“Problemi tecnici”, il rapinatore va via a mani vuote: impossibile parlare di desistenza volontaria

Confermata la solidità della valutazione compiuta in Appello. Legittimo ritenere l’uomo sotto processo colpevole di tentata rapina in due differenti istituti di credito. Irrilevante il fatto che egli sia andato via senza bottino.

Problemi tecnici’” – temporizzazione della cassa, in un caso, e mancanza di denaro contante, in un altro caso – costringono il rapinatore a battere in ritirata. Impossibile, però, riconoscergli la desistenza dal reato Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 13785/21, depositata il 13 aprile . A finire sotto processo è un uomo, accusato di avere provato a rapinare due differenti istituti di credito. In entrambi i casi egli non è riuscito a mettere a segno il colpo, essendo stato costretto da problemi tecnici” ad andare via. In primo grado gli viene riconosciuta la desistenza dal reato. In Appello, invece, i Giudici ritengono l’uomo colpevole per due episodi di tentata rapina . In Cassazione l’uomo sotto accusa lamenta la mancata applicazione della desistenza e ritiene illogico si parli di compiuto tentativo di rapina , poiché egli sostiene di avere autonomamente deciso di arrestare la propria condotta, libero da condizionamenti esterni . Per i Giudici di terzo grado, però, è corretta la valutazione compiuta in Appello. Ciò significa che, checché ne dica l’uomo sotto processo, in entrambi gli episodi a lui contestati si deve parlare di tentata rapina . Impossibile , in soldoni, riconoscere la desistenza volontaria . Ciò perché in entrambe le azioni delittuose poste in essere, a distanza di poco tempo, dall’uomo in due diversi istituti di credito egli si è avvicinato ad una impiegata esibendo un cutter tenuto a pochi centimetri ed intimando di consegnare il danaro, dato che si trattava di una rapina . Irrilevante, invece, il fatto che poi l’uomo abbia interrotto la propria azione a causa delle difficoltà emerse , ossia la ‘temporizzazione della cassa’ in un caso e la mancanza di contanti in un altro caso .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 gennaio – 13 aprile 2021, n. 13785 Presidente Diotallevi – Relatore Pazienza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12/09/2019, la Corte d'Appello di Bologna ha parzialmente riformato condannando D.G. anche per il delitto di tentata rapina continuata ed aggravata la sentenza emessa in data 10/05/2018, con rito abbreviato, dal G.u.p. del Tribunale di Reggio Emilia, con la quale il D. era stato condannato alla pena di giustizia solo in relazione alla contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, avendo il G.u.p. ravvisato, per gli episodi di tentata rapina, la desistenza dal reato. 2. Propone ricorso per cassazione il D., a mezzo del proprio difensore, deducendo 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione della desistenza. Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto configurabile un tentativo compiuto, dal momento che il D. aveva autonomamente deciso di arrestare la propria condotta alla sola minaccia, libero da condizionamenti esterni, e che per l'applicazione del comma 3 è sufficiente la volontarietà dell'atto, senza alcuna necessità di accertare forme di resipiscenza. 2.2. Vizio di motivazione quanto alla misura del trattamento sanzionatorio e alla recidiva. Si deduce la totale assenza di argomentazioni giustificative anche quanto all'aumento per la continuazione , in presenza di un significativo discostamento dal minimo edittale e della possibilità di non applicare la contestata recidiva. 3. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, ritenendo sussistente il vizio motivazionale denunciato al riguardo e valutando invece come immune da censure la decisione della Corte territoriale quanto all'applicabilità della desistenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato solo con riferimento alle statuizioni relative alla recidiva e al trattamento sanzionatorio. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. Accogliendo integralmente le argomentazioni svolte nell'appello del Procuratore Generale in sede, la Corte d'Appello di Bologna ha fatto buon governo del principio, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui in tema di reati di danno a forma libera, come la rapina, la desistenza volontaria, che presuppone un tentativo incompiuto, non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l'evento, rispetto ai quali può operare, se il soggetto agente tiene una condotta attiva che valga a scongiurare l'evento, la diminuente per il cosiddetto recesso attivo Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, Natalizio, Rv. 272677 . In particolare, seguendo tali condivisibili coordinate ermeneutiche, la Corte territoriale ha escluso la configurabilità della desistenza in entrambe le azioni delittuose poste in essere a distanza di poco tempo dal D. in due diversi istituti di credito essendosi egli avvicinato, nelle due ravvicinate occasioni, ad una delle impiegate esibendo un cutter tenuto a pochi centimetri, ed intimando di consegnare il danaro dato che si trattava di una rapina cfr. la quarta pagina della motivazione . Risulta quindi pienamente condivisibile, alla luce di tale ricostruzione fattuale, quanto osservato dalla Corte d'Appello sia in ordine alla idoneità ed univocità degli atti posti in essere da D., sia in ordine alla irrilevanza - ai fini specifici che qui interessano - del fatto che egli abbia interrotto la propria azione a causa delle difficoltà emerse la temporizzazione della cassa in un caso, la mancanza di contanti nell'altro cfr. la quinta pagina della motivazione . 3. Sono invece fondate le residue censure formulate dalla difesa. Va invero evidenziato, anzitutto, che l'applicazione della recidiva risulta totalmente immotivata l'aggravante è menzionata solo nel passaggio relativo alla quantificazione della pena . Altrettanto è a dirsi quanto alla giustificazione del trattamento sanzionatorio, sia quanto alla determinazione della pena base, sia quanto agli aumenti non simbolici determinati a titolo di continuazione. La motivazione si risolve unicamente nello sviluppo del calcolo della pena irroganda, ed è pva di qualsiasi argomento giustificativo anche solo di mero richiamo degli elementi da valutare ex art. 133 c.p Ciò impone l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente ai predetti profili, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna per nuovo giudizio in ordine alla recidiva e al trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla ritenuta recidiva e al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Bologna