I contributi dell’avvocato non deducibili dal reddito

In virtù di quanto disposto dal dato letterale dell’art. 50 d.P.R. n. 917/1987 TUIR , dal compenso del libero professionista sono esclusi i contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde, concorrendo a formare la sola base imponibile ai fini IVA.

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 32258/18, depositata il 13 dicembre. La vicenda. Un avvocato con il ricorso proposto in Cassazione, avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale, riferiva che a seguito della rettifica della dichiarazione dei redditi art. 36- ter d.P.R. n. 600/1973 , relativa all’anno di imposta 2012, gli era notificata una cartella esattoriale, con cui si chiedeva il pagamento di una ingente somma di denaro a titolo di IRPEF. In particolare, la rettifica riguardava la tassazione degli oneri deducibili dal reddito complessivo del professionista, relativi ai contributi previdenziali e assistenziali obbligatori da lui versati alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense. L’avvocato deduce con i motivi di ricorso l’inesistenza della notifica della cartella di pagamento la nullità dell’atto impugnato per carenza di motivazione l’infondatezza della pretesa creditoria. Omessa pronuncia sull’inesistenza della notifica della cartella. Come già più volte affermato dal Supremo Collegio, ad integrare gli estremi del vizio di mancata pronuncia non basta l’omissione di una statuizione espressa del giudice, ma occorre che sia stato omesso completamente il provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto. Ebbene, nel caso in esame, la decisione del giudice d’appello decide sulla controversia, accogliendo l’impugnazione con argomentazioni che implicano una statuizione implicita di rigetto delle stesse. La deducibilità dei contributi. Sul punto, il ricorrente, considerando erronea la decisione impugnata con cui il giudice regionale negava la deducibilità dei contributi versati obbligatoriamente, infrange quanto disposto dall’art. 50 TUIR, secondo cui dal compenso del libero professionista sono esclusi i contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde. Pertanto, l’importo del 4% del fatturato riportato nella parcella è giusto che sia a carico del cliente e non fa parte delle componenti del compenso, nulla dunque va dedotto. Per giunta il caso in esame non è configurabile come l’ipotesi di versamenti eseguiti dal professionista senza che il costo sia ribaltato sul cliente. Per le ragioni sopra esposte, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, ordinanza 26 aprile – 13 dicembre 2018, n. 32258 Presidente Locatelli – Relatore Federici Rilevato che Gr. Bi., con due motivi, ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 358/45/10, depositata il 26.11.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania ha riferito che a seguito di rettifica della dichiarazione dei redditi ex art. 36 ter del D.P.R. n. 600 del 1973, relativa all'anno d'imposta 2002, gli era notificata la cartella di pagamento n. omissis , con la quale si chiedeva il pagamento di Euro 20.570,26 a titolo di Irpef. La rettifica aveva ad oggetto la tassazione degli oneri deducibili dal reddito complessivo relativi ai contributi previdenziali e assistenziali obbligatori versati dal ricorrente, di professione avvocato, alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense. Nel contenzioso che ne seguiva il contribuente eccepiva l'inesistenza della notifica della cartella, la nullità dell'atto impugnato per carenza di motivazione, l'infondatezza della pretesa creditoria. Con sentenza depositata il 25.05.2008 la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva il ricorso. L'Agenzia appellava la sentenza e la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la sentenza ora impugnata, accoglieva l'appello. Il ricorrente censura la sentenza con il primo motivo per nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per non essersi pronunciato il giudice regionale sulla inesistenza della notifica della cartella esattoriale, sulla carenza di motivazione della cartella medesima, nonché sulla inammissibilità dell'appello per l'aspecificità dei motivi d'impugnazione con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 10, co. 1, lett. i e 50 del D.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3, c.p.c., per aver erroneamente escluso che i contributi previdenziali corrisposti alla CNPA potessero essere dedotti dal reddito complessivo. Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza. Si è costituita l'Agenzia, che con controricorso ha sostenuto l'inammissibilità dei motivi perché ripetitivi di quanto già proposto nei giudizi di merito si è costituita anche Equitalia, che ha ribadito la ritualità della notifica della cartella, eseguita con agenzia privata di recapiti espressi, e la validità della cartella. Considerato che con il primo motivo il contribuente denuncia la nullità della sentenza del giudice regionale campano per l'omessa pronuncia sia sulla eccepita nullità della notifica della cartella esattoriale, sia sulla carenza di motivazione della cartella medesima. Il motivo è infondato. La sentenza nella parte dedicata alla esposizione dei fatti processuali riporta che nel confermare tutte le eccezioni ampiamente illustrate in primo grado l'appellato [il contribuente] reitera 1 la eccezione della notifica della cartella 2 l'eccezione di nullità della cartella . Successivamente, nella parte motiva, argomenta l'accoglimento dell'appello. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato dal quale questo collegio non intende discostarsi, ha affermato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia cfr. Cass., ord. n. 24155/2017 sent. n. 20311/2011 . Nel caso di specie la decisione adottata dal giudice d'appello mostra consapevolezza delle eccezioni sollevate ma decide sulla controversia, accogliendo l'impugnazione con argomentazioni implicanti una statuizione implicita di rigetto delle medesime, sicché manca l'error in procedendo di cui il contribuente si duole. Il secondo motivo è infondato e va rigettato. Il contribuente assume l'erroneità della decisione impugnata, con la quale il giudice regionale ha negato la deducibilità dei contributi assistenziali e previdenziali da lui versati obbligatoriamente alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense. Le ragioni esposte dal ricorrente si infrangono sul dato letterale dell'art. 50 del TUIR, secondo il quale dal compenso del professionista sono esclusi i contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde mentre concorrono a formare la sola base imponibile ai fini Iva . È pacifico che l'importo del 2% ora del 4% del fatturato riportato nella parcella sia a carico del cliente, sicché il relativo importo non fa parte delle componenti del compenso e nulla pertanto va dedotto, esulando dalla fattispecie prevista dall'art. 10 del TUIR. Né il caso di specie rientra nelle ipotesi di versamenti eseguiti dal contribuente professionista senza che il costo sia ribaltato sul cliente, come ad esempio nel caso in cui il contributo integrativo minimo sia stato versato alla Cassa forense a prescindere dalla fatturazione di prestazioni, perché necessario al raggiungimento dell'importo minimo richiesto per la permanenza della iscrizione alla medesima Cassa in questa ipotesi deducibile . Considerato che il ricorso è infondato e non trova accoglimento. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di Euro 2.400,00 per ciascuna delle controricorrenti, oltre spese prenotate a debito se dovute.