La detenzione di attività finanziarie all’estero non dichiarate al Fisco è “indizio” di evasione

La mancata denuncia di depositi svizzeri emersi dalla lista Falciani può da sola costituire quell'indizio di evasione fiscale e quindi di maggiori redditi che, se non efficacemente contrastato e smentito dal contribuente, basta a provare l'esistenza di somme volontariamente sottratte a tassazione.

Occorre escludere qualsiasi ulteriore illegittimità dell'indizio fondato sulla Lista predetta in quanto non sussiste violazione né della legge tributaria né di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. A nulla rileva che nel processo penale per il corrispondente reato tributario la lista Falciani non costituisca prova legalmente acquisita. È, infatti, legittimo l'accertamento tributario fondato su documenti regolarmente acquisiti dall'Amministrazione fiscale francese cd. lista Falciani attraverso i canali della collaborazione informativa internazionale, ed è a tal fine irrilevante che i documenti siano stati acquisiti illegalmente dall'autorità francese. Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 31085 depositata il 28 novembre 2019. Vicenda. Il giudice del gravame, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto legittimo, ai fini IRPEF per l’anno 2006, l'atto impositivo dal momento che il contribuente era intestatario di un conto corrente in un Paese a fiscalità privilegiata, di cui non aveva fatto denuncia ai fini fiscali e che sul conto erano state fatte movimentazioni nell'anno oggetto di contestazione. Pronuncia. Gli Ermellini, con la pronuncia citata, respingendo il ricorso in cassazione del contribuente, hanno chiarito che, in tema di presunzioni semplici, gli elementi di prova non debbano essere più di uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della concordanza ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi. E’ corretto ritenere, sotto il profilo di ripartizione dell'onere della prova ,provata la pretesa tributaria sulla base di presunzioni semplici, le quali possono consistere anche in un solo indizio, in assenza di idonea prova contraria fornita dal contribuente la non contestata presenza di disponibilità finanziarie sul conto aperto presso l'istituto bancario svizzero intestato al contribuente, lascia ritenere, seppure a livello presuntivo, che il Fisco, mediante la raccolta dei dati emergenti dal conto corrente bancario, abbia assolto al suo onere probatorio. La disponibilità di somme su conti correnti esteri, dimostrata in base alle risultanze della c.d. Lista Falciani, costituisce una presunzione di per sé sufficiente a fondare l'accertamento. E' infatti sufficiente, in base alle regole dettate in materia di rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, anche un solo indizio, purché grave e preciso. Non assume rilevanza, invece, la circostanza che la presunzione di imponibilità dei capitali detenuti in paradisi fiscali di cui all'art. 12 d.l. n. 78/2009 non sia retroattiva. Conclusioni. L'Amministrazione Finanziaria, dunque, può contestare l'omessa dichiarazione di attività finanziarie nei Paradisi fiscali sulla sola base della Lista Falciani, senza la necessità di altri accertamenti o presunzioni. La presunzione legale di sottrazione a tassazione delle attività finanziarie detenute in Paesi a fiscalità privilegiata e non dichiarate non richiede alcun elemento ulteriore a conforto di quanto riportato nella Lista Falciani, atteso che anche un solo indizio può giustificare la pretesa fiscale, se grave e preciso, ovvero dotato dell'alta valenza probabilistica connessa alla provenienza interna dei dati bancari. Gli elementi contenuti in detta Lista sono sufficienti a fondare la pretesa dell'Amministrazione Finanziaria in quanto anche un solo indizio può giustificare la rettifica, purché lo stesso sia grave e preciso, ovvero caratterizzato dall'alta valenza probabilistica connessa alla provenienza interna dei dati bancari Cass. civ. Sez. VI-5 Ord., 12/02/2018, n. 3276 . Va esente da censure la decisione del giudice tributario che ritenga provata la detenzione di conti bancari svizzeri sulla base di presunzioni tratte dalla lista Falciani, nonostante l'assunzione del contribuente in sede penale. Rilevano, in tal senso, sia l'alto tasso indiziario che la lista Falciani ripete dalla provenienza interna all'istituto bancario, sia l'autonomia che il giudizio tributario di probabilità mantiene nei confronti del giudizio penale di certezza Cass. civ. Sez. VI-5 Ord., 23/03/2018, n. 7353 . Il diritto interno consente l'ingresso nell'accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche secondo i criteri della prova per presunzioni, come le acquisizioni provenienti da un'autorità straniera nell'ambito delle direttive comunitarie o di accordi bilaterali. Ne consegue la utilizzabilità, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dei dati contenuti nella lista Falciani documento contenente nomi di contribuenti presunti evasori, sottratto alla banca svizzera Hsbc da un ex dipendente della stessa , avendo il Fisco italiano ricevuto la stessa ritualmente, attraverso i canali di scambio informativo tra le amministrazioni, non configurandosi alcuna lesione dei diritti costituzionalmente garantiti del contribuente. I dati della cosiddetta Lista Falciani, infatti, sono utilizzabili nell'accertamento tributario, in quanto l'Amministrazione finanziaria nel contrasto dell'evasione fiscale può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con la sola esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o che siano stati acquisiti in violazione di un diritto del contribuente. Per quanto riguarda, poi, l'inutilizzabilità dei dati perché acquisiti in modo illegale, deve rilevarsi che il Fisco italiano ha ricevuto i dati ritualmente attraverso gli strumenti comunitari di scambio informativo tra le Amministrazioni, non essendovi, quindi, alcuna lesione dei diritti costituzionalmente garantiti del contribuente. Il fatto che le liste siano state sottratte in modo non legale da Falciani all'istituto bancario ginevrino non pregiudica alcun diritto dei contribuenti italiani dati contenuti nella cosiddetta Lista Falciani sono stati estratti dall'archivio informatico della banca elvetica e, pertanto, esiste un alto tasso di probabilità che essi siano conformi al vero. Questo indizio deve essere valutato dal giudice di merito che ben può contrapporvi altri indizi che inducano a giungere ad una ricostruzione dei fatti difforme dai dati ricavabili dalla lista, ed a questo fine è essenziale il contraddittorio con l'interessato che può offrire elementi ulteriori per raggiungere la valutazione del più probabile che non . Il raffronto fra gli indizi disponibili e la conseguente scelta di quelli che conducono alla decisione è senza dubbio compito del giudice di merito, il quale, tuttavia, deve compiere una valutazione complessiva del quadro probatorio, non potendo contrapporre ad ogni singolo indizio circostanze prive di rilevanza, parcellizzando il processo valutativo Cass. civ. Sez. VI-5 Ord., 13/05/2015, n. 9760 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 19 settembre – 28 novembre 2019, numero 31085 Presidente Cirillo – Relatore Crucitti Fatti di causa Ni. Tr. impugnò l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle entrate, contestandogli la detenzione di attività finanziarie e di investimento presso la Banca HSBC di Ginevra, in violazione degli obblighi di dichiarazione, aveva recuperato a tassazione redditi ai fini dell'IRPEF dell'anno 2006. La Commissione tributaria provinciale di Salerno, ritenendo illegittima l'acquisizione e l'utilizzo della documentazione pervenuta dal Fisco francese cd. lista Falciani dalla quale erano stati contestati, quali redditi non dichiarati, le somme risultanti dalla fiches intestate al contribuente, accoglieva il ricorso. La decisione, appellata dall'Agenzia delle entrate, veniva integralmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Campania-Sezione distaccata di Salerno d'ora in poi, per brevità, C.T.R. con la conferma della legittimità dell'atto impositivo. In particolare, il Giudice di appello, contrariamente alla Commissione di prima istanza, rilevava che l'acquisizione dei dati finanziari relativi al contribuente era stata legittima in quanto avvenuta, a seguito di rituale richiesta all'Autorità francese, nel pieno rispetto delle procedure e dei Trattati. La C.T.R. aggiungeva che il Tr. si era limitato ad una generica contestazione in ordine alla titolarità della scheda allo stesso intestata, laddove, di contro, l'atto impositivo era sufficientemente motivato, basato su idonea presunzione e le somme, rimpatriate tramite scudo fiscale, non avevano alcun riferimento alla somma contestata. Per la cassazione della sentenza Ni. Tr. propone ricorso, affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso dall'Agenzia delle entrate. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 cod.proc.civ. Ragione della decisione 1. Con il primo motivo -rubricato articolo 360 nr. 3 e nr.5 A violazione o falsa applicazione degli articolo 240 cpp, 3 di 259/2006 conv. in legge 281/2006 e 70 D.P.R.600/73 B omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti il ricorrente, nel dedurre che la C.T.R. non avrebbe esaminato i fatti decisivi costituiti dall'archiviazione del procedimento penale a carico del contribuente e della conseguenziale distruzione, su ordine del Giudice penale, dei documenti, relativi al Tr., concernenti l'illegale raccolta di informazioni ai danni dell'indagato, evidenzia anche l'errore in diritto commesso dal Giudice di appello nell'avere ritenuto quei documenti utilizzabili nel processo tributario malgrado la loro accertata penalmente inutilizzabilità e la loro materiale distruzione. 1.1 II motivo non è meritevole di accoglimento. Va, infatti, da subito, rilevato che non sussiste il dedotto mancato esame di un fatto decisivo giacché dalla lettura della sentenza impugnata cfr. pag 2 nella parte in cui vengono illustrate le conclusioni del contribuente appare evidente che il Giudice di appello ha esaminato e vagliato i fatti allegati ovvero i provvedimenti del GIP di Pinerolo e Avellino ma li ha ritenuti irrilevanti o, comunque, non decisivi ai fini di una diversa soluzione della controversia. Al contrario, la C.T.R. ha espressamente motivato che l'efficacia della norma penale opera autonomamente nel processo penale con conseguente non estensibilità automatica di quella preclusione nei confronti dell'azione accertatrice dell'ufficio tributario. Resta quindi fermo il potere del Giudice tributario di valutare le informazioni illecitamente acquisite quali elementi indiziari che possono concorrere unitamente ad altri elementi probatori a formare il convincimento della propria decisione. 1.2 Questa la ratio della sentenza impugnata, il mezzo, nella parte in cui si deduce una violazione di legge, appare, allora, inammissibile per inconducenza rispetto al decisum, apparendo evidente, dal tenore testuale della sentenza, che il Giudice ha ritenuto probanti gli elementi acquisiti dall'Ufficio, ancorché acquisiti illegittimamente secondo l'ordinamento processuale penale e ha, comunque, ritenuto legittima tale acquisizione, nel processo tributario perché effettuata nel pieno rispetto delle procedure e dei trattati e ciò in conformità all'orientamento costante, in materia, di questa Corte a partire dalle ordinanze gemelle numero 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, seguite da Cass.numero 16951 del 19/08/2015, e di recente, tra le altre, da Cass.33223 del 21 dicembre 2018 la quale ha ribadito la netta differenziazione tra processo penale e processo tributario, secondo un principio -sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari D.L. 10 luglio 1982, numero 429, articolo 12, successivamente confermato dal D.Igs. 10 marzo 2000, numero 74, articolo 20 , ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli articolo 2 e 654 cod. proc. penumero , ed espressamente previsto dall'articolo 220 disp. att. cod. proc. penumero che impone l'obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della applicazione della legge penale Cass. nnumero 22984, 22985 e 22986 del 12/11/2010 numero 13121 del 25/7/2012 . Si riconosce, quindi, in via di principio generale, che non qualsiasi irritualità nell'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale quali l'inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc. . Tale prospettiva si collega al principio per cui nell'ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta nell'articolo 191 cod. proc. penumero , a norma del quale & lt le prove= acquisite= in= violazione= dei= divieti= stabiliti= dalla= legge= non= possono= essere= utilizzate .= va,= pertanto,= ribadito= il= principio= di= diritto= già= statuito,= con= le= citate= pronunce,= da= questa= corte= per= cui= .Alla luce di detti principi, pertanto, la questione sollevata con il mezzo di impugnazione relativa all'avvenuta distruzione materiale dei supporti informatici ad opera del Giudice penale si rivela del tutto ininfluente e il capo della sentenza, attinto dal motivo di ricorso, rimane esente da censura. 2 Con il secondo motivo -rubricato articolo 360 nr.3 violazione o falsa applicazione dell'articolo 42, 2 comma, D.P.R.600/73 in combinato disposto con l'articolo 7 L.212/2000 il ricorrente, premesso che, nella specie, l'avviso di accertamento impugnato doveva ritenersi motivato per relationem a catena , deduce l'errore in diritto perpetrato dalla C.T.R. nell'avere ritenuto idoneamente motivato l'avviso di accertamento impugnato laddove, invece secondo la prospettazione difensiva, a tale atto avrebbero dovuto essere allegati non solo il p.v.c. ma anche gli ulteriori documenti richiamati in quest'ultimo come parte integrante del suo contenuto. 2.1 II motivo è, all'evidenza, infondato. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte v., tra le recenti, Cass.Sez. 5 ordinanza numero 4396 del 23/02/2018 id ordinanza numero 9323 del 11/04/2017 3/02/2018 . Nel caso in esame, secondo quanto riportato dallo stesso ricorrente nei suoi scritti difensivi, al processo verbale di constatazione, allo stesso debitamente notificato, erano stati allegati gli atti, relativi al contribuente e rilevanti, dell' informativa acquisita presso l'Amministrazione fiscale francese, ovvero la fiche e i saldi contabili. 3. Con il terzo motivo -rubricato articolo 360 nr.3 e nr.5 A violazione o falsa applicazione degli articolo 12 e 13 bis del D.L. 78/2009, dell'articolo 14 D.L. 350/2001 in relazione all'articolo 2697 c.c. B omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione tra le parti il ricorrente deduce l'errore in diritto commesso dalla C.T.R. nell'avere risolto, in senso sfavorevole al contribuente, la questione dell'opponibilità dello scudo fiscale ex articolo 13 bis D.L. 78/2009 laddove, invece, nel caso in specie lo scudo fiscale escludeva l'operatività della presunzione di cui all'articolo 12 D.L. numero 78/2009 e l'Amministrazione finanziaria non aveva assolto l'onere probatorio sulla stessa gravante. Inoltre, la C.T.R. aveva del tutto omesso di esaminare il fatto storico che lo scudo fiscale attivato dal contribuente avesse riguardato il rimpatrio di numero 290.000 titoli Telecom Italia posseduti nella Confederazione Svizzera il fatto storico che i suddetti titoli, rimpatriati al valore corrispondente al prezzo di mercato che le azioni avevano al momento di esecuzione dello scudo, erano però stati acquistati originariamente al differente valore di Euro 1.232.500 il fatto storico che dai documenti acquisiti dalle autorità francesi poteva individuarsi proprio il possesso di titoli azionari stocks e, per di più, detenuti nella Confederazione Svizzera il fatto storico che il valore in dollari delle disponibilità finanziarie indicate nei documenti acquisiti dalle Autorità francesi era stato tradotto in Euro nella somma di Euro 1.265.926 sostanzialmente corrispondente al valore di carico delle azioni Telecom scudate, pari a Euro 1.232.500. 4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce il vizio di omessa pronuncia. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciare sulla specifica questione dell'inapplicabilità dell'articolo 12 D.L.78/2009 malgrado la stessa fosse stata riproposta nelle controdeduzioni sul presupposto che, trattandosi di norma sostanziale la stessa non sarebbe applicabile retroattivamente. 5. I due motivi, siccome connessi, vanno trattati congiuntamente e sono infondati. 5.1 Non sussiste, invero, il vizio denunciato con il quarto motivo di ricorso. Per la giurisprudenza consolidata di questa Corte cfr. di recente, Cass. numero 15255 del 04/06/2019 id. numero 20718 del 2018, id numero 17956 del 2015 e numero 13425 del 2016 non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un'espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. Nel caso in esame la C.T.R. ha espressamente pronunciato sulla fondatezza, nel merito, della pretesa impositiva argomentando che l'Ufficio aveva pienamente assolto all'onere probatorio attraverso idonee presunzioni. Tale argomentazione svolta dal Giudice di appello appare conforme ai principi espressi da questa Corte in materia e come tale rimane esente da censura. 5.2 In materia, infatti, questa Corte, Cass.numero 2662 del 2 febbraio 2018 id.numero 33223 del 21 dicembre 2018 e, in termini, 3276 del 2018 numero 16951 del 2015 , ha, invero, statuito che la presunzione di evasione sancita, con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall'articolo 12, comma 2, del D.L. numero 78 del 2009, conv., con modif., dalla L. numero 102 del 2009, in vigore dal 1. luglio 2009, non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura processuale, essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, ed inoltre perché una differente interpretazione potrebbe -in contrasto con gli articolo 3 e 24 Cost. pregiudicare l'effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione. La circostanza che la presunzione legale di evasione stabilita dall'articolo 12 comma 2 del D.L. numero 78 del 2009, non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, non preclude, però, all'Ufficio di provare l'esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in Paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti articolo 38 D.P.R. numero 600 del 1973 con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto. A tal fine va considerato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, civile e tributaria, in tema di presunzioni semplici, gli elementi di prova non debbano essere più di uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della concordanza ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi Cass.numero 23153 del 26/09/2018 e, di recente, Cass.numero ri 29632 e 29633 del 14.11.2019 con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa Cass.Sez.5 numero 30803 del 22/12/2017 e, con specifico riferimento alla lista Falciani, Cass.numero 3276 del 12/02/2018 la quale ha affermato, sulle risultanze della lista Falciani , che l'Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica . Tale principii non risultano sconfessati dal Giudice di appello il quale, anzi, ha fondato la sua decisione correlando il principio di diritto relativo all'utilizzabilità della lista Falciani , al pari di qualsiasi altro elemento indiziario, quanto agli effetti, agli obblighi dichiarativi e alle presunzioni di redditività stabiliti dalla legge numero 167/1990 nel testo vigente ratione temporis, a carico del contribuente per i trasferimenti di denaro ed altri valori verso l'estero. Il Giudice di appello, in particolare, partendo dal dato che il Tr. era intestatario di un conto corrente in un Paese a fiscalità privilegiata, di cui non aveva fatto denuncia ai fini fiscali e che sul conto era state fatte movimentazioni nell'anno oggetto di contestazione, ha correttamente ritenuto provata la pretesa tributaria sulla base di presunzioni semplici, le quali come detto sopra possono consistere anche in un solo indizio, in assenza di idonea prova contraria fornita dal contribuente. Infatti, la non contestata presenza di disponibilità finanziarie sul conto aperto presso l'Istituto bancario svizzero, intestato al Tr., lascia ritenere seppure a livello presuntivo, che l'Amministrazione, mediante la raccolta dei dati emergenti dal conto corrente bancario, abbia assolto al suo onere probatorio così, in fattispecie analoga, Cass.numero 33223/2018 cit. La Commissione regionale non è, pertanto, incorsa nella denunciata violazione di legge avendo fatto corretto uso dei criteri di ripartizione dell'onere della prova valutando tutti i fatti sottoposti al suo esame. In tale ottica il terzo motivo, nella parte in cui si lamenta un omesso esame di fatti ritenuti decisivi prima che infondato è inammissibile in quanto teso, nella sostanza, ad una ricostruzione in fatto, impossibile in questa sede, diversa da quella operata dalla C.T.R. Con il quinto motivo, si censura il passo motivazionale con il quale la C.T.R. aveva accertato che l'ammontare delle disponibilità finanziarie era stato determinato secondo la divisa dollaro USA e si denunzia, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5 cod.proc.civ., la C.T.R. di avere omesso di esaminare il fatto decisivo, costituito dalla circostanza che nella fiche la divisa di riferimento era stata indicata unicamente con la parola dollaro, senza altra indicazione. Anche tale motivo va incontro alla sanzione di inammissibilità per carenza di autosufficienza. A fronte dell'accertamento in fatto compiuto dal Giudice di merito, il quale ha espressamente affermato in sentenza che sia nel p.v.c. che nell'atto impugnato vi è chiara indicazione che la divisa indicata è quella del dollaro USA, il ricorrente si limita a ribadire che nella fiche era indicata la parola dollaro, senza altra indicazione, senza specificare la decisività di tale fatto ma, soprattutto, senza neppure riportare, seppure per stralci idonei allo scopo, i contenuti del p.v.c. e dell'avviso di accertamento. Infine, con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell'articolo 360, numero 4 cod.proc.civ., la violazione o falsa applicazione dell'articolo 112 cod.proc.civ. in relazione agli articolo 1, 49, 54, 61 e 22 D.Lgs.numero 546/1992. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R., nell'accogliere l'appello riguardo il profilo dell'utilizzabilità delle risultanze della lista Falciani, non aveva esaminato i motivi riproposti dal Tr., in quanto ritenuti assorbiti dalla C.T.P., e relativi all'infondatezza nel merito dell'avviso impugnato. La censura è infondata. Secondo il costante insegnamento di questa Corte cfr. di recente, Cass.ordinanza numero 15255 del 04/06/2019 id. numero 20718/2018 id numero 17956/2015 numero 13425/2016 non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un'espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto. Nel caso in esame la C.T.R. ha espressamente pronunciato sulla fondatezza, nel merito, della pretesa impositiva argomentando che l'Ufficio aveva pienamente assolto all'onere probatorio attraverso idonee presunzioni. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente, soccombente, condannato al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata, sulla base del valore della controversia e dell'attività difensiva spiegata come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 8.000 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.