Il datore può trasformare il part time in tempo pieno senza il consenso del lavoratore: lo dice l’UE

L’accordo quadro del 6 giugno 1997 tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale, id est tra l’Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro UNICE , il Centro europeo dell’impresa pubblica CEEP e la Confederazione europea dei sindacati CES , è stato allegato alla Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997, che deve dargli attuazione. Esso e la sua clausola 5, punto 2, devono essere interpretati nel senso che non ostano, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, a una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato.

È quanto sancito dalla sentenza EU C 2014 2286 del 15 ottobre 2014 nel decidere una lite tra un funzionario ed il Ministero di Giustizia, pur se questo principio di diritto ha portata generale. Il caso. Dopo l’entrata in vigore della l. n. 183/2010, recante deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro , il Ministero della Giustizia rivalutò il part time della ricorrente dal 2000 lavorava, a metà tempo, 3 giorni a settimana e lo tramutò in tempo pieno per 6 giorni alla settimana a decorrere dal 2011. Infatti l’art. 16 prevede che le P.A. art. 1, comma 2, l. n. 165/2001 in sede di prima applicazione dell’art. 73 d.l. n. 112/2008 l. n. 133/2008 potevano, entro 180 giorni dalla vigenza della legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima dell’entrata in vigore del decreto. Il dirigente amministrativo del Tribunale di Trento confermò la liceità di questa trasformazione arbitraria lamentata dalla donna. Il Tribunale, però, sospese il giudizio e sollevò una pregiudiziale vertente sull’interpretazione della Direttiva 97/81 e della clausola 5, punto 2, di detto accordo quadro il datore poteva o meno trasformare il part time in tempo pieno senza previo consenso del lavoratore interessato? La CGUE ha risposto come in epigrafe. Quadro normativo. L’art. 1 Direttiva 97/81 chiarisce che la stessa è intesa a dare attuazione all’accordo quadro sul part time ad essa allegato. Entrambi sono volti a favorire questo tipo di contratto e ad eliminare le discriminazioni tra dipendenti a tempo pieno ed a parziale e sul lavoro EU C 2010 329 e 2008 248 , favorendone la flessibilità. Prendendo atto che non tutti gli stati avevano leggi uniformi in materia, ne dettava le linee guida. La clausola 5, punto 2, sancisce che il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato . È questo il punto focale della lite per la donna dalla norma si desume che il datore debba chiedere il permesso del lavoratore anche per revocare il tempo parziale. Per l’Avvocatura di Stato la fattispecie e quella regolata da questa clausola non sono equiparabili il Ministero non ha revocato il tempo pieno mutandolo in part time , bensì il contrario, ai sensi dell’art. 16 l. n. 183/2010, perciò non doveva chiedere alcuna autorizzazione al dipendente. La ratio della normativa UE. La Corte precisa che l’operato della P.A. è in linea con i fini e gli obiettivi minimi, sopra ricordati, fissati dalla normativa in esame e meglio esplicati nei considerando 5, 11, 14 direttiva 97/81 e 6 dell’accordo quadro, tanto più che era rimessa alla discrezionalità degli Stati membri la scelta della forma e dei mezzi con cui attuarli ne enuncia solo i principi generali e le prescrizioni minime tra cui quella contestata. Conclusioni della CGUE. Smentisce seccamente le tesi della ricorrente e del Tribunale di Trento poiché l’ipotesi disciplinata da questa norma e la fattispecie non sono paragonabili sono palesemente ben diverse le conseguenze di una riduzione arbitraria dell’orario di lavoro con quelle del suo aumento. Inoltre soccorre quanto stabilito dalla clausola 4 osta a che, per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, se il trattamento differente non sia giustificato da ragioni obiettive . È chiaro che la scelta effettuata dal datore non solo apporta vantaggi alla donna, ma è giustificata dall’art. 16 l. n. 183/2010 ha attuato un onere di legge e sotto ogni punto di vista è, perciò, lecita.

Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, sentenza 15 ottobre 2014, causa C-221/13 * Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES – Trasformazione di un contratto di lavoro a tempo parziale in uno a tempo pieno senza il consenso del lavoratore Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997 in prosieguo l’ accordo quadro , che figura nell’allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES GU 1998, L 14, pag. 9 . 2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Mascellani e il Ministero della Giustizia in merito a un provvedimento che ha disposto la trasformazione del suo contratto di lavoro a tempo parziale in uno a tempo pieno. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 L’articolo 1 della direttiva 97/81 precisa che quest’ultima è intesa ad attuare l’accordo quadro tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale, vale a dire tra l’Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro UNICE , il Centro europeo dell’impresa pubblica CEEP e la Confederazione europea dei sindacati CES , riportato in allegato alla medesima direttiva. 4 Ai sensi del secondo comma del preambolo dell’accordo quadro [r]iconoscendo la diversità delle situazioni nei diversi Stati membri e riconoscendo che il lavoro a tempo parziale è caratteristico dell’occupazione in certi settori ed attività, il presente accordo enuncia principi generali e prescrizioni minime relative al part-time. Esso rappresenta la volontà delle parti sociali di definire un quadro generale per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e per contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale, su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori . 5 La clausola 1 del medesimo accordo dispone quanto segue Il presente accordo quadro ha per oggetto a di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale b di facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tener conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori . 6 La clausola 3 dell’accordo quadro enuncia Ai fini del presente accordo si intende per 2 lavoratore a tempo pieno comparabile”, il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze. Qualora non esistesse nessun lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabilimento, il paragone si effettuerebbe con riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali . 7 La clausola 4 di detto accordo, intitolata Principio di non‑discriminazione , al punto 1 così dispone Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive . 8 A termini della clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato . Il diritto italiano 9 L’articolo 16 della legge del 4 novembre 2010, n. 183, recante deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro supplemento ordinario alla GURI n. 262 del 9 novembre 2010 in prosieguo la legge n. 183/2010 , prevede che, in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall’articolo 73 del decreto legge del 25 giugno 2008, n. 112 supplemento ordinario alla GURI n. 147 del 25 giugno 2008 , le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possano, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 183/2010, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge del 6 agosto 2008, n. 133 supplemento ordinario alla GURI n. 195 del 21 agosto 2008 . Procedimento principale e questioni pregiudiziali 10 La ricorrente nel procedimento principale è un funzionario del Ministero della Giustizia, in servizio presso l’organo giurisdizionale del rinvio, dove essa esercita le sue funzioni a tempo parziale. Dal 28 agosto 2000, ella lavora a metà tempo, con orario distribuito su tre giorni settimanali. 11 In seguito all’entrata in vigore della legge n. 183/2010, il Ministero della Giustizia, con decisione n. 20384 dell’8 febbraio 2011, ha sottoposto a una nuova valutazione il regime di lavoro a tempo parziale accordato alla ricorrente nel procedimento principale e, in forza dell’articolo 16 di detta legge, ha unilateralmente posto fine a tale regime imponendole un regime di lavoro a tempo pieno con un’articolazione dell’orario di lavoro su sei giorni, a decorrere dal 1° aprile 2011. 12 Il 16 marzo 2011, la ricorrente nel procedimento principale ha comunicato al Ministero della Giustizia di opporsi alla trasformazione del regime di lavoro da tempo parziale a tempo pieno. Con decisione n. 1882 del 21 marzo 2011, il dirigente amministrativo del Tribunale ordinario di Trento le ha ordinato di assoggettarsi a tale nuovo regime. 13 La ricorrente nel procedimento principale ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio, chiedendo l’annullamento delle predette decisioni del Ministero della Giustizia e del dirigente amministrativo. Ella afferma che, grazie al regime di lavoro a tempo parziale, ha potuto destinare il proprio tempo libero alla sua famiglia e alla sua formazione professionale. Sostiene che la direttiva 97/81 sancisce un principio secondo il quale il lavoratore non può vedere trasformato il suo contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno contro la propria volontà e che, di conseguenza, l’articolo 16 della legge n. 183/2010 confligge con detta direttiva. 14 Il Ministero della Giustizia sostiene, dal canto suo, che l’articolo 16 della legge n. 183/2010 non va in senso contrario alla direttiva 97/81. 15 Il giudice del rinvio ritiene, come la ricorrente nel procedimento principale, che il citato articolo 16, nel permettere al datore di lavoro di trasformare un contratto di lavoro a tempo parziale in un contratto di lavoro a tempo pieno contro la volontà del lavoratore, si ponga in contrasto con la direttiva 97/81 detto articolo discriminerebbe i lavoratori a tempo parziale, i quali, a differenza dei lavoratori a tempo pieno, sarebbero soggetti al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la durata del loro tempo di lavoro. Secondo il medesimo giudice, una misura di questo tipo non contribuisce allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale né per i datori di lavoro né per i lavoratori. A suo giudizio, la misura nazionale è inoltre contraria alla clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro, la quale, tenuto conto del divieto di licenziamento in essa sancito, richiederebbe il consenso del lavoratore quando la modifica del contratto di lavoro sia voluta dal datore di lavoro. 16 Alla luce di tali circostanze, il Tribunale ordinario di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali 1 se la clausola n. 5, punto n. 2, dell’accordo [quadro] recepito dalla direttiva [97/81] debba essere interpretata nel senso che non è permesso alle legislazioni nazionali degli Stati membri di prevedere la possibilità – per il datore di lavoro – di disporre la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, anche contro la volontà del lavoratore. 2 se la medesima direttiva [97/81] osti a che una norma nazionale quale l’art. 16 della legge [n. 183/2010] preveda la possibilità – per il datore di lavoro – di disporre la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, anche contro la volontà del lavoratore . Sulle questioni pregiudiziali 17 Dato che il giudice del rinvio si riferisce, nella seconda questione, alla direttiva 97/81, occorre in primis rilevare che, ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva, la stessa è intesa ad attuare l’accordo quadro. Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio risulta che detto giudice si chiede se la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno in forza dell’articolo 16 della legge n. 183/2010, senza il consenso della sig.ra Mascellani, sia contraria alle disposizioni dell’accordo quadro. 18 Si deve dunque considerare che, mediante le sue questioni, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se l’accordo quadro, e in particolare la sua clausola 5, punto 2, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. 19 Va ricordato che la direttiva 97/81 e l’accordo quadro sono diretti, da un lato, a promuovere il lavoro a tempo parziale e, dall’altro, a eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno v., in tal senso, sentenze Bruno e a., -395/08 e -396/08, EU C 2010 329, punti 24 e 77, nonché Michaeler e a., -55/07 e -56/07, EU C 2008 248, punto 21 . 20 Il considerando 5 della direttiva 97/81 enuncia che le conclusioni del Consiglio europeo di Essen hanno sottolineato la necessità di provvedimenti per promuovere l’occupazione e la parità di opportunità tra donne e uomini e hanno richiamato l’esigenza di adottare misure volte ad incrementare l’intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante un’organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitività . Inoltre, dal considerando 11 della medesima direttiva e dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro emerge che quest’ultimo rappresenta la volontà delle parti sociali di contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori. 21 In tale prospettiva, il considerando 14 della direttiva 97/81 enuncia che l’accordo quadro vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lascia alle autorità nazionali la scelta della forma e dei mezzi. Risulta, inoltre, dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro che quest’ultimo enuncia principi generali e prescrizioni minime relative al lavoro a tempo parziale. Secondo il considerando 6 dell’accordo quadro, tale accordo rimette agli Stati membri e alle parti sociali la definizione delle modalità di applicazione di tali principi generali, prescrizioni minime e disposizioni, al fine di tener conto della situazione in ogni Stato membro. 22 Fra le suddette prescrizioni minime figura quella enunciata alla clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro, ai sensi della quale [i]l rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato . 23 Da tale clausola si evince che la stessa non impone agli Stati membri di adottare una normativa che subordini al consenso del lavoratore la trasformazione del suo contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno. Infatti, detta disposizione è volta unicamente ad escludere che l’opposizione di un lavoratore a una simile trasformazione del proprio contratto di lavoro possa costituire l’unico motivo del suo licenziamento, in assenza di altre ragioni obiettive. 24 Ne consegue che la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro non osta a una normativa che consente al datore di lavoro di disporre, per ragioni di tal tipo, la trasformazione del contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. 25 Peraltro, una siffatta normativa dev’essere conforme all’obiettivo dell’accordo quadro, consistente in particolare, come enunciato alla clausola 1, lettera b , del medesimo, nel contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tener conto delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. 26 Nei limiti in cui il giudice del rinvio considera discriminatoria la possibilità di disporre la trasformazione del contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore, occorre ricordare che, conformemente all’obiettivo di eliminazione delle discriminazioni tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno perseguito dall’accordo quadro, la clausola 4 del medesimo osta a che, per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, se il trattamento differente non sia giustificato da ragioni obiettive sentenza Bruno e a., EU C 2010 329, punto 25 . 27 Nella fattispecie, si deve constatare, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, che una situazione in cui un contratto di lavoro a tempo parziale è trasformato in un contratto di lavoro a tempo pieno senza l’accordo del lavoratore interessato e una situazione in cui un lavoratore vede il suo contratto di lavoro a tempo pieno trasformato in un contratto di lavoro a tempo parziale contro la sua volontà non possono essere considerate situazioni comparabili, dato che la riduzione del tempo di lavoro non comporta le stesse conseguenze del suo aumento, in particolare a livello di remunerazione del lavoratore, che rappresenta la contropartita della prestazione di lavoro. 28 In considerazione di quanto precede, occorre rispondere alle questioni sollevate nel senso che l’accordo quadro, e in particolare la sua clausola 5, punto 2, deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, a una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. Sulle spese 29 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte Terza Sezione dichiara L’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura nell’allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, ed in particolare la sua clausola 5, punto 2, deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, a una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. fonte www.curia.europa.eu