L’essersi avvalso delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria non impedisce il rimborso IRAP

Non è assoggettabile all’imposta regionale sulle attività produttive il professionista che si avvale di una segreteria la quale è di mero ausilio per lo svolgimento dell’attività. L’essersi avvalso delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria, unitamente all’avere utilizzato i locali e gli altri beni strumentali necessari, non realizza quel quid pluris richiesto ai fini IRAP.

Tale assunto è stato statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26991 del 19 dicembre 2014. La vicenda. Il fisco ha disconosciuto il rimborso IRAP ad un contribuente che si era avvalso, nell’esercizio della professione medica, delle prestazioni di una segreteria. Il giudice del gravame ha accolto le doglianze del professionista, medico di medicina generale convenzionato con il SSN, poiché l’essersi avvalso delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria, unitamente all’avere utilizzato i locali e gli altri beni strumentali necessari, non realizza quel quid pluris richiesto ai fini IRAP . Gli Ermellini hanno confermato le conclusioni del giudice di secondo grado sulla base delle seguenti articolate argomentazioni • Ai fini dell’assoggettabilità all’IRAP del professionista con dipendenti, occorre verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea a integrare, in concorso con altri fattori, un contesto organizzativo esterno rispetto all'operato del professionista ossia, per il suo contenuto, o anche soltanto per la sua rilevanza quantitativa, fornisca al medesimo un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività , oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di svolgimento. • Tale verifica, inoltre, deve essere condotta alla stregua del medesimo criterio già formalizzato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all'impiego di beni strumentali, ossia il criterio dell'eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo l' id quod plerumque accidit . Si tratta cioè di accertare, caso per caso, se l'apporto del lavoro altrui ecceda l'ausilio minimo indispensabile, secondo l' id quod plerumque accidit , per lo svolgimento di una determinata attività professionale. • Pertanto, - premesso che, in linea astratta, non può affermarsi che l’apporto fornito all’attività di un professionista dall’utilizzo di prestazioni segretariali costituisca di per sé, a prescindere da qualunque analisi qualitativa e quantitativa di tali prestazioni, un indice indefettibile della presenza di un’autonoma organizzazione, dovendosi al contrario ritenere che l’apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, mentre il medico visita il paziente o l’avocato riceve il cliente, rientra, secondo l' id quod plerumque accidit , nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale – compete al giudice di merito apprezzare, con un giudizio di fatto, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni segretariali di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale. Conclusioni. E’ necessario verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea a integrare, in concorso con altri fattori, un contesto organizzativo esterno rispetto all’operato del professionista ossia, per il suo contenuto fornisca un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività , oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale verifica, inoltre, deve essere condotta alla stregua del medesimo criterio già formalizzato dalla Corte di Cassazione con riferimento all’impiego di beni strumentali, ossia il criterio dell’ eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo l’ id quod plerumque accidit . Si tratta, cioè, di accertare, caso per caso, se l’apporto del lavoro altrui ecceda l’ausilio minimo indispensabile. La presenza di una segretaria presso l'avvocato o un medico non integra l’autonoma organizzazione quando la prestazione si concretizzi semplicemente nell'aprire la porta e rispondere al telefono Il professionista che ha assunto dei dipendenti non paga l’IRAP se riceve solo un mero aiuto allo svolgimento della sua attività e cioè se l’apporto del lavoro altrui non eccede il minimo indispensabile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, sentenza 4 – 19 dicembre 2014, n. 26991 Presidente Cicala – Relatore Cosentino Svolgimento del processo L’ Agenzia delle Entrate ricorre contro il dott. L.R., medico di medicina generale convenzionato con il servizio Sanitario Nazionale, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha affermato il diritto del contribuente al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2004/2007 ad eccezione del versato a titolo di primo acconto 2004, in ragione della maturata decadenza , ritenendo che non ricorresse il presupposto impositivo in quanto essersi avvalso delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria, unitamente all'avere utilizzato i locali e gli altri beni strumentali necessari, non realizza quel quid pluris richiesto ai fini IRAP . Il ricorso si fonda su un solo motivo, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 D.Lgs. n. 446/1997 art. 360, n. 3, cpc , censurandosi la sentenza gravata per aver escluso che nella specie ricorresse il presupposto impositivo IRAP, nonostante che il contribuente si avvalesse, nell'esercizio della propria attività, di una lavoratrice addetta alla segreteria. II contribuente non si è costituito in sede di legittimità. La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 4 dicembre 2014, per la quale non sono state depositate memorie. Motivi della decisione E’ opportuno premettere che, in tema di IRAP, l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall'impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il significato della nozione di autonoma organizzazione - introdotta nella disciplina dell’IRAP dalla modifica dell’articolo 2 D.Lgs. 446/97 recata dall’articolo 1 D.Lgs. 137/98 - è stata individuata dalla Sezione Tributaria di questa Corte, a partire dalle sentenze n. 3672, 3673, 3674, 3675, 36736, 73677, 3678, 3679 e 3680 del 16 febbraio 2007, secondo un duplice approccio. In primo luogo, di tale nozione è stata fornita una definizione astratta, secondo formule variamente modulate, di cui conviene qui riportare quelle più significative organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente non, quindi, un mero ausilio della attività personale, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dalla applicazione dell'IRAP sent. 3672/07 un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall'aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui sent 3673/07 un contesto organizzativo esterno anche minimo, derivante dall'impiego di capitali e/o di lavoro altrui, che potenzi l’attività intellettuale del singolo vale a dire, una struttura riferibile alla combinazione di fattori produttivi, funzionale all'attività del titolare sent. 3675/07 - uno o più elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità ovverosia un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista sent. 3676/07 una struttura organizzativa esterna del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how. 3678/07 In secondo luogo, le suddette formule astratte sono state riempite di significato concreto con un approccio empirico-induttivo, vale a dire mediante l’indicazione di talune circostanze di fatto valutate come di per se stesse idonee a manifestare la sussistenza del requisito impositivo dell’autonoma organizzazione. Tali circostanze sono state individuate, in numerosissime pronunce della Sezione Tributaria, confermate anche dalle Sezioni Unite sentt. 12108 e 12111 del 26.5.09 , nel fatto che il contribuente non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse sia, cioè, il responsabile dell'organizzazione e nel fatto che il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit , costituiscono nell'attualità il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività anche in assenza di organizzazione, o, alternativamente, si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Nelle citate sentenze del 16 febbraio 2007 si è peraltro precisato che l'accertamento in concreto del requisito dell'autonoma organizzazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Così sintetizzati gli approdi ermeneutici raggiunti da questa Corte, può osservarsi che - mentre la definizione astratta della nozione normativa di autonoma organizzazione costituisce il risultato dell’ individuazione del significato precettivo dell’articolo 2 D.Lgs. 446/97 offerto dalla Corte nell’esercizio della propria funzione nomofilattica - l'enumerazione dei fatti indice sopra menzionati si risolve nella definizione di criteri empirici volti ad orientare un accertamento in fatto che comunque pertiene al giudice di merito. Infatti, come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 156/01, l’accertamento degli elementi di organizzazione in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto . Tanto premesso, ritiene il Collegio che, ferma restando la definizione normativa di autonoma organizzazione scolpita nelle formulazioni sopra riportate, il fatto indice costituito dall’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui non possa essere considerato di per sé solo - secondo un giudizio aprioristico che prescinda da qualunque valutazione di contesto e da qualunque apprezzamento di fatto in ordine al contenuto ed alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa - manifestazione indefettibile della sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione. Proprio dalla natura reale, e non personale, dell’imposta - sottolineata nella sentenza C. cost. n. 156/01, laddove si evidenzia che la stessa colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate - discende infatti che la nozione di autonoma organizzazione si definisce, come emerge dagli stralci giurisprudenziali sopra trascritti, in termini di contesto organizzativo esterno , diverso ed ulteriore rispetto al mero ausilio della attività personale e costitutivo di un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista. In questa prospettiva, è allora necessario verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea ad integrare, in concorso con altri fattori, un contesto organizzativo esterno rispetto all’operato del professionista ossia, per il suo contenuto, o anche soltanto per la sua rilevanza quantitativa, fornisca al medesimo un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività , oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale verifica, deve aggiungersi, deve essere condotta alla stregua del medesimo criterio già formalizzato dalla Corte con riferimento all'impiego di beni strumentali, ossia il criterio dell’ eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo l'id quod plerumque accidit. Si tratta, cioè, di accertare, caso per caso, se l’apporto del lavoro altrui ecceda l’ausilio minimo indispensabile, secondo l’id quod plerumque accidit, per lo svolgimento di una determinate attività professionale. Tale accertamento compete al giudice di merito e si risolve in una valutazione - censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio motivazionale di cui al numero 5 dell’articolo 360 cpc - di natura non soltanto logica, ma anche socio-economica, secondo il comune sentire, del quale, come persuasivamente sottolineato nella motivazione di Cass. n. 3677/07, proprio il giudice di merito è portatore ed interprete. Alla stregua delle considerazioni che precedono non può quindi condividersi l’assunto - sul quale si fonda il ricorso della difesa erariale - secondo cui incorrerebbe nel vizio di violazione di legge art. 2 D.Lgs. 446/97 la negazione del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in capo ad un medico di medicina generale convenzionato con il servizio sanitario nazionale che si avvalga delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria . Come infatti questa Corte ha già avuto modo di precisare nella sentenza n. 22024/13, l'automatica sottopozione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate, vanificherebbe l'affermazione di principio desunta dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l'IRAP divenga una probabilmente incostituzionale tassa sui redditi dì lavoro autonomo Pertanto - premesso che, in linea astratta, non può affermarsi che l’apporto fornito al l’attività di un professionista dall’utilizzo di prestazioni segretariali costituisca di per se stesso, a prescindere da qualunque analisi qualitativa c quantitativa di tali prestazioni, un indice indefettibile della presenza di un’autonoma organizzazione, dovendosi al contrario ritenere che l’apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, mentre il medico visita il paziente o l’avvocato riceve il cliente, rientri, secondo l’id quod plerumque accidit, nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale - compete al giudice di merito apprezzare, con un giudizio di fatto, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni segretariali di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale. Nella specie, il giudizio di fatto espresso nella sentenza gravata nel brano trascritto in narrativa non è stato censurato sotto il profilo del vizio di motivazione e, pertanto, il ricorso va rigettato. Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di costituzione dell’intimato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.