Imposta sui redditi, accertamento sintetico e ammissione della prova contraria

In tema di accertamento del reddito con metodo sintetico, è ammessa la prova contraria da parte del contribuente, che può consistere nella dimostrazione che determinati beni o importi contestati come indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità.

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 11675/19, depositata il 3 maggio. Il caso. L’Agenzia delle Entrate notificava ad una contribuente un avviso di accertamento con cui procedeva, con metodo sintetico, alla rettifica della dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2012, sulla base di spese incrementative. La contribuente impugnava l’avviso sostenendo che l’acquisto di quote societarie da parte sua era simulato, come da apposita scrittura, dunque la spesa non era mai stata sostenuta. La CTP annullava l’accertamento, la CTR, adita in secondo grado, rigettava l’appello delle Entrate e così l’Agenzia ricorre in Cassazione. L’accertamento dell’imposta sui redditi. È principio consolidato nella giurisprudenza del Supremo Collegio quello in base al quale, in tema di accertamento dell’imposta sui redditi al fine della determinazione sintetica del reddito annuo complessivo, secondo la previsione di cui al d.P.R. n. 600/1973, la sottoscrizione di un atto notarile contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento su cui determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico. Resta poi consentita al contribuente la prova contraria in ordine al fatto che manca completamente una disponibilità patrimoniale, essendo questa solo apparente per avere l’atto stipulato una causa gratuita. La sentenza impugnata, nel caso in esame, ha disatteso tale principio, ritenendo che la dichiarazione del pagamento delle quote, contenuta nell’atto notarile, di compravendita, non rappresentasse una prova presuntiva idonea a fondare l’accertamento. Per tale ragione, la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR per nuova pronuncia.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 26 febbraio – 3 maggio 2019, n. 11675 Presidente Campanile – Relatore Venegoni Considerato che L'Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente Cu. Al. avviso di accertamento con cui procedeva, con metodo sintetico, alla rettifica della dichiarazione dei redditi per l'anno di imposta 2002, sulla base di spese incrementative. In particolare, l'accertamento traeva origine da informazioni dell'anagrafe tributaria, da cui risultava che la contribuente aveva acquistato quote della società Campoverde srl per l'importo di Euro 530.660, come da una scrittura datata 1.12.2006, mentre i redditi dichiarati dalla stessa non erano congrui con tale capacità di spesa. La contribuente impugnava l'avviso deducendo che l'acquisto di quote era, in realtà, simulato, per cui la spesa non era mai stata sostenuta, e che la scrittura cui esso si riferiva era stata redatta per neutralizzare gli effetti di altra scrittura del 2004 di cessione di tali quote da parte della contribuente, anch'essa simulata, in vista di un'operazione di finanziamento presso una banca, poi non perfezionatasi. La CTP di Caserta annullava l'accertamento. L'ufficio appellava la sentenza e la CTR della Campania, con la sentenza impugnata, rigettava l'appello. Per la cassazione di quest'ultima sentenza ricorre la contribuente sulla base di quattro motivi. La contribuente si è costituita con controricorso. Ritenuto che Con il primo motivo l'ufficio deduce violazione del quarto, quinto e sesto comma dell'art. 38 D.P.R. 600 del 1973, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Con il secondo motivo deduce difetto di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. in ordine alla prova dell'esistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte alla base dell'incremento patrimoniale. La sentenza della CTR è carente perché ha ritenuto fondata la semplice affermazione secondo cui l'intera operazione era simulata, a fronte di una dichiarazione nell'atto pubblico notarile di compravendita secondo cui il corrispettivo era stato pagato, e perché non ha tenuto in alcun conto il fatto che, se la contribuente poteva fornire una prova contraria, questa poteva consistere nella disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, mentre nella specie nessuna prova in tal senso è stata fornita. Con il terzo motivo deduce violazione dell'art. 2700 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c. Con il quarto motivo deduce difetto di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. in ordine alla dichiarazione di avvenuto pagamento contenuta nel contratto di acquisto e ritenuta dalla CTR eccezione nuova . La sentenza della CTR è illogica laddove ai fini probatori, in relazione alla presunta insussistenza dell'incremento patrimoniale, fa prevalere la semplice dichiarazione della parte rispetto a quanto dichiarato nell'atto di acquisto. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, attesa la medesima tematica prospettata sotto vari profili, sono fondati. Questa Corte, in fattispecie del tutto analoga, ha avuto modo di affermare sez. V, n. 13339 del 2017 che Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, in materia di accertamento dell'imposta sui redditi e al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, la sottoscrizione di un atto notarile nella specie una compravendita contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all'applicazione di presunzioni semplici, che l'ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l'accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l'atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente Cass., sentenze nn. 8665 del 2002, 5991 e 23252 del 2006 ordinanza n. 19637 del 16 settembre 2010, ud. 24/6/2010 . Il principio per cui la prova contraria può essere data dal contribuente è stato affermato anche da Sez. V, n. 21442 del 2014, secondo cui in tema di accertamento del reddito con metodo sintetico, ai sensi dell'art. 38, sesto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è ammessa la prova contraria da parte del contribuente, che può consistere anche nella dimostrazione che i beni o gli importi contestati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità, in quanto derivanti da un atto simulato, che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica. E da Sez. V, n. 5991 del 2006 che ha affermato che In tema di accertamento dell'imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione dell'art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 che consiste nell'applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali art. 2727 cod. civ. l'ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto nella specie, l'esborso di rilevanti somme di denaro per l'acquisto di beni a quello ignorato sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva -, la presunzione semplice genera l'inversione dell'onere della prova, trasferendo al contribuente l'impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà in particolare, nella specie, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l'effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente. Tali principi sono stati ribaditi anche di recente da questa Corte sez. V n. 1761 del 2019 e, ancora più specifica, sez. V, n. 872 del 2019 . Ora, la sentenza impugnata ha disatteso questi principi, perché ha ritenuto che la dichiarazione del pagamento delle quote, contenuta nell'atto notarile, non rappresentasse prova presuntiva idonea a fondare l'accertamento. Tra l'altro, lo stesso non costituisce fatto nuovo, perché fin dall'avviso di accertamento l'attribuzione del maggior reddito si fondava in maniera determinante su questa spesa. Il contribuente in controricorso cita giurisprudenza che, a suo avviso, confermerebbe la sua tesi, e cioè che se è dimostrato che non c'è stato pagamento, l'accertamento viene meno. Sotto questo profilo, la giurisprudenza sopra citata ammette la prova a proprio favore da parte del contribuente, ma la stessa deve essere fornita, tanto più quando esiste una dichiarazione incorporata in un atto pubblico che dà atto del fatto che la spesa è stata sostenuta. Nella specie, invece, la CTR ha dato per ammessa tale prova contraria senza indicare sulla base di quali elementi concreti. Anzi, ha dato credito alla tesi del contribuente sulla base della motivazione per cui non vi è motivo di non credere e dubitare che le quote erano state cedute per un motivo diverso da una reale compravendita, fornendo così una motivazione carente dal punto di vista giuridico. Le stesse sentenze citate dal contribuente in controricorso, poi, non appaiono decisive in suo favore la sentenza di questa Corte n. 8665 del 2002, addirittura, risolve un caso di fatto analogo al presente in favore dell'Amministrazione, affermando che, quando l'accertamento si fonda su un atto pubblico in cui si attesta il pagamento della somma, è onere del contribuente fornire la prova contraria, che non può consistere neppure nella produzione di documentazione bancaria per dimostrare l'inesistenza di trasferimenti di denaro corrispondenti la sentenza n. 23252 del 2006 decide anch'essa in favore dell'Amministrazione, stabilendo che l'acquisto oneroso di un bene, e quindi la corrispondente capacità di spesa, costituisce fondatamente indizio del possesso di un reddito la sentenza n. 2218 del 2008 non appare pertinente e non riguarda neppure una controversia tributaria la sentenza n. 14367 del 2007 non appare, ugualmente, favorevole alla tesi del contribuente, ma anzi conferma la tesi dell'ufficio, ed afferma principi che divergono da quelli affermati dalla CTR nel presente caso. La sentenza deve, pertanto, essere cassata, con rinvio della causa alla CTR della Campania, anche per la pronuncia sulle spese di questo giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata, con rinvio del procedimento alla CTR della Campania, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2019.