Tardiva richiesta di riesame: la latitanza non equivale alla presunzione assoluta di conoscenza

Ai fini dell’impugnazione dell’ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 2, per l’imputato latitante la prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento non può risolversi in una presunzione assoluta di conoscenza e che, fermo restando che grava sull’istante l’onere di provare la mancata conoscenza e le ragioni che l’hanno determinata, il giudice deve verificare se tale mancata conoscenza sia il risultato di una scelta deliberata e non di una condotta del tutto lecita o anche solo negligente .

Sul tema la Suprema Corte con la sentenza n. 10810/21, depositata il 19 marzo. Il Tribunale di Messina dichiarava inammissibile l’istanza di riesame proposta da un imputato verso l’ordinanza con la quale gli era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno alla madre e al fratello. L’indagato ricorre in Cassazione lamentandosi, tra i vari motivi, della violazione del diritto di difesa e del principio costituzionale del giusto processo , artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU e art. 274 c.p.p. in merito alla dichiarazione di inammissibilità della richiesta di riesame perché tardiva , per effetto della dichiarazione di latitanza . Egli ritiene erronea la decisione del Tribunale in quanto non si sarebbe volontariamente sottratto alla misura custodiale, essendosi trasferito in un Paese comunitario, dove ha regolarmente svolto attività lavorativa e dove ha preso in affitto un immobile utilizzando le sue generalità. Il ricorso è fondato in quanto il Tribunale del riesame non ha compiuto una corretta ricostruzione delle vicende fattuali, come portate all’attenzione del Collegio da parte dell’indagato al momento della proposizione della richiesta di riesame . Ne consegue che la Corte di Cassazione sottolinea che ai fini dell’impugnazione dell’ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 2, per l’ imputato latitante la prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento non può risolversi in una presunzione assoluta di conoscenza e che, fermo restando che grava sull’istante l’onere di provare la mancata conoscenza e le ragioni che l’hanno determinata, il giudice deve verificare se tale mancata conoscenza sia il risultato di una scelta deliberata e non di una condotta del tutto lecita o anche solo negligente .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 gennaio – 19 marzo 2021, n. 10810 Presidente Fidelbo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Messina ha dichiarato inammissibile l’istanza di riesame proposta in data 4 settembre 2020 da L.M. avverso l’ordinanza del 25 luglio 2019 con la quale gli era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di maltrattamenti in famiglia art. 572 c.p. in danno della madre e del fratello. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia 2.1. violazione di legge, con riferimento agli artt. 27 e 32 Cost., non avendo il Tribunale esaminato i motivi di impugnazione che riguardavano la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con riguardo alla capacità di intendere e volere dell’indagato, affetto da disturbo di personalità, al momento dei fatti 2.2. violazione del diritto di difesa, in relazione all’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea, non essendo state esaminato nel merito le deduzioni difensive relative ai gravi indizi di colpevolezza ed all’adeguatezza della misura cautelare 2.3. violazione del diritto di difesa e del principio costituzionale del giusto processo, artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU e art. 274 c.p.p. in merito alla dichiarazione di inammissibilità della richiesta di riesame perché tardiva essendo stata notificato il provvedimento cautelare fin dal 21 agosto 2019 al difensore di ufficio, per effetto della dichiarazione di latitanza. La mancata conoscenza del provvedimento emesso a carico del ricorrente e, quindi, la prova che l’indagato non si è volontariamente sottratto alla misura custodiale, è dimostrata dalla circostanza che egli si era trasferito in un Paese comunitario, dove ha regolarmente svolto attività lavorativa, e dove ha preso in affitto un immobile utilizzando le sue generalità. È erronea la decisione del Tribunale di averlo ritenuto edotto della pendenza della misura in ragione dei plurimi accessi, per le finalità di ricerca, eseguiti presso l’abitazione dell’indagato tenuto conto che gli inquirenti, in tali circostanze, avevano parlato con la madre e il fratello dell’indagato che sono persone offese del reato per cui si procede. 3. Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176. Considerato in diritto 1. È fondato, con rilievo assorbente, il terzo motivo di ricorso che concerne la dichiarazione di inammissibilità della richiesta di riesame per tardività della stessa. È implicita nella struttura di siffatta decisione che rileva un vizio genetico dell’atto di impugnazione il mancato esame dei motivi di impugnazione di merito sia sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza che delle condizioni di capacità dell’indagato. Il Tribunale, dato atto che il ricorrente era stato arrestato a Parigi, in esecuzione di mandato di arresto Europeo, l’8 agosto 2020, ha ritenuto che l’istanza di riesame era tardiva tenuto conto che l’ordinanza applicativa della misura, a seguito di verbale di vane ricerche del 6 e 14 agosto 2019, era stata notificata al difensore di ufficio nominato all’indagato con il decreto di latitanza del 21 agosto 2019. Nè il ricorrente aveva fornito la prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento, ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 2, essendosi limitato ad allegare di essersi trovato all’estero, circostanza questa pacifica ma che, di per sé, non possiede l’efficacia che l’indagato vi annette apparendo viepiù inverosimile che l’indagato non fosse a conoscenza della misura alla luce dei numerosi controlli che la polizia aveva effettuato, ai fini della esecuzione del provvedimento, presso l’abitazione dell’indagato, ove questi conviveva con la madre e presso quella del fratello. Nel corso dei numerosi controlli, infatti, i congiunti, pur non essendo a conoscenza del recapito all’estero dell’indagato, avevano riferito che questi si era trasferito in Francia, dove lavorava e ulteriori notizie il cambiamento del luogo di lavoro l’intenzione del congiunto di partire per un periodo di ferie che dimostravano l’attualità dei collegamenti tra l’indagato e i familiari. Il Tribunale ha fatto applicazione dell’art. 309 c.p.p., comma 2, secondo cui il termine per proporre riesame delle ordinanze che dispongono l’applicazione di misure coercitive decorre, per l’imputato latitante, dalla data di notificazione eseguita a norma dell’art. 165 c.p.p., sebbene sia previsto che, nel caso in cui sopravvenga l’esecuzione della misura, detto termine decorra da tale momento quando l’imputato prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento. In tale ultimo caso è richiesta, secondo quanto già affermato da questa Corte, la prova in positivo di fatti concreti dai quali possa desumersi con certezza la mancata di tempestiva ed involontaria conoscenza del provvedimento da fornire attraverso dati concreti, obiettivamente valutabili, tra i quali non rientra la mera permanenza all’estero Sez.3, sentenza n. 12539 del 27/2/2015, Pianese, Rv. 262864 . Il riferimento, a tutta evidenza, non riguarda la conoscenza legale, conseguibile solo a seguito della ricezione di copia integrale del provvedimento, bensì la notizia, anche sommaria, della emissione della ordinanza coercitiva, tale da consentire all’interessato diligente di venire in possesso del provvedimento medesimo, eventualmente a mezzo del proprio difensore. Rileva il Collegio che nei termini in cui è strutturata ed è stata ricostruita nella richiamata giurisprudenza, la previsione di cui all’art. 309 c.p.p., comma 2, dà luogo ad una vera e propria presunzione di conoscenza ai fini dell’esercizio del diritto di revisione dell’ordinanza cautelare dinanzi al Tribunale del Riesame. Con riferimento alla dichiarazione di latitanza, ed alle conseguenze che ne derivano, con condivisibile affermazione di principio si è affermato che l’accertamento della volontarietà dell’imputato di sottrarsi alle ricerche, che costituisce presupposto necessario del relativo decreto, può fondarsi anche su presunzioni, purché le stesse risultino fondate su una base fattuale idonea a dimostrare tale volontà, tenuto anche conto delle concrete abitudini di vita del ricercato Sez. 5, Sentenza n. 54189 del 20/10/2016, Buzi, Rv. 268827 . Nel rispetto delle fonti sovranazionali, così come interpretate dalle competenti Corti Corte EDU, sentenza 18/05/2004, Somogyi c. Italia sentenza 10/11/2004, Sejdovic c. Italia , ma anche come recepite nel nostro ordinamento L. n. 69 del 2005, art. 19 , la mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato non osta alla celebrazione dello stesso soltanto quando egli si sia ad essa deliberatamente sottratto e non anche, invece, qualora essa sia ascrivibile ad una condotta semplicemente negligente di costui. Solo nel caso in cui l’imputato si sia deliberatamente sottratto al processo, pertanto, il difetto di conoscenza potrà reputarsi colpevole . In tal senso la mancata conoscenza è stata interpretata sia dall’art. 629-bis c.p.p., per escludere la possibilità di rescissione del giudicato ovvero in relazione all’art. 420-bis c.p.p., per superare le decadenze probatorie verificatesi nel processo. Nel caso in esame non si controverte della legittimità della dichiarazione di latitanza, cionondimeno viene in rilievo una situazione di fatto che per la sua struttura, appare fondata su una presunzione, quella di conoscenza della emissione del provvedimento, ancorata ad una base fattuale tutt’altro che certa e frutto della sovrapposizione di ulteriori presunzioni. I giudici del riesame hanno, infatti, ritenuto inverosimile che l’indagato non fosse a conoscenza del provvedimento emesso a suo carico poiché erano stati eseguiti numerosi accessi, ai fini delle sue ricerche, presso la casa di abitazione ove i congiunti madre e fratello avevano riferito notizie dell’indagato la sua permanenza all’estero che svolgeva attività lavorativa che si spostava per le ferie che comprovavano il mantenimento di contatti con l’ambiente di provenienza si tratta, tuttavia, di circostanze che non sono di per se univocamente significative nel senso valorizzato dal Tribunale. Proprio in materia di notifica, l’art. 169, comma 4 abrogato prevedeva la nullità della notifica eseguita a mani del congiunto o persona convivente persona offesa dal reato sul rilievo che il rapporto di convivenza era oggettivamente idoneo per ritenere che l’atto non sarebbe stato consegnato al destinatario. Il vigente codice di rito art. 157 c.p.p., comma 5, prevede, invece, che il giudice ordina la rinnovazione della notifica quando risulta o appare probabile che la l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto. Nel caso in esame il Tribunale ha dato per scontato sia che i congiunti conoscessero le ragioni della ricerca del L. sia che tali ricerche venissero riferite al L. , circostanza che, invece, appare altamente improbabile tenuto conto della tipologia di reato e delle condizioni di salute del predetto che sono alla base della condotta di reato e rispetto al quale un cambiamento radicale di vita ed abitudini, quale quello di recarsi a vivere e lavorare in un altro Paese, non depone univocamente nel senso di una condotta intesa a riparare all’estero per sottarsi alle responsabilità penali. Proprio i diffusi riferimenti dell’indagato alle sue vicende personali e lavorative in Francia, di cui il L. parlava con i congiunti, e la circostanza che, come evidenziato dalla difesa, il L. risiedeva e lavorava legittimamente in Francia, depongono invece nel senso della sua allegata ignoranza dell’esistenza del provvedimento coercitivo. È vero che la conoscenza dell’esistenza di un provvedimento restrittivo non è astrattamente impedita dal fatto di trovarsi al di fuori del territorio nazionale ma anche tale presunzione rileva con riferimento a fatti assurti alla conoscenza pubblica o collegati alla diffusione di notizie di stampa, secondo un sistema che non è applicabile ad una ordinanza cautelare relativa ad un fatto privato e ad una vicenda che non presenta caratteri di singolarità. Il Tribunale del riesame non ha, dunque, compiuto una corretta ricostruzione delle vicende fattuali, come portate all’attenzione del Collegio da parte dell’indagato al momento della proposizione della richiesta di riesame, adagiandosi in una interpretazione meramente tralatizia della massima giurisprudenziale richiamata nell’ordinanza e senza porsi il problema della mancata conoscenza della misura custodiale che riguardava il L. , in relazione alla tipologia di reato ed all’ambito familiare nel quale il titolo avrebbe dovuto essere eseguito e, quindi, alla incidenza di tale situazione sull’allegata mancata conoscenza della esistenza del provvedimento cautelare denegata in ragione della irrilevanza della permanenza all’estero. Va, dunque, affermato che, ai fini dell’impugnazione dell’ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 2, per l’imputato latitante la prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento non può risolversi in una presunzione assoluta di conoscenza e che, fermo restando che grava sull’istante l’onere di provare la mancata conoscenza e le ragioni che l’hanno determinata, il giudice deve verificare se tale mancata conoscenza sia il risultato di una scelta deliberata e non di una condotta del tutto lecita o anche solo negligente. L’ordinanza impugnata, deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Messina che farà applicazione dei principi innanzi enunciati ai fini della verifica della tempestività del ricorso. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 7. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.