E' successo a Taranto, ma il senso non cambia, con la conseguenza che i titolari di bar e ristoranti che hanno allestito davanti al proprio locale, su area pubblica, confortevoli gazebo, non dormiranno più sonni tranquilli.
Il Comune, infatti, deve negare il permesso in sanatoria per l'installazione di strutture. Ciò in quanto vie e piazze pubbliche non necessitano di dichiarazione di interesse storico-artistico, in quanto sono di per sé beni culturali e, pertanto, vanno tutelati. Ai sensi del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo numero 42/2004, le piazze pubbliche in specie laddove rientranti nell’ambito dei centri storici sono qualificabili come ‘beni culturali’ indipendentemente dall’adozione di una dichiarazione di interesse storico-artistico Cons. Stato, VI, sent. 482/2011 id., VI, sent. 4010/2013 id., VI, sent. 4497/2013 . A giudizio del Collegio, peraltro, è irrilevante la rimovibilità del gazebo. Si tratta infatti di una valutazione svolta nel pieno esercizio della discrezionalità tecnica propria dell’Amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della funzione di tutela che non appare esercitata in modo travisante dei fatti, né in modo logicamente inattendibile. Nella fattispecie, non si può del resto dubitare tanto dei presupposti bene ritenuti dalla locale Soprintendenza nel quadro della discrezionalità tecnica propria della tutela invasività del centro storico con un gazebo alterante la visione d’insieme dell’architettura monumentale esistente , quanto dell’effetto di snaturamento dei caratteri formali di contesto del marciapiede a seguito dell’installazione del gazebo stesso a dire dell’appellata «avente carattere precario, all’interno del quale, soprattutto nel periodo invernale, somministrare i pasti agli avventori» . Infatti è palese, a sostegno degli elementi rilevati che debbono caratterizzare il legittimo esercizio della discrezionalità tecnica che l’intervento innovativo alla visione d’insieme, non autorizzato, viene a realizzare non solo un cambiamento circa la destinazione d’uso del marciapiede ma soprattutto una difforme sua connessione fisica in riferimento al quadro spaziale e percettivo . Del resto, la Sezione ha ricordato che la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione non sono infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante. La direttiva Ornaghi e la modifica del codice Urbani. Sulla compatibilità delle attività commerciali con la necessaria tutela di strade e piazze, del resto, è intervenuto anche due anni fa l'allora Minstro ai beni culturali Ornaghi con la cosiddetta direttiva “Decoro”, mettendo nero su bianco che desta crescente preoccupazione l’esercizio diffuso e talora incontrollato di attività commerciali, nonché di attività ambulanti di varia natura e tipologia, nell’ambito di aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, specie in quelle contermini ai complessi monumentali e agli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti. Con ciò determinando la compromissione delle esigenze di tutela del patrimonio culturale, in quanto potenzialmente configgente, oltre che con la corretta conservazione e protezione, anche con la salvaguardia dell’aspetto e del decoro dei beni e del significato culturale da essi espresso e rappresentato. Tra l’altro lo svolgimento di attività non compatibili può impedire di assicurare livelli di valorizzazione qualitativamente adeguati allo straordinario valore dei beni interessati, con effetti pregiudizievoli anche sullo sviluppo e la promozione del turismo culturale. E per non lasciare nulla d'intentato, il legislatore in questi ultimi due anni, con i vari decreti legge “cultura” ha più volte messo mano all'articolo 52 d.lgs. numero 42/2004, prevedendo la necessità di una intesa tra i Comuni e gli uffici della soprintendenza, al fine di impedire che anche tavoli, sedie ed ombrelloni deturpino il contesto ambientale. E ciò, con particolare riferimenti ai complessi monumentali e gli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 10 giugno – 1 dicembre 2014, numero 5934 Presidente Severini – Estensore Carella Fatto e diritto 1.- Risulta dalla sentenza appellata che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia ha accolto il ricorso proposto da La Luna s.r.l. avverso il parere della Soprintendenza del 14 dicembre 2011 e il collegato diniego comunale del permesso in sanatoria di un gazebo antistante il marciapiede dell’esercitata attività di ristorazione in Piazza Amedeo, nel centro storico di Taranto. La sentenza si è basata sulla considerazione che “le pubbliche piazze, vie, strade, e altri spazi urbani di interesse artistico o storico” non costituiscono beni culturali ipso iure, in assenza della dichiarazione di cui agli articolo 12 e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, numero 42, nella specie non emessa. Con l’appello qui in esame, fondato su un unico motivo di censura, l’Amministrazione dei beni culturali critica la sentenza nel diverso assunto che le piazze pubbliche non necessitano di dichiarazione di interesse storico-artistico, in quanto sono di per sé beni culturali e nel concreto ha illustrato il contesto ambientale e monumentale, caratterizzato dal Palazzo del Governo e dal Palazzo delle Poste. Ha resistito in giudizio la società appellata, con il controricorso e la memoria depositata l’8 maggio 2014, sostenendo che non tutte le pubbliche piazze, strade, vie ed altri spazi aperti urbani rientrano tra i beni culturali ma solo quelle aventi caratteristica dichiarata di “interesse artistico o storico” e in subordine riproponendo il motivo assorbito in primo grado, relativo alla contestata eccessività di impatto del gazebo e al suo carattere solo temporaneo. Alla pubblica udienza del 10 giugno 2014 la causa è stata trattenuta in decisione. 2.- L’appello è fondato e la sentenza merita di essere riformata, non sussistendo valida ragione per discostarsi dai precedenti richiamati e dalle persuasive conclusioni cui si è pervenuti in sede di decisione cautelare ed alla quale si rinvia Cons. Stato, VI, ord. 26 settembre 2013, numero 3804 vale a dire, Cons. Stato, VI, 24 gennaio 2001, numero 482 30 luglio 2013, numero 4010 11 settembre 3013, numero 4497 . La Sezione ha infatti accolto la misura cautelare ed ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata “stante la pacifica inclusione della Piazza Amedeo all’interno del centro storico di Taranto e in coerenza con la giurisprudenza della Sezione secondo cui, ai sensi del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo numero 42 del 2004, le piazze pubbliche in specie laddove rientranti nell’ambito dei centri storici sono qualificabili come ‘beni culturali’ indipendentemente dall’adozione di una dichiarazione di interesse storico-artistico in tal senso Cons. Stato, VI, sent. 482/2011 id., VI, sent. 4010/2013 id., VI, sent. 4497/2013 ”. Nell’identità delle questioni controverse tra la parti e non avendo l’attività processuale successiva apportato diversi o ulteriori elementi di giudizio, i relativi fondamenti in punto di fatto e di diritto non possono che essere qui ribaditi. 3.- Non fondato è poi il subordinato motivo riproposto dalla società appellata in ordine alla confutata alterazione della percezione di insieme del contesto ambientale e monumentale della piazza nonché circa la rimovibilità del gazebo. Si tratta invero di una valutazione svolta nel pieno esercizio della discrezionalità tecnica propria dell’Amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della funzione di tutela che non appare esercitata in modo travisante dei fatti, né in modo logicamente inattendibile. Nella fattispecie, non si può del resto dubitare tanto dei presupposti bene ritenuti dalla locale Soprintendenza nel quadro della discrezionalità tecnica propria della tutela invasività del centro storico con un gazebo alterante la visione d’insieme dell’architettura monumentale esistente , quanto dell’effetto di snaturamento dei caratteri formali di contesto del marciapiede a seguito dell’installazione del gazebo stesso a dire dell’appellata “avente carattere precario, all’interno del quale, soprattutto nel periodo invernale, somministrare i pasti agli avventori” . Infatti è palese, a sostegno degli elementi rilevati che debbono caratterizzare il legittimo esercizio della discrezionalità tecnica che l’intervento innovativo alla visione d’insieme, non autorizzato, viene a realizzare non solo un cambiamento circa la destinazione d’uso del marciapiede ma soprattutto una difforme sua connessione fisica in riferimento al quadro spaziale e percettivo . Al riguardo è poi da osservare che la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione non sono infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un’utilizzazione perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante Cons. Stato, V, 24 febbraio 1996, numero 226 V, 24 febbraio 2003, numero 986 IV, 23 luglio 2009, numero 4673 V, 12 dicembre 2009, numero 7789 VI, 16 febbraio 2011, numero 986 , anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione ex multis Cass., III, 5 marzo 2013, numero 10235 e 21 giugno 2011, numero 34763 Cons. Stato, IV, 22 dicembre 2007, numero 6615 VI, 16 febbraio 2011, numero 986 VI, 7 settembre 2012, numero 4759 VI, 18 settembre 2013, numero 4642 . 4.-Alla luce delle considerazioni innanzi svolte è manifesta l’infondatezza di tutti i profili denunziati in primo grado. Di conseguenza, l'appello deve essere accolto, con riforma dell’erronea sentenza appellata e rigetto del ricorso originario. Le spese di lite relative al doppio grado di giudizio possono essere tuttavia integralmente compensate tra le parti, per la particolarità della fattispecie e per giusti motivi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto ricorso numero 6141 del 2013 , accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa interamente tra le parti le spese di lite relative al doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.