Quasi un grammo di hashish ceduto a un minorenne: tossicodipendenza e marginalità sociale non rendono meno grave la condotta

Confermata la pena fissata in Appello, cioè dodici mesi di reclusione e 1.500 euro di multa. Respinte le obiezioni difensive, mirate a ottenere una riduzione del trattamento sanzionatorio. Irrilevante il richiamo alla tossicodipendenza e alla marginalità sociale dell’uomo beccato a vendere 0,89 grammi di hashish a un minorenne.

Lo stato di tossicodipendenza e la marginalità sociale non sono sufficienti a mettere in discussione la gravità del reato compiuto cedendo hashish a un minorenne. Legittima, quindi, e non più in discussione, la pena, fissata in un anno di reclusione e mille e cinquecento euro di multa Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 11198/21, , depositata il 24 marzo . Contesto della vicenda è la città di Firenze. Lì un uomo viene beccato a cedere a un ragazzino 0,89 grammi di hashish. Inevitabile il processo che si conclude con una pronuncia di condanna e con una pena severa, ossia un anno di reclusione e 1.500 euro di multa . Concordi il Gip del Tribunale e i Giudici d’Appello evidente la gravità della condotta in discussione, consistita non solo nell’ avere venduto ad un minorenne 0,89 grammi di hashish ma anche nell’ avere detenuto illecitamente 1,31 grammi di hashish . Col ricorso in Cassazione il difensore dell’uomo sotto processo mira a ottenere almeno una riduzione della pena. A questo proposito, egli sottolinea che il suo cliente è tossicodipendente , vive ai margini della società ed è aiutato solo da alcuni volontari . Di conseguenza, è, secondo il legale, eccessiva la pena detentiva di un anno , soprattutto tenendo presente i motivi a delinquere e la condizione sociale del suo cliente. Di questo avviso non sono però i Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali confermano la pena fissata in Appello e, soprattutto, ritengono legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche . Innanzitutto non può non tenersi conto dei numerosi precedenti penali a carico dell’uomo, né, poi, si può ignorare che egli era stato arrestato per un altro episodio di spaccio pochi giorni prima, nello stesso luogo e che aveva commesso il reato oggetto di questo processo mentre era sottoposto al divieto di dimora . Per i magistrati ciò che emerge è che l’uomo ha dimostrato noncuranza per le regole da applicarsi, circostanza, questa, che pesa più della modestissima quantità di stupefacente in gioco . Peraltro, va anche ricordato che la cessione di sostanza stupefacente a un minorenne non può considerarsi di minima offensività . Non opinabile , quindi, il trattamento sanzionatorio stabilito in Appello, e a questo proposito è secondario, chiariscono i Giudici della Cassazione, il riferimento difensivo a tossicodipendenza e marginalità sociale dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 ottobre 2020 – 24 marzo 2021, n. 11198 Presidente Sarno – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12 settembre 2019 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza in data 12 settembre 2017 del Giudice per le indagini preliminari di Firenze che aveva condannato P.A. alle pene di legge per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, perché aveva venduto ad un minorenne 0,89 grammi di hashish e aveva detenuto illecitamente grammi 1,31 di hashish, in omissis . 2. Con il primo motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione perché l’istanza di riunione di questo procedimento con altro relativo a fatti dello stesso genere commessi il omissis , per il quale era stata già fissata l’udienza del 9 dicembre 2019 sebbene non fosse stato ancora notificato il decreto di citazione, era stata rigettata per motivi organizzativi, in violazione dell’art. 17 c.p.p Con il secondo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Osserva che era tossicodipendente, viveva ai margini della società ed era aiutato solo da volontari. Applicare la pena detentiva di un anno per la cessione di 0,89 grammi di hashish significava non tener conto dei parametri dell’art. 133 c.p., tra cui i motivi a delinquere e la condizione sociale del reo. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Quanto alla prima censura, che dal testo della sentenza impugnata si desume essere stata sollevata solo nel ricorso per cassazione, va ricordato che i provvedimenti che dispongono o negano la riunione dei procedimenti, in quanto meramente ordinatori, sono sottratti ad ogni forma di impugnazione Cass., Sez. 3, n. 37378 del 09/07/2015, Di Martino, Rv. 265088-01 . Quanto alla seconda censura, va evidenziato che la motivazione a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche è puntuale, logica e razionale. Già il primo Giudice aveva considerato che, sebbene non fosse stata contestata la recidiva qualificata, tuttavia non poteva non tenersi conto dei numerosi precedenti penali, del fatto che era stato arrestato per un altro episodio di spaccio pochi giorni prima, nello stesso luogo, e che aveva commesso il reato, di cui al presente procedimento, mentre era sottoposto al divieto di dimora in Firenze. Quindi, aveva dimostrato noncuranza per le regole da applicarsi, circostanza che pesava più della modestissima quantità di stupefacente in gioco. A tali osservazioni la Corte territoriale ha aggiunto che la cessione a minorenne non poteva considerarsi di minima offensività. Pertanto, ha confermato il trattamento sanzionatorio commisurato anche all’episodio di detenzione di altro stupefacente. Lo stato di tossicodipendenza e marginalità è stato motivatamente considerato recessivo nel quadro complessivo della valutazione di tutte le circostanze. Comunque, la sanzione di anni 1 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa, irrogata all’esito del giudizio abbreviato, è prossima al minimo edittale e non merita ulteriore approfondimento tra le più recenti Cass., Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288 - 01 . Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.