Il dovere di motivazione rafforzata in caso di riforma della pronuncia di primo grado

Il giudice di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado è tenuto a fornire una motivazione puntuale e adeguata che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata.

Così ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14586/21 depositata il 19 aprile. La Corte di Appello di Ancona, riformando la pronuncia emessa dal Tribunale di Macerata, aveva disposto l’assoluzione della proprietaria di un appartamento accusata di essersi appropriata indebitamente dei beni dei locatari rimasti nell’appartamento a seguito di sfratto. Il giudice di secondo grado a fondamento della propria decisione, poneva la mancanza di una prova sicura di colpevolezza, ritenendo che il compendio istruttorio non consentisse di confermare l’effettiva sottrazione dei beni, indicati in apposito elenco. Le parti civili hanno proposto ricorso in Cassazione avverso tale sentenza, impugnandola ai solo effetti civili. In primo luogo i ricorrenti lamentano la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata avendo la Corte di Appello trascurato di considerare le esigenze probatorie valorizzate dal primo giudice. Inoltre i soccombenti denunciano l’ illogicità della motivazione della sentenza nella parte dove si richiede la puntuale dimostrazione della mancanza dei beni indicati in querela dal momento che il reato sussiste comunque, anche qualora abbia ad oggetto beni diversi da quelli indicati nella querela. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso sottolineando il dovere del giudice di appello, che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, di fornire una motivazione rafforzata alla propria decisione, conferendole così forza persuasiva maggiore rispetto a quella riformata. In tal caso, il giudice infatti non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale, ma resta fermo il summenzionato dovere di motivazione rafforzata. Nel caso di specie, la Corte territoriale si è limitata a riscontrare l’assenza di prova circa la sottrazione dei beni specificamente indicati nella querela, trascurando la circostanza per cui il reato è integrato anche laddove abbia ad oggetto beni diversi. Alla luce di tali principi, la Corte ha accolto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 febbraio – 19 aprile 2021, n. 14586 Presidente Fidelbo – Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Le parti civili P.F. e D.C.M. , con unico atto del loro difensore e procuratore speciale, impugnano ai soli effetti civili la sentenza della Corte di appello di Ancona del 19 dicembre 2019, che, in riforma di quella di condanna emessa dal Tribunale di Macerata il 27 febbraio precedente, ha mandato assolta dall’imputazione di appropriazione indebita - per quanto d’interesse ai fini del ricorso - C.M. , proprietaria di un appartamento precedentemente locato ad essi ricorrenti, accusata di essersi appropriata di beni loro appartenenti, rimasti all’interno dell’appartamento a seguito dell’esecuzione dello sfratto per morosità e non più rinvenuti al momento del successivo sgombero. 2. La sentenza ha concluso per l’inesistenza di una sicura prova di colpevolezza, ritenendo che il compendio istruttorio non consentisse di escludere che gli oggetti dei quali le parti civili lamentavano la sottrazione, indicati in un apposito elenco, fossero stati effettivamente asportati. A tal fine ha osservato - che, dalle descrizioni di quanto presente nell’abitazione, contenute nel verbale di sfratto del marzo 2012 e nei successivi verbali di sgombero del novembre 2013, tutte piuttosto generiche, non era possibile apprezzare che, al momento di quest’ultimo, mancassero proprio quei beni - che la credibilità delle parti civili necessitava di riscontri obiettivi, in ragione del preesistente contenzioso giudiziario con l’imputata, relativo proprio a quell’immobile - che non esistevano inventari, immagini fotografiche od altri elementi documentali significativi - che, in occasione dell’accesso del P. all’immobile, avvenuto il omissis , e quindi in epoca successiva allo sfratto il quale risaliva al marzo precedente , egli ed il poliziotto che lo accompagnava non effettuarono alcuna verifica di cosa fosse stato da lì asportato - che, stando ai verbali, le operazioni di sgombero furono compiute a più riprese, dovendo perciò desumersi che l’appartamento non fosse vuoto, come invece allegato dalle parti civili. 3. La difesa ricorrente, con un primo motivo, lamenta la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata, avendo, anzi, la Corte d’appello ravvisato la necessità che il narrato delle parti civili fosse munito di riscontri, ma avendo trascurato di considerare, come tali, le plurime emergenze probatorie invece valorizzate dal primo giudice e richiamate specificamente nel ricorso. Con il secondo motivo, denuncia vizi cumulativi di motivazione, nella parte in cui quest’ultima ha valorizzato la circostanza per cui l’attività di sgombero abbia richiesto più interventi giustificabili per le ragioni più varie , ma abbia trascurato le testimonianze ed i verbali dello stesso funzionario a quella addetto, da cui risulta che l’appartamento fosse sostanzialmente vuoto, già dall’ottobre del 2012. Inoltre, lamenta la violazione dell’art. 603 c.p.p., per avere la sentenza riformato quella di primo grado senza assumere nuovamente le testimonianze delle parti civili e, anzi, non facendovi alcun cenno. Il terzo motivo, infine, denuncia l’illogicità della motivazione, nella parte in cui ha ritenuto necessaria la puntuale dimostrazione della mancanza proprio dei beni indicati in querela. Essendo comunque emerso, infatti, che beni appartenenti alle parti civili e da costoro lasciati nell’appartamento non siano stati più ivi rinvenuti, il reato sussisterebbe comunque, quand’anche compiuto su beni diversi da quelli di cui alla querela. 4. Ha depositato memoria il difensore dell’imputata, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso innanzitutto, perché non sarebbe stato specificamente impugnato il capo della sentenza con cui è stata disposta la revoca delle statuizioni civili contenute in quella di primo grado in secondo luogo, perché esso sarebbe volto ad una rivalutazione del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità inoltre, perché manifestamente infondato, avendo la sentenza assolto all’onere di motivazione rafforzata, in quanto ha ampliato la piattaforma probatoria rispetto alla sentenza di primo grado, che, per il capo oggetto di ricorso, si era limitata ad una descrizione delle acquisizioni istruttorie priva di valutazione critica. Nel merito dei risultati probatori, poi, si deduce come i ricorrenti abbiano operato un’interessata selezione degli stessi, omettendo qualsiasi riferimento ad altre emergenze, dettagliatamente indicate, dalle quali invece risulterebbe che molti oggetti, mai elencati, erano stati già portati via dalle parti civili al momento dello sfratto che, al omissis , parte dei loro beni, peraltro di modesto valore, era stata spostata dall’appartamento su incarico dell’imputata, ma solo temporaneamente e per consentire necessari lavori di tinteggiatura che le operazioni di sgombero hanno richiesto cinquanta ore complessive che il pignoramento eseguito nei confronti delle parti civili ha consentito di apprendere beni per un valore di soli seimila Euro, a fronte dei 140.000 ai quali ammonta la pretesa risarcitoria da costoro avanzata in giudizio. Da ultimo, si evidenzia l’insussistenza della lamentata violazione dell’art. 603 c.p.p., essendo ivi previsto l’obbligo di rinnovazione istruttoria soltanto per il caso di riforma in appello di una sentenza assolutoria. 6. Anche la difesa ricorrente ha depositato memoria scritta, sostanzialmente ribadendo quanto esposto con l’atto d’impugnazione. considerato in diritto 1. Il ricorso, anzitutto, è ammissibile. Erra, infatti, la difesa dell’imputata, allorché deduce che esso non attinga il capo relativo alla revoca delle statuizioni civili. Invero, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, ovviamente consentita ai soli effetti della responsabilità civile e, dunque, per il relativo capo, non richiede una specifica indicazione in tal senso vds., per tutte, Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013, Colucci, Rv. 254130 . A maggior ragione ciò vale per le ipotesi, come quella in rassegna, in cui il danno lamentato costituisce conseguenza immediata del reato, tale per cui, ove si accertino la sussistenza di quest’ultimo ed il suo autore, l’illecito civile e la conseguente obbligazione risarcitoria verso la vittima ne derivano pressoché necessariamente. Pertanto, il ricorso avanzato dalle parti civili, con il quale si contesta la pronuncia assolutoria, deve intendersi esteso alla correlata e consequenziale revoca delle statuizioni civili. 2. L’impugnazione, inoltre, è fondata e dev’essere, perciò, accolta. 2.1. Il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale, mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive tuttavia, esso è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 . È quello che, nel comune lessico giudiziario, suole essere indicato come dovere di motivazione rafforzata e che consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore rispetto a quella riformata Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 . 2.2. La doglianza dei ricorrenti, secondo la quale la Corte d’appello non avrebbe assolto a tale onere, dev’essere perciò assentita. La sentenza impugnata, infatti, si è limitata ad offrire una diversa lettura complessiva del materiale istruttorio, senza una specifica indicazione delle evidenze ritenute decisive. Men che mai, poi, come invece l’anzidetto dovere motivazione le imponeva, ha specificamente confutato le plurime emergenze istruttorie invece poste dal primo giudice a fondamento della sua opposta decisione e richiamate in dettaglio dai ricorrenti, dalle quali risulterebbe come, nel periodo intercorso tra la rimessione nel possesso dell’imputata, a seguito dello sfratto delle parti civili, e l’esecuzione del relativo sgombero, l’appartamento sia stato praticamente svuotato. In particolare, alcuni di tali elementi, come il verbale di sfratto formato dall’ufficiale giudiziario, la testimonianza dell’agente di polizia M. , autore di un sopralluogo medio tempore, ed il verbale del commissario ad acta per lo sgombero, geom. C. , risultano di fondamentale rilevanza, poiché provengono da pubblici ufficiali indifferenti all’esito del contenzioso in atto tra le parti in lite, e si tratta di atti che hanno attestato le condizioni dell’immobile in diversi momenti ma, di essi, in sentenza, praticamente non v’è traccia. 2.3. La Corte di appello, infatti, ha valorizzato unicamente l’assenza di prova della sottrazione proprio e soltanto dei singoli oggetti indicati in querela, sulla base dell’assunto che l’accertamento di responsabilità dovesse riguardare esclusivamente quelle cose. Tale ragionamento non può essere condiviso, versandosi in un’ipotesi, al pari di tutte quelle in cui lo spossessamento riguardi grandi quantità di oggetti nello specifico, l’elenco presentato dai querelanti consterebbe di venti pagine , in cui non può ritenersi decisiva e limitante l’indicazione uti singuli contenuta nella denuncia o querela, rilevando, piuttosto, il comune dato identificativo esterno di riferimento, che può essere - come in questo caso - il luogo in cui le cose si trovavano una casa, un ufficio, un’automobile , ma anche la loro destinazione gli attrezzi da lavoro di un individuo, i documenti relativi ad un affare, i singoli componenti di un dispositivo meccanico complesso o qualsiasi altro elemento unificante, purché idoneo ad offrire un sufficiente grado di specificazione. Semmai, poi, sorga controversia in relazione alla presenza, all’interno di un compendio così individuato, di uno o più singoli beni, è questione da risolversi sul piano della prova, ma non può pregiudizialmente ed inderogabilmente delimitarsi la contestazione dell’addebito negli stretti termini di un eventuale elenco, non sempre possibile o, in ipotesi, involontariamente incompleto. 2.4. In conclusione, non avendo neppure la Corte di appello escluso che diversi oggetti comunque lasciati dai ricorrenti in quella casa al momento dello sfratto non siano stati ivi successivamente più rinvenuti, e potendo la diversa destinazione degli stessi integrare - se posta in essere dall’imputata, all’epoca nel possesso dell’immobile - l’ipotizzato delitto di appropriazione indebita, la sentenza dev’essere annullata, con rinvio al giudice civile competente, a norma dell’art. 622 c.p.p., perché, nel rispetto degli indicati principi di diritto, provveda al compiuto accertamento del fatto ed alle conseguenti valutazioni agli effetti civili, nonché al consequenziale regolamento delle spese di causa, anche per il presente grado di giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.