La legge non prevede il test del DNA tramite prelievo di saliva: violata la privacy dell’indagato

La CEDU ha stabilito contraddicendo apparentemente un suo precedente specifico che il prelievo salivare per effettuare un test del DNA, senza una previsione di legge che lo autorizzi, viola la privacy dell’interessato. Questa deroga è stata esclusa invece relativamente alla perquisizione perché contestata nelle dovute sedi legali e accompagnata dalla dovute garanzie contro gli abusi.

È quanto deciso dalla CEDU nel caso Dragan Petrovic comma Serbia ricomma 75229/10 del 14 aprile. Il caso. Il GIP, durante l’indagine per la morte di un anziano a seguito di un violento pestaggio, sulla scorta di testimonianze rese da terzi, autorizzò la perquisizione del domicilio del ricorrente per cercare una giacca di pelle nera, scarpe ed altri oggetti connessi all’omicidio . Al momento della stessa non erano presenti né l’indagato, né il proprietario dell’appartamento né il suo legale che però sottoscrisse il relativo verbale. Contestualmente fu ordinato il prelievo di saliva per effettuare un test del DNA all’epoca dei fatti 2008 la legge interna contemplava la possibilità di effettuare un prelievo di un campione di sangue o il ricorso ad altre procedure mediche nei confronti di qualsiasi persona, se ciò fosse ritenuto necessario dal punto di vista medico al fine di stabilire fatti importanti per le indagini penali. Tali procedure avrebbero potuto essere eseguite coattivamente, ove necessario, a condizione che ciò non avesse comportato alcun rischio per la salute della persona in questione . L’indagato fu dunque costretto a concedere l’autorizzazione perché sotto minaccia. Contestò poi presso la Corte Costituzionale la violazione della propria privacy, ma invano. Fu ritenuto estraneo all’omicidio, ma fu condannato per detenzione illegale di armi da fuoco rinvenute durante la perquisizione. Il prelievo orale, senza garanzie, viola la privacy dell’interessato. In primis la CEDU rileva come tale procedura violasse il principio della certezza del diritto non prevedendo inoltre alcuna garanzia per l’indagato. Infatti, seppure il contestato prelievo non servisse a raccogliere dati circa il DNA dell’interessato, ma solo per procurare prove per il processo penale, non rispondeva a nessun fine legittimo e non aveva alcuna base legale. Il consenso era prestato, come detto, sotto minaccia di subire un prelievo coatto Caruana comma Malta del 15/5/18 . A conferma di ciò la riforma del 2011 ha sanato le censurate lacune limitava i casi di prelievo senza consenso, dettagliava la procedura che doveva essere effettuata da un esperto e soprattutto veniva prevista espressamente questa forma di prelievo da effettuarsi su sospettati o persone rinvenute sulla scena del crimine per escluderne ogni coinvolgimento. Si ricordi che la prassi della CEDU ha già affrontato spesso questa delicata problematica ravvisando nel prelievo coatto di sangue ed urine un trattamento degradante ex articolo 3 e dettando le linee guida sull’uso dei dati biometrici nel penale, sottolineando come la ricerca del DNA in questo ambito sia ben distinta da quella per le ricerche delle origini familiari R.S. comma Ungheria e Gaughran comma Regno Unito e Trajkovski e Chipovski comma Macedonia del Nord nei quotidiani del 12/7/19 e 14/2/20 . La CEDU ha anche affrontato l’uso del prelievo orale per il test del DNA per il riconoscimento di un figlio adulto con una decisione apparentemente antitetica a quella in esame relativamente al prelievo coatto previsto dalla legge interna ha stabilito che il test del DNA non solo non è contrario ad uno stato di diritto ed alla giustizia naturale, ma è il mezzo con cui lo Stato può adempiere ai suoi doveri ex articolo 8 nei confronti della figlia Misfud comma Malta nella rassegna del 15/2/19 . Il contrasto è apparente perché nei citati casi vi era una previsione di legge seppure non sempre chiara, precisa e prevedibile, mentre nella fattispecie questo tipo di prelievo non era disciplinato. In breve trattandosi di interventi molto invasivi, che possono ledere l’integrità psicofisica dell’interessato ed il suo principio di autodeterminazione devono essere sempre fondati su una solida base legale e rispondere ad un fine legittimo e necessario in uno stato democratico nella fattispecie non erano stati rispettati questi criteri perciò l’interferenza era arbitraria ed illecita. Se non contesti la perquisizione non puoi invocare una deroga alla privacy. La CEDU rileva come il legale abbia accettato la perquisizione sottoscrivendone il verbale e che si fosse limitato solo a vaghe e generiche obiezioni presunta manomissione delle prove etc. non formalizzate poi nelle opportune sedi legali. Ergo la censura ex articolo 6 Cedu è stata ritenuta inammissibile per mancato esaurimento dei rimedi interni ed un mero argomento a sostegno della presunta violazione della privacy. In realtà il mandato era supportato da una solida base legale, corrispondeva a fini legittimi e necessari in uno stato democratico da un lato il GIP aveva il dovere d’indagare sull’omicidio e dall’altro dovevano essere raccolte prove anche per scagionare il ricorrente da ogni accusa c’è stato perciò un giusto equilibrio tra i contrapposti interessi e la procedura era accompagnata dalle dovute garanzie processuali e contro gli abusi, sì che non c’è stata alcuna illecita interferenza nella via privata del ricorrente Posevini comma Bulgaria del 19/1/17 .

CASE_OF_DRAGAN_PETROVIC_v._SERBIA