Niente armi in casa a chi minaccia il vicino

E' insindacabile, in sede di giurisdizione di legittimità, la scelta dell’Amministrazione di prevenire che le situazioni possano degenerare, vietando la detenzione di armi e munizioni nei confronti di chi abbia formulato minacce nel corso di litigi anche se ciò sia avvenuto nei confronti di un vicino .

Lo ha affermato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1727/16, depositata il 3 maggio. Modalità di custodia delle armi. Ciò anche in relazione al fatto che, nello specifico, sono state valutate anche le modalità di custodia delle armi, nel senso che il titolare della licenza deve porre in essere le misure volte a consentire il proprio esclusivo utilizzo dell’arma, con modalità tali da rendere oltremodo difficile che altri ne facciano uso, quand’anche siano suoi stretti congiunti. E tale regola di comportamento non riguarda solo i congiunti che abbiano precedenti penali ovvero che non diano affidamento sulla custodia e sul corretto uso delle armi il titolare della licenza deve evitare che l’arma possa essere, nella sostanza, liberamente appresa ed utilizzata da altri e non giustificandosi che poiché esse – trovandosi in pessimo stato di conservazione - risultavano chiuse in una cassapanca a casa del padre, che abitava vicino . I poteri dell’Autorità amministrativa. Il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma . In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne , mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato. In tal senso la giurisprudenza è costante Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922 Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121 Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987 . Nel caso posto all'attenzione del Giudice di appello, la Prefettura di Genova aveva disposto il divieto di detenere armi e munizioni, in applicazione dell’art. 39 e, dunque, esercitando un potere discrezionale, ritenendo che l’appellante vada ritenuto capace di abusare della detenzione di armi e munizioni.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 28 aprile – 3 maggio 2016, n. 1727 Presidente/Estensore Maruotti Fatto e diritto 1. Col provvedimento di data 12 febbraio 2014, la Prefettura di Genova ha richiamato le risultanze del procedimento ed ha disposto nei confronti dell’appellante – in applicazione dell’art. 39 del testo unico n. 773 del 1931 – il divieto di detenere armi e munizioni. 2. Col ricorso di primo grado n. 515 del 2014 proposto al TAR per la Liguria , l’interessato ha impugnato il provvedimento emesso in data 12 febbraio 2014, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere. 3. Il TAR, con la sentenza n. 972 del 2015, ha respinto il ricorso. 4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto. Le Amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio ed hanno chiesto che il gravame sia respinto. 5. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto. 5.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931. L’art. 11 dispone che Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate 1 a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione 2 a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta. Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione . L’art. 39 dispone che Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne . L’art. 43 dispone che oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi a a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione b a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico c a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi. La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi . Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma . In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità di abusarne , mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922 Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121 Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987 . 5.2. Nella specie, la Prefettura di Genova ha disposto il divieto di detenere armi e munizioni, in applicazione dell’art. 39 e, dunque, esercitando un potere discrezionale, ritenendo che l’appellante vada ritenuto capace di abusare della detenzione di armi e munizioni. Ritiene la Sezione che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, il provvedimento della Prefettura impugnato in primo grado non sia affetto dai vizi dedotti dall’appellante, di inadeguatezza della motivazione. La Prefettura ha rilevato che nei confronti dell’appellante - è stata presentata una querela per minaccia grave, per fatti accaduti il 14 agosto 2013 - è stata presentata una denuncia, tra l’altro, per la violazione delle disposizioni sulla custodia di armi, per la mancata denuncia di armi detenute e per la mancata spiegazione sul mancato possesso di due armi, regolarmente denunciate. L’interessato già nel corso del procedimento ha osservato che i fatti accaduti il 14 agosto 2013 avrebbero riguardato la condotta di un vicino, indebitamente transitato su un suo fondo, e che la vicenda concernente la violazione della custodia delle armi legittimamente detenute non sarebbe rilevante, poiché esse – trovandosi in pessimo stato di conservazione - risultavano chiuse in una cassapanca a casa del padre, che abitava vicino . Ad avviso della Sezione, del tutto ragionevolmente l’Amministrazione ha formulato il giudizio di inaffidabilità, contestato in questa sede. Da un lato, risulta ragionevole la valutazione di quanto emerso a proposito della lite avvenuta in data 14 agosto 2013 e non rileva in contrario che vi sia stata la rimessione della querela la Sezione ritiene di per sé ragionevole – e comunque insindacabile nella sede della giurisdizione di legittimità - la scelta dell’Amministrazione di prevenire che le situazioni possano degenerare, vietando la detenzione di armi e munizioni nei confronti di chi abbia formulato minacce nel corso di litigi anche se ciò sia avvenuto nei confronti di un vicino . Dall’altro lato, risulta ragionevole anche la valutazione delle modalità di custodia delle armi. Infatti, il titolare della licenza deve porre in essere le misure volte a consentire il proprio esclusivo utilizzo dell’arma, con modalità tali da rendere oltremodo difficile che altri ne facciano uso, quand’anche siano suoi stretti congiunti. Una tale regola di comportamento non riguarda solo i congiunti che abbiano precedenti penali ovvero che non diano affidamento sulla custodia e sul corretto uso delle armi il titolare della licenza deve evitare che l’arma possa essere, nella sostanza, liberamente appresa ed utilizzata da altri. Vanno pertanto respinte le reiterate deduzioni dell’appellante, secondo cui l’atto impugnato in primo grado sarebbe illegittimo – sotto vari profili - per violazione degli artt. 11 e 39 del testo unico n. 773 del 1931 ed eccesso di potere. 5.3. Vanno anche respinte le deduzioni sulla violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 e sulla sussistenza di profili di eccesso di potere per violazione dei principi sul giusto procedimento. Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, la precisione e l’accuratezza con cui è stato redatto l’avviso di avvio del procedimento – di data 7 ottobre 2013 – non ha inciso sulla sua possibilità di formulare controdeduzioni, né ha manifestato una ‘volontà precostituita’ dell’Amministrazione. Al contrario, il medesimo avviso ha consentito all’interessato di avere piena consapevolezza ab initio degli elementi, sui quali l’Amministrazione ha basato la propria valutazione finale. 5.4. Vanno altresì respinte le censure riproposte a pp. 20 ss. dell’atto di appello, secondo cui il provvedimento finale si sarebbe basato su elementi di fatto che non sarebbero stati menzionati nell’avviso di avvio del procedimento. In primo luogo, in punto di fatto risulta che il provvedimento che ha vietato la detenzione di armi e munizioni si è basato principalmente sull’episodio verificatosi il 14 agosto 2013, mentre ha avuto un rilievo secondario il richiamo alle indagini per ingiuria, minaccia e danneggiamento, richiamate nella relazione redatta dalla Stazione dei Carabinieri di Lavagna in data 3 marzo 2010. In secondo luogo, in linea di principio, si deve ritenere che l’Amministrazione, quando attiva un procedimento e ne dà comunicazione al destinatario dell’eventuale provvedimento finale, non deve fare riferimento a tutti i fatti che in ipotesi possano essere valutati il provvedimento finale può sempre valutare le complessive risultanze del procedimento. Una deroga a tale principio vi è per i procedimenti aventi carattere sanzionatorio e rispetto ai quali l’ordinamento prevede la ‘contestazione degli addebiti’, ma non è questo il caso all’esame della Sezione, in cui è stato impugnato un provvedimento che non ha natura sanzionatoria e prende in considerazioni le obiettive situazioni in cui vadano affrontate esigenze di ordine pubblico 6. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza respinge l’appello n. 2160 del 2016. Condanna l’appellante al pagamento di euro 3.000 tremila in favore delle Amministrazioni appellate, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.