Imporre un test delle urine con catetere ad un guidatore ubriaco è un trattamento degradante

Viola l’art. 3 Cedu divieto di tortura e di trattamenti inumani e/o degradanti forzare una persona, fermata per sospetta guida in stato d’ebbrezza e che aveva rifiutato di effettuare l’etilometro, a subire un prelievo delle urine con un catetere, dopo aver già eseguito un’analisi del sangue per accertare l’assunzione di alcol e/o droghe. Infatti è un trattamento medico inutile ed invasivo che lede l’integrità fisica e mentale dell’interessato.

È quanto deciso dalla CEDU sez. IV nel caso R.S. c. Ungheria ric.65290/14 del 2 luglio 2019. Il caso. Il ricorrente fu coinvolto in una rissa nel parcheggio di una discoteca. Poco dopo, quando la sua auto era parcheggiata a lato della strada, mentre conversava con la fidanzata, fu fermato da agenti di una pattuglia della polizia per sospetta guida in stato d’ebbrezza. Rifiutò l’etilometro e fu perciò arrestato. In centrale iniziò ad offendere i poliziotti che non solo lo lasciarono ammanettato, ma gli immobilizzarono pure una gamba. Fu quindi portato in ospedale per fare i prelievi di sangue e di urine, che furono effettuati coattivamente senza il consenso del ricorrente. Inizialmente, non riuscendo ad urinare aveva prestato il consenso all’uso del catetere, poi comprendendo che era un intervento doloroso lo aveva revocato. Per le Corti interne che lo condannarono per un reato minore per l’infrazione del codice della strada e poi per resistenza a pubblico ufficiale e per condotta disordinata aveva prestato un valido consenso a questi prelievi coatti, confidando sulla versione fornita dai poliziotti e da alcuni testimoni presenti in ospedale ed esclusero, in ogni grado di giudizio, che si trattasse di un intervento invasivo, tanto più che la legge interna obbliga a fornire campioni di sangue ed urine od a effettuare l’alcol test con l’etilometro. Il Tribunale distrettuale, sulla base di queste testimonianze, ritenne da un lato illecito il prelievo delle urine perché avvenuto senza il suo consenso e dall’altro evidente che fosse ubriaco e drogato. Un medico, durante i processi, evidenziò come il test delle urine non sia affidabile per acclarare l’assunzione di alcol o droghe come le analisi del sangue. Tutti i ricorsi contro la condanna e le azioni di responsabilità contro la polizia per essere indennizzato per gli abusi subiti furono vani. Quando un TSO è una tortura? L’art. 3 vietando la tortura ed i trattamenti inumani o degradanti sancisce uno dei diritti fondamentali di una società democratica la tutela della dignità umana, valore che è anche l’essenza stessa della Cedu. In linea di massima la CEDU rileva che, se è giustificato in modo convincente dai fatti di uno specifico caso, è lecito imporre trattamenti medici ad una persona, anche in assenza di un suo consenso o di ragioni di necessità medica al fine di ricavare prove dalla stessa o di dimostrarne il coinvolgimento in un reato. Laddove, però, il trattamento medico sia invasivo è necessaria una previa analisi delle circostanze e della gravità del reato e si devono cercare misure alternative per ottenere dette prove. Infatti queste procedure mediche non devono comportare alcun rischio per la salute della persona cui sono imposte Bouyid c. Belgio [GC] del 2015 . Illegalità della procedura per ottenere prove di un reato tramite prelievi coatti. Nella fattispecie la polizia ha compiuto abusi sul ricorrente era stato immobilizzato, il catetere gli è stato imposto e non si è tenuto conto che la legge consente di revocare il consenso ad un trattamento medico né dei rischi che poteva subire a seguito di questo prelievo coatto. Lo stesso, per altro, non era suffragato da alcuna necessità medica ed era inutile dato che l’assunzione di droghe ed alcol era rilevabile tramite le analisi del sangue ed il prelievo era già stato effettuato. Le Corti interne hanno accettato la versione della polizia secondo cui aveva prestato un chiaro e volontario consenso a questa pratica senza considerare che il ricorrente era ubriaco ed immobilizzato, perciò il consenso in ogni caso non sarebbe stato valido. Per la CEDU, invece, il ricorrente non aveva prestato alcun valido consenso informato Giuliani e Gaggio c. Italia [GC] del 2011 . Infine la prassi ed il diritto interno sulle procedure mediche coatte per ottenere le prove di un reato non sono chiari né coerenti. Alla luce di tutto ciò le autorità interne hanno compiuto atti gravemente lesivi dell’integrità psico-fisica del ricorrente, procurandogli dolori fisici e mentali e ponendolo in uno stato di prostrazione, insicurezza, angoscia e stress che denotano un trattamento umiliante e degradante contrario ai principi dell’art. 3 Cedu, assorbendo così anche ogni deroga all’art. 8 Cedu.

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