Condannato per foto e video pedopornografici scaricati e lasciati nella cartella di condivisione

Condanna definitiva per un uomo, beccato a detenere sul proprio computer circa 4mila e 500 file pedopornografici. Riconosciuto dai Giudici però anche il reato di condivisione del raccapricciante materiale. A inchiodare l’uomo la sua competenza informatica e la mancata tempestiva rimozione di foto e video dalla cartella di condivisione con altri utenti online.

Competenze informatiche e utilizzo di un programma di condivisione file online sono elementi inequivocabili per parlare di pornografia minorile e di consapevole diffusione di materiale pedopornografico. Inequivocabile, di conseguenza, la presenza di immagini e video raccapriccianti – che ritraggono minori coinvolti in atti sessuali – in una cartella del computer creata dal programma per mettere in comune con altri internauti il materiale scaricato Cassazione, sentenza n. 11204/21, sez. III Penale, depositata il 24 marzo . A finire sotto processo è un uomo. A renderne difficilmente difendibile la posizione è la scoperta sul suo computer di moltissimo materiale pedopornografico – circa 4mila e 500 file –, distribuito in diverse cartelle, alcune create da lui e una, invece, creata dal programma – Emule – per mettere in condivisione il materiale con gli altri internauti. Indiscutibile, quindi, la condanna per la detenzione di materiale pornografico . Viene valutata con attenzione l’ipotesi della pornografia minorile , ossia della divulgazione di immagini e video che ritraggono minori coinvolti in rapporti sessuali. Anche su quest’ultimo fronte i Giudici di merito ritengono evidente la colpevolezza dell’uomo, che, in sostanza, ha detenuto materiale pedopornografico in ingente quantità e lo ha diffuso in via telematica . A chiudere la terribile vicenda provvede la Cassazione, respingendo tutte le obiezioni proposte dal difensore dell’uomo sotto processo. Innanzitutto, i Giudici sottolineano alcuni dettagli fondamentali il computer era esclusivamente in uso all’uomo e dai percorsi di ricerca recenti, quali accertati in esito alla perquisizione, risultava evidente come un unico utente lo avesse utilizzato per la visualizzazione di file di pornografia minorile , utilizzando chiavi di ricerca con parole non equivoche lo scaricamento del materiale pedopornografico tramite il programma Emule e la successiva archiviazione erano stati frequenti, e ciò rivelava come l’uomo avesse una notevole pratica e, per contro, escludeva la possibilità di operazioni compiute per inconsapevole errore e poi il programma Emule dà avviso agli utenti che i file scaricati vengono automaticamente messi in condivisione con gli altri utenti e, prima di far partire il download, viene sempre visualizzata una lista contenente i nomi dei file trovati con conseguente possibilità di verificarne il contenuto prima dello scaricamento e dell’automatica condivisione . Impossibile, quindi, mettere in discussione il reato di detenzione di materiale pedopornografico . Più complesso, invece, il ragionamento riguardante la diffusione del materiale pedopornografico, diffusione che ha riguardato, precisano i Giudici, solo quarantasette file automaticamente condivisi con gli altri utenti . In realtà, però, si è appurato che moltissime foto e moltissimi video erano stati scaricati tramite Emule, poi lasciati nella cartella di condivisione per qualche tempo, e, infine, archiviati in cartelle create sul pc dall’uomo e non raggiungibili da altri utenti in rete. Per i giudici è logico presumere che questa operazione ha riguardato tutti i file rinvenuti sul computer dell’uomo, e tale condotta certamente integra gli estremi della diffusione a mezzo internet di materiale pedopornografico, non solo sul piano oggettivo ma pure su quello soggettivo . Ciò anche perché l’esperienza dell’uomo, la durata della condotta, l’enorme mole dei file a contenuto pedopornografico scaricati e soltanto successivamente archiviati in cartelle non condivise, la circostanza che il programma Emule dà avviso agli utenti che tutti i file scaricati vengono automaticamente messi in condivisione con gli altri utenti, il fatto che al momento dell’accertamento ben quarantasette file risultassero appunto oggetto di condivisione sono elementi sufficienti, secondo i giudici, per ritenere provato il dolo quantomeno eventuale della diffusione di materiale pedopornografico. Sacrosanta, quindi, anche su questo fronte, la condanna dell’uomo. E per fare chiarezza i Giudici della Cassazione fissano anche un principio, stabilendo che chiunque, con adeguata esperienza informatica e con condotta non occasionale, utilizzi programmi di file sharing come Emule per scaricare dalla rete internet materiale pedopornografico, con la consapevolezza derivante anche da apposito avviso che l’applicativo fornisce che detto materiale, sino a quando non venga eliminato o spostato, resta in automatica condivisione con tutti gli altri utenti – essendo così oggettivamente diffuso in via telematica – laddove non provveda immediatamente a rimuovere il suddetto materiale dalla condivisione commette, quantomeno a titolo di dolo eventuale, il reato di pornografia minorile previsto e punito dall’articolo 600 ter, terzo comma, del Codice Penale .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 ottobre 2020 – 24 marzo 2021, n. 11198 Presidente Sarno – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12 settembre 2019 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza in data 12 settembre 2017 del Giudice per le indagini preliminari di Firenze che aveva condannato P.A. alle pene di legge per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, perché aveva venduto ad un minorenne 0,89 grammi di hashish e aveva detenuto illecitamente grammi 1,31 di hashish, in omissis . 2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione perché l’istanza di riunione di questo procedimento con altro relativo a fatti dello stesso genere commessi il omissis , per il quale era stata già fissata l’udienza del 9 dicembre 2019 sebbene non fosse stato ancora notificato il decreto di citazione, era stata rigettata per motivi organizzativi, in violazione dell’art. 17 c.p.p Con il secondo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Osserva che era tossicodipendente, viveva ai margini della società ed era aiutato solo da volontari. Applicare la pena detentiva di un anno per la cessione di 0,89 grammi di hashish significava non tener conto dei parametri dell’art. 133 c.p., tra cui i motivi a delinquere e la condizione sociale del reo. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Quanto alla prima censura, che dal testo della sentenza impugnata si desume essere stata sollevata solo nel ricorso per cassazione, va ricordato che i provvedimenti che dispongono o negano la riunione dei procedimenti, in quanto meramente ordinatori, sono sottratti ad ogni forma di impugnazione Cass., Sez. 3, n. 37378 del 09/07/2015, Di Martino, Rv. 265088-01 . Quanto alla seconda censura, va evidenziato che la motivazione a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche è puntuale, logica e razionale. Già il primo Giudice aveva considerato che, sebbene non fosse stata contestata la recidiva qualificata, tuttavia non poteva non tenersi conto dei numerosi precedenti penali, del fatto che era stato arrestato per un altro episodio di spaccio pochi giorni prima, nello stesso luogo, e che aveva commesso il reato, di cui al presente procedimento, mentre era sottoposto al divieto di dimora in Firenze. Quindi, aveva dimostrato noncuranza per le regole da applicarsi, circostanza che pesava più della modestissima quantità di stupefacente in gioco. A tali osservazioni la Corte territoriale ha aggiunto che la cessione a minorenne non poteva considerarsi di minima offensività. Pertanto, ha confermato il trattamento sanzionatorio commisurato anche all’episodio di detenzione di altro stupefacente. Lo stato di tossicodipendenza e marginalità è stato motivatamente considerato recessivo nel quadro complessivo della valutazione di tutte le circostanze. Comunque, la sanzione di anni 1 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa, irrogata all’esito del giudizio abbreviato, è prossima al minimo edittale e non merita ulteriore approfondimento tra le più recenti Cass., Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01 . Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.