Valore del PVC e prove tributarie

Il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati. La prova per presunzioni non è, in ogni caso, una prova più debole della prova rappresentativa, dato che ciò che rileva è la sua attendibilità.

Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 23511/18 depositata il 28 settembre ha chiarito alcuni fondamentali aspetti in materia di strumenti probatori nell’Ordinamento tributario. Il caso. Nella specie, la società denunciava l'insufficienza della motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale sulla natura del PVC, ai fini dell'individuazione del peso degli elementi di prova in esso contenuti. Il contenzioso riguardava infatti un accertamento scaturito da una verifica della Guardia di Finanza, che aveva rilevato il coinvolgimento di una società in un meccanismo fraudolento con lo schema tipico della frode carosello. In particolare, lo schema era realizzato mediante acquisti intracomunitari compiuti con l'utilizzo di fatture emesse da società cartiere, totali evasori, prive di qualsivoglia organizzazione imprenditoriale e interposte negli scambi con i fornitori comunitari, al fine di consentire alle imprese nazionali, appunto attraverso l'emissione delle fatture false, di usufruire di un notevole abbattimento del prezzo di vendita dei prodotti sul mercato interno. La contribuente impugnava l'avviso, senza successo in primo grado. La Commissione Tributaria Regionale respingeva l'appello, evidenziando la piena attendibilità del verbale redatto dalla Guardia di Finanza, fonte di rilevanti indizi utilizzabili in giudizio, ed escludendo che la sua redazione dovesse essere preceduta dallo svolgimento del contraddittorio. Contro questa sentenza proponeva infine ricorso per cassazione la contribuente, denunciando, tra le altre, l'insufficienza della motivazione sul fatto controverso della natura del processo verbale, ai fini dell'individuazione del peso degli elementi da esso desumibili. La decisione. Nel respingere la censura la Corte chiarisce che, in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità a il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell'art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti, o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese b quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi — e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi — esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l'eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni c in mancanza dell'indicazione specifica dei soggetti, le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall'agente verificatore. Il ricorso era inoltre infondato, perché il giudice d'appello aveva assegnato agli elementi indicati nel verbale valore indiziario che aveva valutato di rilevanza tale, per gravità, precisione e concordanza, da assurgere al rango di presunzione idonea a confermare la pretesa tributaria. Né era condivisibile l’affermazione del ricorrente, secondo cui, l'accertamento non si sarebbe potuto basare su prove presuntive, ma su risultanze certe e dirette. I giudici di legittimità evidenziano infatti, a tal proposito, che la prova per presunzioni, o prova indiziaria, non è una prova più debole della prova rappresentativa, laddove, del resto, per il nostro ordinamento, fatta eccezione per le ipotesi in cui sia richiesta dalla legge la prova scritta, non vi sono fatti che richiedono una prova più rigorosa di quella necessaria per altri. E ciò perché la prova è o non è”. E questo soprattutto quando le presunzioni siano connotate da gravità, precisione e concordanza, laddove, comunque, ex art. 2697 c.c., a fronte della prova, ritenuta convincente, fornita dall'Ufficio dei fatti costitutivi della pretesa, spetta al contribuente provare l'irrilevanza o l'inesistenza di tali fatti o la sussistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi. E anche la Corte di giustizia con sentenza 5 ottobre 2016, causa C-576/15, Maya Marinova ET , ricorda ancora la Corte, ha legittimato il ragionamento presuntivo, escludendone, in materia Iva, qualsiasi frizione con i principi di proporzionalità e di neutralità - quanto al primo, osservando che il ragionamento presuntivo è giustificato, qualora non sia possibile raccogliere dati oggettivi a causa della condotta fraudolenta del soggetto - quanto al secondo, constatando che la situazione del soggetto passivo che occulti o comunque travisi il compimento di operazioni imponibili, in tal modo mettendo a repentaglio il sistema di normale funzionamento dell'Iva, non è comparabile a quella dei soggetti passivi che rispettano i loro obblighi in materia di contabilità, di dichiarazione e di pagamento dell'IVA. Conclusioni. Al di là della specifica vicenda, giova evidenziare che, a norma dell'art. 2729 c.c., il giudice non deve ammettere che presunzioni gravi precise e concordanti. È vero inoltre che, in materia tributaria benché l'art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. n. 600/1973, art. 38, comma 4, e il D.P.R. n. 633/1972, art. 54, si esprimano al plurale , la giurisprudenza della stessa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che il convincimento del giudice può fondarsi anche su un elemento unico, ma è vero anche che lo stesso giudice ha sempre ribadito che tale elemento deve in ogni caso essere preciso e grave e che la valutazione in proposito del giudice di merito non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria v. tra le altre Cass. n. 656/2014, e n. 14068/2014 . L'esistenza di elementi presuntivi cioè indizi idonei a fondare una presunzione forniti dall'Amministrazione a sostegno dell'accertamento comporta comunque l'inversione dell'onere della prova solo laddove i suddetti elementi siano effettivamente tali ossia idonei a fondare una presunzione , non potendo ovviamente ammettersi che l'Amministrazione possa fondare un accertamento su qualunque elemento, anche privo di qualsivoglia valore indiziario, determinando perciò solo l'inversione dell'onere probatorio. La rettifica può essere, in conclusione, effettuata anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, sulla base di altri documenti o scritture contabili diverse da quelle previste dalla legge , o in riferimento ad altri dati e notizie , raccolti nei modi prescritti dalla legge. E, in sostanza, qualunque documento o dichiarazione può costituire la base per una presunzione idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti di causa, con quindi possibilità di ingresso nel processo tributario anche delle prove atipiche, sotto forma di presunzioni semplici cfr Cass. n. 14233 del 2015 .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 20 aprile – 28 settembre 2018, n. 23511 Presidente Virigilio – Relatore Perrino Fatti di causa Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che una verifica compendiata in un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza evidenziò che la s.p.a. Technologyshop era coinvolta in un meccanismo fraudolento con lo schema tipico della frode carosello. In particolare, lo schema era realizzato mediante acquisti intracomunitari compiuti con l'utilizzo di fatture emesse dalle società cartiere Trebi Data Service s.r.l., IT Server s.r.l. e ITT s.r.l. e dalla società filtro Althea s.r.l., totali evasori, privi di qualsivoglia organizzazione imprenditoriale e interposti negli scambi con i fornitori comunitari al fine di consentire alle imprese nazionali, appunto attraverso l'emissione delle fatture false, di usufruire di un notevole abbattimento del prezzo di vendita del prodotti sul mercato interno. Ne scaturì per gli anni d'imposta 2006 e 2007 un avviso di accertamento col quale l'Agenzia recuperò l'iva derivante dalla contabilizzazione delle fatture passive ritenute soggettivamente inesistenti, maggiori imposte dirette scaturenti da costi che si ritennero indeducibili perchè relativi alle predette fatture e a costi generali e irrogò sanzioni per infedele dichiarazione, illegittima detrazione d'imposta e violazioni contabili. La contribuente impugnò l'avviso, senza successo in primo grado. La Commissione tributaria regionale ha respinto l'appello della società. Il giudice d'appello ha fatto leva sulla piena attendibilità del verbale redatto dalla Guardia di finanza, fonte di indizi utilizzabili in giudizio ha escluso che la sua redazione dovesse essere preceduta dallo svolgimento del contraddittorio ha rimarcato che tutte le società fornitrici della Technologyshop, evasori totali d'imposta, sono prive di qualsivoglia organizzazione d'impresa e di mezzi finanziari ha evidenziato il rinvenimento di fatture emesse dalle società cartiere intestate all'amministratore e finanche a un dipendente della contribuente, nonchè l'emersione di forniture ottenute dalla Technologyshop direttamente con le società olandesi use a intrattenere rapporti commerciali con le cartiere. Ha inoltre evidenziato la durata e la continuità dei rapporti tra la contribuente e le società cartiere, l'esistenza di rapporti di conto corrente dell'una e delle altre presso la medesima filiale della Cassa di risparmio di Bologna, nonchè gli elementi desumibili dalle movimentazioni dei conti, con particolare riferimento al fatto che gli ordini e i pagamenti compiuti dalle società cartiere fornitrici erano pressochè contestuali a quelli emessi dalla Technologyshop nei loro confronti. Infine, il giudice d'appello ha ritenuto che i costi sostenuti dall'appellante non abbiano trovato alcun riscontro documentale atto a inferirne la certezza e l'inerenza. Contro questa sentenza propone ricorso la contribuente per ottenerne la cassazione, che affida a sette motivi, cui l'Agenzia replica con controricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso, col quale la società denuncia l'insufficienza della motivazione sul fatto controverso della natura del processo verbale richiamato in narrativa, ai fini dell'individuazione del peso degli elementi da esso desumibili, è nel contempo inammissibile e infondato. Esso è inammissibile, perchè è calibrato su un fatto privo di decisività qualunque verbale che, a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6, va redatto qualora vi sia stato un accesso presso la sede sociale, sia esso, o no, conclusivo delle operazioni, è fonte di elementi probatori di diversa rilevanza. 1.1. Sul punto questa Corte ha avuto occasione di chiarire, anche di recente Cass. 24 novembre 2017, n. 28060 che, in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità a il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell'art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese b quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi -e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l'eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni c in mancanza dell'indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall'agente verificatore. 1.2. Tali considerazioni, si ribadisce, riguardano qualunque atto redatto dalla Guardia di finanza, finanche le segnalazioni in termini, Cass. 21 ottobre 2013, n. 23747 . 1.3. Il motivo è altresì infondato, perchè il giudice d'appello ha assegnato agli elementi indicati . nel verbale valore indiziario che ha valutato di rilevanza tale, per gravità, precisione e concordanza, da assurgere al rango di presunzione, senza le incoerenze segnalate in ricorso. 2. Queste osservazioni evidenziano altresì l'infondatezza del quarto motivo di ricorso, che va esaminato per priorità logica rispetto al secondo e al terzo, col quale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54, commi 2 e 3, nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., perchè, a suo dire, l'accertamento non si sarebbe potuto basare su prove presuntive, ma su risultanze certe e dirette e insiste sulla irrilevanza delle dichiarazioni rese da terzi. Anzitutto, la prova per presunzioni o prova indiziaria non è una prova più debole della prova rappresentativa. 2.1. Inoltre, per il nostro ordinamento normativo -fatta eccezione per le ipotesi in cui sia richiesta dalla legge la prova scritta non vi sono fatti che richiedono una prova più rigorosa di quella necessaria per altri. E ciò perchè la prova è o non è. Anche la Corte di giustizia con sentenza 5 ottobre 2016, causa C-576/15, Maya Marinova ET ha legittimato, in materia di iva, il ragionamento presuntivo e ne ha escluso qualsiasi frizione con i principi di proporzionalità e di neutralità quanto al primo, osservando che il ragionamento presuntivo è giustificato, qualora non sia possibile raccogliere dati oggettivi a causa della condotta fraudolenta del soggetto quanto al secondo, constatando che la situazione del soggetto passivo che occulti o comunque travisi il compimento di operazioni imponibili, in tal modo mettendo a repentaglio il sistema di normale funzionamento dell'iva, non è comparabile a quella dei soggetti passivi che rispettano i loro obblighi in materia di contabilità, di dichiarazione e di pagamento dell'IVA. 2.2. Inoltre, quanto alle dichiarazioni rese da terzi, che secondo la società si sarebbero dovute acquisire in contraddittorio con essa, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte tra varie, Cass. 15 febbraio 2017, n. 3986 , secondo cui nel processo tributario le dichiarazioni rese da un terzo acquisite dalla guardia di finanza e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall'avviso di accertamento, anche se non rese in contraddittorio col contribuente, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice. Tali dichiarazioni, per il loro contenuto intrinseco ovvero per l'attendibilità dei riscontri offerti, possono assumere valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 c.c. e, cioè, di prova presuntiva idonea a fondare e motivare l'atto di accertamento il contribuente, peraltro, può contestarne la veridicità e introdurre, a sua volta, nel giudizio di merito altre dichiarazioni di terzi rese a discarico in sede extraprocessuale. 3. Non v'è spazio, al riguardo, per sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, prospettata col quinto motivo di ricorso, che va esaminato preliminarmente rispetto ai precedenti, per rilevanza logica. La Corte costituzionale, difatti, ha già esaminato e risolto la questione, stabilendo con ordinanza 10 aprile 2003, n. 119 che la norma in questione prevede soltanto che l'amministrazione finanziaria possa ricevere documenti, dati o notizie acquisiti nel corso di indagini penali, per porli alla base della propria attività di accertamento e che essa non limita in alcun modo la possibilità per il contribuente di contestare, dinanzi al giudice tributario, i risultati di quegli atti d'indagine, come di qualsiasi altro atto posto a base dell'accertamento tributario. 3.1. Irrilevanti sono le considerazioni svolte sul punto dalla società allo scopo di sostenere che le conclusioni raggiunte con l'ordinanza non siano destinate a reggere alla luce degli artt. 24,97 e 111 Cost Anzitutto, il parametro dell'art. 97 risulta eccentrico. Risponde, anzi, ai canoni di buona amministrazione il potenziamento delle attività di verifica, al fine di renderle più efficaci. Il contribuente, in sede giurisdizionale, conserva piene le proprie facoltà di contestare e di fornire le prove contrarie rispetto alla affermata mortificazione delle facoltà difensive il che risponde alle prescrizioni del giusto processo presidiato dall'art. 111 Cost. e salvaguarda le garanzie presidiate dall'art. 24 Cost 4. Inammissibile e nel contempo infondato è altresì il secondo motivo del ricorso, col quale la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., là dove il giudice d'appello avrebbe fatto gravare su di essa e non già, come avrebbe dovuto, sull'Ufficio, l'onere probatorio della pretesa impositiva. Il giudice d'appello difatti non dubita che l'onere probatorio gravasse sull'Agenzia, tanto che provvede a ricostruire e a valutare il quadro delle presunzioni integrate nell'avviso è al cospetto di tale quadro che afferma la sussistenza dell'onere della prova contraria spettante alla società, che sostiene che essa non abbia fornito. Il motivo si rivela quindi non congruente col contenuto della decisione e quindi inammissibile. Esso è poi infondato perchè, in base alle regole generali fissate proprio dall'art. 2697 c.c., a fronte della prova, ritenuta convincente, fornita dall'Ufficio dei fatti costitutivi della pretesa, spetta al contribuente provare l'irrilevanza o l'inesistenza di tali fatti o la sussistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi. 5. Col terzo e col sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, la società si duole dell'omessa motivazione sui fatti da essa prospettati in giudizio terzo motivo , nonchè la violazione e falsa applicazione dell'art. 17 della sesta direttiva, come interpretato dalla giurisprudenza unionale, che valorizza l'assenza di consapevolezza dell'interposizione fittizia da parte dell'acquirente sesto motivo . La complessiva censura è infondata. 5.1. Va difatti applicato il principio di diritto fissato da questa Corte con sentenza 20 aprile 2018, n. 9851, secondo il quale in tema di iva, l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta. La prova della consapevolezza dell'evasione richiede che l'Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione s'inseriva in un'evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente. Incombe sul contraente la prova contraria di avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare a un'evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. 6. La sentenza impugnata si rivela allora pienamente conforme ai principi in questione, là dove ha valorizzato, come riportato in narrativa, l'inesistenza di qualsivoglia organizzazione imprenditoriale e disponibilità economica delle fornitrici e la contestualità di ordini e pagamenti eseguiti dalle fornitrici rispetto a quelli compiuti dalla contribuente. Elemento della contestualità che è stato coerentemente e logicamente costruito come spia del ruolo di mero soggetto interposto del soggetto che doveva provvedere agli acquisti per conto del cessionario finale, e con le risorse di costui, proprio perchè non ne disponeva altrimenti. 6.1. Laddove la deduzione del vizio di motivazione si traduce in una contestazione della lettura delle risultanze processuali, nonchè della scelta, anch'essa rimessa al giudice di merito, di non disporre consulenza tecnica d'ufficio sui dati informatici e su quelli bancari. Il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio rientra difatti nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità è consentito denunciare in cassazione, oltre all'anomalia motivazionale, solo il vizio specifico relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo Cass. 23 marzo 2017, n. 7472 . 6.2. Di contro, nel caso in esame, le richieste di consulenza, per come prospettate in ricorso, essendo rivolte all'esame dei conti correnti e delle memorie sequestrate dei computer si palesano come meramente esplorative. 7. Inammissibile è, infine, l'ultimo motivo di ricorso, col quale la società denuncia la nullità della sentenza per vizio di extrapetizione, sostenendo che la questione di diritto relativa all'inerenza dei costi non era oggetto della materia giustiziabile. La questione è difatti irrilevante, in quanto la società non ha aggredito l'accertamento contenuto in sentenza che, da solo, esclude la deducibilità dei costi in questione, ossia la mancanza di certezza, per mancanza non soltanto della loro contabilizzazione, ma, comunque, di ogni riscontro documentale . 7.1. Difatti, in tema di imposte sui redditi, anche ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. con L. 26 aprile 2012, n. 44 , che opera, in ragione del precedente 3 comma, quale ius superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti inserite, o meno, in una frode carosello per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che, appunto, si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo tra molte, vedi Cass. 17 dicembre 2014, n. 26461 . 8. Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese, che liquida in Euro 50.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.