Esame avvocato tra vecchio e nuovo ordinamento

In sede di esame di abilitazione, la composizione della Commissione deve tenere conto della fase transitoria prevista dalla legge. L’articolo 49 l. numero 247/2012 Disciplina transitoria per l'esame , infatti, stabilisce che l’esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, per i primi 4 anni dalla data di entrata in vigore della stessa legge periodo portato a 5 anni, dall’articolo 10, comma 2-quater, d.l. numero 244/2016, conv. in l. numero 19/2017 , continua a soggiacere alle norme previgenti «sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame».

Così il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con la sentenza 26 febbraio 2018, numero 109. La previsione, stante l’ampiezza della sua formulazione, si presenta oggettivamente riferibile anche al regime della composizione delle Commissioni di esame. Del resto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione numero 7 del 20 settembre 2017, aveva osservato con piena ragionevolezza che «appare evidente che il Legislatore abbia dettato la norma transitoria con l’intento di procrastinare l’entrata in vigore di tutti gli aspetti innovativi della riforma proprio in quanto l’articolo 49 della legge non introduce in proposito alcuna distinzione, né espressa, né implicita», concludendo come «il Legislatore abbia voluto procrastinare l'entrata in vigore della legge di riforma, complessivamente considerata, con riferimento a tutti gli aspetti che disciplinano lo svolgimento dell'esame suddetto». Disciplina. In relazione a tale pronunciamento, il Consiglio per la giustizia amministrativa, con la sentenza in commento, ha stabilito che i lavori collegiali oggetto della controversia, svoltisi in una seduta tenuta il 23 febbraio 2016, e pertanto nell’arco di tempo di operatività della citata norma transitoria, dovevano ritenersi ancora soggetti alla specifica previsione dell’articolo 22, comma 5, r.d.l. numero 1578/1933 sulla piena fungibilità dei membri della Commissione, discendente dalla possibilità, normativamente prevista per tutti i componenti supplenti, d’intervenire «in sostituzione di qualsiasi membro effettivo». Peraltro, con riferimento specifico alla votazione, il Collegio sempre con riferimento alla norma transitoria di cui all’articolo 49, l. 31 dicembre 2012, numero 247 ha ricordato che la stessa aveva escluso anche l’immeditata applicabilità dell’articolo 46, comma 5, della stessa legge, secondo cui «La commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti». Nella vigenza dell’articolo 49, l. numero 247/2012 i provvedimenti della commissione esaminatrice degli aspiranti avvocati, che rilevano l'inidoneità delle prove orali, vanno di per sé considerati adeguatamente motivati anche quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione. Fungibilità dei membri della Commissione. In sostanza, nel nuovo regime introdotto dalla l. numero 247/2012 una persistente applicazione dell’indirizzo della piena fungibilità dei membri di Commissione, secondo il quale i titolari potrebbero essere sostituiti da supplenti anche di categorie professionali diverse, si sostanzierebbe in una non consentita forma di disapplicazione della precisa normativa dettata dalla nuova fonte legislativa, la quale, pur avendo disciplinato ex novo la composizione della Commissione, si vedrebbe privata della piena precettività che le compete e dovrebbe assistere le sue disposizioni. Motivazione dei giudizi. Per quanto concerne, invece le questioni correlate al tema della motivazione dei giudizi d’esame, il Collegio ha ricordato che la giurisprudenza amministrativa ha affermato la sufficienza dell’espressione del voto in forma numerica anche sulla scorta delle decisioni della Corte Costituzionale numero 20 del 30 gennaio 2009 e numero 175 dell’8 giugno 2011, che hanno qualificato il relativo indirizzo come “diritto vivente” conforme ai parametri costituzionali del giusto processo, del diritto di difesa e del buon andamento della P.A., nonché di quelli sanciti dagli articolo 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della Carta. Sullo stesso tema della motivazione, ma con riferimento al versante dei parametri di diritto dell’Unione europea, è invece decisivo e assorbente ricordare che – precisa la sentenza - come rilevato proprio in argomento dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in occasione della già citata sentenza numero 7/2017, «il considerando numero 3.2. della decisione della Corte Costituzionale 8 giugno 2011, numero 175 ha chiarito che “la disciplina degli esami di abilitazione all'esercizio della professione forense non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario”».

Consiglio per la giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sentenza 10 gennaio – 26 febbraio 2018, numero 109 Presidente De Nictolis – Estensore Gaviano Fatto e diritto 1 Il dott. V. P. riportava un giudizio finale di non idoneità all’esito della prova orale per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato – sessione 2014 presso la Corte d’Appello di Palermo tenutasi dinanzi alla Seconda Sottocommissione in data 23 febbraio 2016. Da qui il suo ricorso al T.A.R. per la Sicilia avverso tale giudizio negativo, gravame con il quale venivano impugnati, tra l’altro, anche i criteri per la valutazione della prova orale di cui ai verbali approvati dalla Commissione Centrale istituita presso il Ministero della Giustizia e dai Presidenti e Vice Presidenti nelle sedute del 20 e 28 luglio 2015, e domandato l’accertamento del diritto dell’interessato alla rinnovazione della prova orale da parte di una Commissione in nuova composizione. A fondamento dell’impugnativa venivano dedotte censure che il Tribunale adìto avrebbe così sunteggiato 1 violazione e falsa applicazione degli articolo 47 e 49 della legge numero 247 del 2012, e conseguentemente nulla e/o illegittima composizione della Commissione esaminatrice, nonché violazione degli articolo 3 e 97 della Costituzione e dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa nella Commissione che ha presenziato alla prova, in violazione della norme regolatrici della sua composizione, sarebbero mancati i professori universitari 2 violazione e falsa applicazione dell’articolo 12 del d.P.R. numero 487 del 1994 ed eccesso di potere per assoluta genericità dei criteri di valutazione applicati dalla Commissione nelle prove orali violazione degli articolo 3 e 97 Cost. e dell’articolo 1, comma 1, legge numero 241 del 1990 principio di trasparenza dell’azione amministrativa violazione dell’articolo 3, legge numero 241 del 1990 eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria, illogicità manifesta ed arbitrarietà nell’emanazione dei giudizi violazione dell’articolo 17 bis, comma 3, lett. A , R.D. numero 37 del 1934 e, ancora, eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 1990. Assoluto difetto di motivazione. Il ricorrente assumeva, in primo luogo, l’inidoneità del giudizio espresso mediante attribuzione di coefficienti numerici, asseritamente inadeguata al fine di dare emersione al percorso logico-valutativo della Commissione esaminatrice il momento istruttorio della procedura concorsuale sarebbe mancato, peraltro, sia sotto il profilo della genericità dei quesiti scelti, sia per la mancanza di una motivazione espressa. Resisteva al ricorso l’Amministrazione statale intimata. 2 Il Tribunale definiva il giudizio di primo grado con la sentenza numero 1307/2016 in epigrafe, emessa in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 C.P.A., respingendo il gravame in quanto reputato infondato. 3 Seguiva avverso tale sentenza la proposizione del presente appello da parte del soccombente, che riproponeva le proprie domande e doglianze e sottoponeva a critica le argomentazioni con cui il Tribunale le aveva disattese. L’Amministrazione resisteva all’impugnativa anche nel nuovo grado di giudizio, deducendone l’infondatezza. Il ricorrente, dal canto suo, ribadiva le proprie censure con una successiva memoria. Questo Consiglio con ordinanza numero 355/2017 si pronunciava in un primo tempo per l’accoglimento della domanda cautelare proposta dal ricorrente. L’ordinanza veniva però in seguito revocata per errore di fatto con la successiva ordinanza numero 508/2017, e la domanda cautelare respinta. L’Amministrazione indi con un’ulteriore memoria deduceva l’infondatezza dell’appello e concludeva per la sua reiezione. L’appellante con un conclusivo scritto, per converso, riprendeva e sviluppava i propri assunti e controdeduceva alle obiezioni avversarie, insistendo per l’accoglimento dell’appello. Alla pubblica udienza del 10 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione. 4 L’appello è infondato, per le ragioni che con la sinteticità prescritta dall’articolo 3 C.P.A. verranno di seguito esposte, giusta il divieto di nova in appello stabilito dall’articolo 104 dello stesso codice, con riguardo ai soli profili di censura già presenti nell’originario atto d’impugnativa. 5 Con il primo motivo di gravame è stata dedotta l’illegittimità della composizione della Sottocommissione che ha presenziato alla prova orale in contestazione, sotto il profilo che in violazione della relative norme regolatrici, e segnatamente dell’articolo 47, commi 1 e 3, della legge 31 dicembre 2012 numero 247 “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense” , sarebbe mancato in concreto il prescritto membro di estrazione accademica, quattro componenti dei cinque presenti essendo solo avvocati il citato articolo 47 prevede, infatti, che la Commissione sia composta da cinque membri effettivi e cinque supplenti, dei quali tre effettivi e tre supplenti avvocati, iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, un effettivo e un supplente magistrati, e un effettivo e un supplente docenti universitari di materie giuridiche . 5a Il Tribunale ha respinto la doglianza giustificando con chiarezza il proprio decisum in adesione all’orientamento giurisprudenziale tradizionale formatosi sul punto, e fornendo, pertanto, una motivazione sintetica sviluppata sostanzialmente per relationem. Il primo Giudice ha applicato, infatti, il diffuso indirizzo in base al quale i componenti titolari della Commissione potrebbero essere legittimamente sostituiti da supplenti appartenenti anche a una diversa categoria professionale. 5b Con il presente appello l’impostazione seguita dal Giudice di prime cure viene contestata argomentando, in estrema sintesi, dalla mancata riproposizione, nella nuova regolamentazione della materia recata dalla legge numero 247 del 2012, del disposto dell’articolo 22, comma 5, del R.D.L. numero 1578/1933, configurante appunto una piena fungibilità dei membri della Commissione a prescindere dalla qualifica individuale rivestita “I supplenti intervengono nella commissione e nelle sottocommissioni in sostituzione di qualsiasi membro effettivo” . Nel contesto della nuova disciplina legislativa della materia tale previsione dovrebbe pertanto ritenersi tacitamente abrogata. 5c Il Collegio non ritiene condivisibile l’impianto logico di partenza di questa doglianza che però non manca, come si vedrà nel prossimo paragrafo, di un elemento di verità . Occorre invero por mente alla previsione transitoria dell’articolo 49 della legge numero 247/2012 “Disciplinatransitoria per l'esame” , che stabilisce che l’esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, per i primi quattro anni dalla data di entrata in vigore della stessa legge periodo portato a cinque anni, dopo i fatti di causa, dall’articolo 10, comma 2-quater, del d.l. 30 dicembre 2016, numero 244, convertito dalla legge 27 febbraio 2017, numero 19 , continua a soggiacere alle norme previgenti “sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame”. Questa previsione, stante l’ampiezza della sua formulazione, si presenta oggettivamente riferibile anche al regime della composizione delle Commissioni di esame. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione numero 7 del 20 settembre 2017, ha difatti osservato con piena ragionevolezza che “appare evidente che il Legislatore abbia dettato la norma transitoria con l’intento di procrastinare l’entrata in vigore di tutti gli aspetti innovativi della riforma proprio in quanto l’articolo 49 della legge non introduce in proposito alcuna distinzione, né espressa, né implicita”, e ha enunciato la conclusione che “il Legislatore abbia voluto procrastinare l'entrata in vigore della legge di riforma, complessivamente considerata, con riferimento a tutti gli aspetti che disciplinano lo svolgimento dell'esame suddetto”. Ne discende che i lavori collegiali di esame oggetto della controversia, svoltisi in una seduta tenuta il 23 febbraio 2016, e pertanto nell’arco di tempo di operatività della citata norma transitoria, dovevano ritenersi ancora soggetti alla specifica previsione dell’articolo 22, comma 5, del R.D.L. numero 1578/1933 sulla piena fungibilità dei membri della Commissione, discendente dalla possibilità, normativamente prevista per tutti i componenti supplenti, d’intervenire “in sostituzione di qualsiasi membro effettivo”. Donde il corollario della persistente validità, ai fini di causa, del consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sotto la vigenza di tale precetto alla stregua del suo tenore testuale cfr. tra le tante C.d.S., IV, 2 marzo 2017, numero 973 4 dicembre 2017, numero 5726 , con la conseguente infondatezza di questa prima censura di parte. Il relativo motivo si conferma, quindi, passibile di reiezione tenuto anche conto dell’inesistenza di una previsione normativa che imponga la giustificazione a verbale degli impedimenti che di volta in volta colpiscano i membri titolari assenti . 5d Il Collegio ritiene tuttavia opportuno aggiungere, per completezza di disamina, che una volta che si sarà conclusa l’indicata fase transitoria il menzionato articolo 22, comma 5, del R.D.L. numero 1578/1933 non potrà più trovare applicazione. Come osservato dalla stessa parte ricorrente, infatti, la mancata conferma di simile previsione da parte della nuova legge è indice della volontà legislativa di superarla e del resto, essendosi pervenuti a una nuova regolamentazione della materia ai sensi dell’articolo 15 disp. prel. cod.civ., rispetto alla previsione stessa emergono i presupposti dell’abrogazione tacita. Né potrebbe farsi riferimento, per giustificare un ipotetico supplemento di ultrattività del risalente precetto, alla previsione dell’articolo 65 della legge numero 247/2012 il cui primo comma recita “Fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella presente legge, si applicano se necessario e in quanto compatibili le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate” , poiché la medesima, come suggerisce il suo condizionante inciso del “se necessario”, sorregge soltanto le previgenti norme concernenti materie la cui disciplina risulti incompleta e, per tale ragione, bisognosa appunto di un’integrazione regolamentare, presupposto che per le norme dettate dalla legge numero 247 in punto di composizione della Commissione, pienamente autosufficienti, non sarebbe dato ravvisare. Sicché nell’ambito del nuovo regime introdotto dalla legge numero 247/2012 –giova ripeterlo, non rilevante ai fini di causa una persistente applicazione dell’indirizzo della piena fungibilità dei membri di Commissione, secondo il quale i titolari potrebbero essere sostituiti da supplenti anche di categorie professionali diverse, si sostanzierebbe in una non consentita forma di disapplicazione della precisa normativa dettata dalla nuova fonte legislativa, la quale, pur avendo disciplinato exnovo la composizione della Commissione, si vedrebbe privata della piena precettività che le compete e dovrebbe assistere le sue disposizioni. Nel contesto della nuova disciplina di legge, dunque, l’ingresso di membri supplenti nelle singole sedute non potrà alterare la corretta composizione del collegio esaminatore. 6 Le doglianze di parte riconducibili al secondo motivo d’impugnazione attengono più specificamente, e sotto svariati aspetti, al giudizio negativo che ha colpito la prova orale sostenuta dall’interessato, e ruotano intorno alla censura di fondo, dedotta da più angolazioni, del difetto di motivazione asseritamente ascrivibile alla Commissione d’esame. 6a A fronte dei rilievi di parte occorre subito ricordare che l’interessato ha riportato all’esito della prova orale il punteggio complessivo di 150 punti con insufficienze in molteplici materie, vale a dire relativamente al diritto costituzionale 20 punti , al diritto ecclesiastico 25 punti , al diritto comunitario 25 punti e al diritto internazionale privato 20 punti . Una votazione di sufficienza, limitata peraltro a 30 punti, è stata conseguita solo in diritto processuale penale e in ordinamento forense. E’ su questa base che è stato formulato, pertanto, con il verbale numero 42 del 23 febbraio 2016 della Seconda Sottocommissione, il giudizio di “non idoneità” formante oggetto d’impugnativa. Il verbale a ulteriore giustificazione del detto giudizio reca anche una motivazione in forma discorsiva quella che “il candidato presenta gravi lacune in parecchie materie, tra le quali diritto costituzionale, ecclesiastico, comunitario e internazionale privato sconosce in queste materie anche nozioni fondamentali”. Lo stesso verbale, infine, annovera tra le proprie premesse un esplicito recepimento tanto dei criteri prestabiliti dalla Commissione Centrale presso il Ministero della Giustizia ai fini dello svolgimento delle prove orali ed è rimasto indimostrato l’asserto di parte circa la vaghezza/indeterminatezza di tali criteri , quanto delle schede degli argomenti di domanda che erano stati predeterminati per tutte le materie d’esame in modo eguale per le varie Sottocommissioni. 6b Queste considerazioni introduttive, attesa la loro eloquenza, valgono già ad avviare a reiezione le censure di parte ora in trattazione. 6c In proposito il Collegio deve subito rammentare come l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato abbia recentemente riaffermato, anche rispetto alla fase transitoria prevista dall'articolo 49 della legge numero 247/2012, l’indirizzo giurisprudenziale, già prevalente, della sufficienza dell’espressione numerica del voto. Essa, avuto riguardo alla disciplina previgente alla detta legge, ha infatti ribadito il tradizionale insegnamento secondo il quale i giudizi della Commissione esaminatrice che rilevano l'inidoneità delle prove scritte vanno considerati adeguatamente motivati anche quando si fondino su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, il voto valendo comunque a garantire la trasparenza della valutazione. Orbene, le argomentazioni sviluppate dall’Adunanza Plenaria sono de plano estensibili all’attuale thema decidendum della motivazione del giudizio negativo di una prova –non scritta, ma orale. Si manifesta pertanto condivisibile l’approdo del Giudice di primo grado alla conclusione che l’obbligo di motivare il giudizio reso nel caso specifico risultava sufficientemente adempiuto, dalla Commissione, con l’attribuzione di un punteggio numerico. 6d Non coglie poi nel segno la critica di parte che la motivazione discorsiva espressa in aggiunta al voto numerico fosse basata su mere clausole di stile. Fermo restando quanto si è premesso sulla sufficienza del voto numerico, la pregnante circostanza che il candidato avesse riportato dei giudizi unanimi d’insufficienza in ben quattro materie su sei e solo una sufficienza minimale nelle due restanti faceva sì che non fossero esigibili a carico della Commissione, oltre l’indicazione da essa fornita che il medesimo nelle dette materie ignorava “anche nozioni fondamentali”, ulteriori ragguagli. 6e Altro profilo di contestazione è basato invece sul diverso numero di domande poste al candidato, che dal verbale risulterebbero essere state in numero di tre per la materia del diritto processuale penale, di due per il diritto costituzionale, il diritto ecclesiastico e la deontologia forense, e una sola, infine, per il diritto comunitario e il diritto internazionale privato. Al riguardo deve osservarsi che nemmeno la –ragionevole differenziazione indicata è suscettibile di ergersi a vizio sintomatico di un cattivo uso della discrezionalità amministrativa. A ciò va aggiunto, per un verso, che per la materia nella quale il candidato è stato sottoposto a più domande, la procedura penale, il medesimo, avendo riportato un giudizio di sufficienza, non ha motivi di doglianza per altro verso, ossia rispetto alle materie per le quali, al contrario, la domanda è stata una sola, si può notare che quello estratto per il diritto comunitario era comunque un quesito particolarmente articolato “Il Consiglio – Mandato imperativo – Le competenze del presidente – il Co.re.per. – La procedura di adozione atti legislativi – Il sistema ordinario” , che la Commissione nella propria discrezionalità non irragionevolmente ha reputato, quindi, sufficiente a sondare la preparazione dell’interessato nella specifica disciplina e che la stessa conclusione vale, infine, anche per il diritto internazionale privato rispetto alla domanda “Ordine pubblico – Ordine pubblico interno”, stante la particolare centralità di quest’ultimo argomento rispetto a una materia il cui programma presenta, oltretutto, minore estensione. I quesiti che sono stati complessivamente proposti al ricorrente, d’altra parte, come si desume anche da quanto esposto, non erano affatto generici. 6f Neppure merita adesione la doglianza del mancato richiamo, nel vivo della motivazione amministrativa espressa, dei criteri di valutazione che erano stati predeterminati a monte, dal momento che alcuna norma positiva o principio giuridico generale imponeva un formale richiamo siffatto a pena d’illegittimità dello specifico giudizio della Commissione. Il punto dirimente, piuttosto, sarebbero stato quello della concreta aderenza della singola valutazione ai criteri stessi ma l’assunto di parte che questi ultimi non fossero stati in concreto rispettati, essendo rimasto del tutto vago e apodittico, va come tale disatteso. 6g Altrettanto infondata è la critica della mancanza di una motivazione rispetto alla parte introduttiva del colloquio dedicata all’illustrazione delle prove scritte, avendo la giurisprudenza da tempo dato atto che la prodromica illustrazione dell'esito di tali prove rappresenta solo una fase preliminare di introduzione allo svolgimento della vera e propria prova orale, senza dover essere a sua volta oggetto di valutazione cfr. C.d.S., IV, 15 settembre 2006, numero 5349 . 7 Il Collegio deve rilevare, infine, che nemmeno le questioni di legittimità costituzionale e comunitaria pur diffusamente esposte negli scritti dell’interessato possono trovare adesione. 7a Avuto riguardo alle questioni correlate al tema della motivazione dei giudizi d’esame, è appena il caso di rammentare che la giurisprudenza amministrativa ha affermato la sufficienza dell’espressione del voto in forma numerica anche sulla scorta delle decisioni della Corte costituzionale numero 20 del 30 gennaio 2009 e numero 175 dell’8 giugno 2011, che hanno qualificato il relativo indirizzo come “diritto vivente” conforme ai parametri costituzionali del giusto processo, del diritto di difesa e del buon andamento della P.A., nonché di quelli sanciti dagli articolo 3, 4, 24, 41, 97 e 117 della Carta. Sullo stesso tema della motivazione, ma con riferimento al versante dei parametri di diritto dell’Unione europea, è invece decisivo e assorbente ricordare che, come rilevato proprio in argomento dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in occasione della già citata sentenza numero 7/2017, “il considerando numero 3.2. della decisione della Corte Costituzionale 8 giugno 2011, numero 175 ha chiarito che “la disciplina degli esami di abilitazione all'esercizio della professione forense non rientra nel campo di applicazione del diritto comunitario.” ” 7b Passando alle questioni proposte in relazione al tema della composizione della Commissione, il Consiglio ritiene in primo luogo di condividere, in proposito, la posizione assunta dalla Sez. IV del Consiglio di Stato con l’escludere che per effetto dell'articolo 22 del R.D. numero 1578/1933 e della correlativa regola di fungibilità dei membri della Commissione potesse determinarsi una violazione dei principi comunitari di concorrenza. Con la decisione di tale Sezione 13 novembre 2017 numero 5191 confermata dalla seguente 4 dicembre 2017 numero 5726 , in particolare, è stato rammentato quanto segue. “Come ha chiarito la stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee sez. II, ord. 17 febbraio 2005 numero C-250/2003, Mauri, 31. anche a voler ritenere che gli avvocati, in quanto membri delle commissioni degli esami di Stato, possano essere qualificati come imprese ai sensi degli articolo 81 CE e 82 CE, non risulta che . . . lo Stato abbia tolto alla propria normativa attinente all'accesso alla professione forense il suo carattere statale delegando ad avvocati la responsabilità di prendere decisioni in ordine all'accesso alla loro professione , anzi il controllo esercitato dallo Stato in ogni fase dell'esame . . . consente, pertanto, di concludere che esso non ha delegato l'esercizio del proprio potere ad operatori privati . . . 45. Tale partecipazione degli avvocati alle Commissioni esaminatrici ndr risponde infatti ad un motivo imperativo di interesse generale, vale a dire la necessità di valutare al meglio le attitudini e le capacità dei soggetti chiamati ad esercitare la professione forense ” e questo paragrafo dell’ordinanza prosegue con la Corte che dà atto che la partecipazione degli avvocati alle Commissioni è atta a garantire la realizzazione di tale obiettivo, nel senso che gli avvocati possiedono un'esperienza professionale che li rende particolarmente idonei a valutare i candidati rispetto alle esigenze specifiche della loro professione” . Nella stessa decisione della Sez. IV, inoltre, sempre sulla questione della compatibilità con la disciplina dell'Unione Europea dell'articolo 22, comma 5, R.D. numero 1578/1933 è stato ulteriormente sottolineato che, secondo la medesima ordinanza della Corte europea punto 36 , il controllo esercitato dallo Stato in ogni fase dell'esame oggetto della causa principale consente, pertanto, di concludere che esso non ha delegato l'esercizio del proprio potere a operatori privati”. 7c Né l’attuale ricorrente può essere seguito allorché deduce che nella specie si profilerebbe un quid novi, rispetto alla specie decisa dalla Corte di Giustizia con la menzionata ordinanza 17 febbraio 2005, tale da giustificare una nuova investitura della Corte europea. Parte ricorrente insiste, infatti, sulla necessità di chiarire se la presenza esclusiva di avvocati sia compatibile con il diritto comunitario. Nella presente vicenda, peraltro, non tutti i componenti del collegio che ha emesso il giudizio in contestazione erano avvocati, uno di loro essendo un magistrato. E, d’altra parte, nella specie decisa dalla Corte di Giustizia nel 2005 il giudice a quo aveva puntualmente sottolineato, come dà atto l’ordinanza stessa paragrr. 9-10 , che sarebbe stato “possibile, e perfino usuale, che il terzo componente, docente di diritto, rivesta anch'egli la qualifica di avvocato e sia quindi iscritto al medesimo Ordine” il che avrebbe fatto già allora conseguire, va rimarcato, un peso maggioritario ai membri muniti dello status di avvocato e il giudice del rinvio anche in forza di tale presupposto aveva paventato, investendone appunto la Corte, il rischio astratto che l’Ordine professionale potesse “in qualche modo limitare l'accesso alla professione a tutela degli interessi di coloro che sono già iscritti ad esso, praticando non solo una selezione qualitativa, bensì anche una selezione quantitativa, legata a logiche di mercato.” Ne consegue che non sono ravvisabili i presupposti per reiterare la questione pregiudiziale comunitaria delineata dal ricorrente, ma dalla Corte europea già scrutinata. 7d Quanto, infine, ai parametri costituzionali con i quali, sempre secondo parte ricorrente, la disciplina dell’articolo 22, comma 5, R.D. numero 1578/1933 sulla composizione della Commissione si troverebbe allo stesso modo in conflitto, ossia i parametri di cui gli articolo 4, 33 comma 5, 41, 117, 3 e 97 della Carta, deve notarsi come l’impostazione del ricorrente riconduca anche le ragioni fondative delle incostituzionalità così ventilate alle esigenze dell’apertura del mercato dei servizi professionali e della sua concorrenzialità. Ne consegue che le stesse osservazioni, sopra esposte, che hanno appena portato a escludere che la regola di fungibilità dei componenti della Commissione potesse determinare una violazione dei principi comunitari di concorrenza valgono anche a connotare come manifestamente infondate le questioni d’incostituzionalità che sono state analogamente prospettate. 8 Le considerazioni complessivamente svolte conducono pertanto, in definitiva, all’integrale rigetto dell’appello in ragione della sua infondatezza. Il Collegio ravvisa, però, anche alla luce di quanto esposto nel paragr. 5d, ragioni sufficienti a giustificare anche per il presente grado di giudizio la compensazione delle spese processuali tra le parti in causa. P.Q.M. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo respinge. Compensa tra le parti le spese processuali del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa