Quando l’atto introduttivo è notificato a mezzo PEC

Il TAR Lazio si pronuncia su un caso in cui la notifica dell’atto introduttivo del ricorso alla controparte sia avvenuto a mezzo PEC.

Così il TAR Lazio, con la pronuncia n. 12555/16, pubblicata il 16 dicembre. Il caso. In un ricorso avente ad oggetto la sanzione disciplinare inflitta ad un Giudice di Pace, viene richiesta la declaratoria di inammissibilità dello stesso per essere stato l’atto introduttivo notificato alla controparte a mezzo PEC. La notifica a mezzo PEC. Il TAR Lazio rileva innanzitutto che, effettivamente, la notificazione dell’atto introduttivo è avvenuta a mezzo PEC, in assenza del d.P.C.M. previsto dall’art. 13, allegato 2, c.p.a., con cui devono essere stabilite le regole tecnico-operative per la sperimentazione e graduale applicazione del processo amministrativo telematico. Il foro ha da tempo la possibilità di notificare gli atti a mezzo PEC, prescindendo dall’introduzione e piena attuazione del processo telematico – prevista per il 1° gennaio 2017, in epoca successiva a quella in cui è stata introdotta la controversia in esame -, in forza di quanto prevede l’art. 3, l. n. 53/94, in combinato disposto con l’art. 25, l. n. 183/11, e il d.l. n. 179/12 che, nell’introdurre l’art. 3- bis nella l. n. 53/94, consente all’avvocato la notifica a mezzo PEC, avvalendosi del registro cronologico disciplinato dalla stessa legge. Tanto precisato, si ritiene comunque indubitabile che il ricorrente abbia proceduto alla notifica dell’atto introduttivo alla controparte con una modalità non contemplata nel processo amministrativo al momento il cui è stato incardinato il ricorso, senza la previa autorizzazione di cui all’art. 52, comma 2, c.p.a., determinando dunque, come conseguenza, la nullità della notifica. Va però ricordato che la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato art. 156, comma 3, c.p.c. , dunque, il ricorso è ammissibile e viene deciso nel merito – verrà poi respinto.

TAR Lazio, sez. I Quater, sentenza 19 luglio – 16 dicembre 2016, n. 12555 Presidente Mazzacapo – Estensore Scala Fatto Premette il ricorrente, Giudice di Pace di Barra ora Napoli dal 2003, che perveniva alla Corte di Appello di Napoli, in data 20.5.2013, un esposto inviato dalla sig.ra Angela Migliorino di Roma la quale chiedeva al Presidente della Corte di Appello di Napoli di valutare la condotta dell'avv. Galati il quale, del tutto arbitrariamente, mi ha citata in giudizio prima dinnanzi al Giudice di Pace di Barra ove svolge le funzioni di Giudice e poi a quello di Marigliano. Precisa, ancora, che l’esponente allegava una serie di atti giudiziari atto di citazione, comparsa di costituzione, verbali relativi a una controversia nella quale l'avv. Galati, che aveva subito danni alla persona in un incidente di macchina avvenuta a Roma per colpa del conducente dell'auto di proprietà dell'esponente, aveva citato in giudizio sia la compagnia di assicurazione che la proprietaria dell'auto, per ottenere il risarcimento dovutogli. Espone, quindi, che il Presidente della Corte di Appello di Napoli avviava i necessari accertamenti giusta diverse note, non protocollate, ma con unico riferimento n. 153/13 e unico oggetto Esposto presentato nei confronti del dott. Vincenzo Paolo Galati, Giudice di Pace di Barra. Riferisce, in proposito, che con le sopracitate note una delle quali è pervenuta nell'Ufficio del Giudice di Pace di Barra è stata pubblicizzata, in tutto il distretto di Napoli, la notizia dell'avvio del procedimento disciplinare nei propri confronti, mentre il medesimo è stato informato dell'avvio del procedimento solo il successivo 14.6.2013 nel corso di una audizione disposta dal Magistrato Delegato dal Presidente del Tribunale di Napoli. Quindi, dà sinteticamente conto dello sviluppo procedimentale come segue & gt In data 27.9.2013 il Presidente della Corte di Appello di Napoli, a seguito della indagine svolta, ha iscritto la notizia ricevuta in data 20.5.013 nell'apposito registro. In data 1° ottobre 2013 il Presidente della Corte di Appello di Napoli ha formulato la contestazione all'interessato. L'avv. Galati ha presentato una memoria difensiva, alla quale ha allegato anche le foto dell'auto danneggiata di proprietà della moglie e la documentazione sanitaria a certificazione del trauma subito. & gt In data 18.12.2013 il Presidente della Corte di Appello di Napoli ha trasmesso al Consiglio Giudiziario gli atti del procedimento disciplinare a carico del Giudice di Pace di Barra, proponendo la sanzione della revoca. Il Consiglio Giudiziario, previo avviso al ricorrente, ha esaminato il fascicolo nella seduta del 13.1.014, nella quale, sentito l'incolpato, ha ritenuto eccessiva la proposta del Presidente della Corte di Appello e, a maggioranza, ha proposto l'adozione della misura disciplinare della censura. Il procedimento è stato, dunque, inviato al Consiglio Superiore della Magistratura dal Presidente della Corte di Appello con la nota del 23.1.014, nella quale nell'oggetto appare in neretto Iscrizione il 27.9.2013 . Il Consiglio Superiore della Magistratura in data 23.7.2014 ha comunicato al Ministro di aver adottato la delibera con cui aveva determinato la sanzione della revoca quindi, il Ministro della giustizia ha adottato il provvedimento deliberato dal Consiglio Superiore della Magistratura con decreto in data 26.8.014, comunicato al ricorrente in data 14.10.014. Ritenendo l’illegittimità della determinazione assunta, deduce i seguenti motivi in diritto Violazione del giusto procedimento violazione dell'art. 9, comma 4 e 5 violazione dell'art. 17 del d.P.R. 10.6.2000, n. 298 violazione dell'art. 10 d.lgs. 27.1.2006 n. 25 eccesso di potere per omissioni ingiustizia manifesta illogicità violazione dell'art. 1, comma 3, L. 241/90. Con questo primo gruppo di censure lamenta l’illegittimità di tutti gli atti del procedimento concluso con il decreto impugnato. Non sarebbe stato osservato il termine previsto dal comma 1 dell'art. 17 del d.P.R. 10.6.2000 n. 198, non essendo stato contestato per iscritto il fatto al Giudice di Pace interessato entro quindici giorni dalla notizia , non risultando essere stata rilevato che la stessa fosse non manifestatamente infondata ancora, lamenta il mancato inserimento nel fascicolo pervenuto al Consiglio Superiore della Magistratura della nota inviata dal Presidente Vicario incaricato delle indagini al Presidente del Tribunale di Napoli con cui, nel richiedere una relazione sui fatto contestati, era richiamata l’attenzione sui termini perentori di cui al citato art. 17, ancorché dalla medesima si evinca l’avvenuto inizio del procedimento disciplinare da cui decorrono i termini in parola evidenzia, poi, che gli accertamenti condotti sono avvenuti anteriormente la contestazione del fatto al ricorrente rileva l’illegittimità della contestazione del 1° ottobre 2013, da cui risulta l’appunto in neretto iscrizione 27.9.2013”, al contrario di quanto, invece, risulterebbe dagli atti del procedimento, come da atti iscritti antecedentemente nell’apposito registro, con ogni effetto in merito al mancato rispetto, non solo dei termini intermedi, ma anche di quello finale entro cui il procedimento avrebbe dovuto essere concluso. Deduce la violazione della regola del contraddittorio, essendo stati compiuti ulteriori accertamenti istruttori dopo la memoria difensiva presentata dal ricorrente. Inoltre, la seduta del Consiglio Giudiziario è stata tenuta in violazione dell’art. 10, d.lgs. 25/2006, in quanto la Sezione autonoma che deliberato risulta composta, oltre che dal Presidente della Corte d’Appello e dal Procuratore Generale presso la stessa Corte d’Appello e da un avvocato, da cinque magistrati e non da tre e da quattro giudici di pace e non da tre, con ogni effetto in ordine alla nullità della deliberazione in quella sede assunta. Infine, deduce la tardività del decreto del Ministro con cui è stata irrogata la sanzione impugnata, essendo stato adottato il 26 agosto 2014, oltre il termine di un anno di cui al più volte citato art. 17. Anche con il secondo gruppo di censure, deduce, avverso tutti gli atti del procedimento, la violazione o falsa applicazione della normativa sulle sanzioni disciplinari dei giudici di pace la violazione dell'art. 9 e dell'art. 10 della l. 21.11.91 n. 374 la violazione dell'art. 1 e dell'art. 3 del d.lgs 28.2.06 n. 109 illogicità, violazione del principio di tipizzazione degli illeciti e delle sanzioni, violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi ex art. 1 l. 241/90, falsa applicazione dell'art. 18 l. 511 del 1946 e dl 2° comma dell'art. 1 del d.lgs. 23.2.2006 n. 109 eccesso di potere per illogicità e per assoluto difetto di motivazione, adducendo che la sanzione è stata irrogata in assenza della individuazione del dovere violato e senza l’indicazione specifica della condotta illecita. In via subordinata, deduce, poi, motivi specifici di impugnazione dei singoli atti impugnati. Un primo gruppo di censure è rivolto avverso il provvedimento con il quale il Presidente della Corte di Appello di Napoli ha iscritto in data 27.9.2013 la notizia pervenuta in data 20.5.2013 che sarebbe viziato per violazione dell'art. 17 comma 1 del d.P.R. 10.6.00 n. 198 eccesso di potere sviamento contraddittorietà ingiustizia manifesta inosservanza delle disposizioni date dal C.S.M. con la circolare p. 16167 del 24.7.00. Il Presidente ha effettuato indagini prima che la notizia fosse iscritta nell’apposito registro, mentre la legge impone la immediata iscrizione della notizia, senza che sul punto residui alcuna discrezionalità in capo al presidente della Corte d’Appello. Censura, poi, l’atto di contestazione, sotto il profilo della violazione del comma 1 dell'art. 17 del d.P.R. 10.6.2000 n. 198 mancato rispetto della circolare del C.S.M. art. 24.7.2000 violazione dell'art. 7. l. 241/90 art. 3, l. 241/90 violazione del criterio della proporzionalità intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare v. Cass. SS.UU. 4.7.2012 n. 11137 . E’ illegittimo l’atto di contestazione che, lungi dal contenere una contestazione dei fatti, provvede all’addebito di una illeceità disciplinare sulla base di un’attività istruttoria già svolta, al di fuori del contraddittorio con l’interessato, senza allegazione dei documenti a fondamento del convincimento. Inoltre, l’atto denota illogicità per avere ipotizzato un illecito disciplinare nei comportamenti osservati dal ricorrente nella vicenda che notoriamente non sarebbero vietati, senza, peraltro alcuna motivazione circa le ragioni che hanno indotto il Presidente della Corte di Appello di Napoli a discostarsi dalla relazione del Presidente del Tribunale di Napoli ancora immotivatamente si sarebbe optato per la sanzione più grave, senza osservare il principio di proporzionalità. Circa il provvedimento del 18.12.2013 con il quale il Presidente della Corte di Appello di Napoli ha trasmesso il fascicolo al consiglio giudiziario proponendo la sanzione della revoca, ha dedotto ancora la violazione dell'art. 1 della l. 241/90 e l’eccesso di potere per insufficiente motivazione, per illogicità e per ingiustizia manifesta e irragionevolezza. La decisione del Presidente della Corte di Appello di Napoli di non condivisione delle conclusioni rassegnate dal Presidente del tribunale di Napoli sarebbe non solo immotivata ma addirittura illogica, risultando indicata la rilevanza disciplinare dei fatti prima di avere valutato le giustificazioni addotte dall’incolpato. Il ricorrente, poi, introduce ulteriori censure avverso la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 23 luglio 14, sotto il profilo della 1 violazione dell'art. 97 cost. violazione degli art. 1 e 2 della l. 241/90 violazione del giusto procedimento per omessa rilevazione della illegittimità degli atti propedeutici sia per violazione di legge che per eccesso di potere come sono stati denunciati 2 violazione dell'art. 9 della l. 21.11.91 n. 374 e dell'art. 17 comma 3 del d.lgs. 10.6.2000 n. 198 contraddittorietà con la circolare dello stesso C.S.M. del 24.7.2000 difetto di adeguata motivazione sul mancato accoglimento della proposta del consiglio giudiziario 3 violazione dell'art. 9 l. 374/91 errata valutazione delle risultanze istruttorie mancanza di presupposti di fatto difetto di motivazione 4 violazione dell'art. 9 l. 374/91 violazione dell'art. 1 della l. 241/90 mancanza assoluta di motivazione eccesso di potere sotto vari aspetti. Contesta, in estrema sintesi, la mancata motivazione circa la legittimità degli atti presupposti, ancorché questi siano stati emessi in violazione dei termini regolanti il procedimento disciplinare ancora, non è stata motivata la scelta di modifica della decisione presa dal Consiglio Giudiziario, non risultando utile a tali fini la evidenziazione dell’imputabilità dei fatti all’incolpato non è motivata la ragione per cui i fatti addebitati al ricorrente avrebbero leso la credibilità del magistrato e il prestigio della Magistratura non è stata indicata la normativa regolante la fattispecie legale in cui sarebbe inquadrabile il caso concreto e perché questo sarebbe sanzionabile con la misura più grave, al di là dell’utilizzo di affermazioni roboanti” e apodittiche” quanto al merito delle affermazioni contenute nella delibera, il ricorrente ne individua l’illegittimità per eccesso di potere, capoverso per capoverso. Ulteriori censure sono dedotte, infine, avverso il decreto del ministro del 26.8.2014, sotto i seguenti profili 1 violazione dell'art. 97 cost. e dell'art. 3, l. 241/90 violazione dell'art. 9, comma 4 della legge 374/91 eccesso di potere per assoluto difetto di motivazione violazione dell'art. 9, comma 3 della legge 21.11.91, n. 474 e dell'art. 17, comma 9 del d.P.R. 10.6.00 n. 198, 3 violazione dell'art. 9, comma 3 della l. 21.11.91, n. 394 e successive modifiche mancata applicazione dell'art. 10 della stessa legge violazione dell'art. 9 della l. 241/90 difetto assoluto di motivazione sulla proporzionalità, illiceità, necessari età e adeguatezza della sanzione applicata 4 illegittimità derivata dalla illegittimità degli atti che hanno caratterizzato il procedimento, e che sono stati impugnati sotto i diversi profili, come sopra riportati. Non risulta che il Ministro abbia controllato gli atti del procedimento, come evincibile dal dato testuale del decreto in cui si revoca l’incarico di giudice di pace nella sede di Barra, mentre il ricorrente svolge l’incarico presso la sede di Napoli il decreto è stato emesso quando il ministro non aveva più il potere sanzionatorio da esercitare, essendo già trascorso l’anno dalla data in cui era pervenuta la notizia, avvenuta il 20.5.93 testuale il recepimento acritico della delibera del CSM ha determinato, per altrettanto, la violazione della normativa che disciplina gli illeciti disciplinari applicabile anche ai giudici di pace, come già sopra dedotto, e eccesso di potere per non essere stato rispettato l’obbligo di irrogazione di sanzione secondo il criterio della proporzionalità infine, poiché tutti gli atti del procedimento sono stati impugnati per deviazione dal giusto procedimento, per violazione e mancanza applicazione della legge sostanziale e per i motivi specifici, come sora tutti indicati, ritiene che il decreto ministeriale debba essere travolto per illegittimità derivata anche da uno solo di quegli atti. Conclude chiedendo, in accoglimento dei rassegnati motivi, l’annullamento del decreto del Ministro della Giustizia del 26.8.2014 di tutti gli atti presupposti, e cioè, della delibera allegata al decreto ministeriale del Consiglio Superiore della Magistratura, adottata nella seduta del 23.7.014, con la quale è stata deliberato, ai sensi dell'art. 9 della legge 21.11.91 n. 374 e successive modificazioni, l'irrogazione delle sanzione della revoca dell'Avv. Vincenzo Paolo Galati dell'incarico del Giudice di Pace di Napoli l'iscrizione nell'apposito registro effettuato dal Presidente della Corte di Appello di Napoli in data 27.9.013 della notizia protocollata in data 20.5.2013 il provvedimento del 1.10.013 notificato il 16.10.013 con il quale il Presidente della Corte di Appello di Napoli ha contestato al ricorrente l'adozione dei comportamenti che compromettono la credibilità del Magistrato e il prestigio dell'istituzione giudiziaria la nota prot. 377/13 con la quale lo stesso Presidente della Corte di Appello di Napoli ha trasmesso al Consiglio Giudiziario gli atti del procedimento disciplinare instaurato nei confronti dell'avv. Vincenzo Galati il verbale della seduta del 13.1.014 nella quale il Consiglio Giudiziario ha deliberato sul provvedimento di cui all'oggetto, proponendo al Consiglio Superiore di adottare la sanzione disciplinare della censura e degli atti consequenziali. Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato che, in difesa delle intimate Amministrazioni della giustizia, ha eccepito, in rito, l’inammissibilità del ricorso in quanto notificato a mezzo pec” nel merito, ha controdedotto sui motivi di ricorso di cui ha eccepito l’infondatezza, chiedendone il rigetto. In vista della camera di consiglio, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, la parte ricorrente ha prodotto memoria con cui ha controdedotto in merito all’eccezione in rito introdotta dall’Avvocatura erariale quindi, la Sezione, con ordinanza n. 828/2015 del 20 febbraio 2015, ha respinto la citata istanza cautelare, sulla base della seguente motivazione CONSIDERATO che dalla complessiva lettura del provvedimento impugnato emerge la compiuta ricostruzione dei fatti ascritti al ricorrente e delle ragioni per cui si è ritenuto di discostarsi dalla proposta del Consiglio Giudiziario e si è invece ritenuta adeguata, in relazione alla gravità dei fatti contestati avuto riguardo al profilo professionale posseduto dal ricorrente, la più grave sanzione della revoca proposta dal Presidente della Corte di Appello RITENUTO, pertanto, che si può prescindere in questa fase dall’esame della eccezione di inammissibilità del ricorso, atteso che lo stesso si presenta comunque, nel merito, sprovvisto del necessario fumus boni juris ”. Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2473/2015 del 5 giugno 2015, ha confermato l’ordinanza emessa in prime cure, ritenendo non assistite da adeguato fumus e/o di scarsa consistenza le censure dedotte dal ricorrente. Quindi, alla pubblica udienza del 19 luglio 2016, uditi i difensori delle parti che si sono rimessi agli atti, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione. Diritto Deve essere scrutinata, con priorità, l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa erariale e basata sulla circostanza che la notificazione dell’atto introduttivo è avvenuta a mezzo posta elettronica certificata pec , in assenza del d.P.C.M. previsto dall’art. 13 dell’Allegato 2, del c.p.a., con cui devono essere stabilite le regole tecnico-operative per la sperimentazione e graduale applicazione del processo amministrativo telematico. Il Collegio ritiene di precisare, in proposito, che il foro da tempo ha la possibilità di notificare gli atti a mezzo pec, a prescindere dall’introduzione e piena attuazione del processo telematico che, peraltro, ha avuto una forte implementazione fino alla prossima completa attuazione, prevista per il 1° gennaio 2017, in epoca successiva a quella in cui è stata introdotta la controversia in esame , in forza di quanto prevede l’art. 3, legge n. 53 del 1994 come modificato dalla legge n. 263/2005 , in combinato disposto con l’art. 25, legge n. 183 del 2011, ed il d.l. n. 179 del 2012, che, nell’introdurre l’art. 3-bis nel corpo della legge n. 53 del 1994, consente all’avvocato la notifica a mezzo pec, avvalendosi del registro cronologico disciplinato dalla stessa legge. Tanto precisato, è indubitabile che la parte ricorrente ha proceduto alla notifica dell’atto introduttivo alla controparte utilizzando una modalità non contemplata nel processo amministrativo al momento in cui è stato incardinato il ricorso, senza avere ottenuto la preventiva autorizzazione di cui all’art. 52, comma 2, del c.p.a., il che determina la nullità della notifica peraltro, non si procede alla declaratoria di inammissibilità, come richiesto dall’Avvocatura dello Stato, in quanto sia il Ministero della giustizia che il C.S.M. si sono costituiti in giudizio, sanando la rilevata nullità, ed hanno potuto esplicare i propri diritti difensivi sulla base dell’atto che, ancorché notificato in modo anomalo, è stato comunque tempestivamente conosciuto. Pertanto, sussistendo i presupposti richiesti dall’art. 156, comma 3, c.p.c., a mente del quale la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”, il ricorso è ammissibile e deve essere deciso nel merito. Tanto precisato in rito, e venendo al merito della controversia, viene all’esame del Collegio la legittimità della sanzione della revoca irrogata dal C.S.M. al ricorrente, giudice di pace di Barra, ora Napoli, sin dal 2003, sotto i diversi profili di censura come declinati in narrativa. Le censure sono state affrontate dal ricorrente in modo piuttosto articolato e a volte ripetitivo, atteso che con un primo gruppo sono state dedotte illegittimità di carattere procedimentale e con un secondo gruppo, di illegittimità di natura sostanziale, e poi, sviluppate ancora singolarmente, atto per atto della sequenza procedimentale, fino alla delibera del C.S.M. e al successivo decreto del Ministro recante la revoca dall’incarico di giudice di pace. Peraltro, il Collegio ritiene, non solo per motivi di ordine logico ma anche di necessaria sintesi, di affrontare i mezzi di impugnativa in ragione della loro natura con riferimento a tutti gli atti impugnati. Dunque, la prima questione da affrontare è quella della correttezza del procedimento osservato e poi culminato nella delibera del CSM irrogativa della sanzione disciplinare. In proposito soccorre l’art. 9 della legge 21 novembre 1991, n. 374, che, a proposito della decadenza, dispensa e sanzioni disciplinari applicabili ai giudici di pace, prevede 1. Il giudice di pace decade dall'ufficio quando viene meno taluno dei requisiti necessari per essere ammesso alle funzioni di giudice di pace, per dimissioni volontarie ovvero quando sopravviene una causa di incompatibilità. 2. Il giudice di pace è dispensato, su sua domanda o d'ufficio, per infermità che impedisce in modo definitivo l'esercizio delle funzioni o per altri impedimenti di durata superiore a sei mesi. 3. Nei confronti del giudice di pace possono essere disposti l'ammonimento, la censura, o, nei casi più gravi, la revoca se non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o scorretto. 4. Nei casi indicati dal comma 1, con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie, e in quelli indicati dai commi 2 e 3, il presidente della corte d'appello propone al consiglio giudiziario, integrato ai sensi del comma 2 dell'articolo 4, nonché da un rappresentante dei giudici di pace del distretto, la dichiarazione di decadenza, la dispensa, l'ammonimento, la censura o la revoca. Il consiglio giudiziario, sentito l'interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinché provveda sulla dichiarazione di decadenza, sulla dispensa, sull'ammonimento, sulla censura o sulla revoca. 5. I provvedimenti di cui ai commi 1, 2 e 3 sono adottati con decreto del Ministro della giustizia.” il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 198, delinea, poi, all’art. 17 il procedimento in caso di decadenza, dispensa sanzioni disciplinari, prevedendo in proposito 1. Il presidente della corte d'appello che abbia notizia non manifestamente infondata di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari indicate ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 9 della legge, con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie, entro quindici giorni, contesta, per iscritto, il fatto al giudice di pace interessato. 2. Ogni notizia concernente fatti di cui al comma 1 è iscritta immediatamente, a cura del presidente della corte d'appello, in apposito registro con indicazione degli estremi di essa e del giudice alla quale si riferisce. 3. La contestazione deve indicare, succintamente, i fatti suscettibili di determinare l'adozione dei provvedimenti indicati al comma 1, le fonti da cui le notizie dei fatti sono tratte e l'avvertimento che, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento dell'atto, l'interessato può presentare memorie e documenti o indicare circostanze sulle quali richiede indagini o testimonianze. 4. Ove debba procedersi ad accertamenti, il presidente della corte d'appello, se non ritenga di procedervi personalmente, ne affida lo svolgimento ad un magistrato della stessa corte che deve concluderli entro il termine di trenta giorni decorrenti dall'iscrizione della notizia nel registro di cui al comma 2. 5. Il presidente della corte d'appello, anche all'esito degli accertamenti di cui al comma 4, se la notizia non si è rivelata infondata, entro quarantacinque giorni decorrenti dall'iscrizione della notizia di cui al comma 1 nell'apposito registro, trasmette, con le sue proposte, gli atti al consiglio giudiziario per le determinazioni di cui al comma 4 dell'articolo 9 della legge. 6. Il segretario del consiglio giudiziario notifica tempestivamente all'interessato il giorno, l'ora ed il luogo fissati per la deliberazione, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti relativi alla notizia che ha occasionato il procedimento e degli eventuali accertamenti svolti. L'interessato è avvertito, altresì, che potrà comparire personalmente, che potrà essere assistito da un difensore appartenente all'ordine giudiziario e che se non si presenterà senza addurre un legittimo impedimento si procederà in sua assenza. La data fissata per la deliberazione deve essere notificata almeno dieci giorni prima del giorno fissato. 7. Ciascun membro del consiglio ha facoltà di rivolgere domande all'interessato sui fatti a lui riferiti. Questi può presentare memoria e produrre ulteriori documenti che dimostri di non aver potuto produrre in precedenza. Il presidente dà la parola al difensore, se presente, ed, infine, all'interessato che la richieda. 8. Il consiglio giudiziario delibera la proposta entro tre mesi decorrenti dall'iscrizione della notizia di cui al comma 1 nell'apposito registro. 9. Decorso un anno dall'iscrizione di cui al comma 2 senza che sia stato emesso il decreto di cui all'articolo 9, comma 5, della legge il procedimento, con il consenso dell'interessato, si estingue.”. Il Collegio ritiene che, sulla base delle disposizioni ora richiamate integralmente, nessuna delle censure di natura infra-procedimentale appare meritevole di positiva valutazione. Intanto, occorre sgombrare il campo dall’equivoco in cui sembra incorrere il ricorrente che, a sostegno delle doglianze introdotte, denuncia più volte la violazione delle norme previste in materia di procedimento amministrativo con la legge n. 241 del 1990. Come è agevole ricavare dalla lettura dell’art. 17 sopra riportato, il procedimento disciplinare di cui si controverte è regolamentato in modo compiuto dal d.P.R. 198/2000, senza che possa ritenersi, pertanto, integrabile, di volta in volta, dalle disposizioni introdotte con la legge del 1990. Sono, pertanto, del tutto inconferenti e da respingere le censure di violazione della legge n. 241/1990 e, in specie, quella con cui il ricorrente si duole della violazione degli artt. 7 e 8 della stessa legge, essendo le garanzie di partecipazione e di tutela del diritto di difesa ampiamente tratteggiate dall’art. 17, d.P.R. 198/2000. In specie, l’atto di contestazione è stato idoneamente formulato in modo da rendere edotto il ricorrente in relazione a quali fatti è stato incolpato e dei motivi della rilevanza disciplinare degli stessi, in modo da consentirgli ogni più ampia partecipazione sia in sede di presentazione di memoria difensiva che in sede di successiva audizione. Per tale aspetto, dunque, il procedimento si rivela legittimo. Quanto, poi, alla tempistica entro cui lo stesso si è svolto, ritiene il Collegio, in linea, peraltro, oltre che con la giurisprudenza di questo Tribunale, anche con quella del Giudice di appello, che il procedimento disciplinare nei confronti del giudice di pace deve ritenersi cominciato solo con la contestazione degli addebiti all'interessato da parte del Presidente della Corte d'Appello, e non può ritenersi iniziato, come invece assume il ricorrente, alla differente data in cui è pervenuto alla Presidenza della Corte d’appello l’esposto presentato nei suoi confronti cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 28 . L’art. 17, in proposito, è estremamente chiaro, in quanto non ogni notizia, ma solo quella non manifestamente infondata di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni disciplinari” deve essere contestata per iscritto all’interessato per la stessa ragione, non è sostenibile la tesi circa l’esistenza di un termine decadenziale dal momento in cui è pervenuto l’esposto in Corte d’Appello che, a detta del ricorrente, imporrebbe per ciò solo l’immediata iscrizione della notizia, con ogni conseguenza in ordine alla decorrenza del termine finale di conclusione del procedimento. Osserva il Collegio che la prescrizione dell'art. 17 in esame, secondo cui la notizia dell'illecito, va iscritta immediatamente , ha una funzione meramente sollecitatoria, non essendo prevista alcuna sanzione in caso di inosservanza. Ma a prescindere da tale osservazione, ciò che rileva ai fini della regolarità e legittimità dell'azione disciplinare, è, da un lato, che non vengano compiuti atti di indagine fino a quando il procedimento non sia formalmente avviato, il che avviene con la iscrizione della notizia dell'illecito nell'apposito registro, dall’altro, che sia rispettato il termine di un anno entro cui occorre concludere, a pena di estinzione, il procedimento disciplinare, che decorre, proprio, dalla data di iscrizione. Venendo al caso che ne occupa, l’esposto è pervenuto alla Corte di Appello di Napoli il 20 maggio del 2013 il 24 maggio successivo quattro giorni dopo è stata avviata l’istruttoria al fine di verificare la fondatezza della notizia il 14 giugno 2013 il ricorrente è stato audito sempre in fase istruttoria il 27 settembre 2013, è stata iscritta la notizia e il successivo 1° ottobre è stata formulata la contestazione al ricorrente dell’addebito disciplinare la delibera del CSM è, poi, intervenuta il 24 luglio 2014, recepita con atto formale del Ministro della giustizia del 26 agosto 2014. Dunque, la scansione temporale, come correttamente indicata nella sua successione, non solo cronologica, ma anche dialogica, dà conto della osservanza dell’unico termine posto a pena di estinzione del procedimento, e del rispetto delle sequenze procedimentali previste dalla norma di settore, una volta iscritta la notizia rilevante sotto il profilo disciplinare, per cui gli atti impugnati sono, sotto questo profilo, senz’altro legittimi. Deve aggiungersi, che la ratio della disciplina come rettamente interpretata è quella di evitare che a una qualunque ricezione di notitia criminis” faccia senz’altro seguito l’avvio del procedimento sanzionatorio, per di più a carico di soggetti, quali i giudici di pace, che esercitano la delicata funzione giurisdizionale, dovendo necessariamente essere previamente accertata la non manifesta infondatezza della stessa. Erra, pertanto, il ricorrente quando, per supportare le censure variamente articolate sul punto avverso tutti gli atti del procedimento, ritiene che tra la ricezione della notizia e la formalizzazione dell'avvio procedimentale non intercorra alcun iato temporale, tanto da far decorrere il termine decadenziale da un momento antecedente a quello in cui, invece, è stata iscritta la notizia è, invece, razionale la previsione che inserisce un sub procedimento dedicato ad un preliminare vaglio sulla non manifesta infondatezza della segnalazione, cui seguirà, in caso di esito positivo di tali accertamenti, la relativa iscrizione per la successiva contestazione. Per chiudere sul punto, gli atti infra-procedimentali sono stati adottati in tempi ragionevoli e, comunque, compatibili con le esigenze istruttorie del caso peraltro, tenuto conto che tutti i termini di cui all’art. 17, con la sola eccezione di quello annuale previsto per l'emissione del provvedimento finale art. 17, 9° comma , hanno natura ordinatoria, il decreto ministeriale con cui è stata irrogata la sanzione disciplinare, siccome intervenuto entro il termine perentorio, è tempestivo. Ne consegue che di nessun pregio sono anche le censure volte a contestare la legittimità degli atti successivi a quelli di cui è stata ritenuta erroneamente la tardività, per essere stato comunque esercitato il potere sanzionatorio. Sempre sotto il profilo procedimentale, lamenta la parte ricorrente l’illegittima composizione del Consiglio giudiziario rispetto alla previsione normativa, con ogni effetto in ordine alla nullità della determinazione assunta dall’organo irregolare e, a cascata, della deliberazione del CSM. Il motivo non ha pregio. Come è evincibile dal combinato disposto delle norme sopra riportate, il potere di dichiarare la decadenza del giudice di pace è affidato in via esclusiva al Consiglio Superiore della Magistratura, mentre al Consiglio giudiziario integrato spetta unicamente una attribuzione di tipo consultivo di conseguenza i vizi concernenti la composizione di quest'organo non possono assumere una portata tale da inficiare l'intero iter, fortemente connotato dall'ampia sfera discrezionale dell'Organo di autogoverno della magistratura. Ne consegue l’irrilevanza della censura finalizzata a ritenerne una portata caducante di tutta la sequenza procedimentale che ne è scaturita. Esaurito l’esame delle censure attinenti il procedimento osservato nel caso in controversia, possono essere esaminate le censure più propriamente connesse alla portata precettiva dei provvedimenti impugnati, e attinenti, in estrema sintesi, alla mancanza di motivazione circa la legittimità degli atti presupposti, in merito alla scelta di modificare la decisione presa dal Consiglio Giudiziario, in merito alla ragione per cui i fatti addebitati al ricorrente avrebbero leso la credibilità del magistrato e il prestigio della Magistratura, in merito alla omessa indicazione della normativa regolante la fattispecie legale in cui sarebbe inquadrabile il caso concreto e alle ragioni per cui questo sarebbe sanzionabile con la misura più grave. Ritiene il Collegio di ribadire, in premessa, che ai sensi dell’art. 9, legge n. 374/1991, il Presidente della Corte d’Appello si limita a formulare una proposta al Consiglio Giudiziario in merito all’irrogazione della sanzione disciplinare, mentre il Consiglio Giudiziario trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinché provveda sulla dichiarazione di decadenza, sulla dispensa, sull'ammonimento, sulla censura o sulla revoca. Quindi, come sopra già osservato, al Consiglio Giudiziario non è rimessa la formulazione di una sorta di proposta vincolante, attenendo le competenze dei Consigli giudiziari tipicamente ed esclusivamente a mere funzioni istruttorie e consultive, insuscettibili di incidere sulla autonomia di determinazione del Consiglio Superiore della Magistratura. Pertanto, legittimamente il Consiglio Superiore della Magistratura delibera l'irrogazione di una sanzione anche diversa da quella contenuta nella determinazione del Consiglio Giudiziario, spettando solo al primo il potere valutativo dei fatti e della relativa determinazione della sanzione in relazione a quegli stessi fatti. Tanto precisato, occorre ora verificare se gli addebiti sollevati dal ricorrente trovino conferma alla stregua della motivazione del provvedimento irrogativo della sanzione, nei limiti in cui può essere spiegato il sindacato giurisdizionale nei confronti di tali atti. Deve essere infatti, tenuto in conto che, in sede di ricorso avverso il provvedimento di revoca dell'incarico di giudice onorario il giudice amministrativo deve limitare il proprio sindacato ad un esame estrinseco della ragionevolezza della misura adottata dall'organo di autogoverno della magistratura alla luce dei presupposti considerati, non potendo sostituire una propria valutazione in ordine ai fatti contestati, alla complessiva vicenda professionale del magistrato onorario interessato, ovvero al valore da attribuire ai singoli elementi negativi emergenti a suo carico, ovvero alla comparazione di questi con eventuali elementi positivi, se non nei limiti in cui il giudizio svolto dal CSM si snodi secondo un iter non supportato da idonea motivazione ovvero affetto da eccesso di potere per illogicità cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2466 . Ed invero, le valutazioni del CSM ai fini della revoca dell’incarico di giudice di pace, costituiscono frutto di un apprezzamento discrezionale globale che, peraltro, nel caso di specie, appare immune da vizi di palese irragionevolezza o travisamento dei fatti essendo fondate su dati di fatto oggettivi e documentati, peraltro nemmeno contestati dal ricorrente. Come anticipato in sede cautelare, la ricostruzione dei fatti è ineccepibile, essendo pacificamente emerso che il ricorrente, sia pure attraverso il patrocinio di un difensore, ha consapevolmente intentato un giudizio risarcitorio in sede civile prima presso l'ufficio giudiziario ove prestava servizio in qualità di Giudice di Pace, e poi, dopo aver consapevolmente aderito alla evidente eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalle convenute, ha nuovamente citato in giudizio le stesse presso altro ufficio giudiziario Marigliano , del pari incompetente territorialmente. E’ irrilevante, in proposito, quanto oppone il ricorrente circa la derogabilità della competenza territoriale, atteso che, nella specie, questa è stata scientemente disattesa, nonostante le eccezioni di controparte, cui il ricorrente stesso aveva aderito. Inoltre, non può non rilevarsi come l’Ufficio originariamente prescelto per la controversia, coincidesse con quello presso cui il medesimo esercitava le funzioni di giudice di pace. Alla stregua di tali risultanze, non è immotivato l’apprezzamento di tali fatti condotto dall’organo di autogoverno che ha ritenuto come le condotte contestate risultano tanto gravi quanto macroscopiche e come tali direttamente ascrivibili ad una scelta consapevole e dunque colpevole di un soggetto particolarmente qualificato, quale appunto il dott. Galati, il quale proprio in considerazione della funzione ricoperta di giudice di pace ha certamente partecipato alle decisioni ed alle iniziative intraprese dal proprio legale comprendendone la assoluta infondatezza e condividendone le reali ragioni”. Si tratta, dunque, di apprezzamento relativo alla gravità dei fatti addebitati al ricorrente, che trovano una sponda proprio nella fattispecie normativa evocata nel provvedimento in quanto la legge n. 374 del 1991, all’art. 9, comma 3, prevede quale sanzione applicabile ai giudici di pace, la revoca se non è in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o scorretto”. In proposito il CSM motiva le ragioni per cui, discostandosi dalle conclusioni ci era giunto il Consiglio Giudiziario, ritiene applicabile ai fatti contestati al ricorrente la sanzione più grave della revoca, in ragione proprio del comportamento scorretto” da questi osservato in occasione dei giudizi risarcitori dal medesimo instaurati in sede civile. Non è irrazionale, pertanto, quanto ha ritenuto in proposito il CSM, atteso che la condotta scorretta osservata da parte di un soggetto particolarmente qualificato in quanto giudice di pace non può che ridondare in modo negativo sulla credibilità del magistrato e sul prestigio delle funzioni esercitate, concetti questi che, lungi dal costituire mere clausole di stile, connotano appieno il senso della funzione giurisdizionale. Il percorso argomentativo osservato dal CSM per giungere alla scelta della sanzione ritenuta adeguata e proporzionata in relazione all’addebito disciplinare è immune da contraddittorietà o carenze motivazionali, sia perché sorretto da una ferrea ed ineccepibile logica, sia perché supportato da un rigoroso esame delle tesi addotte dal ricorrente in sede difensiva, adeguatamente confutate. Il CSM, infatti, ha efficacemente precisato i doveri di diligenza e correttezza cui è venuto meno il ricorrente che ha deliberatamente violato le regole processuali sotto il profilo della competenza territoriale e ha operato una impropria commistione tra la funzione pubblica esercitata e l'esercizio dei diritti ed interessi individuali. Il CSM, dunque, ha ritenuto inidonee le cause giustificative addotte dal ricorrente quale la circostanza che non vi era alcuna necessità che la denunciante quale responsabile civile, rivestendo solo la qualità di litisconsorte necessario, si costituisse in giudizio, come avviene in moltissimi giudizi ad alleviare la gravità dei fatti contestati, avendo rilevato come nel caso concreto l'insolita partecipazione al giudizio del litisconsorte necessario ha poi in concreto prodotto evidenti disagi ad una parte privata nell'esercizio di un proprio diritto infine, ha ritenuto irrilevanti le addotte strategie operative decise dal ricorrente e dal suo difensore, in quanto ininfluenti sotto il profilo disciplinare della valutazione ed incidenza delle condotte. Le considerazioni ora svolte militano, in definitiva, per l’infondatezza delle censure svolte nei confronti della delibera del CSM, attesa la correttezza del procedimento osservato che ha condotto all’aggravamento della sanzione irrogata in ragione della rilevanza disciplinare della condotta contestata. Quanto, infine, alle censure dedotte avverso il decreto del Ministro della giustizia, ribadita la tempestività dell’atto finale del procedimento, intervenuto entro un anno dall’avvenuta iscrizione della notizia, se ne deve rilevare l’infondatezza, attesa la natura dell’atto conclusivo del procedimento disciplinare, giusta quanto dispone l’art. 9, ultimo comma, della legge 21 novembre 1991, n. 374. Come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza, infatti, i decreti ministeriali di recepimento delle delibere del Consiglio Superiore della Magistratura, espressione del potere costituzionalmente garantito di autogoverno della magistratura, costituiscono atti di mera esternazione delle delibere medesime, che seppure hanno la valenza di integrarne l'efficacia esterna, assumono un carattere meramente vincolato nel contenuto pertanto, alcun obbligo di controllo aveva il Ministro in merito al contenuto della delibera del CSM, di cui si è correttamente limitato a prendere atto, né, per altrettanto, possono rilevare eventuali errori materiali, quale l’individuazione dell’Ufficio presso cui il ricorrente prestava servizio che peraltro egli stesso indica essere quello di Barra, poi Napoli . In conclusione, attesa l’infondatezza delle censure, nel loro complesso, il ricorso deve essere respinto le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate giusta quanto in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio, liquidate nella complessiva somma di euro 2.000,00 duemila/00 , in favore delle Amministrazioni resistenti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.