Farmaci coperti da brevetto, l’errore costa caro

2 farmaci vengono considerati innovativi, ma in realtà erano già coperti da brevetto scatta il risarcimento.

Danni per 5 milioni di euro. Condannato al pagamento di 5 milioni di Euro di danni compreso quello all'immagine il Ministero della Salute che considera generici due farmaci coperti da brevetto e quindi innovativi. Ciò in quanto dalla documentazione in possesso degli uffici ministeriali risultava chiaramente la copertura brevettuale brevetto europeo e italiano dei due farmaci e che quindi vi era stata evidente trascuratezza e negligenza da parte della amministrazione nell’esaminare la documentazione in suo possesso nello specifico, si è trattato di Calciparina e Nimedex che ad avviso della casa produttrice le anzidette specialità erroneamente sarebbero state incluse tra i farmaci aventi copertura brevettuale solamente di produzione, in quanto, invece, le stesse godevano di un brevetto sul principio attivo, e, pertanto, rappresentavano medicinali innovativi, non sostituibili secondo il regime proprio dei farmaci c.d. generici. Il farmaco è coperto da brevetto. Sulla pretesa novità o complessità della questione il giudice di primo grado aveva sottolineato che seppure l’amministrazione procedente avesse avuto qualche dubbio, all’inizio, circa la sussistenza delle caratteristiche di farmaco innovativo, tale incertezza si era ridotta dopo la sentenza di primo grado favorevole alla casa farmaceutica numero 10103/2002 . La sentenza, esecutiva per legge, pur impugnata non era stata sospesa nelle more della trattazione dell’appello, mentre l’amministrazione disponeva l’esclusione dei due farmaci dall’elenco di quelli non coperti da brevetto, solo in ritardo, nell’ottobre. 2006. Il Collegio sentenza numero 6369/2011 depositata il 2 dicembre ha respinto l'appello del Ministero il quale aveva cercato di sostenere che la sentenza non avrebbe fornito alcuna motivazione se non apodittica sulla sussistenza di un danno e sul rapporto di causalità tra il comportamento illegittimo e il danno stesso. In particolare, la sentenza si sarebbe sostituita alla ricorrente oltre che nella quantificazione del danno , sulla sua stessa esistenza in base di un ragionamento meramente presuntivo. L’amministrazione appellante infatti rilevava che 1 non sarebbe stata fornita prova della diminuzione delle vendite di prodotti e del corrispondente aumento delle vendite di altri farmaci generici all’atto della adozione dell’elenco poi annullato 2 il primo giudice avrebbe finito per risarcire un danno derivante dal diverso andamento delle linee generali terapeutiche seguite dai medici e pazienti, in maniera del tutto indipendente dallo spostamento del mercato causato dalla illegittima comprensione dei farmaci in questione da un elenco piuttosto che in un altro 3 non sarebbe considerata la volontaria diminuzione del prezzo di vendita operata da Italfarmaco 4 non era stata provata la esistenza di un danno all’immagine in conseguenza del provvedimento annullato ed infine che non era stata provata l’entità della diminutio patrimonii che sarebbe stata patita dalla ricorrente risultando semplicistico imputare automaticamente qualunque fluttuazione del mercato al provvedimento adottato dalla amministrazione. La riduzione del fatturato è in re ipsa. In ordine alla esistenza di un danno ha ritenuto la Sezione che non possa ragionevolmente dubitarsi di un oggettivo collegamento tra il provvedimento annullato e la riduzione del fatturato della società appellata sia pure, come anche esattamente rilevato dal primo giudice, in entità non definibile. La riduzione infatti era in re ipsa derivando dalla semplice circostanza che tra i farmaci generici, il servizio sanitario nazionale rimborsa, tra quelli di classe A, aventi uguale principio attivo e forma farmaceutica, il farmaco avente il prezzo più basso tra quelli disponibili nella distribuzione a livello regionale. Quindi, l’inserimento nell’elenco generici dei due farmaci doveva considerarsi oggettivamente rilevante per la perdita di fatturato, su cui certo interferiva anche la volontaria autoriduzione del prezzo dei due farmaci decisa dalla appellata quale strategia di marketing al fine di contenere la stimata diminuzione del volume delle vendite. Si aggiunga ancora che la ricorrente in primo grado aveva presentato un principio di prova con allegazione di documenti tabelle che denunziavano una perdita di fatturato registrata dalle due specialità medicinali e ancora una relazione tecnica sul danno subito, a firma di un terzo esperto di farmacoeconomia. Quantificazione del danno non facile La giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva già rilevato che in sede di risarcimento del danno nei confronti della p.a., l'onere probatorio circa l'ammontare del danno può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la quantificazione Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2011 , numero 1271 . La documentazione depositata era sufficiente quanto meno da integrare un principio di prova del danno subito, per cui ricorrevano gli elementi per una liquidazione in via equitativa dello stesso secondo i principi pacifici in materia condivisi anche da parte appellante. Sulla quantificazione del danno invece l’appello del Ministero della Salute ha meritato parziale accoglimento. La stessa sentenza ha rilevato la oggettiva impossibilità di una esatta quantificazione del danno emergente, atteso che non è facilmente calcolabile quanto sulla diminuzione del fatturato abbiano influito anche fluttuazioni di mercato, collegate tra l’altro, alle prescrizioni dei medici curanti, alle preferenze dei pazienti, oppure alla diffusione di nuovi farmaci brevettati. Del resto la appellata in primo grado, come anche rilevato dal primo giudice, aveva allegato ai fini della quantificazione del danno due tabelle, recanti dati di fonte IMS Health SpA, certificati dall’Azienda, che se integravano quel principio di prova richiesto dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno in via equitativa, erano inidonee a attestare, né la quantità di ciascuno dei due farmaci venduta nel periodo 2002- 2006, né il prezzo di vendita finale antecedente la riduzione del prezzo della Calciparina. anche per la contemporanea riduzione di prezzo del farmaco. Tali dati erano invece necessari per valutare quanto la perdita di fatturato fosse riconducibile alla riduzione del prezzo della Calciparina volontariamente decisa dalla ricorrente e resa nota con notizia sulla G.U. del 8 marzo 2002. Andava inoltre rilevata la discordanza tra il prezzo della Calciparina riportato nell’elenco medicinali generici del Ministero Salute agli atti e quello riportato nel comunicato Italfarmaco su G.U. sulla riduzione” del prezzo di tale preparazione a far data dal 8.3.2002. Si aggiunga ancora che nel caso in esame, come anche rilevato dal primo giudice, trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 2056 e 1227 cod. civ. quest’ultimo al comma 1 dispone che, se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo l’entità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate e, al comma 2, precisa che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. Peraltro, la sentenza numero 10103/2002, appellata dal Ministero Salute, non era stata eseguita dall’amministrazione pur non essendo stata sospesa in appello dal Consiglio di Stato fino alla data 4 ottobre 2006 a seguito del rigetto dell’appello. Ancor prima la ricorrente non aveva chiesto né la sospensiva dell’elenco impugnato all’esito della cautelare istruttoria disposta dal Tar, né la successiva adozione di un provvedimento cautelare fino alla trattazione della causa nel merito e soprattutto non aveva chiesto l’esecuzione della pronuncia di merito favorevole del Tar nelle more dello svolgimento del giudizio di appello, omettendo di azionare il rimedio giurisdizionale previsto a favore del ricorrente vittorioso in primo grado dalla legge numero 205/2000, articolo 10. Quindi, la casa farmaceutica ricorrente, nell’ambito della diligenza del danneggiato, avrebbe dovuto azionare i rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento al fine di ottenere, nelle more dell’esaurimento del giudizio di appello, l’esecuzione delle favorevoli statuizioni contenute prima nell’ordinanza interlocutoria cautelare e poi nella sentenza Tar numero 10103/2002, che aveva annullato l’inserimento dei due farmaci in questione nell’elenco di quelli generici. Inoltre, come anche rilevato nella sentenza appellata, l’eventuale proposizione, da parte della casa farmaceutica, del ricorso per l’esecuzione della sentenza Tar non presentava alcuna incertezza di esito, visto che, da un lato, l’amministrazione aveva l’obbligo di eseguire e, dall’altro, l’esecuzione stessa non presentava margini ulteriori di discrezionalità, consistendo nella espunzione delle due specialità medicinali in questione dall’elenco dei farmaci generici determinazione effettivamente adottata dal Ministero Salute, ma solo in data 4.10.2006.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 21 ottobre – 2 dicembre 2011, numero 6369 Presidente Cirillo – Relatore Capuzzi Fatto e diritto 1. Con ricorso RG. 2800/2002 Italfarmaco s.p.a. chiedeva al Tar Lazio l’annullamento in parte qua dell’elenco dei farmaci non coperti da brevetto, predisposto dal Ministero Salute su G.U. 14.2.2002 , ai sensi dell’articolo 7 D.L. numero 347/2001 nella parte in cui ricomprendeva le specialità medicinali da essa prodotte Calciparina e Nimedex ad avviso della casa produttrice le anzidette specialità erroneamente sarebbero state incluse tra i farmaci aventi copertura brevettuale solamente di produzione, in quanto, invece, le stesse godevano di un brevetto sul principio attivo, e, pertanto, rappresentavano medicinali innovativi, non sostituibili secondo il regime proprio dei farmaci c.d. generici. Il ricorso veniva accolto con sentenza del Tar Lazio numero 10103/2002, confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza numero 4995/2006 del 25.8.2006. Quindi, in data 4 ottobre 2006, il Ministero Salute escludeva i due medicinali dall’elenco dei farmaci generici pubblicato sul sito dell’AIFA. Ritenendo che l’illegittima inclusione delle due specialità medicinali nell’elenco dei farmaci generici per il periodo dal 14 febbraio 2002 al 4 ottobre 2006, avesse cagionato rilevanti danni economici, la Italfarmaco s.p.a., con ulteriore ricorso, chiedeva al Tar del Lazio l’accertamento del suo diritto al risarcimento del danno ingiusto patito, con condanna del Ministero della Salute al pagamento della somma complessiva di € 56.526.000,00 oltre interessi e rivalutazione a titolo di danno emergente riconducibile alla perdita di fatturato registrata, cui andava aggiunta altra somma, liquidata in via equitativa dal giudice ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., a titolo di risarcimento del danno all’immagine. Si costituiva in giudizio il Ministero Salute eccependo l’intervenuto giudicato sulla domanda risarcitoria questa infatti era stata proposta dalla ricorrente nel ricorso dinanzi al Tar ma sulla stessa la sentenza di primo grado numero 10103/2002 non si era pronunciata limitandosi ad annullare in parte qua l’elenco dei farmaci impugnato, mentre nel giudizio di appello proposto dal Ministero della Salute, la casa farmaceutica non aveva riproposto la relativa domanda, né con appello incidentale, né in memoria. Con memoria difensiva del dicembre 2009 la società ricorrente illustrava ulteriormente la quantificazione del danno per lucro cessante, indicandola con il supporto di tabelle e relazione tecnica di un esperto in € 8.208.000,00 per il Nimedex ed € 50.537.000,00 per la Calciparina insistendo anche per la liquidazione in via equitativa del danno all’immagine. Il Tar del Lazio, dopo avere respinto la eccezione di cosa giudicata avanzata dal Ministero della Salute, accoglieva nel merito il ricorso e, per l’effetto, riconosceva alla società ricorrente il diritto al risarcimento dei danni per perdita fatturato e danno all’immagine subiti a causa dell’illegittimo inserimento delle specialità medicinali Calciparina e Nimedex nell’elenco dei farmaci non coperti da brevetto, con l’aggiunta di interessi e rivalutazione. Il danno per perdita di fatturato veniva così determinato equitativamente in €16.000.000,00 con riguardo alla Calciparina, in € 2.000.000,00 con riguardo al Nimedex, e il danno all’immagine in via equitativa in € 30.000,00. Sulle somme così determinate il Tar liquidava gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sul valore nominale del credito, a partire dalla maturazione dei singoli ratei del credito e fino all’effettivo soddisfo. Liquidava poi gli oneri di lite a carico del Ministero della Salute in complessivi € 3.500,00 di cui € 5.00,00 per spese, oltre gli accessori di legge. 1.1. Avverso la sentenza del Tar ha presentato appello il Ministero della Salute insistendo sulla pregiudiziale eccezione di giudicato già dedotta in primo grado. Nel merito l’appellante assume la inesistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito essendo stata complessa e incerta la collocazione dei farmaci tra quelli innovativi coperti da brevetto sul principio attivo la opinabilità della questione avrebbe dovuto indurre il giudice a escludere la sussistenza di un comportamento colpevole della amministrazione e la configurabilità di una connessa responsabilità. Inoltre la sentenza non avrebbe fornito alcuna motivazione sul rapporto di causalità tra il comportamento illegittimo e il danno finendo nei fatti per risarcire un danno ipotetico derivante dal diverso andamento delle linee generali terapeutiche seguite dai medici e pazienti, in maniera indipendente dallo spostamento del mercato causato dalla illegittima ricomprensione dei farmaci de quibus in un elenco piuttosto che in un altro infine l’appellante deduce che non era stato provato il danno all’immagine. Quanto alla quantificazione del danno il Tar si sarebbe sostituito d’ufficio alla parte attrice che non avrebbe nemmeno allegato un principio di prova. Infine la amministrazione appellante nega la spettanza degli interessi e della rivalutazione trattandosi di un debito di valuta e non di valore, sottratto come tale al principio nominalistico. Si è costituita la società appellata contestando sia la pregiudiziale eccezione sollevata di cosa giudicata, sia nel merito, le varie argomentazioni difensive sostenute dall’appellante. In vista della udienza di trattazione la società appellata ha depositato una ulteriore memoria difensiva. All’udienza di trattazione, alla presenza del solo difensore della società appellata, la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L’eccezione di giudicato avanzata dall’appellante Ministero non merita accoglimento. Va premesso che la domanda risarcitoria di regola ha una propria autonomia e individualità rispetto alla domanda impugnatoria, per la diversità dei presupposti di fatto e di diritto sulla quale si fonda il giudice è quindi tenuto a pronunziarsi su di essa ai fini della esatta corrispondenza tra il decisum e il petitum e, in assenza di una pronunzia espressa, non può considerasi formato il giudicato. La sentenza del Tar Lazio numero 10103/2002 non menzionava la domanda risarcitoria proposta da Italfarmaco, né nell’epigrafe, né in motivazione, né in dispositivo, il che lascia ragionevolmente desumere che il primo giudice abbia omesso di pronunziarsi sulla stessa non ricorrendo gli estremi per una sua reiezione implicita o in ipotesi, l’assorbimento a seguito della decisione di altra domanda. In tale evenienza vale il principio da tempo formulato dalla giurisprudenza secondo il quale, qualora il giudice ometta di pronunziarsi su una delle domande proposte e non ricorrano gli estremi per una sua reiezione implicita, deve sempre riconoscersi alla parte che aveva formulato la domanda, di coltivare la domanda nell’ambito di un separato giudizio. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, infatti, la parte ha la facoltà alternativa di fare valere la omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in separato giudizio posto che la presunzione di rinuncia di cui all'articolo 346 c.p.c. ha valore meramente processuale e non anche sostanziale ne consegue che, riproposta la domanda in separato giudizio, non è in tale sede opponibile il giudicato esterno per omessa pronunzia” Cass. civile , sez. II, 30 maggio 2002 , numero 7917 da ultimo Cass. civile, Sez. III 11.6.2008 numero 15461 . In conclusione la eccezione di giudicato deve essere respinta. 3. Passando al merito del gravame parte appellante sostiene la mancanza in capo all’amministrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito. Infatti la questione relativa al collocamento delle specialità medicinali nell’elenco di quelle non coperte da brevetto di prodotto era da ritenersi incerta quanto alla esatta identificazione delle caratteristiche di farmaco innovativo in relazione ai principi attivi contenuti nello stesso e alla natura e tipologia della copertura brevettale. L’appellante sostiene che il principio attivo dei due farmaci era da tempo noto in quanto contenuto in altri farmaci autorizzati come generici. L’aggiunta di altri componenti al principio attivo non sarebbe rilevante ai fini della efficacia terapeutica del farmaco in quanto non porterebbe a un nuovo prodotto con caratteristiche diverse dal semplice principio attivo. Se è vero poi che il Consiglio di Stato nella sentenza numero 4995/2006 ha ritenuto che tali conclusioni non fossero condivisibili, la opinabilità della questione, considerata soprattutto la ampia istruttoria che era stata svolta, avrebbe dovuto indurre a escludere la sussistenza di un comportamento colpevole in capo alla amministrazione tanto più in un rapporto come quello in esame da qualificarsi come extracontrattuale. 4. Tali argomentazioni del Ministero della Salute non meritano accoglimento. Sul profilo della colpa, il primo giudice ha esattamente rilevato che dalla documentazione in possesso degli uffici ministeriali risultava chiaramente la copertura brevettuale brevetto europeo e italiano dei due farmaci e che quindi vi era stata evidente trascuratezza e negligenza da parte della amministrazione nell’esaminare tale documentazione. Sulla pretesa novità o complessità della questione il giudice di primo grado ha sottolineato che seppure l’amministrazione procedente aveva qualche dubbio, all’inizio, circa la sussistenza delle caratteristiche di farmaco innovativo, tale incertezza si era ridotta dopo la sentenza di primo grado favorevole alla casa farmaceutica numero 10103/2002 la sentenza, esecutiva per legge, pur impugnata non era stata sospesa nelle more della trattazione dell’appello, mentre l’amministrazione disponeva l’esclusione dei due farmaci dall’elenco di quelli non coperti da brevetto, solo in ritardo, nell’ottobre. 2006. In conclusione anche tale censura deve essere respinta. 5. Con il terzo mezzo la difesa della amministrazione sostiene che la sentenza non fornirebbe alcuna motivazione se non apodittica sulla sussistenza di un danno e sul rapporto di causalità tra il comportamento illegittimo e il danno stesso. In particolare la sentenza si sarebbe sostituita alla ricorrente oltre che nella quantificazione del danno , sulla sua stessa esistenza in base di un ragionamento meramente presuntivo. L’amministrazione appellante infatti rileva - che non sarebbe stata fornita prova della diminuzione delle vendite di prodotti e del corrispondente aumento delle vendite di altri farmaci generici all’atto della adozione dell’elenco poi annullato -che il primo giudice avrebbe finito per risarcire un danno derivante dal diverso andamento delle linee generali terapeutiche seguite dai medici e pazienti, in maniera del tutto indipendente dallo spostamento del mercato causato dalla illegittima comprensione dei farmaci in questione da un elenco piuttosto che in un altro -che non sarebbe considerata la volontaria diminuzione del prezzo di vendita operata da Italfarmaco -che non era stata provata la esistenza di un danno all’immagine in conseguenza del provvedimento annullato -che non era stata provata l’entità della diminutio patrimonii che sarebbe stata patita dalla ricorrente risultando semplicistico imputare automaticamente qualunque fluttuazione del mercato al provvedimento adottato dalla amministrazione. 6. In ordine alla esistenza di un danno ritiene la Sezione che non possa ragionevolmente dubitarsi di un oggettivo collegamento tra il provvedimento annullato e la riduzione del fatturato della società appellata sia pure, come anche esattamente rilevato dal primo giudice, in entità non definibile. La riduzione infatti era in re ipsa derivando dalla semplice circostanza che tra i farmaci generici, il servizio sanitario nazionale rimborsa, tra quelli di classe A, aventi uguale principio attivo e forma farmaceutica, il farmaco avente il prezzo più basso tra quelli disponibili nella distribuzione a livello regionale. Quindi l’inserimento nell’elenco generici dei due farmaci doveva considerarsi oggettivamente rilevante per la perdita di fatturato, su cui certo interferiva anche la volontaria autoriduzione del prezzo dei due farmaci decisa dalla appellata quale strategia di marketing al fine di contenere la stimata diminuzione del volume delle vendite. Si aggiunga ancora che la ricorrente in primo grado aveva presentato un principio di prova con allegazione di documenti tabelle che denunziavano una perdita di fatturato registrata dalle due specialità medicinali e ancora una relazione tecnica sul danno subito, a firma di un terzo esperto di farmacoeconomia. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha rilevato che in sede di risarcimento del danno nei confronti della p.a., l'onere probatorio circa l'ammontare del danno può ritenersi assolto allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso, salvo il potere del giudice di vagliarne la quantificazione Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2011 , numero 1271 La documentazione depositata era sufficiente quanto meno da integrare un principio di prova del danno subito, per cui ricorrevano gli elementi per una liquidazione in via equitativa dello stesso secondo i principi pacifici in materia condivisi anche da parte appellante. 7. Sulla quantificazione del danno invece l’appello del Ministero della Salute merita parziale accoglimento. La stessa sentenza ha rilevato la oggettiva impossibilità di una esatta quantificazione del danno emergente, atteso che non è facilmente calcolabile quanto sulla diminuzione del fatturato abbiano influito anche fluttuazioni di mercato, collegate tra l’altro, alle prescrizioni dei medici curanti, alle preferenze dei pazienti, oppure alla diffusione di nuovi farmaci brevettati. Del resto la appellata in primo grado, come anche rilevato dal primo giudice, aveva allegato ai fini della quantificazione del danno due tabelle, recanti dati di fonte IMS Health SpA, certificati dall’Azienda, che se integravano quel principio di prova richiesto dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno in via equitativa, erano inidonee a attestare, né la quantità di ciascuno dei due farmaci venduta nel periodo 2002- 2006, né il prezzo di vendita finale antecedente la riduzione del prezzo della Calciparina. Tali dati erano invece necessari per valutare quanto la perdita di fatturato fosse riconducibile alla riduzione del prezzo della Calciparina volontariamente decisa dalla ricorrente e resa nota con notizia sulla G. U. del 8 marzo 2002. Andava inoltre rilevata la discordanza tra il prezzo della Calciparina riportato nell’elenco medicinali generici del Ministero Salute agli atti e quello riportato nel comunicato Italfarmaco su G.U. sulla riduzione” del prezzo di tale preparazione a far data dal 8.3.2002. 8. Si aggiunga ancora che nel caso in esame, come anche rilevato dal primo giudice, trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 2056 e 1227 cod. civ. quest’ultimo al comma 1 dispone che, se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo l’entità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate e, al comma 2, precisa che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. Come prima rilevato, la sentenza numero 10103/2002, appellata dal Ministero Salute, non era stata eseguita dall’amministrazione pur non essendo stata sospesa in appello dal Consiglio di Stato fino alla data 4 ottobre 2006 a seguito del rigetto dell’appello. Ancor prima la ricorrente non aveva chiesto né la sospensiva dell’elenco impugnato all’esito della cautelare istruttoria disposta dal Tar, né la successiva adozione di un provvedimento cautelare fino alla trattazione della causa nel merito e soprattutto non aveva chiesto l’esecuzione della pronuncia di merito favorevole del Tar nelle more dello svolgimento del giudizio di appello, omettendo di azionare il rimedio giurisdizionale previsto a favore del ricorrente vittorioso in primo grado dalla legge numero 205/2000, articolo 10. Quindi, la casa farmaceutica ricorrente, nell’ambito della diligenza del danneggiato, avrebbe dovuto azionare i rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento al fine di ottenere, nelle more dell’esaurimento del giudizio di appello, l’esecuzione delle favorevoli statuizioni contenute prima nell’ordinanza interlocutoria cautelare e poi nella sentenza Tar numero 10103/2002, che aveva annullato l’inserimento dei due farmaci in questione nell’elenco di quelli generici. Peraltro, come anche rilevato nella sentenza appellata, l’eventuale proposizione, da parte della casa farmaceutica, del ricorso per l’esecuzione della sentenza Tar non presentava alcuna incertezza di esito, visto che, da un lato, la amministrazione aveva l’obbligo di eseguire e, dall’altro, l’esecuzione stessa non presentava margini ulteriori di discrezionalità, consistendo nella espunzione delle due specialità medicinali in questione dall’elenco dei farmaci generici determinazione effettivamente adottata dal Ministero Salute, ma solo in data 4.10.2006. 9. Proprio per la valorizzazione delle stesse ben argomentate considerazioni del Tar in ordine, sia alla difficile oggettiva quantificazione della riduzione del fatturato dell’impresa, in ordine alla quale la ricorrente si era limitata a produrre documentazione tale da integrare un principio di prova ma non a produrre la prova integrale della quantificazione del danno subito, sia all’oggettivo comportamento processuale della ricorrente rilevabile ex articolo 1227 c.c., la Sezione ritiene sproporzionato in eccesso il risarcimento disposto dalla sentenza che dovrà, invece, essere ridotto e liquidato nella misura di euro 4.500.000,00 quattromilionicinquecento,00 per la Calcipirina e euro 500.000,00 cinquecentomila,00 per il Nimedex per un totale di euro 5.000.000,00 cinquemilioni, 00 . Quanto al danno all’immagine la Sezione ritiene di confermare le considerazioni del primo giudice sulla sua sussistenza per il discredito diffuso presso i pazienti e i medici curanti in relazione alla perdita del carattere di specialità” di entrambi i medicinali, i quali proprio per tale loro qualità erano venduti ad un prezzo più alto dei corrispondenti farmaci generici. Alla somma di cui sopra deve aggiungersi quindi la quantificazione del danno all’immagine nella misura liquidata in via equitativa dalla sentenza del Tar, per un ammontare di euro 30.000 trentamila,00 10. Assume ancora la amministrazione appellante che trattandosi di obbligazione risarcitoria, e quindi di un debito di valore e non di valuta, non andrebbero computati gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle somme liquidate. La tesi non è condivisibile in relazione all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, sulle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno Cass. civ. 25 febbraio 2009 numero 4587 Cons. Stato, Sez. IV, 15.2.2005 numero 478 V, 8.7.2002 numero 3796 . 11. In conclusione, in parziale accoglimento dell’appello avverso la sentenza del Tar Lazio, il Ministero Salute, va condannato a corrispondere alla appellata società Italfarmaco, a titolo di risarcimento del danno patito, l’importo di cui al punto 9 della presente sentenza per un ammontare complessivo di euro 5.030.000,00 cinquemilionitrentamila,00 al quale dovranno aggiungersi gli interessi e la rivalutazione sulle somme sopraindicate. 12. Le spese di lite, in relazione al parziale esito di accoglimento, possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello, come in epigrafe proposto e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, condanna il Ministero della Salute al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, a favore della appellata Società Italfarmaco s.p.a., della somma complessiva di euro 5.030.000,00 cinquemilionitrentamila,00 alla quale dovranno aggiungersi gli interessi e la rivalutazione monetaria. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.