Gli Ermellini tornano sul tema dei dirigenti decaduti

In attesa di capire se potrà dirsi definitivamente chiusa la questione, la Corte di Cassazione è tornata sul tema dei dirigenti illegittimi, con un tris di pronunce depositate nel pomeriggio di ieri.

Con le sentenze nn. 22800, 22803 e 22810, depositate in data 9 novembre 2015, la Cassazione ha l’occasione di ritornare sulla nota questione degli effetti degli atti tributari sottoscritti dai c.d. dirigenti dichiarati decaduti” con la sentenza della Corte Cost., n. 37/2015. Mediante la combinata lettura dei principi che emergono dalle pronunce in commento è forse possibile ricomporre in maniera definitiva il complesso mosaico formatosi in merito alla tematica, in cui sono confluite fattispecie differenti e talora forzatamente assimilabili, nonché orientamenti di merito difformi e talora persino contrastanti. Non occorre che i funzionari deleganti e delegati possiedano la qualifica di dirigente. Con la prima sentenza n. 22800 , la Cassazione ribadisce, che, in base al principio di tassatività delle cause di nullità degli atti tributari, non occorre, ai meri fini della validità dell’atto, che i funzionari deleganti e delegati possiedano la qualifica di dirigente. Nell’ambito della delega per l’emanazione degli avvisi di accertamento, l’espressione impiegato della carriera direttiva di cui all’art. 42, d.p.r. n. 600/1973 corrisponde oggi al funzionario della terza area quid minus rispetto al dirigente . Non rileva qui la tematica dei dirigenti illegittimi, giacché la declaratoria di illegittimità di cui alla sentenza della Consulta citata riguarda altra vicenda, e cioè l’attribuzione di funzioni dirigenziali attraverso le procedure contemplate dagli articoli di legge abrogati per incostituzionalità. Mancanza di valida delega rilasciata dal capo dell’Ufficio al funzionario firmatario. Nel caso di cui alla pronuncia n. 22803, risulta contestata soltanto la mancanza di valida delega rilasciata dal capo dell’Ufficio al funzionario firmatario nessun rilievo invece rispetto alla carenza di poteri del dirigente delegato la società ricorrente non ha allegato né riportato il capo del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio in cui era eccepito tale rilievo . Secondo la Suprema Corte, si tratterebbe di eccezione nuova non rilevabile d’ufficio nel giudizio di legittimità, in virtù della specialità del diritto tributario rispetto al diritto amministrativo rapporto species ad genus in materia tributaria, infatti, la scelta operata dal Legislatore è di ricomprendere nella categoria unitaria della nullità tributaria indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione [ ] entro il termine di decadenza di cui all’art. 21, d.lgs. 546/92 . Si esclude pertanto la rilevabilità d’ufficio. È altresì inammissibile il ricorso con il quale il contribuente eccepisce i profili anzidetti per la prima volta in sede di legittimità. Con l’occasione, in riferimento alla validità della delega, i Giudici affermano la non rilevanza della modalità di attribuzione conferimento con atto proprio ovvero con ordine di servizio , purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega, il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato devono così ritenersi illegittime le deleghe impersonali, disposte per relationem nei confronti di soggetti incerti. L’esistenza del potere di firma può essere contestato e verificato in sede giurisdizionale tributaria. È, forse, l’ultima pronuncia n. 22810 a destare maggiore interesse, giacché al di là delle contestazioni di parte ricorrente la Corte ritiene di esprimere ex art. 363 c.p.c. il principio di diritto applicabile alla tematica controversa. Le questioni circa l’esistenza del potere di firma del soggetto preposto e/o dell’esistenza della validità della delega conferita all’eventuale soggetto sottoposto possono certamente essere contestate e verificate in sede giurisdizionale tributaria, implicando l’indagine sulla legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa. Tuttavia l’assunto in base al quale è necessaria, ai fini della valida sottoscrizione di un atto impositivo, la qualifica dirigenziale in capo al delegante o al delegato non è giustificato dal dato normativo, ed è dunque errato. L’art. 42 d.p.r. n. 600/1973 contempla infatti la figura del capo dell’ufficio” ovvero dell’ altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza menzionare la qualifica dirigenziale, è il capo dell’Ufficio, quindi, l’agente capace di manifestare la volontà dell’amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna . Tanto premesso, la nullità degli atti impositivi di cui all’art. 42 cit. è soltanto quella circoscritta dai confini del dettato normativo stesso, rispetto al quale non assume rilievo l’eventuale illegittimità del conferimento d’incarico al capo dell’Ufficio. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 21 ottobre – 9 novembre 2015, n. 22800 Presidente/Relatore Cicala Svolgimento del processo L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione deducendo due motivi avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto-Mestre del 13/12/2013 n. 115/29/13 che accoglieva l’appello del sig. Q.G. e dichiarava la nullità di avvisi di accertamento dei redditi emessi nei di lui confronti. La Commissione riteneva che tali avvisi fossero nulli in quanto emessi senza una adeguato preventivo contraddittorio e sottoscritti da funzionario non legittimato. Il contribuente non si è costituito in giudizio. La Avvocatura di Stato ha depositato memoria. Motivi della decisione Appare opportuno esaminare, in primo luogo, il secondo motivo di ricorso, relativo alla legittimazione del funzionario che ha sottoscritto gli atti impositivi, su delega del capo dell’ufficio. E dal momento che la sentenza impugnata ha affrontato un articolato complesso di problemi, che formano oggetto del ricorso erariale, il Collegio ritiene opportuno esaminare funditus la questione pronunciandosi ex art. 363 c.p.c., su tutti i profili, ancorché — come risulterà in prosieguo - nel caso di specie il motivo di ricorso debba essere rigettato per considerazioni specifiche. Materia del contendere è la interpretazione ed applicazione del disposto dell’art. 42 1 comma del DPR 600/1973, applicabile anche agli accertamenti IVA in quanto l’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42 ed in particolare la individuazione di chi siano gli impiegati della carriera direttiva cui il capo dell’ufficio può delegare la sottoscrizione dell’avviso di accertamento. E la mancata osservanza di quanto prescritto dal primo comma dell’art. 42, determina - come espressamente afferma la legge e costantemente dichiarato da questa Corte - la nullità dell’avviso di accertamento ciò in quanto gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione de potere impositivo, ed incidono con particolare profondità nella realtà economica e sociale, discostandosi da e contestando le affermazioni del contribuente. Le qualità professionali di chi emana l’atto costituiscono quindi una essenziale garanzia per il contribuente si veda da ultimo la articolata motivazione di Cass. 5 settembre 2014, n. 18758 . Nell’applicazione dell’art. 42 occorre tener presente che la delega ivi prevista è altra cosa rispetto alla attribuzione di funzioni dirigenziali attraverso le procedure regolate prima dall’art. 24 del Regolamento e poi dall’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, disposizioni entrambe cancellate dalla Corte Costituzionale con la sentenza 37/2015 e dal Consiglio di Stato con la sentenza 4641/2015 . Ciò in quanto l’art. 42 prevede la delega amministrativa per singoli atti, mentre le norme caducate prevedevano il conferimento, attraverso contratti, di uno status con rilevanti riflessi anche economici persino ove l’attribuzione delle funzioni superiori risultasse nulla cfr. art. 52 D.lgs. 165/2001, comma 5 . Le due problematiche interferirebbero ove si ritenesse che il delegato debba essere un dirigente vero e proprio ex art. 11 del Regolamento della Agenzia, cui verrebbero equiparati per quanto attiene alla funzione i soggetti individuati con le procedure del cancellato art. 24. Ma invece il Collegio ritiene, in continuità con la costante giurisprudenza di questa Corte, che l’espressione impiegato della carriera direttiva contenuta nel ben noto art. 42 dpr 600/1973, non equivale a dirigente ma richieda un quid minus. E perciò la tematica dei dirigenti illegittimamente nominati , non entra nell’oggetto del giudizio. In quanto a seguito delle evoluzioni normative e contrattuali succedutesi dal 1973 in poi, l’ impiegato della carriera direttiva oggi corrisponde al funzionario della terza area Cass. 21 gennaio 2015, n. 959 . Si tratta di un’evoluzione che ha avuto diverse tappe. La legge 11 luglio 1980, n. 312, recante il nuovo assetto retributivo - funzionale del personale civile e militare dello Stato, ha istituito le qualifiche funzionali. L’art. 4 della legge concernente il primo inquadramento nelle suddette qualifiche prevedeva che il personale della ex carriera direttiva transitasse nella 7 e nell’8 qualifica la 8 venne istituita successivamente , e precisamente nella settima qualifica funzionale il personale della carriera direttiva con le qualifiche di consigliere e di direttore di sezione o qualifiche equiparate nell’ottava qualifica funzionale il personale della carriera direttiva con la qualifica di direttore aggiunto di divisione o qualifica equiparata e personale delle carriere direttive strutturate su una unica qualifica . Il passaggio successivo è intervenuto con il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto ministeri per il quadriennio 1998-2001, il cui art. 13 Aree di inquadramento prevedeva che il nuovo sistema di classificazione del personale, improntato a criteri di flessibilità correlati alle esigenze connesse ai nuovi modelli organizzativi, si basa sui seguenti elementi a Accorpamento delle attuali nove qualifiche funzionali in tre aree Area C - comprendente i livelli dal 7 al 9 e il personale del ruolo ad esaurimento . L’area era articolata nelle posizioni C1, C2 e C3, nella quale è rispettivamente confluito il personale della 7, 8 e 9 qualifica. L’ultima tappa è costituita dal contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, il cui art. 17 Classificazione prevede che Il sistema di classificazione del personale è articolato in tre aree Terza area comprendente le ex posizioni C1, C2 e C3 . La terza area è suddivisa in sei fasce retributive da F1 a F6 il personale in servizio è transitato nelle fasce secondo una tabella di corrispondenza allegata al contratto, in base alla posizione ricoperta nell’ordinamento di provenienza. Le aree corrispondono a livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacità ne consegue che tutte le mansioni di un’area sono considerate equivalenti e parimenti esigibili dal personale inquadrato nell’area stessa, a prescindere dalla sua posizione economica. Alla luce della ricostruzione che precede, per le agenzie fiscali la vecchia carriera direttiva deve oggi essere individuata nella terza area, che ha assorbito la vecchia nona qualifica funzionale ritenuta idonea a determinare la validità dell’atto in numerose sentenze di questa Corte, che hanno respinto la tesi dei contribuenti secondo cui il delegato dovrebbe essere un dirigente vero e proprio cfr. Cass. 5 settembre 2014, n. 1875 8 . La norma in esame assume così una propria autonoma valenza senza che occorra far ricorso al regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate ex Delibera del Comitato Direttivo del 30 novembre 2000, n. 4 secondo cui gli avvisi di accertamento debbono essere emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, su delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari a seconda della rilevanza e complessità degli atti” art. 5, comma 6, Reg. di Amm. n. 4 . Del resto, il regolamento non potrebbe derogare alla legge che non parla genericamente di funzionari , ma di impiegati della carriera direttiva . La autonoma valenza riconosciuta all’art. 42 tante volte citato, si inquadra - del resto - nella costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in materia tributaria non trova applicazione il principio secondo cui l’atto emanato con violazione della legge è di regola invalido sub specie nullità o annullabilità poco importa principio scolpito invece nell’art. 21 octies, introdotto nella legge 241/1990, dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14, comma 1 unitamente all’intero capo 4 bis dal titolo efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo, revoca e recesso , applicabile agli atti amministrativi comuni . E perciò la nullità di cui qui si discute è rigidamente circoscritta nei limiti tracciati dall’art. 42, senza che assuma rilievo l’eventuale illegittimità del conferimento al capo dell’ufficio delegante della qualità di dirigente anche temporaneo , avvenuta sulla base di una norma regolamentare illegittima o di una norma di legge dichiarata incostituzionale. Ciò premesso occorre ribadire che, ove il contribuente contesti nel suo ricorso introduttivo così come evidenziato nella sentenza impugnata il possesso da parte del delegato o del delegante dei requisiti indicati dall’art. 42, spetta alla Amministrazione fornire la prova della non sussistenza del vizio dell’atto. Ciò sia in base al principio di leale collaborazione che grava sulle parti processuali e segnalatamente sulla parte pubblica , sia in base al principio della vicinanza della prova in quanto si discute di circostanze che coinvolgono direttamente la Amministrazione, che detiene la relativa documentazione, di difficile accesso per il contribuente Cass. 5 settembre 2014, n. 18758 Cass. 10 luglio 2013, n. 17044 Cass. giugno 2013, n. 14942 . E dunque non è consentito al giudice tributario attivare d’ufficio poteri istruttori. Questa considerazione determina il rigetto del motivo di ricorso in quanto la sentenza di merito accerta che l’Ufficio non ha dato alcun riscontro della qualità rivestita dal funzionario delegato . Si enunciano i seguenti principi di diritto In base all’art. 42 dpr 600/1973, l’avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. A seguito della evoluzione legislativa ed ordinamentale sono oggi impiegati della carriera direttiva ai sensi dell’art. 42 dpr 600/1973, art. 42, i funzionari della terza area di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005 art. 17 . E - in base al principio della tassatività delle cause di nullità degli atti tributali - non occorre, ai meri fini della validità dell’atto, che i funzionari deleganti e delegati possiedano la qualifica di dirigente, ancorché essa sia eventualmente richiesta da altre disposizioni. Ove il contribuente contesti - anche in forma generica - la legittimazione del funzionario che ha sottoscritto l’avviso di accertamento ad emanare l’atto art. 42 dpr 600/1972 , è onere della Amministrazione che ha immediato e facile accesso ai propri dati fornire la prova del possesso dei requisiti soggettivi indicati dalla legge, sia del delegante che del delegato, nonché della esistenza della delega in capo al delegato. Il primo motivo risulta così assorbito. Non vi è luogo a provvedere per le spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 21 ottobre – 9 novembre 2015, n. 22803 Presidente Cicala - Relatore Chindemi Fatto Con sentenza depositata il 30.5.2014 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia rigettava l’appello proposto dalla Motocar Service s.r.l. e dai soci F.C. e L.M. avverso la sentenza della CTP di Modena n. 186/2/13 che aveva confermato la legittimità degli avvisi di accertamento Iva e Irap, per l’anno 2005, con cui venivano ricostruiti indirettamente i ricavi e le operazioni imponibili ai fini Iva. Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale, confermando quanto affermato già nella sentenza di primo grado, con riferimento alla mancata sottoscrizione degli atti impugnati dal capo dell’ufficio o da altro impiegato direttivo da lui delegato che l’atto di accertamento di impugnazione risulta sottoscritto, su delega del direttore provinciale, dal capo area abilitato da ordini di servizio. Ritiene trattarsi di delega di firma e non di funzioni che consente al funzionario delegato di sottoscrivere l’avviso di accertamento per il direttore , non potendo, comunque, parlarsi di illegittimità in quanto il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Con riferimento alla mancata attivazione del contraddittorio rilevava trattarsi di mera facoltà e non di obbligo in base alla normativa vigente art. 32, comma 1 - punto 2 d.p.r. 600/73, e art. 51, comma 1, punto 2 d.p.r. 633/73. Riteneva, inoltre, corretto l’accertamento fondato su presunzioni semplici, ma gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 62 sexies D.L. 331/93, art. 62 sexies, avendo l’ufficio accertato gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta o dagli studi di settore. La società impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi a violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.p.r. 600/1973, in relazione all’art. 360 c.p.c., nullità dell’intero procedimento in quanto l’avviso di accertamento è privo della sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un dirigente da lui delegato, essendo inidonei a legittimare la sottoscrizione della dott.ssa P.M.G. n. 2 ordini di servizio in bianco , privi del nome specifico del funzionario delegato b vizio di motivazione, ex art. 350, n. 5, c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti omesso deposito di rituali delega e vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo, rilevando come l’ordine di servizio in bianco non fosse equiparabile a una rituale delega c violazione e falsa applicazione degli artt. 21 l. 241/91, 5, 6, 7, 10 e 12 l. 212/2000, 41, 47 e 48 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 10 l. 146/1998, in relazione all’art. 360, numero tre, c.p.c., per la mancata attivazione del preventivo contraddittorio, trattandosi di accertamento a tavolino d violazione e falsa applicazione degli artt. 62 sexies, D.L. 331/93, 39, comma 1, lett. D , 40 d.p.r. 600/73, 53 d.p.r. 633/73 25 D.lgs. 446/97, in relazione all’art. 360 numero tre, c.p.c., per a mancata attivazione del contraddittorio preventivo, b mancato controllo delle scritture contabili, c omessa valutazione di congruità e coerenza con gli studi di settore e violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma uno, lett. D d.p.r. 600/73, con riferimento all’art. 2727 c.comma sull’accertamento di maggiori ricavi, in relazione all’art. 360 numero tre, c.p.c., avendo erroneamente i giudici di merito valutata corretta la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’Ufficio sulla base di elementi indiziari, non in grado di supportare da soli un accertamento analitico -induttivo f violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cc e dei principi sull’onere della prova, in relazione all’art. 360 numero tre, c.p.c., mancando i requisiti di gravità precisione e concordanza al fine di stabilire il formarsi della presunzione semplice, non avendo l’ufficio adeguato gli studi di settore alla realtà operativa della società g violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. D , 40 d.p.r. 600/73, 54 d.p.r. 633/73 25 D.lgs. 446/97, in relazione all’art. 360 numero tre, c.p.c., con riferimento al metodo accertativo utilizzato dall’ufficio che non è quello analitico-induttivo bensì induttivo puro, con conseguente violazione del principio della motivazione dell’avviso di accertamento. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 21.10.2015, in cui il PG ha concluso come in epigrafe. Motivi della decisione 1. Sono parzialmente fondati ed assorbenti degli altri, i primi due motivi di ricorso esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Va preliminarmente rilevato che in base alla sentenza impugnata risulta contestata soltanto la mancanza di valida delega rilasciata dal capo dell’ufficio al funzionario firmatario del provvedimento mentre non risulta contestata la carenza di poteri del dirigente delegato. La società ricorrente, in violazione principio di autosufficienza, non ha allegato né riportato il capo del ricorso introduttivo davanti alla CTP in cui risulterebbe eccepita anche la carenza di poteri del funzionario delegato. Trattasi, quindi, di eccezione nuova non rilevabile d’ufficio nel giudizio di legittimità. Questa Corte ha già affermato che alla sanzione della nullità comminata dall’art. 42, comma tre, Dpr n. 600/1973, all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione, delle indicazioni e della motivazione di cui al precedente comma 2, o ad al quale non risulti allegata la documentazione non anteriormente conosciuta dal contribuente, al pari delle altre norme che prevedono analoghe ipotesi di nullità degli atti tributari nelle diverse discipline d’imposta, non è direttamente applicabile il regime normativo di diritto sostanziale e processuale dei vizi di nullità dell’atto amministrativo - che hanno trovato riconoscimento positivo nell’art. 21 septies della legge n. 241/1990, e sistemazione processuale nell’art. 31, comma quattro, del D.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, CPA nell’autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta a termine di decadenza, e nella attribuzione del potere di rilevazione ex officio da parte del Giudice amministrativo -, atteso che l’ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di species ad genus , potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando alla generale estensione del regime normativo di diritto amministrativo, la scelta operata dal Legislatore, nella sua piena discrezionalità politica, di ricomprende nella categoria unitaria della nullità tributaria indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui all’art. 21 D.lgs. n. 546/1992, in difetto del quale il provvedimento tributario - pure se affetto da vizio nullità - si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta. Consegue che si pone in oggettivo conflitto con il sistema normativo tributario l’affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo affetto da nullità , tale vizio possa comunque essere fatto valere per la prima volta dal contribuente con la impugnazione dell’atto consequenziale, ovvero che, emergendo il vizio dagli stessi atti processuali, possa, comunque, essere rilevato di ufficio dal Giudice tributario, anche in difetto di norma di legge che attribuisca espressamente tale potere . Cass. 18 settembre 2015 n. 18488 . È, inoltre, inammissibile il motivo di ricorso con il quale il contribuente contesta per la prima volta in Cassazione, senza aver presentato il motivo nel ricorso originario, davanti alla CTP, che la cartella è firmata da un incaricato con funzioni dirigenziali e non da un dirigente a seguito di concorso pubblico in quanto quand’anche si trattasse di argomenti deducibili, indipendentemente dalle preclusioni che regolano il rito tributario, essi sarebbero stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito in Cassazione, non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di fatto che costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti del contribuente, il cui onere di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque manifesto e imprescindibile” Cass. 20 ottobre 2015 n. 21307 . 2. Nel caso di specie non è oggetto di contestazione e risulta dalla sentenza impugnata che la delega, non rileva, per i rilievi che saranno formulati successivamente, di firma o di funzioni, non essendo stato riprodotto o allegato il relativo documento sia formalizzata attraverso un ordine di servizio in bianco . Ai sensi dell’art. 42 d.p.r. 600/73, gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato . Va, al riguardo, osservato come non appaia decisiva la modalità di attribuzione della delega che può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio, purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato. Non è sufficiente, in entrambe le tipologie di deleghe di firma o di funzione l’indicazione della sola qualifica professionale del dirigente destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alla generalità di chi effettivamente rivesta tale qualifica. Devono, quindi, ritenersi illegittime le deleghe impersonali , anche ratione officii , senza indicare nominalmente il soggetto delegato e tale illegittimità si riflette sulla nullità dell’atto impositivo. L’art. 4 bis D.L. 15.6.2015, n. 78, conv. in L. 125/2015, ancorché non applicabile alla fattispecie, tuttavia disciplina l’istituto della delega sancendo che la stessa sia nominativa, prevedendo che in relazione all’esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell’azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva con criteri oggettivi e trasparenti, a funzionari della terza area, con un’esperienza professionale di almeno cinque anni nell’area stessa, in numero non superiore a quello dei posti oggetto delle procedure concorsuali indette ai sensi del comma 1 e di quelle già bandite e non annullate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti, escluse le attribuzioni riservate ad essi per legge, tenendo conto della specificità della preparazione, dell’esperienza professionale e delle capacità richieste a seconda delle diverse tipologie di compiti, nonché della complessità gestionale e della rilevanza funzionale e organizzativa degli uffici interessati, per una durata non eccedente l’espletamento dei concorsi di cui al comma 1 e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2016 . Nel caso concreto non è contestato che il direttore provinciale abbia genericamente affidato e diversi capi ufficio e capi team della terza area la firma degli atti senza alcuna indicazione del nome del funzionario delegato. Trattasi, quindi di delega nulla in quanto, come già rilevato, priva del nominativo del dirigente delegato, non potendo la delega essere fatta per relationem con riferimento a un soggetto incerto, ben potendo i capi uffici o capi team al momento della delega non essere più tali al momento della sottoscrizione degli atti impositivi per trasferimento, pensionamento etc e non potendo essere sostituiti dei soggetti eventualmente subentranti neanche individuabili al momento del conferimento della delega a cui non può riconoscersi ultrattività con riferimento a possibili mutamenti di qualifica di soggetti individuati, al momento del conferimento della delega, solo per relazionem con riferimento all’incarico ricoperto. La ed delega in bianco , priva del nominativo soggetto delegato deve quindi essere considerata nulla non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l’atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell’atto. Vanno, conseguentemente accolti, nei limiti indicati, il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., accolto l’originario ricorso introduttivo e annullati gli avvisi di accertamento impugnati. L’evolversi della giurisprudenza in epoca successiva alla presentazione del ricorso costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese dell’ intero giudizio. P.Q.M. Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso introduttivo e annulla gli avvisi di accertamento impugnati. Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 21 ottobre – 9 novembre 2015, n. 22810 Presidente Cicala - Relatore Terrusi Svolgimento del processo Alla P& amp P di Pizzamiglio Federica e Sabrina s.n.c. venivano notificati in sequenza tre avvisi di accertamento, rispettivamente relativi agli anni 2005, 2006 e 2007, in quanto la società aveva assunto, attingendo a liste di mobilità, quattro dipendenti dirigente precedentemente licenziati da altra società collegata la PN di Pizzamiglio Nevio & amp C. S.n.C. . Secondo l’assunto dell’ufficio, vi era stata in tal modo l’indebita fruizione di agevolazioni contributive ex l. n. 223 del 1991, con conseguente omessa registrazione di proventi illeciti in violazione dell’art. 14, 4 comma, della l. n. 537 del 1993 ed esposizione di costi indeducibili ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis, della L. cit In forza di simili rilievi, puntualmente tratti da un verbale di constatazione della guardia di finanza, l’ufficio recuperava a tassazione maggiori redditi d’impresa che, con separati avvisi di accertamento, venivano imputati, ai fini dell’Irpef, alle due socie P.F. e S. . A queste veniva infine notificata l’iscrizione a ruolo dell’Irpef, con relative addizionali, interessi e sanzioni. Sia la società che le socie impugnavano gli avvisi di accertamento. Le socie impugnavano altresì le cartelle. Radicatosi il contraddittorio, l’adita commissione tributaria provinciale di Udine, dopo aver riunito tutti i ricorsi, così decideva a accoglieva i ricorsi relativi all’annualità 2005 limitatamente ai costi per il personale dipendente, ritenendo codesti non direttamente connessi ai reati che erano stati contestati alle contribuenti ex artt. 640 e 483 cod. pen., e, quindi, comunque deducibili ai sensi del sopravvenuto d.l. n. 16 del 2012 art. 8 , conv. con mod. in l. n. 44 del 2012 b dichiarava inammissibili, perché tardivi, i ricorsi contro gli avvisi di accertamento relativi alle annualità 2006 e 2007 c dichiarava inammissibili, per mancata instaurazione del previo tentativo di mediazione, i ricorsi avverso l’iscrizione a ruolo relativa all’anno 2007 d respingeva i ricorsi avverso l’iscrizione a ruolo relativa all’annualità 2006, atteso il corretto utilizzo del ruolo a titolo definitivo. L’appello delle contribuenti veniva accolto dalla commissione tributaria regionale del Friuli in relazione alle doglianze sollevate rispetto all’annualità 2005. Ad avviso della commissione tributaria regionale i contributi non versati non avevano originato, in capo alla società, un arricchimento tassabile ai sensi dell’art. 14, 4 coma, della l. n. 537 del 1993, giacché non vi era stata percezione di un provento derivante da attività illecita ma semplicemente un minor versamento contributivo. L’appello veniva invece rigettato nelle residue parti, in quanto nessuna prova era stata fornita in ordine all’avvenuta rituale presentazione dell’istanza di accertamento con adesione ai fini della sospensione del termine di impugnazione degli atti tributari, e in quanto l’inammissibilità dei ricorsi in rapporto a quegli atti aveva avuto come conseguenza l’impossibilità di una ulteriore applicazione retroattiva, a questi, della novella di cui al d.l. n. 16 del 2012. Per la cassazione della sentenza d’appello, depositata il 10-11-2014 e non notificata, le parti contribuenti società e soci hanno proposto ricorso sorretto da quattro motivi. L’amministrazione ha replicato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria. Motivi della decisione 1. - Col primo motivo di ricorso è dedotta la nullità dei gradi del giudizio di merito e delle relative pronunce in dipendenza della sentenza n. 37 del 2015 della corte costituzionale. Parte ricorrente lamenta non esser stato rilevato dal giudice del merito che tutti gli atti tributari e tutti i conseguenti atti processuali, riferibili alla direzione provinciale di Udine dell’agenzia delle entrate, erano stati sottoscritti da un funzionario delegato da soggetto carente di potere. Il direttore provinciale di Udine, delegante, aveva assunto la posizione dirigenziale senza aver superato le procedure di accesso alla dirigenza necessarie per legge. E questo doveva riflettersi, escludendola, sulla potestà di sottoscrizione di qualsivoglia atto tributario, tenuto conto di quanto statuito, appunto, dalla citata sentenza della corte costituzionale, in ordine all’aggiramento della regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso artt. 3 e 97 cost. . 2. - Il motivo di ricorso è inammissibile per due concorrenti ragioni. La prima è che per le ipotesi di nullità dell’atto tributario, di qualsiasi natura esse siano, compresa, quindi, quella di cui all’art. 42, 3 comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, opera il principio generale di conversione in mezzi di gravame. Le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione ex aliis v., recentissima, Sez. 5^ n. 18448-15 . La conversione delle ipotesi di nullità in mezzi di gravame avverso l’atto fiscale è una conseguenza della struttura impugnatoria del processo tributario, che vede la contestazione della pretesa fiscale suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto che la esprime. Il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado cfr. per tutte Sez. 5^ n. 25756-14 . Nel caso di specie è pacifico che la nullità, qui prospettata dalla parte ricorrente, non era stata eccepita quale motivo di ricorso avverso gli avvisi di accertamento, sicché ogni indagine sulla stessa è oggi preclusa. La seconda ragione che rende inammissibile l’odierna censura è che essa è del tutto generica con riguardo al presupposto di fatto, costituito della ipotetica deficitaria situazione personale del capo dell’ufficio tributario che aveva emesso la delega. È sufficiente osservare che l’eccepito aggiramento della regola costituzionale di accesso alla carriera dirigenziale quanto a quel soggetto, per aver rivestito la qualifica senza superamento delle legittime procedure, non risulta affatto dall’impugnata sentenza, né è evidenziata in termini di autosufficienza nel ricorso per cassazione. Il quale ricorso non documenta neppure se la parte ricorrente abbia mai invitato l’amministrazione a dichiarare quale fosse la qualifica del soggetto delegante e/o del soggetto firmatario dell’atto fiscale, in modo da potersi in qualche misura apprezzare che sia mai stato in effetti posto in dubbio quanto meno il possesso, nel primo o nel secondo, della qualifica funzionale. Su tale punto il ricorso non assolve il fine di autosufficienza, per cui il primo motivo va dichiarato inammissibile. 3. - Nonostante l’inammissibilità, la corte reputa di affrontare egualmente la sottostante questione giuridica nell’ottica di cui all’art. 363 cod. proc. civ., giacché la questione si presenta di particolare importanza avendo determinato, con ampio risalto mediatico, caotiche interpretazioni in sede di merito. 4. - Il nodo interpretativo riguarda specificamente la sorte degli atti tributari sottoscritti da soggetti - capi di ufficio o delegati - la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente in relazione alla sopravvenuta sentenza n. 37 del 2015 della corte costituzionale. Questa sentenza ha sancito a in via principale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, 24 comma, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento , convertito, con modificazioni, dall’art. 1, 1 comma, della legge 26 aprile 2012, n. 44 b ai sensi dell’art. 27, della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, 14 comma, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative , convertito, con modificazioni, dall’art. 1, 1 comma, della legge 27 febbraio 2014, n. 15 c ancora ai sensi dell’art. 27, della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, 8 comma, del decerto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative . Sinteticamente, la ragione della declaratoria di incostituzionalità è stata ancorata al fatto che, in relazione al personale delle agenzie fiscali aa l’art. 8, 24 comma, del d.l. n. 16 del 2012, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di assegnazioni asseritamente temporanee di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica, in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 cost. bb le ricordate proroghe di termini hanno a loro volta fatto corpo con la norma anzidetta producendo unitamente a essa gli effetti lesivi, e anzi aggravandoli, così da non sottrarsi alla declaratoria di illegittimità costituzionale in estensione. 5. - Tanto premesso, una tesi ha affermato - non senza contrasti - che la declaratoria di illegittimità costituzionale suddetta avrebbe l’effetto di travolgere gli atti tributari anteriormente sottoscritti da soggetti che non abbiano conseguito la qualifica dirigenziale in conformità alla legge, ovvero da soggetti comunque delegati da quelli. La ragione sarebbe da rinvenire nell’art. 42, 1 e 3 comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, atteso che questa norma prevede, da un lato, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, dall’altro, che l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione di cui al presente articolo . La tesi si fonda sulla considerazione che, ai fini della valida sottoscrizione dell’atto impositivo, non sarebbe sufficiente la posizione di capo dell’ufficio in chi ha sottoscritto l’atto ovvero ha conferito la delega, occorrendo altresì la qualifica dirigenziale di quel soggetto. E, a scanso di equivoci, è da puntualizzare che le questioni dell’esistenza del potere di firma del soggetto preposto e/o della esistenza e della validità della delega conferita all’eventuale soggetto sottoposto possono certamente essere contestate e verificate in sede giurisdizionale tributaria, implicando l’indagine e l’accertamento sul tema un controllo, non sull’organizzazione interna della p.a., ma sulla legittimità dell’esercizio della funzione amministrativa prevista a pena di nullità quanto agli atti integranti la relativa estrinsecazione. 6. - Tuttavia il dianzi sottolineato presupposto dell’affermazione - vale a dire che, ai fini della valida sottoscrizione di un atto impositivo, sarebbe necessario in chi ha sottoscritto l’atto ovvero ha conferito la delega il possesso di una qualifica dirigenziale - non è giustificato dal dato normativo, e dunque non è corretto. Difatti il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, 1 comma, si limita - come s’è visto - a prevedere che gli avvisi, con cui sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio, sono sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato , senza richiedere che il capo dell’ufficio abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale. La norma, contestualmente prevedendo l’ipotesi di nullità, individua cioè nel capo dell’ufficio, per il solo fatto di essere stato nominato tale, l’agente capace di manifestare la volontà dell’amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna. In tal modo identifica quale debba essere in definitiva la professionalità per legge idonea a emettere atti suscettibili di produrre i previsti effetti nella sfera giuridica del destinatario. 7. - Tale conclusione, per quanto esplicitamente sostenuta in un solo precedente v. Sez. 5^ n. 18515-10 , può considerarsi del tutto pacifica nella giurisprudenza della corte di riflesso a quanto affermato a proposito della validità della delega a funzionario, quale il direttore tributario di nona qualifica funzionale poi divenuta l’area C di cui all’art. 20, 1 comma, lett. d del d.P.R. n. 266 del 1987, sottoscrivente l’atto senza essere titolare dell’ufficio v. Sez. 6^ - 5 n. 17400-12, cui adde Sez. 5^ n. 14626-00 nonché, di recente, anche per il connesso profilo dell’onere della prova, incombente all’amministrazione, in ordine al corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o alla presenza della delega del titolare dell’ufficio, Sez. 5^ n. 14942-13, n. 17044-13, n. 18758-14 . Alla suddetta pacifica affermazione di principio va associato un argomento logico-letterale la cui rilevanza appare innegabile per la soluzione del problema in esame se, in base alla norma di cui all’art. 42, 1 comma, l’atto impositivo può essere sottoscritto anche da un altro impiegato della carriera direttiva delegato dal capo dell’ufficio, e se tale altro impiegato può essere un funzionario di area direttiva non dirigenziale appunto l’impiegato ex nono livello , per proprietà transitiva è logico desumere che la medesima qualifica di semplice impiegato della carriera direttiva vale a identificare, in base alla stessa norma di legge, la posizione del capo dell’ufficio delegante posizione in tal misura necessaria ma anche sufficiente ai fini specifici della validità degli atti. La conclusione è in simile prospettiva direttamente evincibile dal testo dell’art. 42, 1 comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in cui l’utilizzo dell’espressione altro non può essere privata di significato al fine di individuare il precetto sottostante. Essa vale a stabilire che la legge consente che anche il capo dell’ufficio sia, al pari del delegato, e al fine di legittimamente sottoscrivere gli avvisi di accertamento, un semplice impiegato della carriera direttiva. Né la norma si presta a un’interpretazione diversa da quella letterale. Merita di essere sottolineato che l’espressione impiegato della carriera direttiva è stata coniata in un contesto ordinamentale complessivo che già conosceva le qualifiche funzionali della dirigenza pubblica al punto da doversi considerare utilizzata dal legislatore a proposito, in senso non evocativo - cioè - di un requisito specifico qual è quello inerente al non richiamato possesso della qualifica dirigenziale . Giova qui rammentare che nelle amministrazioni statali la figura del dirigente - antesignana di quella attualmente prevista dal d.lgs. n. 165 del 2001 - è stata introdotta per la prima volta col d.P.R. n. 748 del 1972, cui si deve la creazione della nuova carriera dirigenziale scissa da quella semplicemente direttiva prevista dall’anteriore d.P.R. n. 3 del 1957. La già avvenuta introduzione nel comparto dei ministeri della nuova figura dotata di attribuzioni proprie, direttamente conferite dalla legge, oltre tutto articolata in tre qualifiche di ordine ascendente primo dirigente, dirigente superiore e dirigente generale , induce a sottolineare che se a tale figura il legislatore tributario del 1973 avesse inteso riferirsi nella determinazione del soggetto avente titolo rappresentativo dell’amministrazione quanto agli avvisi di accertamento, e addirittura a pena di nullità degli avvisi diversamente sottoscritti, lo avrebbe fatto redigendo il precetto in termini specifici e coerenti con una tale volontà. Tutto ciò conferma che, sotto la sanzione di nullità degli atti, compete al titolare dell’ufficio, quale organo deputato a svolgerne le mansioni fondamentali, ovvero a un altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato , la funzione di sottoscrivere gli avvisi con i quali sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti, indipendentemente dal ruolo dirigenziale eventualmente ricoperto. 8. - In qualche caso si è detto che l’appartenenza al ruolo dirigenziale sarebbe stata prevista per implicito dal regolamento interno di amministrazione dell’agenzia delle entrate approvato con la delibera del comitato direttivo n. 4 del 22-4-2000. Ma questo dato non possiede alcuna rilevanza, atteso che tale regolamento esaurisce i propri effetti nell’ambito del rapporto di impiego o di servizio tra il suddetto funzionario e l’amministrazione. Così come non supera consimili confini - e dunque non rileva esso pure in senso contrario all’art. 42, 1 e 3 comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, o comunque in senso integrativo o correttivo - il d.lgs. n. 165 del 2001 che, agli artt. 17 e segg., ha ridefinito, come già si è anticipato, l’ambito delle competenze e delle funzioni della c.d. carriera dirigenziale. Anche in tal caso si tratta di norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche , e dunque di norme sì di rango paritario rispetto all’art. 42, del d.P.R. n. 600 del 1973, ma non interferenti col regime di validità degli atti - solo da tale norma derivante - costituenti estrinsecazione della funzione amministrativa di dettaglio. L’autonoma valenza riconosciuta al ripetuto art. 42 trova conforto, ai fini specifici, nella costante affermazione giurisprudenziale secondo cui va esclusa, in materia tributaria, l’applicazione del principio desumibile dall’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, secondo il quale è in sé invalido l’atto amministrativo emanato in violazione di una norma di legge. Sicché la nullità, di cui è dato discutere nella presente sede, è soltanto quella rigidamente circoscritta dai limiti dell’art. 42 citato, rispetto alla quale non assume rilievo l’eventuale illegittimità del conferimento d’incarico finanche temporaneo al capo dell’ufficio siccome avvenuto in dipendenza di una norma regolamentare illegittima o, per quanto rileva, di una norma di legge dichiarata incostituzionale. 9. - Quanto esposto in ordine alla corretta esegesi dell’art. 42, del d.P.R. n. 600 del 1973, costituisce del resto un corollario del principio generale che presidia l’attività amministrativa di accertamento fiscale, rispondente a peculiari esigenze di stabilità e di continuità. La ratio della previsione normativa ex art. 42 cit., appare intesa così a circoscrivere, per quanto possibile, le fasi di interruzione dell’azione amministrativa di accertamento, coincidenti, per esempio, con la durata di espletamento di concorsi per l’attribuzione di qualifiche dirigenziali, tenuto conto del fatto che, in ambito fiscale come in altri di rilevanza essenziale per l’ordinamento, la celerità dell’azione amministrativa coincide con l’efficienza, ed è presidiata da altrettante norme costituzionali art. 53 e 97 cost. . Poiché allora il 3 comma dell’art. 42, postula l’esistenza del vizio invalidante in relazione al non essere l’atto fiscale proveniente da chi abbia titolo per agire in nome e per conto dell’amministrazione, e poiché colui che vanta, in base al 1 comma della norma, questo titolo è il funzionario di carriera direttiva che sia stato messo a capo dell’ufficio ovvero che sia stato da questi appositamente delegato, non anche il funzionario avente qualifica dirigenziale, la conseguenza è che rimane irrilevante, ai fini specifici, la sopravvenuta decisione n. 37 del 2015 della corte costituzionale. La decisione invero non può incidere sulla validità degli atti tributari perché diverso è il suo oggetto. La sentenza riguarda il solo aspetto attinente all’art. 8. 24 comma, del d.l. n. 16 del 2012, convertito con mod. nella l. n. 44 del 2012, dichiarato illegittimo per il fatto di consentire alle amministrazioni finanziarie l’attribuzione di incarichi dirigenziali a propri funzionari fino all’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, con salvezza degli incarichi già conferiti norma che unitamente alle disposizioni di proroga è stata ritenuta in violazione degli artt. 3, 51 e 97 cost., per aver contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di assegnazioni asseritamente temporanee di mansioni superiori, senza copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Tuttavia i due aspetti - quello della dirigenza e quello della validità degli atti anteriormente sottoscritti da impiegati della carriera direttiva, preposti agli uffici finanziari o delegati - non sono, per quanto esposto, in modo alcuno confondibili, non essendo previsto che gli avvisi di accertamento promanino, per essere imputabili all’amministrazione finanziaria, da soggetti aventi qualifiche dirigenziali. Cosicché non è utile ai fini specifici insistere oltre, circa la portata retroattiva ordinariamente ascrivibile alla citata declaratoria di incostituzionalità, per il semplice fatto che quella declaratoria resta irrilevante quanto alla soluzione del problema in esame. La richiamata pronuncia n. 37 del 2015 riguarda il profilo involto dalla norma consentanea all’attribuzione degli incarichi dirigenziali senza concorso. Dunque non supera, sul piano effettuale, i confini del rapporto interno di impiego o di servizio tra l’amministrazione e il personale direttivo, e non attinge la sorte degli atti, rispetto ai quali rileva in modo autosufficiente solo l’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in rapporto alla disciplina del quale devesi stabilire se la volontà dell’ente sia stata validamente manifestata dal soggetto che, indipendentemente dalla qualifica dirigenziale, legittimamente rivestiva la funzione da esso articolo considerata. 10. - Possono in conclusione essere affermati nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., i seguenti principi di diritto In ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato , senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni. In esito alla evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma appena evocata, i funzionari di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali fissato per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma sopra citata individua l’agente capace di manifestare la volontà della amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti. Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari delegati o deleganti possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi dell’art. 42, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, 24 comma, del d.l. n. 16 del 2012 . 11. - È ora possibile passare all’esame dei restanti motivi di ricorso. Col secondo motivo le ricorrenti deducono la nullità del giudizio d’appello e della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., e dell’art. 57, del d.lgs. n. 546 del 1992. Lamentano che nel corso del giudizio di merito non era stata eccepita dall’ufficio la mancata notifica delle istanze di accertamento con adesione che la parte aveva prodotto in copia in allegato alle proprie memorie difensive. Sicché, non avendo l’ufficio contestato il contenuto dei documenti prodotti, né affermato di non conoscerli o di non averli ricevuti, salvo che con le controdeduzioni in appello, e dunque salvo che mediante introduzione di una nuova eccezione inammissibile ai sensi dell’art. 57, del d.lgs. n. 546 del 1992, la commissione tributaria regionale non avrebbe potuto considerare a sua volta inammissibili i ricorsi in relazione all’infruttuoso decorso del termine di sessanta giorni. 12. - Il motivo è infondato. Nel processo tributario il divieto di proporre nuove eccezioni in grado di appello riguarda unicamente le eccezioni non rilevabili d’ufficio, cioè quelle espressamente qualificate come tali dalla legge, ovvero per la cui formulazione la legge esige una esplicita manifestazione di volontà della parte cfr. per varie applicazioni, Sez. 5^ n. 23592-12 n. 9610-12 . Non riguarda invece le questioni processuali attinenti alla tempestività dell’azione di impugnativa avverso gli atti tributari, che il giudice può e deve verificare d’ufficio salvo che non si sia formato un giudicato interno ostativo. Rispetto a tali questioni, il rilievo di parte rappresenta una mera difesa. Nel caso di specie, già la commissione tributaria provinciale aveva rilevato l’intempestività dei ricorsi avverso gli atti impositivi riguardanti le annualità 2006 e 2007, e la statuizione era stata impugnata dalle parti contribuenti sul rilievo dell’operatività della sospensione ex art. 6, 3 comma, del d.lgs. n. 218 del 1997. La commissione tributaria regionale, rispondendo alla censura, ha osservato che la sospensione invocata dagli appellanti non poteva operare in quanto le istanze di accertamento con adesione non erano state notificate all’ufficio, così come desumibile dagli atti privi di ricevute di deposito prodotti in giudizio dalle stesse parti contribuenti. La circostanza della non avvenuta presentazione delle istanze di adesione risulta pertanto esser stata oggetto di un apprezzamento di merito, nel contesto valutativo della prova documentale. Non può utilmente invocarsi, in contrario, il principio di non contestazione. La censura trae argomento dal non avere l’ufficio appunto contestato, nel giudizio di primo grado, la rilevanza dei documenti prodotti dalla parte. Ma può osservarsi che la contestazione era in re ipsa, giacché proprio in ragione della tardività delle impugnazioni degli avvisi di accertamento l’ufficio, come dalla sentenza risulta, aveva provveduto a iscrivere a ruolo, a titolo definitivo, gli importi pretesi. 13. - Col terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, 1 e 3 comma, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con mod. in l. n. 44 del 2012, giacché, in conseguenza di quanto esposto nell’ambito del secondo motivo, e in ogni caso in ragione della corretta esegesi del regime transitorio di cui alla norma appena citata, non potevasi ritenere esistente, rispetto all’applicazione retroattiva della disciplina di favore, il limite della definitività degli atti tributari emessi in base alla normativa precedente. Il motivo è infondato. La commissione tributaria regionale ha negato validità alla tesi dei contribuenti volta ad affermare la necessità di un’applicazione retroattiva della disciplina introdotta dall’art. 8, del d.l. n. 16 del 2012, agli atti impositivi concernenti le annualità 2006 e 2007, per quanto attiene alla deduzione dei costi e delle spese riconducibili ad attività illecite. Lo ha fatto rilevando che l’infruttuosa scadenza del termine di cui all’art. 21, 1 comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, aveva segnato la definitività degli atti in questione in data anteriore all’entrata in vigore del citato D.L., con consequenziale esaurimento del rapporto sostanziale sottostante e impossibilità di un’estensione retroattiva degli effetti della modifica normativa sopravvenuta. La tesi è giuridicamente corretta in quanto l’art. 8, 3 comma, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito dispone, per quanto di interesse, che Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4 bis, dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4 bis, previgente non si siano resi definitivi . È pacifico, in base a quanto accertato prioritariamente dal giudice del merito a seguito di statuizione non correttamente censurata mediante il dianzi esaminato secondo motivo di ricorso, e dunque costituente giudicato interno, che gli atti impositivi di cui trattasi non erano stati impugnati nel termine di legge, così da essersi resi, appunto, definitivi. 14. - I ricorrenti oppongono che l’applicazione retroattiva, dettata dalla norma transitoria ex art. 8, 3 comma, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito doveva trovare come limite un diverso concetto di definitività dell’atto, giacché tale non era da intendere l’atto per il quale il contribuente si fosse avvalso degli istituti definitori di cui al d.lgs. n. 218 del 1997, oppure l’atto per il quale il termine di impugnazione fosse pendente, oppure ancora l’atto in relazione al quale la sentenza non fosse ancora passata in giudicato. In ragione di tale ultima condizione i ricorrenti assumono che erroneamente il giudice d’appello abbia negato il fondamento della invocata applicazione retroattiva del regime sopravvenuto. In contrario deve osservarsi che la tesi muove da una lettura di comodo della circolare n. 32/E del 3-8-2012 dell’agenzia delle entrate, appositamente citata e nella quale trovasi trascritto un inciso di eguale tenore. Il significato di quell’inciso è affatto diverso, giacché a escludere la definitività dell’atto fiscale è necessaria non l’impugnazione purchessia, sebbene l’impugnazione tempestiva. Solo in tal caso l’atto è destinato a essere assorbito nella e sostituto dalla statuizione giudiziale, in quanto, come da questa corte più volte affermato, anche a sezioni unite v. sez. un. n. 25790-09 , la sentenza del giudice tributario, che definisca il giudizio di impugnazione - merito, opera in funzione sostitutiva dell’atto amministrativo tributario v. Sez. 5 n. 26157 - 13, n. 6918-13, n. 13034-12 . La decorrenza infruttuosa del termine per impugnare rende invece definitivo l’atto fiscale in sé e per sé. Laddove l’impugnazione sia proposta fuori termine, la definitività è proprio quella dell’atto, nel senso che l’obbligazione tributaria si consolida prima e indipendentemente dalla sentenza, la cui funzione è solo dichiarativa dell’inammissibilità dell’impugnazione. In questi casi ciò che si esegue è l’atto, perché l’atto, e non la sentenza, cristallizza gli elementi costitutivi dell’obbligazione. È inconferente evocare in contrario l’insegnamento di Sez. un. n. 643-15. Questa sentenza, da un lato, non attiene al tema, sebbene al profilo della individuazione della lite pendente in vista della definizione agevolata a mezzo condono, e, dall’altro, supporta - anziché contraddire - il principio sopra esposto, essendo stato anche in quell’occasione dalle sezioni unite ritenuto necessario, onde stabilire la pendenza della lite condonabile, il riscontro di un’iniziativa giudiziaria del contribuente comunque idonea a consentire il sindacato sul provvedimento impositivo. 15. - Col quarto motivo di ricorso è infine dedotta la nullità del giudizio d’appello e della sentenza per violazione degli artt. 17 bis e 19, del d.lgs. n. 546 del 1992, considerato che la partita di ruolo , mentovata dalla commissione tributaria regionale in ordine alla inammissibilità dei ricorsi relativi alle iscrizioni a ruolo dell’anno 2007, non imponeva l’attivazione del reclamo-mediazione non costituendo atto impugnabile dinanzi al giudice tributario. Il motivo - in sé scarsamente comprensibile quanto alla tesi affermata - non è in ogni caso pertinente alla statuizione. La sentenza d’appello è, nel punto che interessa, incentrata sulla specifica duplice ratio secondo la quale la mancata attivazione della procedura di mediazione di cui all’art. 17 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, aveva comportato l’inammissibilità del gravame e la tardiva instaurazione del giudizio aveva giustificato l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo. Tale ratio, indipendentemente da ogni distinta considerazione, non è stata censurata. 16. - Il ricorso è rigettato. Spese alla soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.