La maternità deve essere riconosciuta anche alla neo assunta incinta a seguito di PMA

Considerare una donna che è ricorsa ad una PMA, poco prima dell’assunzione, come inidonea a lavorare e per questo motivo negarle il congedo per maternità retribuito, è un pericoloso stereotipo di genere che scoraggia le donne a cercare un impiego per timore di una possibile gravidanza in deroga ad ogni tutela e norma interna ed internazionale ed alla parità uomo-donna sul lavoro. Infatti la tutela offerta dall’assicurazione professionale dovuta durante la gravidanza è svincolata dal ritenere essenziale la sua presenza al lavoro per svolgere le proprie mansioni e/o dalla necessità temporanea di astenersene.

È quanto deciso dalla CEDU sez. I nel caso Jurcic c. Croazia ric.54711/15 del 4 febbraio che segna un ulteriore importante tassello nella tutela della salute sul lavoro e della maternità . Nello specifico la ricorrente fu assunta in una città lontana km 350 dalla sua residenza dieci giorni dopo aver effettuato una PMA e contestualmente fu iscritta alla cassa previdenziale per le malattie professionali. Visto che il trattamento aveva avuto successo, il medico le consigliò, a causa di alcune sopraggiunte complicazioni parto gemellare e viaggi lunghi e frequenti per raggiungere il luogo di lavoro , un periodo di riposo e lei, perciò, chiese un congedo parentale retribuito. Le fu negato così come il saldo previsto da detta assicurazione medica da un lato l’impiego fu considerato fittizio e volto solo ad ottenere questa copertura previdenziale, dall’altro fu lei ad essere giudicata inadatta a lavorare in una città lontana in ragione del trattamento di PMA che aveva subito. Vani i ricorsi persino alla Corte Costituzionale ed al Difensore civico per la parità di genere. Per la CEDU come esplicato in epigrafe ciò costituisce una discriminazione che viola il divieto imposto dall’articolo 14 in combinazione con l’articolo 1 protocollo 1 tutela dei diritti economici Cedu. Tute la internazionale della maternità. Le norme e la prassi internazionali riconoscono alle lavoratrici in gravidanza, puerpere ed in allattamento una serie di tutele e di benefici ivi compreso il divieto di licenziamento , che sono alla base dell’integrazione di genere e della parità sul lavoro degli uomini e delle donne § § .29-45 della sentenza annotata norme ONU CEDAW del 1992 ed OIL, Direttiva 92/85/CEE, 2006/54/CE e seppur non citata in sentenza 2000/78/CE, Convenzione d’Istanbul etc. EU C 1990 383, 1994 300, 2001 513 e 2008 519 . In questo campo per perseguire questi fini fondamentali deve essere evitata ogni forma di discriminazione cosa che non è avvenuta nella fattispecie. Ciò è ribadito anche dalla prassi constante della CEDU in materia Napotnik c. Romania del 20/10/20, Molla Sali c. Grecia[GC] del 19/12/18 e Carvalho Pinto de Sousa Morais c. Portogallo nel quotidiano del 25/7/17 . Vietato discriminare le donne incinte. Le autorità interne non hanno dimostrato la presunta frode di cui è stata ingiustamente accusata la ricorrente ed anzi hanno fatto intuire che le donne incinte non dovrebbero cercare lavoro. Questa stigmatizzazione ed asserita inferiorità delle gestanti è un pericoloso e grave stereotipo di genere , un pregiudizio contrario alle suddette tutele ed all’ordinamento interno di ogni Stato. È inaccettabile negare ad una donna la dovuta maternità retribuita per il solo motivo, peraltro mai realmente dimostrato, che accettare un lavoro per motivi fraudolenti avrebbe compromesso la stabilità del sistema sanitario mettendo a rischio la tutela delle risorse pubbliche gli obblighi finanziari imposti dallo Stato nel corso della gravidanza di una donna di per sé non possono costituire motivi sufficientemente pesanti per giustificare la differenza di trattamento in base al sesso neretto,nda . La gravidanza non può essere considerata ipso iure una frode contro il datore e lo Stato e del resto la ricorrente, nell’accettare il lavoro, non poteva avere alcuna contezza del buon esito della fecondazione artificiale né poteva prevedere eventuali complicazioni. Non si è tenuto conto del peso” dei viaggi sulla salute della gestante e del nascituro, né che la stessa aveva già versato i dovuti contributi previdenziali relativi ai pregressi 14 anni di lavoro. La CEDU sottolinea anche come la giurisprudenza amministrativa sulle verifiche dell’idoneità al lavoro sia problematica in maniera generale, dato che la maggior parte delle stesse riguarda donne incinte ciò ha il chiaro fine di scoraggiare le donne , che sono in stato di gravidanza o presumono di esserlo, a cercare un lavoro, costituendo un grave pregiudizio in contrasto con le norme interne ed internazionali in materia. La parità di genere quale pilastro del diritto dell’UE. Questa parità deve essere raggiunta anche tra i lavoratori, sì che la donna non deve avere alcun onere di comunicare al proprio datore la gravidanza o di essere ricorsa ad una PMA per diventare madre. Negare i diritti che spettano alle lavoratrici gestanti in ragione della loro gravidanza , come già detto, non solo viola l’onere di protezione della salute e della sicurezza di tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro sesso, ma costituisce anche una chiara discriminazione fondata sul sesso . È palese come questa discriminazione, privando la donna dei dovuti sussidi e come detto disincentivandola dal cercare un lavoro violi anche la tutela dei diritti economici ex articolo 1 protocollo 1 Cedu.

CASE_OF_JURCIC_v._CROATIA