Cosa deve fare il Fisco nel caso di fatture soggettivamente inesistenti?

In tema di fatture soggettivamente inesistenti il Fisco deve effettuare una puntuale individuazione degli elementi che avrebbero dovuto insospettire il contribuente. Per contestare, infatti, l'utilizzo di tali fatture, l'Ufficio deve dimostrare sia la fittizietà del fornitore sia la consapevolezza del contribuente alla partecipazione alla frode.

Tale assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 9588 depositata il 5 aprile 2019. Vicenda. Il Fisco ha rettificato ad una società l'IVA, ritenuta indebitamente detratta, relativa a fatture per operazioni considerate soggettivamente inesistenti. Il giudice del gravame, intervenuto a seguito di rinvio della Suprema Corte, ha confermato la fondatezza della pretesa impositiva. La società con il ricorso in cassazione ha censurato, in particolare, l'insufficiente ed illogica motivazione e la violazione dell'onere probatorio sulla sua consapevolezza degli illeciti del fornitore. Pronuncia. Gli Ermellini, con la pronuncia citata. hanno ribadito che quando sono contestate operazioni soggettivamente inesistenti, il fisco ha l'onere di provare sia l'oggettiva fittizietà del fornitore sia la consapevolezza del contribuente. Occorre, infatti, dimostrare, anche in via presuntiva, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione si inseriva in un'evasione dell'imposta. In particolare, l'ufficio deve indicare elementi oggettivi e specifici che avrebbero dovuto indurre il contribuente a sospettare della frode, semplicemente usando l'ordinaria diligenza. Solo quando l'amministrazione assolva siffatto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria, dovendo dimostrare di avere adoperato la diligenza esigibile, in base a criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso. A questo scopo sono irrilevanti sia la regolarità della contabilità e dei pagamenti, sia la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci. Sussiste, quindi, la necessità, da parte del fisco, di una puntuale individuazione degli elementi che avrebbero dovuto insospettire il contribuente. Conclusioni. Devono tenersi distinti gli effetti della condotta del contribuente in relazione alla disciplina dell'IVA, ed a quella delle imposte dirette, in quanto, nel primo caso IVA , la condotta dolosa o consapevole del cessionario, a cui è parificata l'ignoranza colpevole, impedisce l'insorgenza del diritto alla detrazione per mancato perfezionamento dello scambio, non essendo l'apparente cedente l'effettivo fornitore, mentre, nel caso delle imposte dirette, l'illecito o la mera consapevolezza di esso non incide sulla realtà dell'operazione economica e sul pagamento del corrispettivo in cambio della consegna della merce, per cui il costo dell'operazione, ove imputato al conto economico, può concorrere nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette nella misura in cui il bene o servizio acquistato venga reimpiegato nell'esercizio dell'attività d'impresa e sempre che non venga utilizzato per il compimento di un delitto non colposo . In tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, comma 4 bis, legge 24 dicembre 1993, numero 537, nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, numero 16 convertito con la legge 26 aprile 2012, numero 44 , l'acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti non utilizzati direttamente per commettere il reato , anche per l'ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, numero 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. Proprio in virtù della reale effettuazione dell'operazione, l'articolo 8 d.l. numero 16/2012 ha riconosciuto ai fini della imposizione diretta la deducibilità del costo relativo a fatture soggettivamente inesistenti. Qualora l'amministrazione contesti ad un contribuente il diritto alla detrazione IVA in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni, è onere della medesima amministrazione provare che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere - in base ad indizi idonei ad avvalorare il sospetto - che l'operazione era in realtà inserita in un meccanismo di evasione dell'IVA. È poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di essere stato in buona fede e cioè di non essersi trovato - utilizzando la diligenza esigibile dall'operatore accorto in relazione alle circostanze - nella situazione oggettiva di poter conoscere il carattere fraudolento delle operazioni e dei soggetti coinvolti, oppure di non essere stato in grado di superare l'ignoranza circa la fittizietà dei soggetti. Cassazione sentenze 9608/16, 6864/16 e 2630/16 . Qualora l'Erario contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, è onere del contribuente dimostrare la propria buona fede. In mancanza di tale prova, l'ufficio può procedere legittimamente a recuperare l'IVA indebitamente detratta. In buona sostanza, la giurisprudenza è concorde nel sostenere che solo l'imprenditore che abbia adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione posta in essere non faccia parte di una frode, deve poter fare affidamento sulla liceità dell'operazione, senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell'imposta sul valore aggiunto pagata a monte. Ne consegue che, se l'amministrazione sospetta dell'operazione indicata in fattura, ma soprattutto della veridicità del fornitore, per detrarre l'IVA il contribuente deve provare la buona fede del proprio comportamento. Il giudice del merito, dunque, è chiamato a valutare non solo se il contribuente fosse consapevole della fittizietà del soggetto prestatore o cedente buona fede , ma anche se, in base alla diligenza dell'accorto operatore, poteva conoscere il contesto illecito dell'operazione e, dunque, fosse in qualche modo coinvolto. Gli indizi da cui si può evincere la buona fede sono Effettiva esistenza nel cedente di una efficiente ed adeguata struttura operativa locali e strumenti idonei, presenza di titolari e/o dipendenti Capacità dell'impresa cedente di fornire autonomamente i beni acquistati Utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili bonifici, assegni Presenza nel cedente di indici di capacità commerciale clientela qualificata, pubblicità, o rilevante giro di affari Non aver ottenuto alcun vantaggio o beneficio economico dalla eventuale frode cui ha partecipato il venditore beni a prezzi inferiori, ristoro di pagamenti fatti per contanti Conservazione della copia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine alla cessione contratti stipulati con il venditore, scambio di mail, trattative In sostanza, per poter detrarre l'Iva relativa a fatture soggettivamente inesistenti, il contribuente deve provare di non aver avuto consapevolezza della falsità delle fatture buona fede , attraverso una serie di elementi e circostanze che consentano di poterne escludere la sua conoscenza e conoscibilità . In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, pure nell'ambito di una frode carosello, in cui le operazioni sono sempre effettive, l'Amministrazione ha l'onere di provare solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ossia la sua non operatività, oltre che la consapevolezza del destinatario di essere parte di un'evasione, anche in via presuntiva in quanto avrebbe dovuto conoscere l'inesistenza del contraente, dovendo poi provare il contribuente di aver rispettato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo ragionevolezza e proporzionalità, essendo irrilevante la regolare contabilità, la regolarità dei pagamenti, e anche la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. CAS 28-06-2018 numero 17161 sez. T In tema di evasione dell'IVA a mezzo di frodi carosello, quando l'operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l'onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l'interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta. Cass. 12-01-2018 numero 607, sez. T – M .

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 12 novembre 2018 – 5 aprile 2019, n. 9588 Presidente Virgilio – Relatore Chiesi Fatti di causa 1. Con avviso di rettifica n. 891157/97, notificato il successivo 2 ottobre 1997, l’AGENZIA DELLE ENTRATE contestò alla ENIRISORSE quale società incorporante la NUOVA SAMIM S.P.A. l'indebita detrazione I.V.A., relativamente a fatture emesse dalla F. METALLI e relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, per un importo pari a Lit. 5.445.285.000. 2. Tale atto fu impugnato innanzi alla C.T.P. di Milano che, con sentenza n. 16/1999, in accoglimento del ricorso, dichiarò l'intervenuta decadenza dell'Ufficio dal potere di accertamento, per intervenuta presentazione della dichiarazione di condono, ai sensi dell'art. 50, L. n. 413 del 1991. 3. Avverso tale decisione l'AGENZIA propose appello innanzi alla C.T.R. di Milano che, con sentenza n. 94/39/01, dell'11.4.2001, confermò la pronunzia di prime cure. 4. Tale decisione fu quindi impugnata dall'Ufficio innanzi alla Corte di cassazione la quale, in accoglimento dello stesso, con sentenza n. 10716/2009 cassò la gravata decisione, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, chiarendo come preliminare al vaglio sull'intervenuta decadenza dal potere di accertamento conseguente alla presentazione dell'istanza di condono fosse la valutazione della legittimità della detrazione operata dal contribuente, essendo [il condono] inefficace se il contribuente non elimini gli effetti delle detrazioni risultate indebite . 5. Riassunto, quindi, il giudizio innanzi alla C.T.R. della Lombardia, quest'ultima, con sentenza 89/38/11, depositata il 20.6.2011, ha infine accolto l'appello proposto dall'AGENZIA, con rigetto dell'originario ricorso proposto dalla contribuente e condanna della stessa al pagamento delle spese di lite. 6. Avverso tale sentenza la SYNDIAL ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi. Si è costituita ed ha resistito, con controricorso, l’AGENZIA DELLE ENTRATE. 7. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente si duole in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. dell'error in procedendo commesso dalla C.T.R. la quale non avrebbe considerato che, in relazione alla regolarità ed effettività delle prestazioni sottese all'avviso di accertamento impugnato, si sarebbe formato il giudicato interno, con conseguente preclusione di una nuova valutazione in merito. Sostiene, in particolare, che già la C.T.P. si sarebbe pronunziata sulla insufficienza delle prove addotte dall'ufficio a sostegno della ritenuta fittizietà soggettiva delle operazioni in commento e che tale capo della pronunzia di prime cure non sarebbe stato impugnato dall'AGENZIA. 1.2. Il motivo è inammissibile. 1.2.1. Al di là della considerazione per cui, già da una superficiale e cursoria lettura del passaggio della motivazione della pronunzia di prime cure riprodotto in ricorso cfr. p. 25 , non risulta che la C.T.P. abbia delibato alcunché circa la sussistenza o meno della contestata fittizietà soggettiva delle operazioni per cui è causa, va comunque osservato che il precedente pronunziamento di questa Corte Cass. n. 10716/2009 cui ha fatto seguito la riassunzione della causa innanzi alla C.T.R. della Lombardia, preclude in via definitiva l'esame della questione. Ed infatti, il principio della rilevabilità del giudicato sia interno che esterno in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d'ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza, ancorché non dedotte o rilevate in quel giudizio, sicché il giudice di rinvio non può neppure prendere in esame - e tale condotta non può perciò rappresentare motivo di ricorso per cassazione - la questione concernente l'esistenza di un giudicato esterno o come nella specie interno, qualora l'esistenza di quest'ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio Cass., Sez. 1, 30/07/2015, n. 16171, Rv. 636345-01 2. Appare quindi preliminare, rispetto agli altri, l'esame del quarto e del sesto motivo di ricorso, con cui la SYNDAL si duole, rispettivamente a in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., dell'insufficienza ed illogicità della motivazione, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto le operazioni sottese all'avviso di accertamento impugnato soggettivamente inesistenti b in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, della violazione dell'art. 2697 cod. civ., per avere la C.T.R. posto a carico della contribuente l'onere di dimostrare di non avere partecipato al meccanismo fraudolento oggetto della contestazione dell'ufficio. 2.1. I motivi - che per identità di questioni agli stessi sottese ben possono essere delibati congiuntamente - sono fondati e vanno accolti, con assorbimento delle ulteriori censure. 2.1.1. Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 10716/2009, aveva rinviato alla C.T.R. della Lombardia affinché decidesse della ostatività della dichiarazione integrativa posta in essere dalla contribuente dopo aver verificato il merito della rettifica effettuata . Gravava dunque sul giudice del rinvio l'accertamento, in via preliminare, della effettiva inesistenza soggettiva delle operazioni sottese all'avviso di accertamento impugnato. 2.2. Invero, rappresenta principio ormai consolidato quello per cui, ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente mentre, ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi cfr., da ultimo, Cass., Sez. 5, 20.4.2018, n. 9851, Rv. 647837-01 . 2.3. Tali principi risultano essere stati effettivamente disattesi dalla C.T.R. giacché a invertendo l'onere della prova gravante sulle parti, la sentenza di secondo grado afferma che, a fronte della semplice contestazione dell'indebita detrazione I.V.A. relativamente ad operazioni soggettivamente inesistenti, spetta al contribuente provare la legittimità e la correttezza della detrazione cfr. motivazione, p. 3, penultimo cpv. b la motivazione della gravata sentenza in ogni caso non chiarisce quali sarebbero gli attendibili riscontri indiziari solo genericamente richiamati all'ultimo rigo dell'ultimo cpv. della p. 3 della motivazione che, nella specie, indurrebbero a confermare la consapevolezza della ricorrente di partecipare ad un meccanismo fraudolento. 3. L'accoglimento dei motivi che precedono determina l'assorbimento di tutti gli altri. 4. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con nuovo rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, che, nel valutare il merito della rettifica effettuata, secondo quanto già disposto con la precedente sentenza n. 10716/2009 di questa stessa Corte, deciderà attenendosi ai principi esposti, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese anche della presente fase di giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Per l'effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, che deciderà attenendosi ai principi esposti, liquidando altresì le spese anche della presente fase di giudizio.