Condannato per il lancio di un fumogeno contro le forze dell’ordine a volto coperto

Definitiva la sanzione penale, quantificata in oltre otto mesi di reclusione, per un uomo colto ad agire in modo illecito durante una manifestazione. Fatale il riconoscimento effettuato da un agente di polizia giudiziaria.

Manifestazione caratterizzata da scontri con la polizia. Condannato uno dei partecipanti del corteo che ha occultato il volto grazie a un casco e al giubbino, prima di lanciare un fumogeno all’indirizzo delle forze dell’ordine Cassazione, sentenza n. 23267/21, sez. I Penale, depositata il 15 giugno . In secondo grado l’imputato viene condannato a otto mesi e dieci giorni di arresto per avere fatto in modo, durante una manifestazione con corteo alla quale aveva preso parte e durante la quale si erano verificati incidenti, di travisare il proprio volto mediante l’utilizzo di un casco e di un indumento , così da rendere difficoltoso il suo riconoscimento , e per avere lanciato , durante il contatto tra i manifestanti e le forze dell’ordine, un fumogeno acceso all’indirizzo degli agenti. Col ricorso in Cassazione il difensore però contesta la decisione emessa dai giudici d’Appello, mettendo in discussione l’ identificazione del suo cliente, identificazione effettuata da un poliziotto che ha dichiarato di averlo riconosciuto nel corso della visione delle riprese video . Secondo l’avvocato, sarebbe stata necessaria una verifica circa le modalità del riconoscimento fotografico operato dall’agente di polizia giudiziaria . In aggiunta, poi, il legale osserva che il reato di accensioni ed esplosioni pericolose è teso a impedire esplosioni o accensioni di ordigni che, producendo fiamme o la propulsione di corpi incandescenti e contundenti, possano arrecare danno e pericolo a persone e cose , mentre al suo cliente è stata contestata l’accensione in un luogo pubblico di un fumogeno, quindi una condotta che non rientra tra quelle sanzionate, posto che il fumogeno non sprigiona fiamme né genera alcuna propulsione ed è difatti un dispositivo coreografico privo di potenziale pericolosità , mentre il reato in discussione non ha la finalità di perseguire l’utilizzo di qualsivoglia oggetto che possa potenzialmente arrecare disturbo all’essere umano . Per respingere le obiezioni difensive i Giudici della Cassazione fanno riferimento alle risultanze probatorie accertate tra primo e secondo grado. In sostanza, si è appurato che l’imputato nel corso di un corteo, dopo aver sfilato a volto scoperto, ha celato buona parte del viso nel momento in cui sono iniziati i lanci di fumogeni verso le forze dell’ordine, e tale circostanza è stata accertata in quanto l’uomo è stato identificato con certezza grazie alle immagini nitide dei fotogrammi in atti e riprese dal filmato dell’evento, che lo avevano immortalato . Inequivocabile la testimonianza di un agente di polizia giudiziaria, il quale ha dichiarato che dalla visione della sequenza completa del filmato emergeva che l’imputato risulta essersi coperto il viso e nel prosieguo del filmato lo stesso soggetto è stato ripreso mentre lanciava un fumogeno acceso . Respinta anche l’osservazione difensiva sulla pericolosità da riconoscere a un fumogeno acceso. Su questo fronte i Giudici della Cassazione, condividendo il ragionamento compiuto in Appello, osservano che la fattispecie di reato contestata è tesa a punire le ipotesi nelle quali vi sia una possibilità concreta che esplosioni di ordigni in un centro abitato o sulla pubblica via, senza la predisposizione delle cautele che vengono imposte a chi ottiene la prescritta autorizzazione, possano compromettere l’incolumità delle persone . E in questa vicenda, chiosano i giudici, l’imputato aveva utilizzato un fumogeno, artificio pirotecnico idoneo a produrre tale nocumento evidente, quindi, la responsabilità penale per la condotta da lui tenuta.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 marzo – 15 giugno 2021, n. 23267 Presidente Siani – Relatore Fiordalisi Ritenuto in fatto 1. C.M. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 23 settembre 2019 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona del 10 ottobre 2017, lo ha condannato alla pena di mesi otto, giorni dieci di arresto, in ordine ai reati di cui alla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 5 e art. 703 c.p., comma 2, perché il omissis in [], durante una manifestazione con corteo alla quale aveva preso parte e durante la quale si erano verificati incidenti, si era travisato mediante l’utilizzo di un casco e di indumenti atti a rendere difficoltoso il riconoscimento e, durante il contatto tra i manifestanti e le Forze dell’ordine, aveva lanciato all’indirizzo di queste ultime un fumogeno acceso. 2. Il ricorrente articola tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo e il secondo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di valutare la doglianza formulata nell’atto di appello e relativa alla genericità delle dichiarazioni rese dal teste Co. unico soggetto che aveva dichiarato di aver riconosciuto l’imputato nel corso della visione delle riprese video e al fatto che non fosse stata indicata la modalità attraverso la quale il medesimo teste era pervenuto al riconoscimento. In merito a tale ultima questione, il ricorrente evidenzia che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’atto di ricognizione fotografica operato dalla polizia giudiziaria non gode di uno statuto probatorio sovraordinato e che, di conseguenza, il giudice di merito è tenuto a motivare in ordine all’attendibilità di tale mezzo di prova anche in considerazione delle specifiche modalità di assunzione di tale atto. L’apparato logico-motivazionale proposto dalla Corte territoriale sul punto, quindi, risulterebbe viziato sotto il profilo del travisamento della prova e della motivazione apparente, non avendo il giudice offerto alcun criterio di valutazione e assunzione della prova avente ad oggetto l’individuazione fotografica dell’imputato. Il giudice di secondo grado si è limitato, infatti, ad affermare che il teste aveva riferito di aver visto l’imputato immortalato in un filmato in cui erano ben visibili le parti del corpo dell’imputato, posto che C. era soggetto già conosciuto in precedenza per ragioni di servizio del teste e che in passato lo aveva sottoposto a controlli di polizia. Il ricorrente, quindi, contesta la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice, pur non avendo effettuato alcuna specifica verifica, ha affermato l’esistenza di un preciso filmato in cui erano ben visibili tutte le parti del viso e del corpo dell’imputato. La Corte di appello, inoltre, hai affermato che era stato possibile identificare con certezza l’imputato in quanto immortalato con il viso scoperto, circostanza che aveva consentito di vedere in maniera chiara tutti i dettagli del busto e la capigliatura del soggetto autore del fatto. Le foto richiamate rappresentavano solo un soggetto che indossava un casco di protezione, sicché non potevano costituire la prova del reato, ma solo del fatto che l’imputato avesse partecipato alla manifestazione. In sostanza, il ricorrente evidenzia che l’intero apparato argomentativo sviluppato dalla Corte territoriale è fondato interamente sulle dichiarazioni del teste Co. , che vengono utilizzate anche come riscontro di se stesse. Il tenore delle immagini versate in atti, invece, avrebbe richiesto una verifica circa le modalità del riconoscimento fotografico operato dall’agente di polizia giudiziaria. 2.2. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 703 c.p., perché il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che il reato di accensioni ed esplosioni pericolose è teso a impedire esplosioni o accensioni di ordigni che, producendo fiamme o la propulsione di corpi incandescenti e contundenti, possano arrecare danno e pericolo a persone e cose. Nel caso di specie, invece, all’imputato era stata contestata l’accensione in un luogo pubblico di un fumogeno, quindi, una condotta che non rientra tra quelle sanzionate nel citato articolo, posto che il fumogeno non sprigiona fiamme, nè genera alcuna propulsione. Il fumogeno, infatti, è un dispositivo coreografico privo di potenziale pericolosità, mentre il reato in oggetto non ha la finalità di perseguire l’utilizzo di qualsivoglia oggetto che possa potenzialmente arrecare disturbo all’essere umano. 2.3 Il ricorrente con memoria di replica ha ripreso e illustrato i motivi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Giova premettere che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura di elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 nè è sindacabile in questa sede, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova e la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . Sempre in premessa, va ricordato che la mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate, in modo logico e adeguato, le ragioni del convincimento senza vizi giuridici in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 1.2. Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte ritiene che i primi due motivi di ricorso non siano consentiti in sede di legittimità, essendo costituiti da mere doglianze in punto di fatto. Va evidenziato, infatti, come le censure sollevate siano tese a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti di merito, più che a denunciare un vizio rientrante in una delle categorie individuate dall’art. 606 c.p.p In particolare, il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale in modo ineccepibile ha evidenziato che C. , nel corso di un corteo, dopo aver sfilato a volto scoperto, abbia celato buona parte del viso nel momento in cui erano iniziati i lanci di fumogeni. Tale circostanza era stata accertata in quanto l’imputato era stato identificato con certezza grazie alle immagini nitide dei fotogrammi in atti e riprese dal filmato dell’evento, che avevano immortalato l’imputato. Il teste C. aveva affermato che, dalla visione della sequenza completa del filmato, l’imputato risultava essersi coperto il viso negli occhi con il collo del giubbetto e che nel prosieguo del filmato lo stesso soggetto era stato ripreso mentre lanciava il fumogeno acceso. Il giudice di merito, quindi,, dato atto che dalle foto in atti non era stata ripresa l’intera sequenza dell’azione, ha ritenuto che la deposizione del teste aveva consentito di ricostruire con certezza i fatti avvenuti il OMISSIS . Il ricorrente, invece, propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera uniforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle prove, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicché non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito. 1.3. Anche il terzo motivo di ricorso non può trovare accoglimento in sede di legittimità. La Corte territoriale, fornendo sul punto una motivazione chiara e lineare, ha evidenziato che la fattispecie di reato contestata ex art. 703 c.p. tesa a punire le ipotesi nelle quali vi sia una possibilità concreta che esplosioni di ordigni in un centro abitato o sulla pubblica via, senza la predisposizione delle cautele che vengono imposte a chi ottiene la prescritta autorizzazione, possano compromettere l’incolumità delle persone. Nel caso di specie, l’imputato aveva utilizzato un fumogeno, artificio pirotecnico idoneo a produrre tale nocumento e quindi a perfezionare il reato in oggetto. D’altronde, il Collegio condivide la linea interpretativa tracciata da questa Corte secondo la quale l’epilogo decisorio non può difatti essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una mirata rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148 . Infatti, nessun vizio logico argomentativo è ravvisabile nella motivazione sviluppata in relazione ai reati L. n. 152 del 1975, ex art. 5 e art. 703 c.p., perché i giudici della cognizione hanno esplicitato, con motivazione puntuale e adeguata, le ragioni per le quali hanno ritenuto fondata la responsabilità penale in capo a C. . 2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.