Nel contenzioso tributario il contributo unificato segue la regola dettata per le spese del giudizio

La compensazione delle spese di giudizio impedisce che il contributo unificato venga posto totalmente a carico della parte ricorrente, dovendo lo stesso seguire il regime determinato per le spese del giudizio di cui all’art. 15, comma 2- ter , d.lgs. n. 546/1992, che comprende al suo interno anche il contributo unificato.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29681/17, depositata il 12 dicembre. Non è applicabile in via analogica nel rito tributario l’art. 13, comma 6- bis , 1, d.P.R. n. 115/2002 il quale prevede che nel processo amministrativo il pagamento del contributo unificato è dovuto dalla parte soccombente, anche in caso di compensazione delle spese di giudizio. La specificità del rito tributario sembra giustificare una differente regolazione che si manifesta, appunto, nella mancata previsione, frutto essa stessa di una scelta discrezionale del legislatore nazionale, di una disciplina, in punto di contributo unificato, pienamente sovrapponibile a quella prevista nell’ambito del giudizio amministrativo. Il caso. Due contribuenti impugnavano per cassazione la sentenza di appello, pronunciata in sede di rinvio disposto dalla Cassazione, che, pur annullando alcuni avvisi di accertamento notificati loro in qualità di ex soci di una società cancellata dal registro delle imprese, aveva compensato le spese di giudizio e rigettato la richiesta di rimborso di contributo unificato versato nei diversi gradi di giudizio. Ad avviso dei Giudici di appello la compensazione delle spese era giustificata dal comportamento assunto di ricorrenti, che avevano dismesso le quote sociali solo pochi giorni prima dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione, in tal modo rendendo vana la pretesa dell’Agenzia delle Entrate di recuperare somme dagli ex soci, attesa la mancanza di distribuzione di attivo. I contribuenti presentavano ricorso per cassazione eccependo la illegittimità della sentenza per violazione di legge con due differenti motivi. Con il primo motivo veniva eccepita la illegittimità della sentenza impugnata per aver posto a carico dei ricorrenti vittoriosi il pagamento dei contributi unificati dei vari gradi di giudizio. Secondo i ricorrenti, il giudice di appello avrebbe errato a disporre la compensazione delle spese di giudizio atteso che l’art. 92 c.p.c., nella sua attuale formulazione, prevede che la compensazione delle spese tra le parti può essere disposta dal giudice, tra gli altri casi, qualora vi sia una soccombenza reciproca, circostanza che non si era verificata nel caso di specie ove i contribuenti erano risultati vittoriosi. Inoltre, la sentenza del giudice di appello sarebbe viziata anche perché, dopo aver disposto la compensazione delle spese, aveva ritenuto dovuto il pagamento dei contributi unificati in adempimento di un obbligo di legge . La Cassazione ha accolto parzialmente tale motivo, rigettandolo nella prima parte, rilevando che il secondo comma dell’art. 13 d.l. n. 132/2014, convertito con l. n. 162/2014, prevede che l’art. 92 c.p.c., nella formulazione fatta valere dal ricorrente, si applica solo ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, coincidente con il 10.11.2014, mentre il procedimento sottoposto alla sua cognizione era stato introdotto in epoca anteriore. Compensazione delle spese e contributo unificato. La Corte, invece, ha ritenuto fondata la seconda censura prospettata dai ricorrenti, atteso che proprio la compensazione delle spese impediva che venisse posto integralmente a carico dei ricorrenti il pagamento del contributo unificato corrisposto dai medesimi. L’attuale disciplina delle spese di giudizio di cui all’art. 15, comma 2- ter , d.lgs. n. 546/1997, introdotto dal d.lgs. n. 156/2015, applicabile al caso de quo in quanto entrata in vigore l’01.01.2016 e, dunque, anteriormente alla pubblicazione della sentenza della cassazione, prevede infatti che le spese di giudizio sono comprensive, tra le altre voci, anche del contributo unificato. Pertanto, la compensazione delle spese di giudizio avrebbe imposto anche la compensazione tra le parti del contributo unificato. Con il secondo motivo di ricorso veniva eccepita, sotto il profilo della violazione di legge, la mancata applicazione analogica dell’art. 13, comma 6- bis , 1, d.P.R. n. 115/2002, secondo cui l’onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio . La Cassazione ha rigettato tale motivo, riscontrando la mancanza nel rito tributario di una disciplina, in punto di contributo unificato, pienamente sovrapponibile a quella prevista nel procedimento amministrativo. L’applicazione analogica dell’art. 13, comma 6- bis , 1 cit. sarebbe, infatti, impedita, secondo la Cassazione, dalla differente ratio cui il pagamento del contributo unificato risponde nei diversi procedimenti, amministrativo, tributario e civile. Infatti, mentre nel procedimento amministrativo vale il criterio della differenziazione per materia, e in quello civile oltre alla materia assume rilievo anche il valore della controversia, nel processo tributario è previsto un sistema a scaglioni a seconda del valore della lite. Differenti, inoltre, nei vari riti, sarebbero anche i modi di determinazione del valore della controversia. Infatti, mentre nel rito civile e in quello tributario la dichiarazione del valore della lite è affidata ad apposita dichiarazione di parte da apporre in calce all’atto introduttivo, nel processo amministrativo è prevista una disciplina specifica per i ricorsi in materia di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture e contro i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti. Per tali motivi - conclude la Cassazione - non sono ravvisabili omogeneità di materia né identità di posizioni fra il giudizio innanzi al giudice ordinario e/o tributario e quello amministrativo tali da poter giustificare un vulnus in punto di ragionevolezza o deficit di eguaglianza della disciplina . In conclusione, in parziale accoglimento del ricorso, la Corte ha cassato la sentenza impugnata senza rinvio nella sola parte in cui poneva a carico dei ricorrenti l’intero importo del contributo unificato relativo alle varie fasi del giudizio e, nel merito, ha dichiarato compensate tra le parti le spese del giudizio, comprensive anche del contributo unificato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 15 novembre – 12 dicembre 2017, numero 29681 Presidente Iacobellis – Relatore Conti Fatti e ragioni della decisione C.F. e C.S. propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, impugnando la sentenza resa dalla CTR Lombardia indicata in epigrafe con la quale, in accoglimento del ricorso introduttivo e decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte di cassazione con ordinanza numero 22367/2014, sono stati annullati gli avvisi emessi a carico dei contribuenti per la ripresa a tassazione di vari tributi in qualità di soci della S.r.l. N., cancellata dal registro delle imprese il 27.12.2007, con compensazione delle spese dell'intero giudizio e rigetto della richiesta di rimborso del contributo unificato. Secondo il giudice di appello ricorrevano i presupposti per la compensazione delle spese, tenuto conto del comportamento tenuto dai ricorrenti, i quali si erano liberati delle quote sociali solo pochi giorni prima dell'approvazione del piano di riparto relativo al bilancio finale di liquidazione della società e dei peculiari caratteri della vicenda sottostante agli accertamenti. L'Agenzia delle entrate ha depositato controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria. Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata. Con il primo motivo si prospetta la violazione dell'art. 92 c.p.comma come modificato da d.l. numero 132/2014 e dell'art. 15 d.lgs. numero 546/1992, lamentandosi altresì l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva posto a carico dei ricorrenti vittoriosi i contributi unificati dei gradi di giudizio. Il motivo è fondato nei limiti di seguito esposti. Giova premettere che, per effetto dell'art. 13 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 132, coordinato con la legge di conversione 10 novembre 2014, numero 162, recante Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile , il secondo comma dell'articolo 92 c.p.comma è stato sostituito nel senso che Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero . Il secondo comma dell'art. 13 ha poi chiarito che La disposizione di cui al comma 1 si applica ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto , coincidente con il 10.11.2014. Orbene, la censura che i ricorrenti propongono si fonda, quanto alla prima parte concernente il regime delle spese processuali, sul presupposto che l'art. 92 c.p.comma debba trovare applicazione nel testo come modificato dal ricordato art. 13 d.l. numero 132/2014. Si tratta di un presupposto errato, posto che il procedimento per cui è causa era stato iniziato in epoca ben anteriore all'entrata in vigore della legge di conversione del citato d.l., come si evince agevolmente dallo stesso ricorso per cassazione dei contribuenti, ove si dà atto della sentenza resa dalla CTP di Milano in data 25.3.2011. La prima parte del primo motivo di ricorso, ove si prospetta la violazione dell'art. 92 c.p.comma ascrivibile alla CTR laddove avrebbe compensato le spese dell'intero giudizio fuori dai tassativi casi introdotti dalla anzidetta disposizione nel testo novellato dal d.l. numero 132/2014, è dunque infondata. Risulta per contro fondata la censura, pure contenuta nel primo motivo, con la quale si prospetta l'erroneità della statuizione del giudice di appello che, dopo aver disposto la compensazione delle spese, ha ritenuto dovuti dai ricorrenti i contributi unificati 'in adempimento di un obbligo di legge’. Ed infatti, la CTR ha omesso di considerare la disposizione di cui all'art. 15 comma 2 ter, introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, numero 156, recante Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b , della legge 11 marzo 2014, numero 23, entrata in vigore l’1.1.2016 e, dunque, in epoca anteriore alla pubblicazione della sentenza impugnata. Alla stregua di suddetta disposizione 'Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l'imposta sul valore aggiunto, se dovuti’. Sulla base di siffatta previsione il giudice di appello, nel liquidare le spese dell'intero giudizio, avrebbe dovuto considerare che proprio la disposta compensazione impediva che fosse posto integralmente a carico dei ricorrenti il contributo unificato dai medesimi corrisposto, lo stesso dovendo seguire il regime determinato dal giudice per le spese del giudizio, al cui interno si colloca, in forza della disposizione sopra ricordata, il contributo unificato. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 13 c.6 bis 1 D.P.R. numero 115/2002 anche in relazione agli artt. 24 Cost. e 6 CEDU. Secondi i ricorrenti il giudice di appello avrebbe dovuto fare applicazione analogica del ricordato art. 13, nella parte in cui ammette, nell'ambito del procedimento amministrativo, il riconoscimento integrale del contributo anche per le ipotesi di compensazione delle spese giudiziali. Il motivo è infondato. Ed invero, questa Corte ha già chiarito che dal D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, art. 13, emerge che il contributo unificato atti giudiziari costituisce una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice di liquidarne autonomamente l’ammontare, poi aggiungendosi che il contributo unificato atti giudiziali costituisce un'obbligazione ex lege gravante sulla parte soccombente, sicché, anche in caso di mancata menzione da parte del giudice in sede di quantificazione della condanna alle spese, la relativa statuizione include, implicitamente, l'imposizione della restituzione alla parte vittoriosa di quanto versato, senza che si renda necessaria alcun correzione, per errore materiale, del provvedimento giudiziale e restando il pagamento verificabile, anche in sede esecutiva, con la corrispondente ricevuta - Cass. numero 2691/2016 Cass. numero 23830/2015 Cass. numero 18828/2015. In definitiva, questa Corte è ferma nell'agganciare il riconoscimento del contributo unificato alla statuizione di condanna alle spese del soccombente. In questa direzione, del resto, milita proprio il terzo comma dell'art. 158 t.u. ult. cit., laddove prevede che 'Le spese prenotate a debito e anticipate dall'erario sono recuperate dall'amministrazione, insieme alle altre spese anticipate, in caso di condanna dell'altra parte alla rifusione delle spese in proprio favore', ancora una volta lasciando intendere che il recupero del contributo unificato da parte dell'erario è comunque agganciato ad una statuizione di condanna del soccombente. Ora, i ricorrenti prospettano l'applicazione analogica al caso di specie -nel quale non vi è stata condanna al pagamento delle spese da parte del soccombente, ma una semplice compensazione - del D.P.R. numero 115 del 2002, art. 13, comma 6 bis 1, introdotto dall'art. 2, co. 35 bis, lett. e , del d.l. 13 agosto 2011 numero 138, come integrato dalla legge di conversione 14 settembre 2011 numero 148, a cui tenore L'onere relativo al pagamento dei suddetti è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio . Disposizione, quest'ultima, applicabile al processo amministrativo. Orbene, come chiarito dal Consiglio di Stato, il contributo nella misura indicata dal citato art. 13 è, nel processo amministrativo, oggetto di una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare, tanto da non richiedere alcuna pronuncia in merito da parte del giudice. In tale prospettiva il legislatore con l'espressione in ogni caso , da un lato, si riferisce alla circostanza che l'obbligo del rimborso a carico del soccombente deriva direttamente ed automaticamente dalla legge per cui, sul punto, non è necessario l'inserimento di una specifica statuizione della sentenza, mentre, dall'altro, stabilisce, altresì, che tale obbligo sussiste in capo alla parte soccombente anche quando questa non abbia resistito alla chiamata in giudizio cioè non si sia costituita oppure quando sia stata esonerata dal corrispondere le spese di lite alla controparte vittoriosa, avendo il giudice disposto la compensazione delle spese del giudizio tra le parti -cfr. Cons. Stato, sez. III, numero 1160/2014, Cons. Stato, sez. III, numero 4167/2016. Orbene, la richiesta di applicazione della disposizione anzidetta in via analogica al processo tributario ed al caso qui in esame, nel quale il giudice di appello ha, in sede di rinvio, compensato le spese fra le parti pur accogliendo il ricorso introduttivo dei contribuenti, non può trovare accoglimento. Ed invero, non è ravvisabile un'eadem ratio tra la disciplina prevista specificamente per i giudizi innanzi al giudice amministrativo, nei quali gli importi del contributo unificato hanno una loro precisa determinazione e risultano specificamente disciplinati dall'art. 13 c.6 bis 1 cit. - nettamente distinguendo il contributo unificato nel processo civile, come risulta dall'art. 9 T.U. spese giustizia cit.- e quella in tema di compensazione innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria -alla quale rinvia la disposizione di ordine generale di cui all'art. 1 comma 2 d. Igs. numero 546/1992 - e tributaria. Giova infatti rammentare che l'art. 13, comma 1, d.P.R. numero 115 del 2002, innovando la disciplina anteriore - dPR 26 ottobre 1972, numero 642 - fondata sul pagamento della marca da bollo da corrispondere all'atto dell'iscrizione a ruolo, ha previsto un regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un contributo unificato , nel quale sono stati introdotti i criteri, alternativi o concorrenti, della materia e della proporzione al valore della controversia. Tale disciplina venne estesa al processo tributario dall'art. 37, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, numero 98, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, numero 111 che ha modificato l'art. 9 comma 1 del d.P.R. numero 115 del 2002 - a tenore del quale il contributo unificato di iscrizione a ruolo è dovuto per ciascun grado di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario. Quanto alla determinazione del contributo, l'art. 13 del d.P.R. numero 115/2002 ha previsto criteri diversi per il processo civile, amministrativo e tributario, posto che nel primo per la quantificazione del contributo - come determinato dai primi sei commi del predetto art. 13 - assumono rilievo non solo la materia ma anche il valore della controversia. Quanto al processo amministrativo, - comma 6-bis del medesimo articolo - è stato introdotto il criterio della differenziazione per materia, mentre nel processo tributario il successivo comma 6-quater ha previsto importi per scaglioni di valore delle liti. Ancora diversa risulta la regolamentazione fra i diversi riti relativa ai criteri per l'individuazione degli obbligati al pagamento e per la determinazione del valore dei processi. Ed infatti, l'art. 14 del d.P.R. numero 115/2002 ha previsto che nel processo civile il valore, fissato mediante rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo. Per quanto riguarda il processo amministrativo è prevista una disciplina specifica per i ricorsi in materia di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture e contro i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti. Infine, nel processo tributario il comma 3-bis dell'art. 14, nel testo precedente le modifiche apportate dalla legge numero 147 del 2013, prevedeva che ' il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito’. Giova ancora rammentare che l’art. 12, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546 - nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 24 settembre 2015, numero 156, stabiliva che Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste . L'art. 1, comma 598, della legge numero 147 del 2013 ha modificato il menzionato comma 3-bis dell'art. 14, specificando che il valore della lite è determinato per ciascun atto impugnato anche in appello . Orbene, risulta evidente che rispetto ai ricordati plessi giurisdizionali il legislatore, nell'esercizio delle sue ampie prerogative discrezionali, nel conformare istituti e discipline processuali, nel limite nella specie non superato della non arbitrarietà e ragionevolezza Corte cost. numero 43/2010, Corte cost. numero 237/2007, Corte cost. numero 341/2006 Corte cost. nnumero 405 e 376/2007, nonché numero 101/2006 non ha previsto, quanto al rito ordinario e tributario in ordine al contributo unificato, alcuna disposizione di segno analogo all'ipotesi di compensazione delle spese processuali prevista nel processo amministrativo ed ha specificamente disciplinato, in maniera autonoma rispetto al processo amministrativo, le ipotesi di compensazione delle spese processuali - v., infatti, da ultimo, il già ricordato art. 9 D. Igs. 24/09/2015 numero 156 che ha modificato l'art. 15 d. Igs. numero 546/1992. Non sono dunque ravvisabili omogeneità di materia né identità di posizioni fra il giudizio innanzi al giudice ordinario e/o tributario e quello amministrativo tali da potere giustificare un vulnus in punto di ragionevolezza o deficit di eguaglianza della disciplina sopra ricordata. In definitiva, la specificità del rito tributario, unitamente alla previsione di chiusura contemplata dal ricordato art. 1 comma 2 d.Igs. numero 546/1992, sembrano giustificare una differente regolazione che si manifesta, appunto, nella mancata previsione, frutto essa stessa di una scelta discrezionale del legislatore nazionale, di una disciplina, in punto di contributo unificato, pienamente sovrapponibile a quella prevista nell'ambito del giudizio amministrativo. In definitiva, dall'esposto esame del quadro normativo di riferimento, risulta evidente la difficoltà ad individuare un principio o una fattispecie suscettibile di analogia, utilizzabile nel presente giudizio quale tertium comparationis v., Corte cost. numero 78/2016 . D'altra parte, la diversità di regime fra procedimenti giurisdizionali interni non incide nemmeno sul principio di equivalenza di matrice eurounitaria - comunque rilevante in parte qua tenuto conto dell'oggetto della contestazione nella quale era pure compreso un tributo armonizzato. Ed infatti, la Corte di Giustizia ha chiarito, proprio riferendosi al principio di equivalenza che lo stesso, implicando un pari trattamento dei ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, simili, fondati su una violazione del diritto dell'Unione, non richiede l'equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso civile, da un lato, e quello amministrativo, dall'altro, o a contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto v. Corte giust., OBB Personenverkehr, C-417/13, EU C 2015 38, punto 74,Corte giust. 6 ottobre 2015, C-61/14, Orizzonte Salute - Studio Infermieristico Associato, § 67, Conci. dell'Avvocato Generale Niilo Jààskinen presentate il 7 maggio 2015 nella causa 61/14, p. 31, Conci. Avv. Genumero Niilo Jààskinen nella causa 69/14, pp.50 e 51 . In conclusione, il diretto riferimento al contenzioso ordinario civile operato dal legislatore nel disciplinare il procedimento innanzi al giudice tributario, rientrando nelle prerogative discrezionali, mette al riparo la regolamentazione in atto in vigore dalle censure prospettate dai ricorrenti. Vale, infine, la pena di evidenziare che risulta inammissibile la prospettata violazione dell'art. 6 CEDU, oggetto di mera asserzione, priva di alcun riscontro argomentativo in grado di giustificare la pretesa lesione del diritto ad un processo equo e ad una tutela giurisdizionale effettiva. Ed infatti, rispetto a tale generica censura la parte non ha indicato alcuno dei profili sui quali questa Corte dovrebbe indirizzare la sua indagine essendo l'art. 6 CEDU appena indicato disposizione che contempla, al suo Interno, vari e diversi profili che ruotano al tema del giusto processo. Risulta per l'effetto impossibile e dunque inammissibile la censura individuare il contenuto specifico del motivo con riferimento all'invocato parametro normativo, apparendo in ogni caso opportuno precisare che, secondo la giurisprudenza della Corte edu, l'obbligo di pagare tributi in relazione a giudizi civili non può di per sé essere considerato come restrizione al diritto all'accesso alla giustizia incompatibile in quanto tale con l'articolo 6, paragrafo 1, della CEDU - cfr.Corte edu, 12 luglio 2007, Stankov comma Bulgaria, § 52. La censura va quindi rigettata. In conclusione, in parziale accoglimento del primo motivo, rigettato il secondo, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, non occorrendo ulteriore istruttoria, nella sola parte in cui pone a carico dei ricorrenti l'intero importo del contributo unificato relativo alle varie fasi del giudizio. Ricorrono giusti motivi, in relazione alla parziale soccombenza reciproca, per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità, ivi compreso il contributo unificato. P.Q.M. In parziale accoglimento del ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella sola parte in cui pone a carico dei ricorrenti l'intero importo del contributo unificato e, decidendo nel merito, dichiara compensato tra le parti anche il contributo unificato. Compensa le spese del presente giudizio.