Buio pesto in mansarda: i condomini non vogliono l’abbaino

Il soggiorno della mansarda è buio. Ma non è possibile aprire un abbaino nel tetto se i condomini non hanno dato il proprio assenso.

I limiti privatistici. Secondo l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato, e che nella fattispecie viene condiviso, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati. Di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici v., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332 C.d.S., Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654 . Nello specifico, il Collegio afferma l’obbligo del comune di verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva disponibilità giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio. E ciò in relazione al fatto che l’art. 70, l. prov. 11 agosto 1997, n. 13, prevede la legittimazione attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo. A tale riguardo va precisato che la citata disposizione normativa, emanata dalla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia di urbanistica, corrisponde sostanzialmente alla previsione contenuta nell’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Nel caso all'esame della Sezione, l’opera in contestazione era destinata a incidere sulla parte comune costituita dal tetto dell’edificio condominiale non solo in senso materiale ma, eventualmente, anche sotto il profilo del decoro architettonico . L’Amministrazione comunale, a fronte dell’evidente incidenza su una parte comune dell’edificio condominiale, nonché paventando prudenzialmente l’eventualità dell’utilizzo di parte della volumetria residua dell’edificio condominiale, in esplicazione del menzionato potere/dovere di verifica del titolo di legittimazione ha consequenzialmente, e del tutto ragionevolmente, richiesto il consenso del condominio. Un interesse contrapposto. Nel provvedimento di diniego impugnato risulta formalmente indicato che il condominio, e per esso rispettivamente i condomini, agevolmente individuabili dall’appellante, sarebbero stato leso nel caso di rilascio del permesso. E di, conseguenza, la posizione del condominio è connotata dalla titolarità di un interesse giuridicamente qualificato nella specie, del diritto di proprietà su parti comuni – tetto condominiale – dell’edificio interessato dai lavori , implicitamente contemplato dall’atto impugnato, a mantener fermi gli effetti scaturenti dal provvedimento di diniego. I condomini, quindi, sono stati correttamente qualificati come controinteressati in senso formale e sostanziale, dal Giudice di primo grado, e ad almeno uno di essi pertanto andava notificato a pena di inammissibilità il ricorso originario a mente dell’art. 21, comma 1, l. n. 1034 del 1971 v., in fattispecie analoga, C.d.S., Sez. VI, 29 maggio 2007, n. 2742 .

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 3 luglio - 28 settembre 2012, n. 5128 Presidente Maruotti – Estensore Lageder Fatto e diritto 1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a. - Sezione autonoma di Bolzano dichiarava a spese compensate l’inammissibilità del ricorso n. 172 del 2006 proposto dal signor Marco Baldratti – nella sua qualità di comproprietario, in comunione con la consorte Clelia Clara Minelli, di un appartamento nel condominio Sneton” in Ortisei Val Gardena, tavolarmente identificato dalla p.m. 16 della p.ed. 901 C.C. Ortisei – avverso il provvedimento sindacale del 18 aprile 2006, di diniego al rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un abbaino al piano secondo sottotetto dell’edificio condominiale, di pertinenza dell’appartamento di proprietà del ricorrente, in funzione di una migliore illuminazione del locale-soggiorno la cui finestra era parzialmente coperta dall’ala del tetto dell’edificio. Il sindaco rigettava la domanda di concessione edilizia presentata il 28 marzo 2006 in reiterazione di precedente analoga istanza del 31 maggio 2005, respinta con motivazione sostanzialmente eguale , facendo proprio il parere negativo della commissione edilizia, basato sui rilievi della mancanza del consenso scritto del condominio sul presupposto della natura di parte comune del tetto interessato dall’opera e dell’utilizzo di una parte della cubatura urbanistica residua dell’edificio condominiale e della necessità di integrare la documentazione con una verifica analitica e grafica sulla cubatura ammissibile sul lotto e di evidenziare, nella parte planimetrica, le distanze dai confini e dagli edifici. Il T.r.g.a. accoglieva l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione resistente sotto il profilo della mancata notificazione del ricorso introduttivo ad almeno uno dei condomini, da ritenersi controinteressati in senso formale e sostanziale per gli effetti di cui all’art. 21, comma 1, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 nel testo applicabile ratione temporis alla fase introduttiva del giudizio di primo grado . 2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originario ricorrente, censurando l’erronea pronuncia in rito, in quanto per un verso la l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 l. urb. prov. , in caso di recupero di sottotetti legalmente esistenti e già utilizzati come abitazioni, consentirebbe la realizzazione di abbaini in eccedenza alla cubatura esistente, con conseguente illegittima subordinazione, nell’impugnato provvedimento di diniego, del rilascio del titolo all’autorizzazione condominiale, e per altro verso l’opera rientrerebbe tra le modificazioni necessarie per il miglior godimento del bene che il singolo condomino potrebbe realizzare senza previo consenso della maggioranza dei condomini, sicché, sul piano processuale, questi ultimi non sarebbero qualificabili come controinteressati in senso tecnico-giuridico. L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado, riproponendo nel merito i relativi motivi. 3. Si costituiva l’Amministrazione appellata, resistendo e chiedendo il rigetto dell’interposta impugnazione. 4. All’odierna pubblica udienza la causa veniva trattenuta in decisione. 5. L’appello è infondato. Secondo l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, condiviso da questo Collegio, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici v., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332 C.d.S., Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654 . Segnatamente, deve affermarsi l’obbligo del comune di verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva disponibilità giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. 70 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13, la legittimazione attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo la citata disposizione normativa, emanata dalla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia di urbanistica, corrisponde sostanzialmente alla previsione contenuta nell’art. 11 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 . Nel caso di specie, l’opera in contestazione era destinata a incidere sulla parte comune costituita dal tetto dell’edificio condominiale non solo in senso materiale ma, eventualmente, anche sotto il profilo del decoro architettonico . L’opera, contrariamente a quanto assunto dall’odierno appellante, deve qualificarsi come innovazione voluttuaria – e non necessaria – per rendere più comodo il godimento dell’immobile. La medesima, al contempo, deve ritenersi idonea ad imprimere alla cosa comune una destinazione anche ad uso esclusivo del suo appartamento. L’Amministrazione comunale, a fronte dell’evidente incidenza su una parte comune dell’edificio condominiale, nonché paventando prudenzialmente l’eventualità dell’utilizzo di parte della volumetria residua dell’edificio condominiale, in esplicazione del menzionato potere/dovere di verifica del titolo di legittimazione ha consequenzialmente, e del tutto ragionevolmente, richiesto il consenso del condominio. Orbene, tenuto conto dell’espressa contemplazione, nell’impugnato provvedimento di diniego, dell’esigenza di acquisire il consenso condominiale, vi risulta formalmente indicato l’ente di gestione che sarebbe stato leso nel caso di rilascio del permesso il condominio, e per esso rispettivamente i condomini, agevolmente individuabili dall’appellante , la cui posizione è connotata dalla titolarità di un interesse giuridicamente qualificato nella specie, del diritto di proprietà su parti comuni – tetto condominiale – dell’edificio interessato dai lavori , implicitamente contemplato dall’atto impugnato, a mantener fermi gli effetti scaturenti dal provvedimento di diniego. I citati soggetti, quindi, nell’appellata sentenza sono stati correttamente qualificati come controinteressati in senso formale e sostanziale e ad almeno uno di essi pertanto andava notificato a pena di inammissibilità il ricorso originario a mente dell’art. 21, comma 1, l. n. 1034 del 1971 v., in fattispecie analoga, C.d.S., Sez. VI, 29 maggio 2007, n. 2742 . Inconferente appare il richiamo, da parte dell’appellante nella memoria di replica dell’11 giugno 2012 , della sentenza C.d.S., Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2546, relativa ad un caso di impugnazione del diniego di concessione per un intervento sul tetto comune, in quanto vi risultava evocato in giudizio il condomino controinteressato poi non costituitosi in giudizio , con la conseguenza che la questione di merito è stata decisa previa incardinazione del rapporto processuale tra i legittimi contraddittori, mentre nella fattispecie sub iudice questi ultimi non sono stati evocati in giudizio, con conseguente mancata regolare costituzione del rapporto processuale e preclusione all’ingresso delle questioni di merito attinenti alla fondatezza, o meno, delle ragioni di diniego opposti dal Comune all’istanza di concessione . Per le esposte ragioni, la declaratoria d’inammissibilità del ricorso di primo grado merita conferma. 6. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in parte dispositiva, vanno regolate secondo il criterio della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto ricorso n. 7591 del 2008 , lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione appellata le spese del presente grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 3.000,00 tremila/00 , oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.