Responsabilità contabile: le limitazioni alla risarcibilità del danno all’immagine non sono incostituzionali

Non è manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione.

Lo ha affermato la Corte Costituzionale, con le ordinanze nn. 167 e 168, depositate il 9 luglio 2019. Il caso. Le pronunce in commento traggono origine da due distinti giudizi promossi avanti alla Corte dei Conti per il risarcimento del danno erariale arrecato da diversi appartenenti alle forze di polizia durante il G8” di Genova del 2001, in occasione del quale, come definitivamente accertato in sede penale, gli imputati hanno intenzionalmente proceduto all’arresto di alcuni manifestanti al di fuori dei presupposti di legge affermando falsamente di averli sorpresi mentre ponevano in essere condotte violente e pericolose per l’incolumità pubblica e si sono resi responsabili di condotte delittuose all’interno della caserma di Bolzaneto individuata quale sito penitenziario provvisorio per la presa in carico dei manifestanti arrestati . La norma impugnata. Nell’ambito dei relativi procedimenti, la Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30 -ter , decreto legge n. 78/2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 102/2009, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c , n. 1 , decreto legge n. 103/2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 141/2009. La norma impugnata prevede che le procure regionali della Corte dei Conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge n. 97/2001 Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche . Tale ultima disposizione, a sua volta, delimita l’ambito applicativo dell’azione risarcitoria al solo caso di sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti di amministrazioni, enti pubblici o enti a prevalente partecipazione pubblica per i delitti contro la pubblica amministrazione. I dubbi dei rimettenti. Secondo i giudici a quibus, la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., per la sua intrinseca irragionevolezza, atteso che restringe l’ambito oggettivo dei presupposti per l’azione risarcitoria, limitandolo ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ed escludendolo per altre condotte delittuose ben più gravi sia a livello di allarme sociale che di incidenza lesiva sul prestigio della pubblica amministrazione, quali quelle contemplate nei giudizi principali. Secondo i rimettenti, inoltre, escludere l’esercizio dell’azione risarcitoria in presenza di un qualsiasi illecito, anche penalmente non rilevante, che denota l’inefficienza dell’apparato e la sua incapacità di agire, secondo il canone sancito dall’art. 97, comma 2, Cost., comporterebbe una violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, non consentendo la risarcibilità del danno all’immagine nei casi di maggiore inefficienza dell’amministrazione. Ed ancora, i rimettenti denunciano l’illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui prevede che i reati vengano previamente accertati con sentenza di condanna passata in giudicato, così determinando una disparità di trattamento rispetto all’amministrazione che intenda agire per il risarcimento del danno all’immagine in sede diversa da quella contabile, poiché è solo il pubblico ministero contabile che deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. La limitazione della responsabilità erariale rientra nella discrezionalità del legislatore. Con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della norma censurata, la Corte Costituzionale ha precedentemente affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte cfr. Corte Cost., n. 355/2010 . Pertanto, non è manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione. La finalità della norma impugnata, infatti, è quella di dare coerenza alla disciplina del danno all’immagine all’interno di un complessivo disegno legislativo volto a ridurre i casi di responsabilità amministrativa, all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere Corte Cost., n. 355/2010 . Le questioni di legittimità costituzionale risultano, pertanto, manifestamente infondate.

Corte Costituzionale, ordinanza 23 maggio – 9 luglio 2019, n. 168 Presidente Lattanzi – Redattore Barbera Fatto e diritto Ritenuto che con ordinanza del 22 maggio 2018 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c , n. 1 , del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 , convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, per violazione degli artt. 3, 97, comma secondo, e 103, comma secondo, della Costituzione che la Procura contabile aveva evocato in giudizio, per ottenerne la condanna al risarcimento del danno all’immagine delle rispettive amministrazioni di appartenenza, ventotto appartenenti alla Polizia di Stato e alla Polizia penitenziaria, precedentemente sottoposti a processo penale perché – in occasione delle manifestazioni svoltesi a Genova nel luglio 2001, durante il vertice fra i Capi di Stato e di Governo denominato G8” – si erano resi responsabili di condotte delittuose all’interno della caserma Nino Bixio”, sita a Bolzaneto, ed individuata quale sito penitenziario provvisorio per la presa in carico dei manifestanti arrestati che, in particolare, all’esito del giudizio, conclusosi con la sentenza della Corte di cassazione, quinta sezione penale, 10 settembre 2013, n. 37088, otto imputati avevano riportato condanna definitiva per i delitti di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici , abuso di autorità contro arrestati o detenuti e lesioni personali diciotto erano stati condannati definitivamente soltanto agli effetti civili, essendo nel frattempo intervenuta la prescrizione del reato, e due erano stati assolti, permanendo la loro responsabilità in sede contabile soltanto in via sussidiaria, per colpa grave consistita nell’omesso esercizio dei poteri di controllo o vigilanza che la norma impugnata prevede che le procure regionali della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche che tale ultima disposizione, a sua volta, delimita l’ambito applicativo dell’azione risarcitoria al solo caso di sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti di amministrazioni, enti pubblici o enti a prevalente partecipazione pubblica per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale che, con riguardo alla rilevanza, il rimettente premette che, in applicazione della disposizione impugnata, la domanda di risarcimento del danno all’immagine dovrebbe essere dichiarata improponibile, così come eccepito da tutti i convenuti, non essendo nel frattempo perento il termine quinquennale di prescrizione dell’azione risarcitoria, che – sospeso durante l’intera durata del procedimento penale – inizia a decorrere dal deposito della sentenza definitiva di condanna che, per quanto attiene alla non manifesta infondatezza, si assume in primo luogo la violazione dell’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza intrinseca della norma impugnata, che restringe l’ambito oggettivo dei presupposti per l’azione risarcitoria, limitandolo ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ed escludendolo per altre condotte delittuose ben più gravi sia a livello di allarme sociale che di incidenza lesiva sul prestigio della pubblica amministrazione , quali quelle contemplate nel giudizio principale che secondo il rimettente, inoltre, escludere l’esercizio dell’azione risarcitoria in presenza di un qualsiasi illecito, anche penalmente non rilevante, che denota l’inefficienza dell’apparato e la sua incapacità di agire, secondo il canone sancito dall’art. 97, secondo comma, Cost. , comporterebbe una violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, non consentendo la risarcibilità del danno all’immagine nei casi di maggiore inefficienza dell’amministrazione che, in secondo luogo, il rimettente denunzia l’illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui prevede che i reati vengano previamente accertati con sentenza di condanna passata in giudicato che da tale limitazione è fatta anzitutto discendere una violazione dell’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che ne deriva a carico dell’amministrazione che intenda agire per il risarcimento del danno all’immagine in sede diversa da quella contabile, poiché è solo il pubblico ministero contabile che deve attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna che, ancora, l’irrazionalità della previsione di un necessario giudicato di condanna si evidenzia con riferimento alle ipotesi, analoghe a quelle di specie, nelle quali il giudice penale ha accertato la responsabilità dell’imputato, condannandolo ai soli fini civili solo perché nel frattempo è intervenuta la prescrizione del reato che, sotto altro profilo, la coerenza interna della scelta legislativa sarebbe incrinata dalla presenza, nell’ordinamento, di singole disposizioni che consentono l’esercizio dell’azione in presenza di fatti di reato non accertati con sentenza di condanna definitiva, quando non di fatti non costituenti reato che, infine, siffatta limitazione comporterebbe anche violazione del principio di effettività della giurisdizione in sede contabile art. 103, comma secondo, Cost. , poiché pur in presenza di una condotta dannosa per l’amministrazione, accertata in sede giudiziale, il rimedio risarcitorio verrebbe negato che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate vengano dichiarate inammissibili e manifestamente infondate che, in particolare, la difesa erariale ha evidenziato che le censure formulate dal rimettente sono le stesse già sottoposte, in più occasioni, allo scrutinio di questa Corte e giudicate non fondate, non sussistendo, per il resto, elementi nuovi dei quali si renda necessaria la valutazione. Considerato che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza del 22 maggio 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c , numero 1 , del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 , convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, per violazione degli artt. 3, 97, comma secondo, e 103, comma secondo, della Costituzione che la norma censurata prevede che le procure regionali della Corte dei conti esercitino l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche che il richiamato art. 7 della legge n. 97 del 2001, a sua volta, fa riferimento, ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo dell’azione risarcitoria, alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate, nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale che, con una prima censura, si assume la violazione degli artt. 3 e 97, comma secondo, Cost. perché la norma impugnata escluderebbe irragionevolmente la responsabilità dei pubblici dipendenti nelle ipotesi di condotte che, pur non integrando alcuna delle fattispecie delittuose indicate, sono caratterizzate da obiettivo disvalore ed arrecano pregiudizio al prestigio dell’amministrazione, ed arrecherebbe un vulnus al principio di buon andamento dell’azione amministrativa, eliminando ogni conseguenza, sul piano della responsabilità amministrativa, del comportamento infedele del pubblico dipendente che, con un secondo nucleo di censure, si assume poi la violazione degli artt. 3 e 103, comma secondo, Cost., poiché la previsione di un giudicato penale di condanna per l’esercizio dell’azione risarcitoria da parte del PM contabile configurerebbe una disparità di trattamento rispetto ai casi in cui l’amministrazione si tutela in una diversa sede giurisdizionale, senza patire tale limitazione che ad avviso del rimettente, inoltre, la stessa previsione sarebbe intrinsecamente irragionevole, escludendo la tutela risarcitoria per il caso in cui, accertati in giudizio ai fini della responsabilità civile i fatti di reato, quest’ultimo debba comunque essere dichiarato estinto per prescrizione, rendendo altresì priva di efficacia la tutela innanzi al giudice contabile che le questioni sono rilevanti, poiché il giudizio principale, introdotto prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 , non risente delle modifiche introdotte da quest’ultimo alla disciplina del risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione, e la proponibilità della relativa azione va dunque valutata alla stregua della disciplina previgente che la prima questione è manifestamente infondata che, con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della norma in esame, questa Corte, con la sentenza n. 355 del 2010 successivamente confermata dalle ordinanze n. 219, 221 e 286 del 2011 , ha affermato anzitutto che rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte che la stessa decisione ha conseguentemente ritenuto non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione che la finalità della norma impugnata è dunque quella di dare coerenza alla disciplina del danno all’immagine all’interno di un complessivo disegno legislativo volto a ridurre i casi di responsabilità amministrativa, all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere sentenza n. 355 del 2010 che tale scelta, peraltro, non esclude la ragionevolezza dell’identificazione, all’interno di tale disegno, di ulteriori e specifiche ipotesi di responsabilità, che si giustificano in ragione della loro specialità che i principi così sintetizzati non sono posti in discussione dalle censure formulate, che non sottopongono a questa Corte argomenti e profili non considerati nei precedenti sopra richiamati che a fronte di tale valutazione in ordine alla prima questione, l’ulteriore nucleo di censure diviene privo di rilevanza rispetto al giudizio principale, poiché osta in ogni caso alla proponibilità dell’azione risarcitoria il fatto che le condotte accertate a carico dei convenuti non rientrano nel novero dei reati che la consentono che la seconda questione è, pertanto, manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per Questi Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c , numero 1 , del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 , convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97, comma secondo, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe 2 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, del d.l. n. 78 del 2009, come convertito e successivamente modificato, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 103, comma secondo, Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Corte Costituzionale, ordinanza 21 maggio – 9 luglio 2019, n. 167 Presidente Lattanzi – Redattore Barbera Fatto e diritto Ritenuto che con ordinanza dell’8 agosto 2018 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c , numero 1 , del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 , convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione che la Procura contabile aveva evocato in giudizio quattro appartenenti alla Polizia di Stato, ritenuti responsabili dalla Corte d’appello di Genova, fra l’altro, del reato continuato di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici , per aver − durante una manifestazione svoltasi a Genova nel luglio del 2001, in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo denominato G8” − operato intenzionalmente l’arresto di alcuni manifestanti al di fuori dei presupposti di legge, affermando falsamente nel relativo verbale e nelle successive relazioni di servizio di averli sorpresi mentre ponevano in essere condotte violente e pericolose per l’incolumità pubblica che, in particolare, divenuta definitiva la condanna in seguito al rigetto del ricorso per cassazione proposto dagli imputati, la Procura contabile aveva chiesto la condanna dei predetti al risarcimento del danno all’immagine subito dalla Polizia di Stato, determinato equitativamente in euro 200.000,00 che la norma impugnata prevede che le procure regionali della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche che tale ultima disposizione, a sua volta, delimita l’ambito applicativo dell’azione risarcitoria al solo caso di sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti di amministrazioni, enti pubblici o enti a prevalente partecipazione pubblica per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale che, con riguardo alla rilevanza, il rimettente premette di aver già sollevato questione di legittimità costituzionale della norma indicata nella parte in cui escludeva l’esercizio dell’azione del P.M. contabile per il risarcimento del danno all’immagine conseguente a reati commessi da pubblici dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, diversi da quelli contro la P.A. di cui al Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale , e che tuttavia questa Corte, con ordinanza n. 145 del 2017, osservato che dopo l’ordinanza di rimessione la norma impugnata era stata abrogata, limitatamente al primo periodo, dall’art. 4, comma 1, lettera h , dell’all. 3 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 , e che l’art. 4, comma 1, lettera g , dello stesso all. 3 aveva abrogato l’art. 7 della legge n. 97 del 2001, aveva ritenuto che tali sopravvenute modifiche avessero determinato una profonda trasformazione del quadro normativo di riferimento, realizzate con modalità tale da influire sul contenuto e sulla prospettazione delle censure, e perciò restituito gli atti al giudice a quo che, posta tale premessa, il rimettente ritiene di dover riproporre la medesima questione già sollevata, poiché il giudizio principale è stato introdotto anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina dell’azione risarcitoria, restando così soggetto alla normativa previgente che, pertanto, la questione sarebbe rilevante perché in applicazione della disposizione impugnata la domanda di risarcimento del danno all’immagine dovrebbe essere dichiarata improponibile, così come eccepito da tutti i convenuti che, per quanto attiene alla non manifesta infondatezza, si assume in primo luogo la violazione dell’art. 3 Cost. per l’irragionevolezza intrinseca della norma impugnata, che in via generale restringe l’ambito oggettivo dei presupposti per l’azione risarcitoria, limitandolo ai soli delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione ed escludendolo per altre condotte delittuose di rilevante disvalore, quale quella contemplata nel giudizio principale la coerenza interna di tale scelta legislativa sarebbe infatti incrinata dalla successiva introduzione di singole disposizioni che consentono l’esercizio dell’azione in presenza di fatti di reato meno gravi o anche di fatti non costituenti reato, quali, in particolare – l’art. 55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche , inserito dall’art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni , ove è stabilito che il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione, il quale attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale [] nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione – l’art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione , a mente del quale in caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 risponde anche del danno all’immagine della pubblica amministrazione – l’art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni , nel testo modificato dall’art. 37, comma 1, lettera b , del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche , secondo cui [l]’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico , nei casi previsti, possono costituire eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione che, in secondo luogo, la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché, pur se ispirata alla ratio di non ampliare le ipotesi di responsabilità dei pubblici dipendenti onde evitare un rallentamento nell’efficacia e tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, è demandato l’esercizio dell’attività amministrativa sentenza n. 355 del 2010 , avrebbe operato un erroneo bilanciamento degli interessi in gioco, sacrificando in misura sproporzionata il diritto all’immagine dell’amministrazione ed introducendo una limitazione eccedente rispetto allo scopo avuto di mira e non necessaria, ove si consideri l’esistenza di altre misure dirette a restringere la responsabilità dei dipendenti che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate vengano dichiarate inammissibili o infondate che, in particolare, l’Avvocatura generale ha evidenziato che le censure formulate dal rimettente sono le stesse già sottoposte, in più occasioni, allo scrutinio di questa Corte e giudicate non fondate, non sussistendo, per il resto, elementi nuovi dei quali si renda necessaria la valutazione che si sono inoltre costituiti in giudizio L. B., A. C. e S. V., convenuti nel giudizio principale, i quali hanno dedotto l’infondatezza della questione, rilevando che la scelta del legislatore di circoscrivere l’area del danno risarcibile non è manifestamente irragionevole, così come già affermato da questa Corte con numerose pronunzie. Considerato che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con ordinanza dell’8 agosto 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c , numero 1 , del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 , convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione che il rimettente ha non implausibilmente ritenuto la questione rilevante, osservando che il giudizio principale, introdotto prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 , non risente delle modifiche introdotte da quest’ultimo alla disciplina del risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione, e la proponibilità della relativa azione va dunque valutata alla stregua della disciplina previgente che la questione è manifestamente infondata che la norma censurata prevede che le procure regionali della Corte dei conti esercitino l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche che il richiamato art. 7 della legge n. 97 del 2001, a sua volta, fa riferimento, ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo dell’azione risarcitoria, alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate, nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale che, con una prima censura, si assume la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto sarebbe irragionevole escludere la responsabilità nelle ipotesi in cui il pubblico dipendente commetta gravi reati estranei al novero indicato dalla norma impugnata, avuto riguardo al fatto che, in epoca successiva, sono state introdotte singole disposizioni che consentono l’esercizio dell’azione in presenza di fatti di reato meno gravi o anche di fatti non costituenti reato che, con una seconda censura, si assume poi la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto la norma impugnata, nel restringere l’ambito della responsabilità in questione per non appesantire l’azione amministrativa dei pubblici poteri, avrebbe operato un erroneo bilanciamento degli interessi in gioco, sacrificando in misura sproporzionata il diritto all’immagine dell’amministrazione e introducendo una limitazione eccedente rispetto allo scopo e non necessaria, tenuto conto dell’esistenza di altre misure dirette a restringere la responsabilità dei dipendenti che, con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della norma in esame, questa Corte, con la sentenza n. 355 del 2010 successivamente confermata dalle ordinanze n. 219, 221 e 286 del 2011 , ha affermato anzitutto che rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte che la stessa decisione ha conseguentemente ritenuto non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione che la finalità della norma impugnata è dunque quella di dare coerenza alla disciplina del danno all’immagine all’interno di un complessivo disegno legislativo volto a ridurre i casi di responsabilità amministrativa, all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere sentenza n. 355 del 2010 che tale scelta non esclude la ragionevolezza dell’identificazione, all’interno di tale disegno, di ulteriori e specifiche ipotesi di responsabilità, che si giustificano in ragione della loro specialità che i principi così sintetizzati non sono posti in discussione dalle censure formulate, che non sottopongono a questa Corte argomenti e profili non considerati nei precedenti sopra richiamati che neppure rilevano in tal senso le ipotesi invocate dal rimettente per evidenziare una pretesa incoerenza di sistema che, infatti, in ordine alla prima di esse – quella contemplata dall’art. 55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche , inserito dall’art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni , ove è prevista la condanna del dipendente al risarcimento dei danni all’immagine subiti dall’amministrazione di appartenenza in conseguenza di sue assenze ingiustificate dal lavoro – la già citata sentenza n. 355 del 2010 ha affermato la possibilità di riconoscere l’esistenza di diritti propri” degli enti pubblici e conseguentemente ammettere forme peculiari di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati e che, pertanto, [i]n questa prospettiva, non è manifestamente irragionevole ipotizzare differenziazioni di tutele, che si possono attuare a livello legislativo, anche mediante forme di protezione dell’immagine dell’amministrazione pubblica a fronte di condotte dei dipendenti, specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate alla persona fisica che analoghe considerazioni valgono per l’art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione che tale norma, infatti, prevede la proponibilità dell’azione risarcitoria nel caso in cui all’interno dell’amministrazione sia accertato con sentenza definitiva un reato di corruzione, ovvero uno dei reati che consentono il risarcimento del danno all’immagine ai sensi della norma impugnata che il fatto che, in tale ipotesi, l’esercizio dell’azione risarcitoria sia consentito nei confronti del dirigente di ruolo designato quale Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza art. 1, comma 7, della l. n. 190 del 2012 non realizza una scelta legislativa manifestamente irragionevole i particolari poteri e compiti attribuiti dall’ordinamento a tale figura, infatti, giustificano un’affermazione di responsabilità conseguente alle relative omissioni, che hanno sostanzialmente vanificato le misure a difesa dell’amministrazione, non impedendo la commissione del fatto corruttivo che, infine, e quanto all’evocato art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni , nel testo modificato dall’art. 37, comma 1, lettera b , del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche , rileva, a giustificazione dell’introduzione di un’ulteriore ipotesi risarcitoria, la sua finalità di rafforzamento delle misure di trasparenza della pubblica amministrazione, volte a coniugare l’efficienza della funzione pubblica con le garanzie di tutela delle posizioni giuridiche dei cittadini, di cui sono corollari i previsti obblighi di pubblicità e l’accessibilità ai documenti amministrativi, le cui previsioni sono qualificate dall’ordinamento come livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche. Per Questi Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c , numero 1 , del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 , convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.