Dichiarazione omessa? Sì alle presunzioni supersemplici

Nel caso in cui non sia stata presentata la dichiarazione annuale, l’ufficio procedente può determinare imponibile e aliquota sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, avvalendosi cioè delle c.d. presunzioni supersemplici.

Il caso. Una società di capitali impugnava gli avvisi di accertamento con i quali era stata accertata una maggiore IVA dovuta per i periodi di imposta 1988, 1990, 1991 e 1992. La rettifica si basava su due rilievi 1 per i periodi di imposta 1988 1992 in relazione ai quali non era stata presentata la dichiarazione Iva, il volume di affari era stato considerato pari al reddito indicato dalla stessa società contribuente nelle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi 2 per i periodi di imposta 1990 e 1991 veniva ritenuta indetraibile l’imposta relativa a spese di rappresentanza. Il ricorso della società contribuente veniva accolto dall’adita Commissione Tributaria Provinciale con sentenza confermata in sede di gravame. Nella sentenza numero 1240/2014, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’Amministrazione finanziaria limitatamente al motivo relativo al disconoscimento di costi indeducibili. Se la dichiarazione è omessa, la rettifica può essere basata su presunzioni supersemplici. La Suprema Corte conferma la legittimità della rettifica induttiva fondata sui dati indicati dalla società contribuente nella dichiarazione relativa alle imposte sui redditi nel caso in cui non sia stata presentata la dichiarazione annuale, l’articolo 55, comma 1, d.p.r. numero 633/1972 consente infatti all’ufficio procedente di determinare imponibile e aliquota “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza”, avvalendosi cioè delle cosiddette “presunzioni supersemplici”. Secondo il Giudice di legittimità, in tale categoria rientrano anche le informazioni indicate dallo stesso contribuente nelle dichiarazioni relative agli altri tributi dovuti per il medesimo periodo di imposta. Per corroborare tale lettura, il Collegio richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita gli Uffici finanziari a servirsi di qualunque elemento probatorio ai fini dell’accertamento e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza cfr. Cass., sez. VI civ. – T, 30 marzo 2012 ord. , numero 5228, in CED Cass., Rv. 621731, relativa all’analoga disciplina contenuta nell’articolo 38, comma 3, d.p.r. numero 600/1973 . La ripartizione dell’onere della prova circa la detraibilità dell’Iva relativa a spese di rappresentanza. A quanto è dato comprendere, gli avvisi di accertamento prima e poi la difesa in giudizio sono stati poggiati sulla tesi secondo cui sarebbe onere del contribuente a allegare di non aver inserito le spese di rappresentanza nel libro delle fatture degli acquisti detraibili ai fini Iva e b produrre sia le fatture sia i registri. La Sezione Tributaria ritiene invece che la condotta dell’Amministrazione finanziaria sia illegittima perché non conforme al modello secondo cui è onere dell’Ufficio procedente dimostrare – anche mediante presunzioni semplici – che le spese di rappresentanza, in relazione alle quali si contesta la detraibilità dell’Iva, siano state indicate in contabilità.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 8 ottobre 2013 - 22 gennaio 2014, numero 1240 Presidente Cirillo – Relatore Meloni Svolgimento del processo Con notifica di avvisi di accertamento per gli anni 1988, 1990, 1991 e 1992 l'Ufficio IVA Roma II procedeva al recupero dell'imposta IVA ai sensi degli articolo 54, 55 e 58 DPR 633/72 in quanto, per gli anni 1988 e 1992, nei quali la dichiarazione IVA non era stata presentata, accertava un volume d'affari pari al reddito indicato ai fini delle imposte dirette e per gli anni 1990 e 1991 rettificava la dichiarazione IVA disconoscendo una parte degli acquisti in quanto corrispondenti a costi indeducibili. Avverso gli avvisi di accertamento, la società contribuente presentava ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale accoglieva l'impugnazione con sentenza successivamente appellata dall'Agenzia delle Entrate e confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza nr. 7/7/06. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con due motivi. La società contribuente non ha spiegato difese. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 55 DPR 633/72 in relazione all'articolo 360 comma 1 nr. 3 cpc perché i giudici di appello hanno ritenuto che l'Ufficio abbia fondato la ricostruzione dei redditi per gli anni accertati equiparando il reddito imponibile IRPEG a quello imponibile IVA così confondendo due ambiti normativi disciplinati in maniera autonoma e distinta . Il motivo è fondato e deve essere accolto. Infatti l'articolo 55 DPR 633/72 consente all'Ufficio impositore, nel caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale IVA, di determinare induttivamente l'ammontare imponibile e l'aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'Ufficio e tra tali dati può essere senza dubbio incluso il dato indicato dalla parte nella dichiarazione mod. 760 relativa allo stesso anno d'imposta e quindi applicando l'aliquota IVA del 19% al reddito accertato dall'Ufficio delle imposte per l'anno in esame cfr. Cass. 792/03, 19321/06, 4381/11 . Tale affermazione è perfettamente in linea con l'orientamento consolidato più volte espresso dalla Corte secondo il quale Nell'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita gli Uffici finanziari a servirsi di qualunque elemento probatorio ai fini dell'accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al terzo comma dell'articolo 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, sul presupposto dell'inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, sicché, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall'Ufficio, l'onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa incombe sul contribuente Sez. 6 - 5, Ordinanza numero 5228 del 30/03/2012 Presidente Merone A. Estensore Iacobellis M. . Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 54 DPR 633/72 in relazione all'articolo 360 comma 1 nr. 3 cpc in quanto la CTR ha ritenuto illegittimo, per gli anni 1990 e 1991 recuperare gli importi relativi alle spese di rappresentanza che per legge non possono essere portati in detrazione ai fini IVA. Il motivo è infondato e deve essere respinto. Infatti qui l'Ufficio pretende di recuperare ai fini IVA le spese di rappresentanza, senza dimostrare che la contribuente le abbia inserite nel libro delle fatture degli acquisti per gli anni 1990 e 1991, affermando che doveva essere la parte a dimostrare di non aver inserito le suddette spese nell'ambito degli acquisti detraibili ai fini IVA, allegando a tal fine i registri e le fatture. Ritiene il Collegio che tale presunzione non possa essere posta a base del recupero in quanto l'Ufficio non poteva spostare a carico della contribuente l'onere della prova negativa ma doveva dimostrare per poterle recuperare, anche se sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, che tali spese erano state detratte mentre ciò non risulta emergere nella fattispecie. Per quanto sopra il ricorso deve essere accolto in relazione al primo motivo respinto il secondo, con conseguente pronuncia ex articolo 384 c.p.c. Cass. 6951/10 . Ritiene la Corte di compensare le spese del presente giudizio di legittimità, stante le ragioni delle parti. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso,rigetta il secondo, cassa in parte qua la sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo in relazione al primo motivo. Compensa le spese di giudizio di merito e di legittimità.