Il silenzio della P.A. sull’istanza di condono edilizio non crea un affidamento legittimo

In tema di condono edilizio, per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza è necessario che ricorrano i requisiti dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, nonché dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria.

Sul tema si è pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5273/18, depositata il 7 settembre. La vicenda. I comproprietari di un immobile, eredi dell’originaria proprietaria, impugnavano davanti al TAR Calabria il provvedimento con cui l’amministrazione comunale aveva rigettato l’istanza di condono edilizio presentata dalla de cuius , ordinando la demolizione delle opere abusive. I ricorrenti lamentavano la mancata comunicazione di avvio del provvedimento posto che tutte le comunicazioni erano state indirizzate alla dante causa deceduta nelle more del procedimento, invocando dunque il silenzio assenso da parte della P.A. e la violazione del principio di legittimo affidamento considerato che dalla domanda di sanatoria erano decorsi circa 30 anni. Il TAR respingeva integralmente il ricorso. La questione giunge dunque all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada. Comunicazione di avvio del procedimento. Il Collegio ritiene fondata la doglianza relativa alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento posto che tale comunicazione. Ciò posto la violazione di tale obbligo non impone l’annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi in quanto è palese, attesa l’assenza di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” art. 21- octies , comma 2, l. n. 241/1990 . Precisa poi il Collegio che l’ordinanza di demolizione costituisce atto dovuto che non implica valutazioni discrezionali, non sono richiesti apporti partecipativi da parte dell’istante il quale deve comunque essere posto in condizione di interloquire con l’amministrazione. Tale principio deve però essere calato nel concreto contesto. Nel caso in esame, le comunicazioni inerenti la procedura di condono edilizio avevano avuto quale sola ed unica destinataria la dante causa, deceduta prima dell’emissione del provvedimento impugnato, tanto che, solo al momento della ricezione del diniego, gli eredi erano venuti a conoscenza dell’esistenza di tale pratica. Ne consegue che solo rendendola edotta della domanda di sanatoria pendente, l’odierna appellante avrebbe potuto adempiere al richiesto deposito di documenti relativi alla pratica di sanatoria curata dalla dante causa ‒ unica destinataria delle richieste integrative ‒, la cui inottemperanza è stata posta a fondamento del rigetto dell’istanza . Silenzio della P.A Per quanto riguarda la prolungata inerzia da parte dell’amministrazione, la sentenza in commento precisa che la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che l’edificazione sine titulo è sin dall’origine illegittimo , non potendo nemmeno generare un legittimo affidamento in capo al proprietario dell’immobile abusivo. In altri termini, non si può applicare a un fatto illecito l’abuso edilizio il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica. []Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento l’eventuale connivenza degli amministratori locali pro tempore o anche la mancata conoscenza dell’avvenuta commissione di abusi non fa venire meno il dovere dell’Amministrazione di emanare senza indugio gli atti previsti a salvaguardia del territorio . In conclusione, non potendo ritenersi formato il silenzio assenso per la mancanza dei requisiti dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, nonché dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria, il Collegio accoglie il ricorso per quanto in motivazione e riforma la sentenza impugnata con l’annullamento del provvedimento.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 5 luglio – 7 settembre 2018, n. 5273 Presidente Carbone – Estensore Simeoli Fatto 1.‒ Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la signora M. S. ‒ comproprietaria dell’immobile sito in , unitamente alle signore C. S., M. S., A. M. S., E. S., tutte eredi della defunta F. S. ‒ impugnava il provvedimento n. 13309 del 20 luglio 2015, notificato il 9 settembre 2015, con cui l’Amministrazione comunale di aveva rigettato l’istanza di condono edilizio prot. n. omissis del 28 marzo 1986 presentata dalla de cuius, e contestualmente aveva ingiunto la demolizione di talune opere realizzate se. il previo ottenimento dei prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, consistenti nella costruzione di un’abitazione in cemento armato, per civile abitazione, sita in , di mq. 63,20. Il diniego del permesso di costruire in sanatoria era stato motivato dall’Amministrazione comunale in ragione della mancata produzione della documentazione richiesta in più occasioni con le note prot. n. omissis , prot. n. omissis del 31.01.1992, prot. n. omissis del 7.03.2006, n. omissis del 24.02.2012, prot. omissis del 24 settembre 2014 per la definizione della pratica. 1.1.‒ A fondamento dell’impugnativa la ricorrente lamentava - la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, tenuto conto che tutte le comunicazioni inerenti la procedura, ivi compreso il provvedimento impugnato avevano avuto quale sola ed unica destinataria la dante causa deceduta il 24 febbraio 2015 - la violazione dell’art. 32, comma 37, della legge n. 326 del 2003, dovendosi ritenere integrata la fattispecie normativa del silenzio assenso - la violazione del principio del legittimo affidamento, considerato l’arco temporale circa 30 anni trascorso dalla domanda di sanatoria ed il protrarsi dell'inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, nonché dei principi di ragionevolezza e proporzionalità - la violazione dell’art. 34 del T.U. n. 380 del 2001, in ordine alla mancata applicazione della sanzione pecuniaria in luogo dell’ordine di demolizione. 2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, con sente. n. 832 del 2016, respingeva integralmente il ricorso. 3.‒ Avverso la predetta sente., ha proposto appello la signora M. S., chiedendone la riforma. 4.‒ Con ordinanza 26 aprile 2017 n. 1742, la Sezione ‒ Rilevato, prima facie, che sembrano fondati almeno i motivi di appello incentrati sulla violazione del contraddittorio procedimentale ‒ ha sospeso in via interinale l’esecutività della sente. impugnata e gli atti impugnati in primo grado. 5.‒ L’amministrazione comunale si è costituita in giudizio, chiedendo che l’appello venga respinto. 6.‒ All’udienza del 5 luglio 2018, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione. Diritto 1.‒ Il primo motivo di gravame ‒ con il quale l’appellante ripropone la censura inerente la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’adozione della sanzione ripristinatoria oggetto del presente gravame ‒ è fondato. 1.1.‒ In termini generali, la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non costituisce una ragione idonea a determinare l’annullabilità dei provvedimenti sanzionatori in materia di abusi edilizi, in quanto è palese, attesa l’asse. di qualsivoglia titolo abilitativo all’edificazione, che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 . L’ordinanza di demolizione, quale atto dovuto e non implicante valutazioni discrezionali, fondato su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell’interessato, non richiede, generalmente, apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale del resto ‒ in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell’originario assetto dei luoghi ‒ viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l’amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive. 1.2.‒ E’ chiaro, tuttavia, che tale assunto non deve ritenersi incondizionato, e si deve arrivare ad una conclusione diversa ogni qual volta l’apporto procedimentale del privato sia idoneo ad influire concretamente sulla decisione amministrativa. Ebbene, nel caso in esame, tutte le comunicazioni inerenti la procedura di condono edilizio avevano avuto quale sola ed unica destinataria la dante causa S. F., deceduta alla data del 24 febbraio 2015 prima della emissione del provvedimento impugnato , tanto che, solo al momento della ricezione del diniego in data 9 settembre 2015 , l’odierna appellante e le altre eredi della defunta S. F. erano venute a conosce. dell’esiste. di tale pratica. È evidente, quindi, che solo rendendola edotta della domanda di sanatoria pendente, l’odierna appellante avrebbe potuto adempiere al richiesto deposito di documenti relativi alla pratica di sanatoria curata dalla dante causa ‒ unica destinataria delle richieste integrative ‒, la cui inottemperanza è stata posta a fondamento del rigetto dell’istanza. 2.‒ Non può invece avere rilievo, ai fini della validità del provvedimento di diniego della sanatoria e del conseguente ordine di demolizione, il tempo trascorso circa 30 anni tra la presentazione della domanda e la conclusione dell’iter procedimentale. Sul punto vanno richiamate le recenti statuizioni contenute nella sente. dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017. 2.1.‒ La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che l’edificazione sine titulo è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito l’abuso edilizio il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta se. titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussiste. di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, se. che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria. Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento l’eventuale connive. degli amministratori locali pro tempore o anche la mancata conosce. dell’avvenuta commissione di abusi non fa venire meno il dovere dell’Amministrazione di emanare se. indugio gli atti previsti a salvaguardia del territorio. Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse. Si osserva in primo luogo al riguardo che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso. Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa . 2.2.‒ Per gli stessi motivi non sussiste alcuna sproporzione tra l’illecito commesso e la sanzione applicata, peraltro espressamente ricollegata dall’ordinamento alla tipologia abusiva qui in contestazione. 3.‒ Parimenti infondata è la censura secondo cui il Comune non avrebbe valutato che la demolizione degli interventi reca pregiudizio anche alle opere conformi al titolo edilizio. 3.1.‒ Vale la pena ricordare che l’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo, al secondo comma, che quando la demolizione non può avvenire se. pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione . La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve dunque essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione ex plurimis Consiglio di Stato, sez. VI 29 novembre 2017, n. 5585 sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001 . In tale sede dovrà appurarsi se si possa procedere a demolizione delle opere, per come richiesto dal Comune, se. pregiudizio alla parte dell’immobile eseguita in conformità, ovvero se come si legge nelle deduzioni a firma del CTP allegato al fascicolo dell’appellante ciò finirebbe per compromettere gravemente la struttura portante della porzione di fabbricato non oggetto di demolizione, in quanto le vibrazioni causate dalle attrezzature per l’esecuzione di quanto previsto potrebbero formare delle lesioni irreversibili nella restante parte della struttura portante, le quali andrebbero a causare il collasso della struttura stessa . 4.‒ Quanto all’affermata formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono, correttamente il giudice di prime cure si è attenuto al costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, è necessario che ricorrano i requisiti, sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, sia dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria Consiglio di Stato, sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703 Consiglio di Stato, sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2517 . 5.‒ Conclusivamente, l’appello è fondato nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma delle sentenze di primo grado, il provvedimento impugnato va annullato. 5.1.‒ Le spese del doppio grado di lite seguono la soccombe. come di norma. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sente. appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado. Condanna l’Amministrazione comunale al pagamento delle spese di lite del doppio grado in favore dell’appellante, che si liquidano in € 3.000,00, oltre IVA e CPA come per legge. Restano ferme le somme liquidate in sede cautelare. Ordina che la presente sente. sia eseguita dall’autorità amministrativa.