Finanziamento pubblico prima riconosciuto, poi drasticamente ridotto: il privato deve essere risarcito

È configurabile in capo alla Pubblica Amministrazione la responsabilità per violazione dei canoni di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c. laddove, a seguito dell’ammissione di un’iniziativa imprenditoriale alla fruizione di un finanziamento pubblico, provveda solo a distanza di anni all’esclusione della stessa per assenza dei requisiti di ammissibilità.

Lo ha affermato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7246/19, depositata il 24 ottobre. Il caso. La questione è nata in Veneto, dove una società aveva partecipato nel 2002 ad un bando indetto dalla Regione per il parziale finanziamento dei costi di investimento imprenditoriale. La società veniva inserita nella graduatoria dei progetti ammessi al finanziamento ma, a distanza di circa 7 anni e dopo diversi scambi di documentazione tra Regione, Comune e società, la Direzione Commercio regionale con decreto riconosceva alla società un contributo nettamente ridotto rispetto all’iniziale deliberazione. Il TAR Veneto accoglieva il ricorso presentato dalla società avverso tale atto affermando che è plausibile affermare che nel corso degli anni si sia formato, in capo alla ricorrente, un ragionevole e concreto affidamento sulla liquidazione e sul pagamento del contributo in misura corrispondente all'importo assegnato. [] La Regione avrebbe perlomeno dovuto dare conto, nell’atto impugnato, della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale a ridurre il contributo assegnato . Il TAR ha dunque annullato il decreto impugnato, facendo salvi gli ulteriori atti adottati dall’Amministrazione ma non si pronunciava sulla richiesta di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale. La questione è infine giunta dinanzi al Consiglio di Stato su ricorso della Regione secondo cui, in virtù dell’iniziale errore nell’erogazione del contributo in assenza dei requisiti richiesti, costituiva atto dovuto la revoca del contributo stesso essendo in tal caso l’interesse pubblico in re ipsa . Potere di autotutela. Il Collegio precisa che, secondo la consolidata giurisprudenza, la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato Cons. Stato nn. 2380/15 e 2381/15 . Sulla base di tale premessa, nonostante la legittimità e la doverosità dell’atto impugnato, il Collegio riconosce comunque una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale n. 1064/2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera . Viene dunque riscontrato un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede previsti dall’art. 1337 c.c. essendosi verosimilmente ingenerato nella società un ragionevole affidamento nella legittimità della delibera iniziale. In riferimento al quantum risarcibile, il Collegio fa leva sul profilo del danno emergente determinato in relazione alle spese sostenute dalla società in relazione alla fase procedimentale successiva alla delibera, limitando invece la voce relativa al danno da perdita di chance di un altro finanziamento sulla base di un giudizio prognostico ex ante . In conclusione, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso principale della Regione ma anche quello incidentale nella parte relativa all’istanza di risarcimento danni.

Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 10 settembre – 24 ottobre 2019, numero 7246 Presidente Greco – Estensore Ciuffetti Fatto e diritto 1. La società appellata aveva partecipato nel 2002 al bando indetto dalla Regione Veneto per il parziale finanziamento di costi di investimento delle imprese, chiedendo un contributo per nuova costruzione di un fabbricato artigianale e l’acquisto di nuova attrezzatura” Documento unico di programmazione per gli interventi strutturali comunitari - Docup - obiettivo 2, 2000-2006, misura 1.4, arredo e accessibilità ai centri urbani a sostegno del piccolo dettaglio . Con delibera della Giunta della Regione Veneto numero 1064, in data 11 aprile 2003, la società veniva inserita nella graduatoria dei progetti ammissibili al finanziamento per l’importo di € 56.604, salvo rendicontazione e liquidazione degli importi spettanti” in relazione alle spese sostenute per i progetti ammessi. Nel mese di giugno 2006 la Società trasmetteva le fatture delle spese sostenute e la descrizione analitica degli interventi realizzati al Comune di Falcade, che, a sua volta le trasmetteva alla Regione Veneto in data 23 giugno 2006, con nulla osta alla liquidazione del contributo di € 56.604. In data 5 maggio 2008, la stessa Regione comunicava al Comune di Falcade che la documentazione presentata dalla Società non era conforme alle prescrizioni di cui al punto 19 del bando e chiedeva la trasmissione di ulteriore documentazione. In data 1 luglio 2008, la Regione Veneto chiedeva al Comune di Falcade di emettere un nuovo nulla osta, in sostituzione del precedente, all’erogazione del contributo per l’importo di € 5.520, ribadendo la domanda di trasmissione di documentazione già effettuata in data 5 maggio 2008. La stessa Regione restituiva poi alla Società, in data 8 maggio 2008, buona parte delle fatture da questa presentate, facendo presente che il bando non contemplava contributi per edifici di nuova costruzione, ma solo contributi per l’acquisizione di locali, che, in base alla norma numero 6 del Regolamento CE numero 1685/2000, dovevano già essere costruiti nel caso di ristrutturazione e ampliamento dei locali il contributo sarebbe stato erogato solo in base alla spesa ammissibile per l’acquisto di attrezzature. Il Comune di Falcade, in data 23 settembre 2008, in conformità alla richiesta della Regione Veneto, rilasciava il nuovo nulla osta alla liquidazione del contributo alla società, per l’importo di € 5.520, corrispondente al 15 % della spesa ritenuta ammissibile pari € 36.802, per acquisto di nuova attrezzatura”. I motivi ostativi all’accoglimento della domanda di contributo venivano comunicati dalla Regione Veneto alla Società in data 17 ottobre 2008, ai sensi dell’art. 10-bis della l. numero 241/1990. In data 13 febbraio 2009, la Direzione Commercio della Regione adottava il decreto impugnato in primo grado, con cui il contributo assegnato alla Società secondo la deliberazione giuntale numero 1064/2003 veniva ridotto da € 56.604 a € 5.520, per le sole spese di acquisto di nuove attrezzature. 2. Ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto l’oggetto della controversia riguardava i presupposti per il riconoscimento del contributo alla Società, il T.a.r. del Veneto ha accolto il ricorso presentato dalla Società avverso tale atto. Il primo giudice ha ritenuto che, se di regola, quando l’annullamento ‘ex officio’ riguarda un provvedimento amministrativo che comporta un esborso di denaro pubblico tanto più se l’atto è in contrasto con il diritto comunitario non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto l’autorità emanante ad agire in via di autotutela, tuttavia, alla luce delle circostanze del caso concreto, con riferimento, in particolare, all’istruttoria svolta nel 2003 e finalizzata alla ammissibilità delle spese ai fini della assegnazione dei contributi, e al lungo lasso di tempo trascorso tra assegnazione del contributo e decreto impugnato, è plausibile affermare che nel corso degli anni si sia formato, in capo alla ricorrente, un ragionevole e concreto affidamento sulla liquidazione e sul pagamento del contributo in misura corrispondente all'importo assegnato”. Secondo il T.a.r., la Regione avrebbe perlomeno dovuto dare conto, nell’atto impugnato, della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale a ridurre il contributo assegnato, avuto riguardo all’esigenza di salvaguardare la posizione soggettiva del privato che, confidando nella spettanza di un contributo commisurato ad una spesa ammissibile di € 377.000, aveva nel frattempo realizzato e completato i lavori di costruzione del fabbricato”. Il T.a.r. ha quindi disposto l’annullamento del decreto impugnato, fatti salvi gli ulteriori atti adottati dall’Amministrazione” e, considerando tale annullamento idoneo a soddisfare l’interesse della società, non si è pronunciato sull’istanza della ricorrente di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale. 3. A seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del decreto impugnato in primo grado, con decreto dirigenziale numero 141 in data 23 settembre 2010, è stata disposta la riduzione del contributo alla Società per lo stesso importo stabilito dal decreto annullato e la relativa somma è stata liquidata in data 24 febbraio 2009. Il decreto dirigenziale numero 141/2010 è stato quindi impugnato dalla società davanti al T.a.r. per il Veneto che, con sentenza numero 936/2017, ha accolto il motivo di ricorso relativo all’incompetenza del dirigente ad adottare un atto di modifica di una determinazione della Giunta regionale. Tale pronuncia è stata confermata in sede di appello Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2018, numero 5754 . Il successivo ricorso della società per l’ottemperanza della sentenza numero 936/2017 è stato respinto dal T.a.r. per il Veneto con sentenza numero 244, in data 25 febbraio 2019. A motivo del rigetto, il T.a.r. ha evidenziato che la sentenza per la cui ottemperanza si agiva era priva di effetti conformativi inoltre la questione della spettanza del contributo doveva ritenersi ancora sub iudice, essendo ancora pendente il presente appello. Tale sentenza è stata impugnata dalla società con ricorso numero R.G. 2949/2019, tuttora pendente. 4. Con il presente appello, la Regione Veneto, in punto di fatto, sottolinea che, solo a seguito dell’acquisizione della documentazione per il tramite del Comune di Falcade, in data 23 giugno 2006, la competente Direzione regionale aveva potuto rilevare che alcune spese sostenute dalla società riguardavano la nuova costruzione di un fabbricato”, fattispecie non prevista né dal bando di finanziamento né dalle disposizioni normative europee di riferimento art. 6, par. 1, reg. CE 1685/2000 in materia di ammissibilità delle spese riguardanti le operazioni cofinanziate dai fondi strutturali europei . Nel merito, la Regione Veneto deduce l’erroneità e la contraddittorietà della sentenza impugnata in quanto essa statuisce da un lato, che, quando la pubblica amministrazione annulla in autotutela un atto da cui deriva un esborso di denaro pubblico non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico” alla base dell’annullamento, tanto più se l’atto è in contrasto con il diritto comunitario” come nel caso di specie dall’altro, che, visto il lasso di tempo trascorso tra la data della delibera giuntale numero 1064/2004 e l’adozione del decreto impugnato, che aveva portato la Società a confidare nella liquidazione del contributo inizialmente determinato, la Regione Veneto avrebbe perlomeno dovuto dare conto nell’atto impugnato della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale a ridurre il contributo assegnato”. Deduce la Regione che, per giurisprudenza consolidata, la revoca-decadenza del contributo pubblico erroneamente erogato costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti al proprio bilancio per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici nella fattispecie non era configurabile un obbligo di specifica motivazione, essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in re ipsa, quando sussista un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato. Inoltre, poiché la Regione aveva trasmesso con nota in data 23 aprile 2003, al Comune il protocollo di lavoro” in cui era riportata la norma numero 6 del Reg. CE numero 1685/00, la medesima Società poteva sapere che la costruzione di nuovi locali non poteva essere ammessa alla contribuzione oggetto del bando. 5. L’istanza cautelare presentata dall’appellante è stata respinta da questo Consiglio Cons. Stato, sez. V, ord. 17 giugno 2010, numero 2820 che ha ritenuto che allo stato, l’esecuzione della sentenza appellata non comporta il pregiudizio lamentato, giacché l’annullamento è stato pronunciato ‘salvi gli ulteriori provvedimenti della P.A.’”. 6. La società Panificio Restel di Zanvettor Nicola e L. ha presentato controricorso e appello incidentale con atto in data 11 giugno 2010. 6.1. In via principale, la Società ha chiesto il rigetto dell’appello presentato dalla Regione Veneto. Essa ha evidenziato che il protocollo di lavoro” nel quale era contenuta la norma numero 6 del Reg. CE numero 1685/2000, era stata trasmessa solo al Comune e nel bando di essa non v’era traccia. In ogni caso una corretta interpretazione di detta norma non avrebbe potuto comportare l’esclusione del finanziamento dell’acquisto di nuovi immobili. 6.2. In via subordinata, con appello incidentale, la società deduce che erroneamente il T.a.r. aveva respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado, con il quale si censurava l’interpretazione della Regione della norma numero 6 del Reg. CE numero 1685/2000, nel senso di escludere l’erogabilità di contributi in caso di costruzione di immobili. Tale interpretazione si sarebbe posta in contrasto con la clausola di cui al punto 7 del bando consentendo il cofinanziamento per l’acquisizione di locali di cui si prevedeva anche la ristrutturazione, la costruzione dei medesimi non poteva essere esclusa, dato che la ristrutturazione poteva essere effettuata anche attraverso la ricostruzione ex novo di immobile integralmente demolito. Comunque, una tale interpretazione avrebbe potuto promanare solo dall’organo politico elettivo in quanto esso, in sede di approvazione della graduatoria dei progetti cofinanziabili, aveva dimostrato di condividere con la società appellata la stessa interpretazione della norma di cui al p. 7 del bando di gara”. La Società ha poi reiterato la propria istanza di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale per il caso di accoglimento dell’appello principale. La responsabilità deriverebbe dal fatto che la Regione Veneto avrebbe fornito, nel bando di gara, indicazioni imprecise ed incomplete, nonché per avere adottato comportamenti esecutivi fuorvianti, in tal modo generando nella società appellata la ragionevole convinzione che la spesa da assumere per i lavori avrebbe potuto contare sul contributo pubblico di € 56.604,51”. La Società allega di aver subito un danno ingiusto pari a € 49.003,88, di cui alle seguenti voci - € 1.173,00 di spese per la relazione tecnica redatta per partecipare al bando sulla misura 1.4 - € 600,00 di spese per la documentazione e la rendicontazione sostenute dopo l’assegnazione del contributo in base alla delibera giuntale numero 1064/2003 - € 47.230,88 di maggiori interessi sostenuti sul finanziamento ipotecario di € 350.000,00, somma che avrebbe potuto non essere spesa se la Società avesse chiesto il finanziamento agevolato della misura 1.2, anziché il contributo della misura 1.4 Docup 2000/2006. Con memoria in data 19 luglio 2019, la Società ha eccepito il difetto di interesse della Regione Veneto alla definizione dell’appello in quanto il provvedimento impugnato sarebbe stato ormai superato dal decreto dirigenziale numero 141/2010, sopra richiamato se l’appello principale fosse ritenuto fondato dovrebbe prevalere l’accoglimento del motivo di ricorso incidentale attinente all’eccepito difetto di competenza del dirigente, essendosi sullo specifico punto pacificamente formato il giudicato”. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Falcade, con atto in data 15 maggio 2009, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. 8. Preliminarmente il Collegio deve farsi carico dell’eccezione della Società appellata circa la carenza di interesse della Regione Veneto alla coltivazione dell’appello. Tale eccezione è infondata. Infatti, il decreto dirigenziale numero 141/2010, in seguito annullato dal T.a.r. per il Veneto con la citata sentenza numero 936/2017 per incompetenza dell’atto dirigenziale ad incidere su deliberazione della Giunta regionale, non configura acquiescenza alla sentenza in epigrafe di tale sentenza, impugnata dalla Regione Veneto, il decreto dirigenziale numero 141/2010 costituisce doverosa esecuzione, posta in essere dopo che l’istanza cautelare presentata in sede di appello era stata respinta ord. numero 2820/2010, cit. . Inoltre, va considerato che la questione del difetto di competenza del Dirigente comunale all’adozione dell’atto, diversamente da quanto avvenuto in relazione al successivo decreto numero 141/2010, non è stata specificamente dedotta dalla Società con il ricorso in primo in grado nel presente giudizio, essendosi la parte privata limitata a censurare l’interpretazione della norma numero 6 del Reg. CE numero 1685/2000, su cui si basava il decreto impugnato in primo grado, rilevando solo incidentalmente l’opportunità che di tale questione fosse investito l’organo politico che aveva adottato l’originaria delibera di ammissione a contributo il che, con ogni evidenza, è tutt’altra cosa che denunciare sic et simpliciter l’incompetenza all’adozione del decreto impugnato . 9. Tanto premesso, l’unico motivo su cui fa leva l’appello principale è fondato e va accolto. Il Collegio constata che, da un lato, la sentenza in epigrafe ha rilevato che gli artt. 7 e 20 del bando prevedevano, rispettivamente, la contribuzione per l’acquisizione di locali” e l’osservanza delle regole della concorrenza comunitarie articoli 87 e 88 del Trattato , con esclusione del finanziamento delle iniziative non previste da disposizioni comunitarie che nel 2003 la Società era stata informata in modo dettagliato sulle iniziative ammissibili a contributo grazie al protocollo di lavoro trasmesso dalla Regione che indicava l’acquisto di beni immobili tra le spese ammissibili, specificando che doveva trattarsi di edifici già costruiti e terreni su cui si trovano”, così riproducendo nei contenuti l’art. 6 del Reg. CE numero 1685/00 e che l’interpretazione di tale norma contenuta nell’atto impugnato doveva ritenersi corretta. D’altro lato, tuttavia, il T.a.r. ha ritenuto che l’atto impugnato avesse compromesso aspettative consolidate della ricorrente a distanza di un lungo lasso di tempo, senza motivare minimamente – motivazione tanto più rafforzata quanto maggiore era il tempo trascorso dalla assegnazione del contributo - sulle ragioni di interesse pubblico da porre a base di una eventuale riduzione del contributo”. Ad avviso del Collegio, una volta ritenuto che il bando e il protocollo di lavoro avessero assicurato una sufficiente conoscenza da parte della Società delle condizioni di ammissibilità alla contribuzione, doveva ragionevolmente escludersi un affidamento della stessa Società circa il carattere definitivo del contributo inizialmente riconosciuto, tale da imporre all’Amministrazione un particolare onere di motivazione a sostegno del recupero di quanto indebitamente riconosciuto a titolo di contributo. Del resto, la delibera giuntale numero 1064/2003, nell’ammettere i soggetti ivi indicati a contribuzione, espressamente richiamava il protocollo di lavoro, faceva salva la successiva rendicontazione delle spese sostenute dai partecipanti al bando ed evidenziava che in alcuni casi potrebbe verificarsi l’ipotesi di una decurtazione del contributo in corso di esecuzione delle opere e della relativa rendicontazione dal momento che in fase istruttoria non sussistevano elementi sufficienti progetti preliminari, voci di spesa aggregate comprensive di interventi anche non riconosciuti dalla Misura comunitaria per le quali risultava impossibile scorporare le sole voci ammissibili ad una puntuale determinazione della spesa ammissibile” undicesima premessa, secondo periodo con ciò veniva chiarita la provvisorietà della concessione del contributo e, quindi, una diversa determinazione in sede definitiva da parte dell’Amministrazione non avrebbe potuto far venire in rilievo alcuna violazione del principio dell’affidamento per effetto del decorso del tempo cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2016, numero 942 id., sez. I, 27 giugno 2010, parere numero 2719 e Cons. giust. amm. reg. sic., 16 luglio 2019, numero 671 . Inoltre appaiono contraddittorie le affermazioni recate dalla sentenza in epigrafe, per cui, da un lato, si rileva che l’atto impugnato non recava alcuna motivazione in merito all’interesse pubblico concreto ad effettuare la riduzione del contributo da liquidare alla Società rispetto a quello che, anni prima, era stato ritenuto ammissibile e dall’altro, si evidenziava che quando l’annullamento ex officio riguarda un provvedimento amministrativo che comporta un esborso di denaro pubblico tanto più se l’atto è in contrasto con il diritto comunitario non occorre una motivazione diffusa sulle ragioni di interesse pubblico che hanno indotto l’autorità emanante ad agire in via di autotutela”. In merito è chiaro l’indirizzo di questo Consiglio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui la revoca del contributo pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici” quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, essendo l’interesse pubblico all’adozione dell’atto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato” e plurimis Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2015, nnumero 2380 e 2381 . Alla stregua delle superiori considerazioni, s’impone l’accoglimento dell’appello principale. 10. L’appello incidentale, nella parte in cui è teso ad avversare l’interpretazione dell’art. 6 del Reg. CE numero 1685/00, è infondato. L’interpretazione di tale norma adottata dalla Regione con l’atto impugnato, ritenuta corretta dal T.a.r., è strettamente aderente alla formulazione letterale della stessa norma, che prevede il riconoscimento del finanziamento per edifici già costruiti”. Al riguardo, oltre a richiamare quanto già rilevato sub 9 in ordine alle informazioni rese dall’Amministrazione ai soggetti richiedenti il contributo, può aggiungersi che in ogni caso la eventuale mancata conoscenza della norma suindicata che riveste rango primario non può certo essere addotta dall’originaria ricorrente a fondamento di un proprio legittimo affidamento. 10.1. L’impugnazione incidentale è invece fondata nella parte relativa all’istanza di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, nei sensi e limiti appresso precisati. E invero, nonostante la legittimità e la doverosità dell’atto impugnato, connotati rispetto ai quali – come detto - si palesa recessivo l’affidamento invocato dalla Società, il Collegio ritiene che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell’Amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell’inammissibilità della domanda di contributo della Società solo nella fase procedimentale successiva all’emanazione della delibera giuntale numero 1064/2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera. La disattenzione che connota tale comportamento amministrativo, sostanzia, ad avviso del Collegio, un contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1337 c.c., essendosi verosimilmente ingenerato nella Società un ragionevole affidamento nella legittimità di tale delibera, e quindi nella circostanza di poter fruire il contributo nella misura ivi indicata, tala da indurla a portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale. A fronte di tale affidamento, non giova richiamare la suindicata clausola del bando in ordine alla provvisorietà della liquidazione del contributo ed alla circostanza che lo stesso potesse essere rideterminato e anche ridotto in fase di rendicontazione, in quanto ciò ovviamente afferiva alla fase di verifica sull’esecuzione delle iniziative ammesse a contributo, e non certo a quella dell’ammissibilità a monte delle domande. La sussistenza nella specie della colpa dell’Amministrazione nell’aver ingenerato il suindicato affidamento che, lo si ribadisce, attiene non al carattere doveroso della successiva riduzione del contributo ed alla relativa motivazione, ma alla condotta complessiva serbata dalla Regione discende con evidenza dai rilievi che si sono fin qui svolti perché, se non è scusabile per le ragioni evidenziate l’obliterazione dell’art. 6 del Reg. CE numero 1685/00 da parte della Società originaria ricorrente, a maggior ragione non può esserlo l’atteggiamento dell’Amministrazione procedente che tale norma avrebbe dovuto correttamente applicare ab initio. 10.2. Definita in tali termini la responsabilità della parte appellante principale, il quantum del danno risarcibile, sotto il profilo del danno emergente, va determinato in relazione alle spese sostenute dalla Società proprio in relazione alla suddetta fase procedimentale successiva alla delibera giuntale numero 1064/2003, cui vanno dunque ascritte le spese sostenute per documentazione e rendicontazione, pari a € 600,00. Non possono esservi ascritte invece le spese sostenute per la relazione tecnica, pari a € 1.173,00, in quanto imputabili ad attività che la Società avrebbe dovuto comunque porre in essere fin dapprincipio per partecipare al bando, a prescindere dall’esito della domanda, e che attengono alla fase del procedimento precedente alla richiamata delibera giuntale. Sotto il profilo del lucro cessante, il Collegio constata che la motivazione della richiesta di € 47.230,88, a titolo di maggiori interessi sostenuti sul finanziamento ipotecario di € 350.000,00, si fonda sull’ipotesi che tale spesa avrebbe potuto essere evitata partecipando al bando per il finanziamento agevolato sulla misura 1.2, anziché 1.4, del Docup 2000/2006. Tale pretesa è volta a configurare un danno da perdita della chance di un altro finanziamento cui la Società ritiene che avrebbe potuto attingere. Ma poiché dell’an di una tale occasione non vi è alcuna certezza, in merito può essere formulato solo un giudizio prognostico ex ante in termini probabilistici e il quantum può essere liquidato in via equitativa nella misura di € 5.000,00. 11. Per quanto sopra esposto, il Collegio, fermo restando l’accoglimento dell’appello principale, ritiene che l’appello incidentale debba essere respinto per la parte in cui si deduce l’erroneità della sentenza impugnata quanto all’interpretazione della norma numero 6 del Reg. CE numero 1685/2000 e invece accolto nella parte relativa all’istanza di risarcimento di danni per responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, con la condanna della stessa al risarcimento del danno nei confronti della Società per gli importi indicati sub 10.2. Per la particolarità delle questioni che sono emerse nella presente controversia ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda , definitivamente pronunciando - accoglie l’appello principale - accoglie l’appello incidentale nella parte relativa all’istanza di risarcimento di danni e lo respinge per il resto - per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado limitatamente alla domanda di risarcimento danni, respingendolo per il resto, e condanna la Regione Veneto a corrispondere all’appellante incidentale la somma complessiva di euro 5.600,00 cinquemilaseicento/00 . Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.