Anche chi si dedica all’acquacultura è assimilato all’imprenditore agricolo

Anche l’imprenditore ittico è soggetto ai rischi del ciclo biologico della natura e quindi può essere assimilato all’imprenditore agricolo come del resto prevede anche la legge.

Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 5612 del 1° ottobre 2018. Il caso. Una società attiva nel commercio del pesce e nella sua lavorazione ha proposto ricorso contro il diniego regionale al rilascio della certificazione della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Anche se l’allevamento delle specie acquatiche non è un’attività tipica dell’imprenditore agricolo la norma assimila questa tipologia di imprese. Specifica infatti l’art. 2/3° d.lgs. n. 226/2001 che fatte salve le più favorevoli disposizioni di legge, l'imprenditore ittico è equiparato all'imprenditore agricolo. L'equiparazione di cui si discute è infatti piena, ed anzi è accompagnata da una clausola di maggior favore, prosegue il collegio, con la quale si fanno salve le più favorevoli disposizioni di legge previste a favore dell'imprenditore ittico. In presenza di una volontà legislativa così espressa - la cui ratio può essere individuata nel fatto che anche l'imprenditore ittico, come quello agricolo, è comunque soggetto ai rischi connessi all'evoluzione del ciclo biologico dei prodotti naturali, sebbene non provveda alla relativa cura e sviluppo - non è possibile impedire al primo l'accesso a regimi di favore proprie dell'imprenditore agricolo .

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 18 settembre – 1 ottobre 2018, n. 5612 Presidente Giovagnoli – Estensore Franconiero Fatto 1. La Regione Veneto propone appello contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con cui è stato accolto il ricorso della società agricola Moceniga Pesca s.s. contro il diniego, opposto dall’amministrazione appellante, al rilascio a favore di quest’ultima della certificazione della qualità di imprenditore agricolo professionale ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d , f , g , l , ee , della legge 7 marzo 2003, n. 38 . Il diniego adottato con provvedimento del servizio ispettorato regionale per 1’agricoltura di Rovigo 12 giugno 2007, prot. n. 332537, sulla base del preavviso di rigetto di cui alla nota in data 13 aprile 2007, prot. n. 211039 era motivato sulla base del fatto che per statuto la società istante svolgeva attività non esclusivamente agricole ai sensi dell’art. 2135 del codice civile ed in particolare la pesca di prodotti ittici, con le conseguenti attività di lavorazione, commercializzazione e vendita al minuto l’ittiturimo e, per stessa ammissione della Moceniga Pesca nell’ambito del contraddittorio procedimentale conseguente al citato preavviso di rigetto, la pesca-turismo. 2. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adito in primo grado reputava tuttavia illegittimo il diniego. Ciò sul rilievo secondo cui nell’ambito delle attività svolte dalla società istante vi è quella di acquacoltura, da cui la stessa ricava la maggior parte del suo reddito in particolare dall’allevamento di molluschi , che consiste nell’ allevamento di varie specie acquatiche , e che è riconducibile alle attività tipiche dell’imprenditore agricolo previste dal citato art. 2135 cod. civ., nell’interpretazione estensiva risultante dalla normativa sopravvenuta di cui al parimenti citato decreto legislativo n. 99 del 2004 e successive modifiche, in base alla quale si può definire imprenditore agricolo anche chi nell’allevamento non utilizza il fondo . 3. Con il proprio appello la Regione Veneto ribadisce la legittimità del proprio diniego di certificazione, sulla base delle ragioni addotte nel diniego ex adverso impugnato e formula critiche alle ragioni che hanno condotto il giudice di primo grado ad accogliere il ricorso della Moceniga Pesca. 4. Quest’ultima si è costituita in resistenza all’appello. Diritto 1. La società agricola Moceniga Pesca eccepisce in via preliminare l’irricevibilità dell’appello, perché proposto il 29 aprile 2008, quando era già scaduto il termine breve” ex art. 28, comma 2 della legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali 6 dicembre 1971, n. 1034 allora vigente , di 60 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado. L’originaria ricorrente precisa al riguardo che la sentenza, depositata il 10 settembre 2007, è stata notificata il giorno 19 dello stesso mese presso la sede della giunta regionale, domicilio eletto per il giudizio di primo grado, e consegnata a mani del funzionario addetto all’Ufficio periferico , come risulta dalla delibera di giunta regionale con cui l’amministrazione resistente ha deciso di impugnare la sentenza del Tribunale delibera n. 3499 del 6 novembre 2007 . 2. In replica la Regione Veneto ha precisato che la notifica della sentenza non è stata fatta presso la sede della giunta regionale in Venezia Palazzo Balbi, Dorsoduro n. 3901 domicilio eletto per il giudizio di primo grado, ma presso l’ispettorato regionale avente sede in Rovigo e che pertanto tale notifica sarebbe inidonea a fare decorrere il sopra menzionato termine breve previsto dall’art. 28, comma 2, della legge n. 1034 del 1971. La medesima amministrazione evidenzia che al medesimo fine in base agli artt. 285 e 170 cod. proc. civ. la sentenza deve essere notificata al procuratore costituito e presso il domicilio eletto da quest’ultimo. 3. Entrambe le circostanze evidenziate dalla Regione conducono al rigetto dell’eccezione. Deve infatti premettersi che in base alle disposizioni del codice di procedura civile poc’anzi menzionate in allora applicabili al processo amministrativo , la notifica della sentenza al fine di fare decorrere il termine breve” per proporre appello deve essere fatta non solo presso il domicilio eletto per il giudizio di primo grado, ma anche nei confronti del procuratore a mezzo del quale la parte sta in giudizio. Al riguardo, la costante giurisprudenza di legittimità ha escluso che costituisca valida notifica a tal fine quella fatta senza alcuna indicazione al procuratore costituito, quand’anche il domicilio eletto per il giudizio sia anche quello reale della parte. Ciò sul rilievo che compete comunque al primo valutare sul piano tecnico l’opportunità di proporre l’impugnazione in questo senso Cass. civ., I, 7 maggio 2014, n. 9843 III, 11 giugno 2012, n. 9431 VI, ord. 5 luglio 2017, n. 16590 . 4. Tanto premesso, nel caso di specie la notifica della sentenza non è in primo luogo avvenuta presso il domicilio eletto dalla Regione, che come poc’anzi esposto è la sede della giunta, in Venezia, ma presso la sede dell’Ispettorato regionale per l’agricoltura di Rovigo della stessa amministrazione. La circostanza che la giunta abbia poi deliberato di proporre appello rectius di autorizzare il presidente a proporre appello non muta le conclusioni cui si è finora giunti, perché la trasmissione della sentenza dall’ufficio periferico alla giunta può comunque richiedere del tempo, che incide sul termine breve per appellare e dunque, sul diritto di difesa, così da rendere inapplicabile quest’ultimo. 5. Come poi deduce la Regione la notifica andava comunque indirizzata ai procuratori avvocati Antonella Cusin ed Ezio Zanon, cosicché anche sotto questo profilo non risultano essere state seguite le inderogabili formalità alle quali era subordinata in base alle norme la decorrenza del termine breve per appellare. 6. Si può pertanto procedere ad esaminare l’appello nel merito. Le censure in esso contenute sono infondate, sebbene per ragioni diverse da quelle espresse dal giudice di primo grado. 7. Quest’ultimo ha dato rilievo al fato che la società originaria ricorrente svolge in via prevalente l’attività di acquacoltura, senza tuttavia considerare che ai fini della qualificazione come società agricola l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 99 del 2004 richiede l’esercizio esclusivo delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile , e che la Regione Veneto contesta proprio il fatto che tra le attività statutarie della Moceniga Pesca vi è anche la pesca. 8. Del pari è irrilevante il fatto che dal punto di vista previdenziale i soci della medesima società siano iscritti nella gestione previdenziale INPS relativa agli imprenditori agricoli, ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 102 Norme concernenti l'attività di acquacoltura . Ciò che rileva è infatti il dato effettivo relativo alla natura delle attività d’impresa svolte, oggetto di accertamento nel presente giudizio, tanto più che come dedotto dalla Regione nel proprio appello, la Moceniga Pesca aveva ottenuto tale iscrizione prima di richiedere la certificazione della qualifica di imprenditore agricolo professionale. 9. Venendo allora al punto controverso, deve innanzitutto rilevarsi che la pesca costituisce attività estranea a quelle dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine , previste dal più volte citato art. 2135, comma 2, del codice civile. La pesca consiste infatti nell’estrazione della risorsa ittica dal suo ambiente naturale, mediante la sua cattura e raccolta , come si ricava dalla definizione dell’imprenditore ittico contenuta nell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 226 Orientamento e modernizzazione del settore della pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57 , come modificato dall’art. 6 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154 Modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38 . Difetta dunque nell’attività dell’imprenditore ittico l’apporto produttivo tipico dell’imprenditore agricolo, consistente nella creazione e nello sviluppo del prodotto naturale. 10. Sul punto, in contrario non giova alla Moceniga Pesca sottolineare il fatto che in base alla nuova definizione contenuta nel comma 2 dell’art. 2135 cod. civ. risultante dalle modifiche introdotte con il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57 , la qualità di imprenditore agricolo è stata svincolata dal fondo e dalle attività ad esso connesse. Se ciò è vero, come si ricava dal richiamo da parte di quest’ultima disposizione dei casi di utilizzo delle acque dolci, salmastre o marine , è altrettanto vero che attraverso tale menzione si è chiarito che può essere considerato imprenditore agricolo chi esercita l’attività di acquacoltura, ma non anche chi esercita la pesca. 11. Sotto un distinto profilo la Moceniga Pesca deduce che il riferimento all’attività di pesca contenuto nello statuto consiste nella raccolta di organismi acquatici, così come può essere rilevato dai provvedimenti di rilascio di autorizzazioni da parte della DG pesca, e ciò allo scopo di trasferire il suddetto prodotto all'interno delle concessioni ai fini dell’accrescimento, così come autorizzato per tutte le imprese ad opera della Provincia di Rovigo . La circostanza, solo affermata, non è smentita dalla Regione appellante, ma non può nemmeno essere confermata, ed in ogni caso non impedisce a termini di statuto che la pesca possa riguardare ogni specie ittica e dunque svolgersi con le stesse modalità dell’imprenditore ittico. Al riguardo va richiamato quanto evidenziato in precedenza e cioè che ai sensi del citato art. 2, comma 1, d.lgs. n. 99 del 2004 le attività statutariamente previste devono essere comunque riconducibili a quelle agricole di cui all’art. 2135 del codice civile. 12. Dove tuttavia le censure della Regione Veneto si infrangono è sull’equiparazione dell’imprenditore ittico all’imprenditore agricolo, sancita dall’art. 2, comma 3, del citato d.lgs. n. 226 del 2001. L’amministrazione afferma sul punto che da questa equiparazione si trae conferma che sul piano ontologico l’imprenditore ittico è diverso dall’imprenditore agricolo. 13. Sennonché, se si può convenire con questa affermazione, per le ragioni esposte in precedenza, non si intravvedono motivi per negare il rilascio della certificazione della qualità di imprenditore agricolo ad un imprenditore ad esso normativamente equiparato e che peraltro esercita in via prevalente un’attività agricola quale l’acquacoltura . L’equiparazione di cui si discute è infatti piena, ed anzi è accompagnata da una clausola di maggior favore”, con la quale si fanno salve le più favorevoli disposizioni di legge previste a favore dell’imprenditore ittico. In presenza di una volontà legislativa così espressa - la cui ratio può essere individuata nel fatto che anche l’imprenditore ittico, come quello agricolo, è comunque soggetto ai rischi connessi all’evoluzione del ciclo biologico dei prodotti naturali, sebbene non provveda alla relativa cura e sviluppo – non è possibile impedire al primo l’accesso a regimi di favore proprie dell’imprenditore agricolo, in specie di carattere previdenziale ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 102, sopra citata . La tesi sostenuta dalla Regione appellante conduce infatti a ritenere come non scritta l’equiparazione tra le due categorie di imprenditori sancita dalla legge, in assenza di qualsiasi fondamento di carattere testuale ed in contrasto con le ragioni poc’anzi evidenziate di tale disposizione normativa. 14. L’appello deve quindi essere respinto, ma la peculiarità delle questioni controverse giustifica la compensazione delle spese di causa. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese di causa. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.