'assoluta inefficacia delle statuizioni rese, irretrattabili in mancanza di impugnazione, sino al punto di affermare che a nulla vale la decisione della CTP DI Milano . Al contrario, il presunto vizio di incompetenza territoriale del giudice milanese doveva essere fatto valere mediante l'impugnazione della sua decisione, in mancanza della quale la pretesa nullità delle statuizioni rese è comunque coperta dal giudicato in proposito Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13829 del 27/05/2008, Rv. 603645-01 L'incompetenza del giudice che ha emesso il provvedimento, anche nelle ipotesi nelle quali abbia carattere inderogabile, costituisce motivo di nullità, e non di inesistenza dell'atto, con la conseguenza che esso è suscettibile di passare in giudicato. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 683 del 10/03/1971, Rv. 350446-01 L'incompetenza del giudice, anche nelle ipotesi in cui la competenza ha carattere inderogabile, non determina l'inesistenza giuridica del provvedimento emanato, per cui quest'ultimo, ove sia suscettibile di passare in cosa giudicata, rimane fermo, anche se emesso da giudice incompetente. . Pertanto, la decisione della C.T.P. di Milano - di accoglimento del ricorso della contribuente - doveva considerarsi res iudicata e, come tale, insuscettibile di essere considerata giuridicamente inesistente o rimessa in discussione o addirittura sconfessata dal giudice tributario romano. L'Agenzia delle Entrate, nel controricorso, sostiene che il giudicato formatosi sulla cartella di pagamento impugnata non sia ad essa opponibile in quanto il giudizio innanzi alla C.T.P. di Milano si sarebbe svolto nei confronti del solo agente della riscossione. Anche a prescindere dalle contestazioni della ricorrente su tale asserzione infatti, le difese esposte nella memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. confermano che il contraddittorio processuale era stato incardinato anche nei confronti dell'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Roma 1 , la tesi dell'Amministrazione è inconsistente, perché il giudicato formatosi tra il contribuente e l'agente della riscossione spiega in ogni caso effetti anche nei confronti dell'ente impositore. Durante l'attività di riscossione l'ente impositore conserva la propria qualità di creditore, ma la legge sancisce una scissione fra la titolarità del credito e la legittimazione all'esercizio delle azioni e delle tutele correlate alle situazioni giuridiche soggettive nascenti dal rapporto di imposta, spettando queste ultime all'agente della riscossione ne deriva, sul piano processuale, la sostituzione dell'agente riscossione all'ente impositore e, conseguentemente, l'operatività nei confronti dell'Agenzia delle Entrate del giudicato formatosi nella lite tributaria fra il contribuente e l'agente Equitalia, indipendentemente dalla denuntiatio litis all'Agenzia, la quale potrà unicamente rilevare nel rapporto interno ex art. 39 D.Lgs. n. 112 del 1999 sulla scissione tra titolarità ed esercizio del credito tributario e sulle conseguenze processuali di tale configurazione si erano già pronunciate Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1748 del 06/05/1975, Rv. 375393-01, da Cass, Sez. 1, Sentenza n. 3328 del 13/06/1979, Rv. 399726-01 . In altri termini, il concessionario è il soggetto legittimato ad agire, in nome proprio e per conto del titolare del credito stesso, per il compimento delle attività processuali di natura esecutiva, funzionali alla riscossione coattiva delegata, integrando la fattispecie uno dei casi fatti salvi dall'art. 81 cod. proc. civ. da ultimo, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 24789 del 09/10/2018 di conseguenza, le pronunce anche di segno negativo rese nei giudizi instaurati contro l'agente della riscossione spiegano effetti anche nei confronti dell'ente impositore indipendentemente dalla sua partecipazione al processo, la quale deve essere sollecitata dall'agente a norma dell'art. 39 D.Lgs. n. 112 del 1999 nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi , ma non costituisce requisito per l'opponibilità delle statuizioni. Diversamente opinando, per considerare inutiliter data la sentenza resa senza la partecipazione al giudizio dell'ente impositore, occorrerebbe ipotizzare un litisconsorzio necessario tra quest'ultimo e l'agente della riscossione, ma ciò si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità a cui si intende dare continuità Cass., Sez. U., Sentenza n. 16412 del 25/07/2007 L'azione può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore . Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'agente della riscossione ha soltanto l'obbligo di effettuare all'ente impositore la denuntiatio litis ex art. 39 D.Lgs. n. 112/1999 con qualunque modalità , secondo Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9250 del 03/04/2019 , in mancanza della quale risponde in proprio della lite. Peraltro, sarebbe illogico concludere che l'ente impositore possa fare proprio l'esito favorevole della lite e considerare inter alios - e inopponibile - quello sfavorevole, sia perché in quest'ultimo caso il contribuente non trarrebbe alcun concreto beneficio dalla decisione resa dato che l'ente potrebbe sempre reiterare gli atti anche in caso di riconosciuta insussistenza della pretesa tributaria , sia - e soprattutto - perché si determinerebbe una situazione in cui l'ente impositore non avrebbe mai un effettivo interesse a partecipare alla lite a seguito di denuntiatio posto che l'esito favorevole all'agente della riscossione gli gioverebbe mentre quello sfavorevole gli sarebbe inopponibile . In conclusione, si deve affermare che - in conseguenza del formarsi del giudicato sul ricorso proposto dalla Diners Club Italia alla C.T.P. di Milano avente identici petitum e causa petendi dell'iniziativa intrapresa innanzi alla C.T.P. di Roma - la C.T.R. del Lazio avrebbe dovuto constatare che il processo non poteva essere proseguito. Ne consegue la cassazione senza rinvio, ai sensi dell'art. 382 cod. proc. civ., della decisione impugnata. Resta assorbito il secondo motivo, col quale la ricorrente lamentava il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato art. 112 cod. proc. civ. . 3. Ai sensi dell'art. 385, comma 2, cod. proc. civ. occorre provvedere sulle spese di tutti i gradi del giudizio. L'Agenzia delle Entrate - che ha insistito nella pretesa tributaria nonostante l'intervenuto annullamento della cartella da parte della C.T.P. di Milano - deve essere condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla ricorrente per il giudizio di cassazione e per il grado di appello dette spese sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri. Ritiene il Collegio di compensare le spese del primo grado, dato che la controversia è scaturita da una duplice iniziativa della stessa Diners Club Italia innanzi a diversi uffici giudiziari. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata, senza rinvio condanna l'Agenzia delle Entrate a rifondere a Diners Club Italia le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.900,00, oltre a spese forfettarie e accessori di legge condanna l'Agenzia delle Entrate a rifondere a Diners Club Italia le spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 2.500,00, oltre a spese forfettarie e accessori di legge compensa le spese del primo grado.