Distinzione tra evasione, elusione ed abuso del diritto nell’ordinamento tributario

Il contribuente che non versa le imposte dovute a seguito della stipulazione di un negozio, correttamente qualificato sotto il profilo giuridico da parte dell'Amministrazione finanziaria, non pone in essere un comportamento elusivo, volto a conseguire un vantaggio fiscale in ragione di un uso distorto della normativa tributaria, ma risponde della relativa evasione d'imposta, non trovando pertanto applicazione le disposizioni di legge e i principi in tema di abuso del diritto.

Il caso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27550 del 30/10/2018, ha nuovamente chiarito i confini esatti delle fattispecie di evasione ed abuso del diritto. Nel caso di specie, la CTR del Lazio aveva accolto gli appelli proposti dall'Agenzia delle Entrate avverso le sentenze della CTP di Latina, che aveva accolto i ricorsi della società contribuente nei confronti di alcuni avvisi di accertamento, respingendo invece gli appelli proposti dalla stessa Amministrazione relativamente agli atti di contestazione ed irrogazione sanzioni. La società aveva stipulato un contratto, poi più volte modificato, con un’altra Srl, in forza del quale la prima aveva affidato la propria testata giornalistica alla seconda, che si era impegnata a gestire la testata stessa, al fine di curarne la collocazione sul mercato, non avendo l'affidante il know-how necessario. L'Agenzia delle Entrate contestava dunque alla affidante la circostanza che la stipulazione dei contratti di affidamento aveva avuto lo scopo di creare costi che la società poteva ammortizzare subito e incondizionatamente , sicché le parti non avevano stipulato effettivamente un contratto di gestione, ma si erano avvalse di detta contrattazione per poter dedurre con immediatezza i costi , con conseguente violazione dell'art. 108 del Tuir e della normativa relativa al recupero dell'IVA, nonché irrogazione delle relative sanzioni. I contributi contestati, qualificati come costi di start up e capitalizzati tra le immobilizzazioni immateriali assoggettate ad ammortamento in quote quinquennali, costituivano in realtà, secondo l’Agenzia, dei finanziamenti a fondo perduto, indeducibili ex art. 108, comma 4, del d.P.R. n. 917/1986, prevedendone tale norma la deducibilità unicamente a far data dall'esercizio in cui fossero stati conseguiti i primi ricavi. Per quanto riguardava poi l’IVA, invece, i contributi versati dalla società affidante alla società affidataria dovevano essere qualificati come semplici dazioni di denaro e non già come prestazioni di servizi, con conseguente applicabilità dell'art. 2, terzo comma, del d.P.R. n. 633/1972, esenzione dal campo di applicazione dell'IVA ed indetraibilità di quest'ultima. La CTP accoglieva i ricorsi proposti dalla ricorrente, sul presupposto che tra le due società era stato stipulato un effettivo contratto di affidamento, con l'indicazione, di prestazioni e relativi compensi e ritenendo, conseguentemente, non dovute le comminate sanzioni. Su appello dell’Agenzia delle Entrate, la CTR evidenziava che a occorreva prendere le mosse dalla qualificazione giuridica dei contratti con i quali le parti avevano inteso utilizzare uno strumento contrattuale formalmente lecito, finalizzandolo all'ottenimento di un risultato vietato dall'ordinamento giuridico, qual è l'elusione fiscale cd. abuso del diritto b le somme versate dalla società, dapprima a nessun titolo e quindi per lo sviluppo della testata, costituivano in realtà dei finanziamenti indeducibili ai fini delle imposte dirette e indetraibili a fini IVA, che, per lo più, non avevano alcun riferimento ai deficit gestionali, a fronte dei quali non era previsto il pagamento di interessi c il canone concordato per l'utilizzo della testata era stato previsto nella misura apodittica e non controllabile del 50% degli utili risultanti dal bilancio di questa attività , successivamente modificato in un valore di lire 14.000.000 e, quindi, aumentato a lire 180.000.000, misura comunque inferiore al finanziamento versato d quanto poi alle sanzioni, si evidenziava che l'attuale sistema sanzionatorio amministrativo tributario era dominato dal principio di legalità o della riserva di legge conseguentemente, poiché l'abuso del diritto è previsto dal sistema comunitario costituzionale, ma non dal nostro ordinamento, che pertanto non può avere ipotizzato nessuna sanzione , si doveva concludere per l'annullamento delle sanzioni. Avverso le sentenze della CTR la contribuente proponeva quindi ricorsi per cassazione, mentre l'Agenzia delle Entrate impugnava le sentenze relative agli atti di contestazione sanzioni. La società deduceva, in particolare, insufficiente motivazione, nonché violazione e falsa applicazione dei principi in materia di abuso del diritto, sostenendo che la CTR non aveva motivato in maniera sufficiente e adeguata il proprio convincimento, avendo trascurato a di tenere conto delle ragioni economicamente apprezzabili che avevano condotto la contribuente a stipulare il contratto di affidamento mancanza di know how e di organizzazione necessaria per curare in proprio la pubblicazione della testata , tenuto anche conto che la testata sarebbe rientrata nella disponibilità dell'affidante alla scadenza del contratto b di considerare che per i primi due anni la società non aveva realizzato nessun risparmio di imposta e che, quindi, il risparmio d'imposta non poteva costituire la ragione che aveva spinto la stessa società alla stipula del contratto di affidamento c che il risparmio di imposta ottenuto per i successivi tre anni era, comunque, di gran lunga inferiore alle somme impiegate, ragion per cui lo scopo del contratto di affidamento risiedeva altrove. La ricorrente deduceva poi, per quanto di interesse, la violazione dell'art. 37 bis del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, evidenziando che i successivi contratti stipulati non integravano gli estremi degli atti, fatti o negozi con finalità elusiva specificamente indicati dalla disposizione richiamata e che l'avviso di accertamento era stato emanato in mancanza della previa richiesta di chiarimenti al contribuente in ordine all'esistenza di comportamenti elusivi. L’Amministrazione finanziaria, per conto suo, contestava le sentenze impugnate per violazione della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 cd. sesta direttiva , dell'art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, dei principi in materia di abuso del diritto, dell'art. 32 d. lgs. n. 446/1997 e dell'art. 13 d. lgs. n. 471/1997, evidenziando come tali norme non considerino quale criterio scriminante la violazione di legge o la sua elusione o aggiramento, essendo necessario e sufficiente che vi sia un'indebita detrazione e che le imposte evidenziate nella dichiarazione siano inferiori a quelle accertate, o siano indebite. La decisione. La Suprema Corte, dopo aver disposto la riunione dei procedimenti, riteneva i ricorsi della società contribuente infondati, pur ritenendo che la motivazione della CTR andasse corretta, ex art. 384, quarto comma, c.p.c I giudici di legittimità rilevavano che, a fronte della ricostruzione da parte dell'Amministrazione finanziaria, la CTR, con accertamento in fatto congruamente motivato e, dunque, incensurabile in cassazione, aveva ritenuto che le erogazioni in denaro previste dai sopra menzionati contratti costituissero un vero e proprio finanziamento a fondo perduto, avente finalità non di sviluppo della testata del quotidiano, ma, da un lato, di mantenimento in vita del giornale stesso, fornendo le risorse finanziarie ordinarie e straordinarie necessarie, e, dall'altro, di creare dei costi da ammortizzare subito ed incondizionatamente, in deroga alla previsione dell'art. 108, quarto comma, cit Alla conclusione secondo cui si sarebbe trattato di finanziamenti a fondo perduto, la CTR giungeva del resto anche in forza di una valutazione di tipo economico, per la quale non vi sarebbe stata alcuna proporzione o logica di impresa nell'importo dei canoni oggetto dei contratti rispetto all'interesse patrimonialmente valutabile dell'affidataria, al punto da risultare insussistente una reale controprestazione sinallagmatica. La CTR, pertanto, aveva fatto rientrare i rapporti in esame nell'ambito del fenomeno dell'abuso del diritto, sul presupposto che la società contribuente aveva tratto indebiti vantaggi fiscali dall'uso distorto, benché legittimo, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustificassero l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale ed aveva anche indicato gli elementi sintomatici da cui emergeva l'intento elusivo delle parti. Tale ricostruzione, secondo la Cassazione, era pienamente logica e coerente e non poteva essere rivalutata in sede di legittimità. Tuttavia, evidenziano i giudici, non poteva essere condivisa la qualificazione giuridica della fattispecie in termini di abuso del diritto, dal momento che l'abuso del diritto non può trovare applicazione in un caso di evasione, quale doveva essere considerato quello di specie. È noto, infatti, aggiunge la Corte, che in materia tributaria, alla stregua dell'elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l'operazione economica che, attraverso l'impiego improprio e distorto dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente seppur non esclusivo l'elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l'accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale così Cass. n. 25758 del 05/12/2014 Cass. n. 19234 del 7 novembre 2012 Cass. n. 21782 del 20/10/2011 Cass. S.U. n. 30055 del 23 dicembre 2008 . Con specifico riferimento alle imposte dirette, poi, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che trova fondamento, dapprima, negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano Cass. n. 3938 del 19/02/2014 Cass. n. 4604 del 26/02/2014 e, soprattutto nell'art. 37- bis del d.P.R n. 600/1973 Cass. n. 405 del 14/01/2015 Cass. n. 4561 del 06/03/2015 , che consente all'Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti, in sé privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti. I giudici evidenziano infine che la clausola antielusiva è stata poi tradotta in una norma generale non applicabile alla fattispecie in esame , quale l'art. 10 -bis l. n. 212/2000, che, al comma 1, dispone che Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni . Perché, dunque, operi la clausola antielusiva occorre che il contribuente faccia un uso improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia posto in essere con lo specifico scopo seppure non esclusivo di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale. Nel caso di specie, in realtà, la CTR si era però limitata a qualificare giuridicamente il negozio posto in essere in termini di finanziamento e ne aveva fatto conseguire la violazione dell'art. 108, quarto comma, del Tuir, in tema di imposte dirette e quella dell'art. 2, terzo comma, lett. a , del d.P.R. n. 633/1972 in tema di IVA essendo il finanziamento un'operazione fuori campo IVA . Non poteva dirsi, pertanto, che la società avesse stipulato il contratto allo scopo specifico di eludere le norme tributarie ed ottenere un vantaggio fiscale, essendosi, in realtà, limitata a porre in essere un comportamento evasivo delle imposte, che avrebbe dovuto versare in relazione all'operazione economica posta in essere, non potendo portare immediatamente in deduzione i costi conseguenti al finanziamento erogato, né detrarre l’IVA sulle fatture rilasciate, trattandosi di operazioni fuori campo IVA. Quanto invece al ricorso avanzato dall’Amministrazione relativamente all’annullamento delle sanzioni, secondo la Suprema Corte, questo era fondato. La CTR, infatti, aveva escluso l'applicazione delle sanzioni, affermando che la condotta abusiva non era specificamente considerata dalla legge ai fini della loro applicazione. Come visto, però, la società contribuente non aveva posto in essere alcun comportamento elusivo, ma aveva evaso il pagamento delle imposte in ragione della semplice” violazione di specifiche norme in tema di imposte dirette e Iva. E del resto la stessa Corte ha comunque più volte affermato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell'art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, secondo il quale l'Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471/1997, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l'applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell'esito dell'accertamento volto a contrastare il fenomeno l'abuso del diritto Cass. n. 25537 del 30/11/2011 . Conclusioni. In conclusione, il connotato dell'abusività della condotta va ricercato nel risultato finale - da valutarsi secondo un criterio oggettivo - elusivo della imposizione fiscale, ottenuto, all'esito dell'operazione negoziale. Ed è ormai consolidato l'orientamento di legittimità in base al quale l'operazione economica, che abbia quale suo elemento non necessariamente unico, ma comunque predominante ed assorbente lo scopo elusivo, costituisce condotta abusiva, ed è vietata, allorquando non possa spiegarsi altrimenti o, in ogni caso, in modo non marginale che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta cfr., tra le altre, Cass. n. 5090 del 28.2.2017 . Il perno dell’abuso del diritto consiste dunque nell’individuazione del vantaggio fiscale illegittimamente raggiunto solo grazie all’aggiramento delle norme, o meglio, solo grazie alla formale predisposizione di operazioni non fisiologiche” vedi Cass. 1465/2009 . L'elusione consiste, in sostanza, nell’abuso del concetto di legittimo risparmio d'imposta. E l'art. 37- bis del d.P.R. n. 600/1973 rappresentava, fino a poco tempo fa, la norma antielusiva seppur limitata a fattispecie predeterminate e alle imposte dirette adottata dal nostro ordinamento al fine di contrastare i comportamenti patologici più rilevanti e diffusi. Evasione ed elusione, tuttavia, non devono essere confuse. L’oggetto della contestazione, in casi di abuso del diritto, non è l’evasione di imposta, rispetto alla quale dimostrare dove e come è stato occultato il presupposto di imposta, ma un’operazione, oggetto di riqualificazione secondo la natura fisiologica che l’Ordinamento esige in base al principio di capacità contributiva, alla luce della dimostrazione - da parte dell’Ufficio, degli indizi che fanno dubitare della motivazione economica sottesa all’operazione e dei vantaggi fiscali con essa perseguiti - da parte del contribuente, viceversa, delle valide ragioni economiche sottese all’operazione contestata valide ragioni economiche che dunque dovrebbero giustificare anche i vantaggi fiscali ottenuti, da inquadrare, a quel punto, se giustificati, non come illecito vantaggio, ma come legittimo risparmio di imposta. Il confine tra evasione ed elusione è dunque fondamentale sia sotto il profilo della esatta contestazione oggetto del giudizio che della distribuzione dell’onere della prova. Lo scopo, infatti, è pur sempre lo stesso la sottrazione al proprio obbligo di contribuzione alle spese pubbliche in ragione del principio di capacità contributiva. Ciò che cambia è però il metodo di perseguimento di tale scopo illecito diretto nel caso dell’evasione, mediante l’occultamento dei redditi indiretto nel caso dell’elusione, che, in sostanza, si verifica quando il soggetto passivo d'imposta si sottrae all'imposta con la dissimulazione” della propria capacità contributiva. Mentre dunque con l’evasione il contribuente occulta il presupposto d'imposta, con l’elusione/abuso il contribuente non occulta, ma impedisce, almeno formalmente, l'insorgere del presupposto stesso. L’art. 10- bis dello Statuto del contribuente, che ha finalmente codificato l’abuso del diritto, in cui è confluita” anche l’elusione, ha comunque molto semplificato la situazione, stabilendo regole, sostanziali e procedurali, precise ed inderogabili.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 12 settembre – 30 ottobre 2018, n. 27550 Presidente Bruschetta – Relatore Nonno Fatti di causa 1. Con le sentenze indicate in epigrafe la CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina a accoglieva gli appelli proposti dall'Agenzia delle entrate avverso le sentenze della CTP di Latina nn. 507/01/08, 229/05/07, 510/01/08, 509/01/08 e 508/01/08, che avevano a loro volta accolto l'impugnazione della Edizioni Ciociare s.r.l., poi incorporata nella Gruppo Z. Costruzioni s.r.l. d'ora in avanti solo Z. , nei confronti di alcuni avvisi di accertamento a fini IRPEG, IRAP e IVA con riferimento agli anni d'imposta 1999-2003 b respingeva gli appelli proposti dall'Agenzia delle entrate avverso le sentenze della CTP di Latina nn. 60/02/09 e 61/02/09, che avevano accolto l'impugnazione della Edizioni Ciociare s.r.l. nei confronti di alcuni atti di contestazione e irrogazione sanzioni a fini IRPEG, IRAP e IVA inerenti agli accertamenti di cui sub a e relativi al periodo 20002003. 1.1. Come si evinceva dalle varie sentenze della CTR a la Edizioni Ciociare s.r.l. in data 5/05/1999 aveva stipulato un contratto, poi più volte modificato, con la Effe Cooperativa Editoriale s.r.l. in forza del quale la prima aveva affidato la propria testata giornalistica OMISSIS alla seconda, che si era impegnata a gestire la testata stessa, al fine di curarne la collocazione sul mercato, non avendo l'affidante il know-how necessario b l'Agenzia delle entrate contestava alla affidante la circostanza che la stipulazione dei contratti di affidamento aveva avuto lo scopo di creare costi che la società poteva ammortizzare subito e incondizionatamente , sicchè le parti non avevano stipulato effettivamente un contratto di gestione, ma si erano avvalse di detta contrattazione per poter dedurre con immediatezza i costi , con conseguente violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108 e della normativa relativa al recupero dell'IVA, nonchè irrogazione delle relative sanzioni c la CTP accoglieva i ricorsi proposti dalla ricorrente sul presupposto che tra le due società fosse stato stipulato un effettivo contratto di affidamento, con l'indicazione, di prestazioni e relativi compensi e, conseguentemente, riteneva che non erano dovute le comminate sanzioni d le sentenze della CTP venivano tutte impugnate dalla Agenzia delle entrate. 1.2. La CTR motivava la propria decisione accoglimento dell'appello con riferimento agli avvisi di accertamento, rigetto dell'appello con riferimento agli atti di contestazione sanzioni evidenziando che a occorreva prendere le mosse dalla qualificazione giuridica dei contratti di affidamento stipulati tra la Edizioni Ciociare e la Effe Cooperativa, con i quali le parti avevano inteso utilizzare uno strumento contrattuale formalmente lecito finalizzandolo all'ottenimento di un risultato vietato dall'ordinamento giuridico, qual è l'elusione fiscale cd. abuso del diritto b le somme versate dalla Edizioni Ciociare alla Effe Cooperativa, dapprima a nessun titolo e quindi per lo sviluppo della testata, costituivano in realtà dei finanziamenti indeducibili ai fini delle imposte dirette e indetraibili a fini IVA, che, per lo più, non avevano alcun riferimento ai deficit gestionali della Effe Cooperativa, a fronte dei quali non era previsto il pagamento di interessi c il canone concordato per l'utilizzo della testata da parte della Effe Cooperativa era stato previsto nella misura apodittica e non controllabile del 50% degli utili risultanti dal bilancio di questa attività , successivamente modificato in un valore di lire 14.000.000 e, quindi, aumentato a lire 180.000.000, misura comunque inferiore al finanziamento versato d ulteriori elementi a sostegno della tesi elusiva erano costituiti dall'esonero da ogni responsabilità concordato con il contratto del 15/11/2000 dalla mancata presentazione di un piano di redazione da parte della Effe Cooperativa dalla necessaria approvazione del direttore responsabile della testata giornalistica da parte della Edizioni Ciociare e quanto alle sanzioni, si evidenziava che l'attuale sistema sanzionatorio amministrativo tributario era dominato dal principio di legalità o della riserva di legge conseguentemente, poichè l'abuso del diritto è previsto dal sistema comunitario costituzionale, ma non dal nostro ordinamento, che pertanto non può avere ipotizzato nessuna sanzione , si doveva concludere per l'annullamento delle sanzioni. 2. Avverso le sentenze della CTR relative agli avvisi di accertamento la Z. proponeva tempestivi ricorsi per cassazione proc. nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011 , tutti affidati a tre motivi di analogo contenuto l'Agenzia delle entrate, invece, impugnava le sentenze della CTR relative agli atti di contestazione con distinti ricorsi proc. nn. 4481 e 4603 del 2012 , entrambi affidati a due motivi. 3. Sia l'Agenzia delle entrate che la Z. resistevano con controricorso la prima depositava memorie ex art. 378 cod. proc. civ. con riferimento a tutte le cause salvo che per il proc. n. 28808/2011 la seconda depositava memorie nelle cause riguardanti i soli avvisi di accertamento. Ragioni della decisione 1. Va pregiudizialmente disposta la riunione di tutti i procedimenti pendenti a quello recante il n. 28805/2011, vertendo le cause tra le stesse parti ed essendo indiscutibile la connessione oggettiva delle questioni da affrontare. 1.1. Invero, la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l'eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie così Cass. S.U. n. 1521 del 23/01/2013 . I procedimenti concernenti le impugnazioni avverso gli avvisi di accertamento proc. nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011 . 2. Con il primo motivo di ricorso nei procedimenti sopra menzionati la Z. deduce insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione dei principi in materia di abuso del diritto, evidentemente in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 1.1. In buona sostanza, si sostiene che la CTR non ha motivato in maniera sufficiente e adeguata il proprio convincimento, avendo trascurato a di tenere conto delle ragioni economicamente apprezzabili che hanno condotto la società contribuente a stipulare il contratto di affidamento con la Effe Cooperativa mancanza di know-how e di organizzazione necessaria per curare in proprio la pubblicazione della testata omissis , tenuto anche conto che la testata sarebbe rientrata nella disponibilità dell'affidante alla scadenza del contratto b di considerare che per i primi due anni la Edizioni Ciociare non ha realizzato nessun risparmio di imposta e che, quindi, il risparmio d'imposta non potrebbe costituire la ragione che ha spinto la società alla stipula del contratto di affidamento c il risparmio di imposta ottenuto per i successivi tre anni è, comunque, di gran lunga inferiore alle somme impiegate, ragion per cui lo scopo del contratto di affidamento risiederebbe altrove. 3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che i successivi contratti stipulati dalla società contribuente con la Effe Cooperativa non integrano gli estremi degli atti, fatti o negozi con finalità elusiva specificamente indicati dalla disposizione richiamata e che l'avviso di accertamento è stato emanato in mancanza della previa richiesta di chiarimenti al contribuente in ordine all'esistenza di comportamenti elusivi. 4. Con il terzo motivo di ricorso si contesta, in via principale, l'insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e, in via subordinata, la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 2 e 19, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. 4.1. Sotto il primo profilo, posto che il fatto controverso è costituito dalla qualificazione quali cessioni di denaro senza giustificazione dei trasferimenti di somme della Edizioni Ciociare alla Effe Cooperativa, si evidenzia come tale assunto deve ritenersi insufficientemente motivato alla luce del contratto stipulato in data 15/11/2000, secondo il quale tali trasferimenti devono essere inquadrati come adempimenti prestati per sostenere finanziariamente lo sviluppo della testata giornalistica OMISSIS . 4.2. Sotto il secondo profilo, si sottolinea come tale inquadramento dei trasferimenti di denaro dalla società affidante alla società affidata impedirebbe la loro sussunzione sotto la fattispecie regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a , non costituiscono cessioni di beni le cessioni che hanno oggetto denaro o crediti di denaro e la stessa configurabilità dell'abuso del diritto, in quanto per il principio della neutralità dell'IVA non sarebbe stato conseguito alcun vantaggio fiscale. 5. I motivi, tutti involgenti la problematica dell'abuso del diritto, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati per quanto subito si dirà, anche se la motivazione della CTR va corretta ex art. 384 c.p.c., comma 4. 5.1. Dagli avvisi di accertamento, per come riassunti in ricorso, si evince che l'Ufficio ha fondato la ripresa, sotto il profilo delle imposte dirette, sul comportàmento antieconomico della Edizioni Ciociare, che ha versato alla Effe Cooperativa contributi in misura non predefinita e, comunque, superiori al canone che quest'ultima avrebbe dovuto corrispondere alla prima per l'affidamento della testata. Tali contributi, qualificati come costi di start up e capitalizzati tra le immobilizzazioni immateriali assoggettate ad ammortamento in quote quinquennali, costituirebbero in realtà dei finanziamenti a fondo perduto indeducibili, anche sotto il profilo del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108, comma 4, prevedendone tale norma la deducibilità unicamente a far data dall'esercizio in cui sono conseguiti i primi ricavi. Per quanto riguarda l'IVA, invece, i contributi versati dalla società affidante alla società affidataria dovrebbero essere qualificati come semplici dazioni di denaro e non già come prestazioni di servizi, con conseguente applicabilità del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 3, esenzione dal campo di applicazione dell'IVA ed indetraibilità di quest'ultima. 5.2. A fronte di tale ricostruzione da parte dell'Amministrazione finanziaria, la CTR non presta apodittica adesione alla ripresa dell'Agenzia, ma, con accertamento in fatto congruamente motivato e, dunque, incensurabile in cassazione, rileva che le erogazioni in denaro previste dai sopra menzionati contratti costituiscono un vero e proprio finanziamento a fondo perduto, erogato dalla Edizioni Ciociare in favore della Effe Cooperativa, avente finalità non di sviluppo della testata del quotidiano OMISSIS , ma, da un lato, di mantenimento in vita del giornale stesso, fornendo le risorse finanziarie ordinarie e straordinarie necessarie, e, dall'altro, di creare dei costi da ammortizzare subito ed incondizionatamente, in deroga alla previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, per il quale i finanziamenti possono essere ammortizzati nell'esercizio in cui vengono in esistenza i primi ricavi. Alla conclusione secondo cui si sarebbe trattato di finanziamenti a fondo perduto, la CTR giunge anche in forza di una valutazione di tipo economico, per la quale non vi sarebbe stata alcuna proporzione o logica di impresa nell'importo dei canoni oggetto dei contratti rispetto all'interesse patrimonialmente valutabile dell'affidataria, al punto da risultare insussistente una reale controprestazione sinallagmatica. La CTR, inoltre, fa rientrare i rapporti intercorsi tra Edizioni Ciociare ed Effe Cooperativa nell'ambito del fenomeno dell'abuso del diritto, sul presupposto che la società contribuente avrebbe tratto indebiti vantaggi fiscali dall'uso distorto, benchè legittimo, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustificano l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale ed ha indicato gli elementi sintomatici da cui emergerebbe l'intento elusivo delle parti. 5.3. Ne consegue che, secondo la CTR, le somme immediatamente dedotte dalla Edizioni Ciociare come ammortamento ai fini delle imposte dirette non sarebbero deducibili ai sensi del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4 nè l'IVA sulle fatture sarebbe detraibile, trattandosi di cessioni di denaro e dovendo trovare applicazione il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a . 5.4. Orbene, rileva questa Corte che la ricostruzione in fatto della CTR è pienamente logica e coerente e non può essere rivalutata in sede di legittimità, tenuto anche conto della circostanza che, con riferimento all'antieconomicità dell'operazione, fermo restando che rilevano solo i risultati economici dell'anno di imposta oggetto degli accertamenti impugnati con i ricorsi riuniti, non è dimostrato che i prospetti numerici contenuti in ricorso siano stati prodotti nei precedenti gradi di giudizio e sottoposti al vaglio del giudice di merito. 5.5. Tuttavia, non può essere condivisa la qualificazione giuridica della fattispecie in termini di abuso del diritto, dal momento che l'abuso del diritto non può trovare applicazione in un caso di evasione, qual è quello di specie. 5.6. E' noto che in materia tributaria, alla stregua dell'elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l'operazione economica che, attraverso l'impiego improprio e distorto dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente seppur non esclusivo l'elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poichè è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l'accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale così Cass. n. 25758 del 05/12/2014 si vedano, altresì, Cass. n. 19234 del 7 novembre 2012 Cass. n. 21782 del 20/10/2011 Cass. S.U. n. 30055 del 23 dicembre 2008 . Con specifico riferimento alle imposte dirette, poi, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che trova fondamento, dapprima, negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano Cass. n. 3938 del 19/02/2014 Cass. n. 4604 del 26/02/2014 e, soprattutto nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis Cass. n. 405 del 14/01/2015 Cass. n. 4561 del 06/03/2015 , che consente all'Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti, in sè privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti. Per completezza, occorre aggiungere che la clausola antielusiva è stata oggi tradotta in una norma generale non applicabile alla fattispecie , la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 bis che, al comma 1, così recita Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni . 5.7. Perchè, dunque, operi la clausola antielusiva occorre che il contribuente faccia un uso improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia posto in essere con lo specifico scopo seppure non esclusivo di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale. Nel caso di specie, in realtà, la CTR si è limitata a qualificare giuridicamente il negozio posto in essere tra la Edizioni Ciociare e la Effe Cooperativa in termini di finanziamento e ne ha fatto conseguire la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, in tema di imposte dirette e quella del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a , in tema di IVA essendo il finanziamento un'operazione fuori campo IVA . Non può dirsi, pertanto, che la Edizioni Ciociare abbia stipulato il contratto con la Effe Cooperativa allo scopo specifico di eludere le norme tributarie ed ottenere un vantaggio fiscale, ma la società contribuente si è, in realtà, limitata a porre in essere un comportamento evasivo delle imposte che avrebbe dovuto versare in relazione all'operazione economica posta in essere, non potendo portare immediatamente in deduzione i costi conseguenti al finanziamento erogato, nè detrarre l'IVA sulle fatture rilasciate dalla Effe Cooperativa, trattandosi di operazioni fuori campo IVA il che esclude che venga in rilievo il principio di neutralità dell'imposta . 5.8. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto Il contribuente che non versa le imposte dovute a seguito della stipulazione di un negozio, correttamente qualificato sotto il profilo giuridico da parte dell'Amministrazione finanziaria, non pone in essere un, comportamento elusivo, volto a conseguire un vantaggio fiscale in ragione di un uso distorto della normativa tributaria, ma risponde semplicemente della relativa evasione d'imposta e, pertanto, non trovano applicazione le disposizioni di legge e i principi elaborati dalla giurisprudenza, interna e unionale, in tema di abuso del diritto . 6. In conclusione, i ricorsi nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011 avverso le sentenze della CTR che hanno definito gli avvisi di accertamento vanno rigettati. I procedimenti concernenti le impugnazioni avverso gli atti di contestazione sanzioni proc. nn. 4481 e 4603 del 2012 . 7. Venendo ai ricorsi proposti dall'Agenzia delle entrate avverso le sentenze della CTR in materia di sanzioni, gli stessi sono affidati a due motivi di analogo contenuto, anche se il ricorso n. 4481 non ne riporta l'intestazione. 7.1. I ricorsi e ì due motivi , diversamente da quanto ritenuto da parte controricorrente, sono ammissibili, in quanto a indicano in maniera sufficientemente chiara l'esposizione dei fatti di causa b sebbene il ricorso n. 4481 sembra cumulare i due motivi di censura senza intestarli, è agevole distinguerli, riguardando la prima censura i paragrafi non contrassegnati da alcuna numerazione e la seconda censura i paragrafi contrassegnati dal n. 2 c benchè nel ricorso n. 4481 non siano indicate le norme che si assumono violate o la tipologia del vizio lamentato ai sensi dell'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., è possibile agevolmente evincere sia le une che l'altro dalla complessiva articolazione dei singoli motivi cfr. Cass. S.U. n. 17931 del 24/07/2013 il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all'art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge . 8. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce un vizio di ultrapetizione in violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che la società contribuente non avrebbe mai sollevato in giudizio la questione della insussistenza della previsione di una sanzione per le fattispecie di abuso del diritto. 9. Il motivo è infondato. 9.1. La Z. ha evidenziato di avere dedotto con le controdeduzioni in appello, trascrivendo il relativo passaggio ai fini del requisito dell'autosufficienza, in ordine all'inapplicabilità delle sanzioni in caso di sussistenza di comportamento abusivo, segnalando l'esistenza di decisioni giurisprudenziali che avevano ritenuto l'inapplicabilità delle sanzioni in caso di abuso del diritto. 9.2. Ne consegue che la CTR non ha inammissibilmente rilevato d'ufficio la questione, come argomentato dall'Agenzia delle entrate, ma ha deciso su di una precisa istanza in questo senso della società contribuente. 10. Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, l'Agenzia delle entrate deduce la violazione della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 cd. sesta direttiva , del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, dei principi in materia di abuso del diritto, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 32 e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che le norme che introducono le sanzioni applicate dall'Ufficio D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2 non considerano quale criterio scriminante la violazione di legge o la sua elusione o aggiramento, essendo necessario e sufficiente che vi sia un'indebita detrazione e che le imposte evidenziate nella dichiarazione siano inferiori a quelle accertate o siano indebite. 11. Il motivo è fondato. 11.1. La CTR ha escluso l'applicazione delle sanzioni richiamando le sentenze relative agli avvisi di accertamento e affermando che la condotta abusiva non era specificamente considerata dalla legge ai fini della loro applicazione. 11.2. Peraltro, come si è visto in precedenza, l'accertamento in fatto contenuto nelle sentenze richiamate dalla CTR implica che la società contribuente non ha posto in essere alcun comportamento elusivo, ma ha evaso il pagamento delle imposte in ragione della semplice violazione di specifiche norme il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, in tema di imposte dirette il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a , in tema di IVA . 11.3. Del resto, la censura della difesa erariale involge sia le conseguenze della qualificazione in termini di abuso del diritto che ha dato erroneamente la CTR, sia il menzionato accertamento di fatto, che induce a ritenere la semplice evasione fiscale. 11.4. Orbene, da un lato, questa Corte ha già affermato che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, secondo il quale l'Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l'applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell'esito dell'accertamento volto a contrastare il fenomeno l'abuso del diritto Cass. n. 25537 del 30/11/2011 . Dall'altro, la semplice evasione d'imposta implica di per sè la comminatoria delle sanzioni applicate dall'Ufficio con gli atti di contestazione impugnati D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2 , sicchè le stesse sono dovute. 12. In conclusione, va accolto il secondo motivo dei ricorsi nn. 4481 e 4603 del 2012, rigettato il primo le sentenze della CTR impugnate vanno cassate e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa va decisa nel merito, con conseguente rigetto degli originari ricorsi della Z 13. Quanto alle spese di lite, tenuto conto delle peculiari questioni di diritto affrontate nella presente controversia, sussistono valide ragioni per l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio, con riferimento ai ricorsi nn. 28805/2011 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011 e 28809/2011 e delle spese dell'intero giudizio con riferimento ai ricorsi nn. 4481/2012 e 4603/2012. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi nn. 28805/2011 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011 e 28809/2011 con riferimento ai ricorsi nn. 4481/2012 e 4603/2012, accoglie il secondo motivo, rigettato il primo cassa le sentenze impugnate e, decidendo nel merito, rigetta gli originari ricorsi proposti dalla ricorrente dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio con riferimento ai ricorsi nn. 28805/2011 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011 e 28809/2011 e dell'intero giudizio con riferimento ai ricorsi nn. 4481/2012 e 4603/2012.