L’esame del minore in incidente probatorio: valgono le regole generali dell’esame testimoniale

La violazione delle regole riguardanti l’esame testimoniale, con specifico riguardo a quelle secondo cui l’esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici non dà luogo né alla sanzione dell’inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma solo con modalità diverse, né ad una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178 c.p.p

Il caso. Gli imputati, venivano, a titolo di concorso, condannati per il reato di atti sessuali con minorenne figlia di uno dei due , maltrattamenti in famiglia e violazione del provvedimento del Tribunale concernente l’affidamento della minore in comunità, nonché per violenza privata nei confronti della stessa. La minore, nel procedimento, veniva sentita con incidente probatorio con l’ausilio di un perito del Giudice. Con il ricorso si lamentava, tra i vari motivi, la nullità dell’esame della minore in ragione della suggestività e nocività delle domande a lei poste. Si sarebbero, infatti, violate le regole del codice di rito , relative all’assunzione dell’esame testimoniale. Le regole per l’esame testimoniale. Rammenta la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento che, anche per l’ipotesi di testimonianza assunta nel corso dell’incidente probatorio valgono le medesime regole previste per la generale assunzione testimoniale, ai sensi degli artt. 498 e 499 c.p.p Ed invero l’art. 499 c.p.p. disciplina i criteri cui anche il Giudice deve attenersi in particolare, con specifico riguardo alle domande che questi può ammettere o vietare. Ciò, anche quando l’esame sia svolto nei confronti di un minore o di una persona maggiorenne vulnerabile che, ai sensi dell’art. 498 comma 4 c.p.p., deve essere svolto con l’ ausilio di un esperto in psicologia infantile o comunque di un perito. Le regole nel caso di esame di minore di età. Secondo un approdo giurisprudenziale, nel caso in cui la persona offesa è un soggetto minore, il divieto previsto dall’art. 499 c.p.p., di porre domande suggestive, è esteso a tutti i soggetti che partecipano al processo. Spetterà poi al Giudice o al suo ausiliario assicurare la genuinità delle risposte, come previsto dal comma 6 della medesima norma Durante l'esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni . Quale sanzione? Con specifico riferimento, tuttavia, all’ipotesi in cui venga violato il divieto di cui all’art. 499 c.p.p. di porre domande suggestive, deve precisarsi che l’ordinamento non prevede alcun tipo di sanzione. Dunque, nessuna nullità in questo caso. L’unica conseguenza che potrebbe derivare dalla predetta violazione potrebbe riguardare una valutazione, in senso negativo, con specifico riguardo all’attendibilità degli esiti della prova. Nondimeno, va precisato che la prova può risultare compromessa , sotto questo profilo, solo se inficia l’intera dichiarazione e non già la semplice e singola risposta alla domanda suggestiva, atteso che in questo caso non verrebbe minata l’attendibilità del teste. Secondo la Corte, infatti, la domanda suggestiva compromette la genuinità della dichiarazione a condizione che destrutturi l’esame nel suo complesso . Pertanto, solo ove l’uso di una metodologia non corretta abbia inciso sul risultato della prova in maniera da rendere il materiale raccolto, nella specie con incidente probatorio, globalmente inidoneo ad essere valutato” può parlarsi di mancanza di genuinità della prova Cass. sez. 1, n. 44223/2014 . Quando è possibile eccepire l’irregolarità? La Corte precisa, infine, che, ferma restando la irregolarità delle modalità di assunzione della prova che possono inficiare la prova stessa, queste vanno, in ogni caso, eccepite nel corso dell’acquisizione , con la conseguenza che non possono essere sollevate per la prima volta con l’atto di impugnazione Cass. sez. 6, n. 13791/2011 . Ed invero, il Giudice del gravame potrà solamente valutare la correttezza del provvedimento di accoglimento o rigetto dell’eccezione suddetta Cass. sez. 5, n. 27159/2018 .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 gennaio – 3 marzo 2021, n. 8500 Presidente Ramacci – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di L’Aquila, riqualificato il fatto di cui al capo A quale violazione dell’art. 110 c.p., art. 40 c.p., comma 2, art. 81 c.p., comma 2, art. 94 c.p., art. 609 quater c.p., comma 1 e 2, rideterminava la pena inflitta agli imputati, rispettivamente, quanto a I.N.R. in anni sei e mesi quattro di reclusione, quanto a G.L. in anni quattro, mesi due e giorni dieci di reclusione, perché ritenuti responsabili del reato di atti sessuali con minorenne capo A come diversamente qualificata l’originaria imputazione di cui agli artt. 609 bis e 609 ter c.p. per avere, in concorso tra loro, agendo materialmente l’I. , avuto ripetuti rapporti sessuali completi con la minore T.S.M. , minore degli anni quattordici, figlia della compagna G. e con il contributo causale omissivo della stessa in ragione della sua posizione di garanzia, che pur essendo a conoscenza dei fatti non impediva l’evento del reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti della minore di cui agli artt. 110 e 572 c.p. capo 5 del reato di violazione del provvedimento del Tribunale dei Minorenni concernente l’affidamento della minore di cui all’art. 110 c.p., art. 388 c.p., comma 2, essendosi recati presso la comunità over la minore era stata collocata dal Tribunale avvicinandola e cercando di allontanarsi con la medesima capo D e, il solo I. , anche del reato di violenza privata di cui all’art. 610 c.p., in relazione alle minacce proferite nei confronti della minore affinché non parlasse con nessuno degli atti di violenza sessuale capo C e del reato di tentata violenza privata di cui agli artt. 56 e 610 c.p., commessa nei confronti dei G.D. e Y.K. , dimoranti nella stessa comunità ove era inserita la persona offesa, per avere minacciato costoro di un male ingiusto se avessero proseguito nella frequentazione della persona offesa, nonché del reato di tentata violenza privata di cui al capo E nei confronti degli stessi G. e Y. . 2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi gli imputati, a mezzo del loro difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il ricorso dell’avv. Totani, nell’interesse di I.N.R. è affidato a due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , in relazione alla violazione di cui agli artt. 498 e 499 c.p., e omessa risposta alla censura difensiva. Premesso che a seguito del rilievo difensivo, sollevato nei motivi di appello, che aveva rilevato che il DVD allegato al fascicolo processuale, che avrebbe dovuto contenere la registrazione audio-video dell’incidente probatorio, era in realtà un supporto vuoto, la Corte d’appello aveva acquisito una copia del DVD, prodotta dal P.M. e aveva disposto la visione in aula dell’incidente probatorio della minore, argomentava, il difensore, che la visione dello stesso aveva rilevato la conclamata suggestività, e in alcuni casi della nocività, delle domande poste alla minore da parte del perito del giudice. Anche la semplice lettura della trascrizione dell’incidente probatorio, già in atti, evidenziava la stessa criticità che avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di nullità dei risultati di quell’esame per violazione delle regole del codice di rito in tema di assunzione dell’esame testimoniale. La corte territoriale, investita della questione nel terzo motivo di appello avrebbe omesso di rispondere, da cui il vizio di motivazione denunciato. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , in relazione agli artt. 498, 499 c.p. e omessa motivazione sotto il diverso profilo dell’utilizzazione delle dichiarazioni per fondare la responsabilità penale del ricorrente. Secondo il ricorrente, l’art. 499 c.p.p., nel dettare le regole per l’esame del testimone, la cui applicazione all’esame testimoniale condotto con le forme dell’incidente probatorio è prevista dal disposto di cui all’art. 398 c.p.p., comma 5 bis, e art. 401 c.p.p., comma 5, fa divieto alla parte che ha addotto il teste di formulare domande suggestive e nocive e a maggior ragione tale divieto deve applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte ai sensi dell’art. 499 c.p.p., comma 6. Orbene, nel caso in esame, il G.I.P. non avrebbe svolto correttamente tale controllo consentendo al perito Dott.ssa S. , di cui si era avvalso per l’espletamento dell’incidente probatorio, di somministrare domande suggestive ed anche nocive come risulta dalla trascrizione dell’esame della minore ben 56 domande suggestive/nocive . Dalla conduzione dell’esame con siffatta modalità di svolgimento sarebbe derivata una prova dell’attendibilità della persona offesa, perno dell’impianto probatorio, inaffidabile finendo per ritenere attendibile costei con motivazione ipotetica e svalutando in modo altrettanto ipotetico, le dichiarazioni della sorella e del testimone G. . 2.2. Il ricorso dell’avv. Manieri nell’interesse di G.L. è affidato a cinque motivi. Con il primo motivo deduce l’inosservanza dell’art. 106 c.p.p., e nullità della sentenza. Premesso che la difesa aveva sollevato nei motivi di appello eccezione di nullità della sentenza per violazione dell’art. 106 c.p.p., rilevando di aver acquisito la notizia che nel giugno del 2016 la G. aveva presentato denuncia querela per violenza famigliare nei confronti del coimputato convivente, sicché doveva ritenersi integrata la prova della sussistenza di un contrasto di interessi tra i coimputati, difesi da un unico difensore, contrasto effettivo, concreto e attuale che il Giudice non aveva rimosso e che la corte territoriale, investita dell’eccezione, avrebbe respinto sulla scorta di elementi non congrui e in violazione di legge. Sotto un primo profilo avrebbe ritenuto rilevante, al fine di escludere un contrasto di interessi effettivo, concreto e attuale, la circostanza che erano diversi i difensori che avevano assistito la G. nella redazione della denuncia querela e nel giudizio abbreviato, e ciò in violazione dell’art. 106 c.p.p., che è norma a presidio dell’interesse dell’imputato e, dunque, la concretezza ed attualità del contrasto avrebbe dovuto essere valutata non tanto sulla coincidenza dei difensori dei due distinti procedimenti ma soprattutto alla stregua delle valutazioni sulla base del suo personale patrimonio di conoscenza in quanto era lo stesso giudice persona fisica che aveva firmato il decreto di archiviazione della denuncia del giugno 2016. In altri termini avrebbe dovuto necessariamente rilevare la sussistenza del contrasto tra gli interessi dei due coimputati e conseguentemente invitare l’unico difensore a rimuovere il conflitto evidenziato. A tale riguardo evidenzia il difensore che non solo di versioni contrastanti si tratterebbe, ma altresì di una vera chiamata a responsabilità della G. nei confronti dell’altro imputato, l’I. , rese in diversi procedimenti connessi e probatoriamente collegati. Sotto questo profilo la valutazione sul reale contrasto tra le dichiarazioni rese dalla ricorrente nei due procedimenti connessi probatoriamente collegati avrebbe dovuto condurre all’accoglimento delle eccezioni e a dichiarare la nullità della sentenza. Col secondo motivo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 40 c.p., comma 2, e art. 609 quater c.p., in relazione alla prova della posizione di garanzia assunta dalla ricorrente e vizio di motivazione. In sintesi, premesso che il genitore esercente la potestà sui figli minori come tale investito a norma dell’art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell’integrità psicofisica dei medesimi, risponde a titolo di causalità omissiva ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, degli atti di violenza sessuale compiute dal coniuge sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate dalla conoscenza conoscibilità dell’evento, la conoscenza riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul gravante e la possibilità oggettiva di impedire l’evento, la corte territoriale avrebbe illogicamente ritenuto dimostrati tali presupposti. Quanto al primo profilo, premesso che la minore abusata non aveva mai riferito apertamente alla propria madre tale condizione, in assenza di diretta conoscenza del fatto di reato da parte della vittima, la corte territoriale avrebbe ritenuto la conoscibilità dell’evento senza compiere una rigorosa valutazione probatoria ed avrebbe fondato tale prova sulla base delle dichiarazioni de relato di S.L. , zia paterna, prive di riscontro e sulla base di due elementi indiziari, ovvero la gelosia della madre verso la figlia e la volontà di proteggere il convivente, elementi privi di logica razionale ai fini dimostrativi della conoscenza/conoscibilità e elementi privi di approccio scientifico. Nè potrebbe essere dimostrata, la conoscenza dell’evento, dalla circostanza emersa, nel corso di intercettazioni di conversazioni nei corridoi della Questura di L’Aquila del 29 giugno 2018, dunque successiva ai fatti, che la donna si era schierata in difesa del compagno incurante di salvaguardare l’incolumità della figlia, dovendo la conoscenza essere presente al momento della verificazione dell’evento. Neppure dimostrata sarebbe la conoscenza/conoscibilità del dovere di intervento. Parimenti non sarebbe stata argomentata la possibilità oggettiva di impedire l’evento che la corte territoriale avrebbe illogicamente ritenuto dimostrata dal fatto che la donna aveva presentato denuncia querela nel giugno 2016, seppur rimessa il giorno successivo, così da minare l’attendibilità della dichiarante. Al contrario, massime di comune esperienza lasciano immaginare che una donna che denuncia il compagno rappresenterebbe l’intera situazione conosciuta, mentre il parziale silenzio verrebbe giustificato dal timore di ritorsioni, in ogni caso, tale situazione sarebbe stata evitata se il pubblico ministero avesse svolto opportune investigazioni prima di avanzare richiesta di archiviazione della denuncia querela del 2016, rimessa il giorno seguente. Con il terzo motivo deduce il vizio di contraddittorietà della motivazione in punto conoscenza/conoscibilità dell’evento sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe da un lato argomentato la conoscenza in capo alla madre della persona offesa degli abusi sessuali commessi dal convivente e allo stesso tempo rilevato la conoscibilità dell’evento, situazione che si riverberebbe sulla configurabilità della responsabilità concorsuale. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’omessa risposta sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la quale si chiedeva, oltre all’acquisizione della denuncia querela del 2016, l’assunzione di testimoni, richiesta sulla quale la sentenza non avrebbe risposto. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale in ordine ai capi B ed D , motivazione meramente apodittica e comunque insufficiente. Il difensore di G.L. ha depositato motivi aggiunti con cui, ribadendo le ragioni esposte nei motivi principali con riguardo ai motivi qui enunciati, ha insistito nell’accoglimento del ricorso. 3. Il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili. Considerato in diritto 4. I ricorsi che ripropongono in gran parte le stesse censure devolute nel giudizio di appello sono infondati in forza e sulla base delle seguenti ragioni. 5. Il ricorso nell’interesse di I.N.R. , i cui motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro connessione, non è fondato sulla base delle seguenti ragioni. Secondo il ricorrente la somministrazione di domande suggestive, e finanche nocive, da parte del perito nominato dal giudice per l’esame della minore con le forme dell’incidente probatorio, ai sensi dell’art. 398 c.p.p., comma 5 bis, avrebbe quale conseguenza processuale la declaratoria di nullità dei risultati dell’esame testimoniale così condotto. La dedotta violazione di legge processuale artt. 526, 496 e 499 c.p.p. sulla conduzione dell’esame testimoniale della persona offesa da parte del perito per effetto di domande suggestive e nocive a a sincerità della deposizione, che minerebbero anche la genuinità della testimonianza della persona offesa, è infondata. In linea generale, anche nel corso dell’incidente probatorio trovano applicazione le regole per l’assunzione dei testimoni di cui agli artt. 498 e 499 c.p.p., per espresso richiamo operato dall’art. 401 c.p.p., comma 5. Trova applicazione, in particolare, l’art. 499 c.p.p., che nel dettare le regole per l’esame dei testimoni indica i criteri cui il giudice deve attenersi nell’ammettere o vietare le domande delle parti, criteri che devono valere anche qualora l’esame riguardi un minore che, ai sensi dell’art. 498 c.p.p., comma 4, ora anche del maggiorenne persona vulnerabile, ai sensi dell’art. 498 c.p.p., comma 4 quater deve essere condotto dal presidente con l’ausilio di un esperto, norma che è applicabile all’esame nel corso dell’assunzione anticipata della prova, con le forme dell’incidente probatorio ai sensi dell’art. 398 c.p.p., comma 5 bis, condotto dal Giudice con l’ausilio di un perito, per espresso richiamo operato dall’art. 401 c.p.p., comma 5. Ora, in disparte la considerazione che il ricorrente, che ha allegato il verbale di trascrizione della deposizione della minore nell’incidente probatorio, non ha argomentato l’incidenza delle individuate domande suggestive/nocive, solamente quantificate in n. 56, sull’apparato motivazionale, da cui il rilievo anche della genericità del secondo motivo di ricorso che si duole del positivo giudizio di attendibilità della minore, la censura non è fondata. Deve rammentarsi che la problematica del divieto di porre domande suggestive è stata affrontata, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, nei processi inerenti vicende coinvolgenti persone offese minorenni in relazione alla tipologia di detti reati in cui minore è persona offesa ove, per la maggior delicatezza del meccanismo processuale, tale problematica era ritenuta centrale. In tal senso si è osservato, secondo un orientamento interpretativo, come dall’art. 499 c.p.p., si evinca che il divieto di porre domande suggestive, nel significato che il termine assume nel linguaggio giudiziario di domande che tendono a suggerire la risposta al teste, opera per tutti soggetti che partecipano al processo. Il giudice infatti deve vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità della risposta comma 2 vietare alla parte che ha chiesto l’esame o che ha un interesse comune con lo stesso, di formulare le domande in modo da suggerire le risposte comma 3 assicurare durante l’esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni comma 6 . Dunque deve ritenersi che non solo il divieto di formulare domande suggestive espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste, ma anche che il medesimo divieto deve applicarsi, in ogni caso, a tutti soggetti che intervengono nell’esame testimoniale, operando in linea generale quindi il divieto di porre domande che possono nuocere alla sincerità della risposta, dovendo anche dal giudice o dal suo ausiliario essere assicurata la genuinità delle risposte ai sensi dell’art. 499 c.p.p., comma 6. Peraltro, come è stato affermato da questa Corte, in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive di cui all’art. 499 c.p.p., in mancanza di una sanzione processuale, rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l’intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita alla domanda suggestiva, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande. Dunque, la domanda suggestiva compromette la genuinità della dichiarazione a condizione che destrutturi l’esame nel suo complesso. Per predicare l’assenza di genuinità della prova non è, dunque, sufficiente affermare e comprovare che una o più domande dell’esame testimoniale abbiano suggerito la risposta, ma occorre estendere l’analisi all’affidabilità della prova nel suo complesso, pervenendo alla conclusione che l’uso di una metodologia non corretta abbia inciso sul risultato della prova in maniera da rendere il materiale raccolto, nella specie con l’incidente probatorio, globalmente inidoneo ad essere valutato Sez. 1, n. 44223 del 17/09/2014, Iozza, Rv. 260899 . In assenza di elementi da cui inferire che le domande suggestive di cui non si dà contezza nel ricorso abbiano inciso sull’apparato motivazionale il motivo di ricorso è infondato. La violazione delle regole per l’esame dibattimentale del testimone ma come si è visto la regola trova applicazione anche alla deposizione nel corso dell’incidente probatorio , e, in particolare, di quella secondo cui l’esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici art. 499 c.p.p., comma 1 , non dà luogo nè alla sanzione di inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte, nè ad una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 c.p.p. Sez. 3, n. 52435 del 03/10/2017, M., Rv. 271883 - 01 . In tale ambito, la giurisprudenza di legittimità ha tratto la conseguenza che l’eccezione circa le modalità di assunzione della prova da parte del giudice o del perito da lui delegato nel contraddittorio delle parti deve essere proposta nel corso dell’acquisizione e non può essere sollevata per la prima volta con l’atto di impugnazione Sez. 6, n. 13791 del 10/03/2011, M., Rv. 249890 - 01 Sez. 5, n. 38271 del 17/07/2008, Cutone, Rv. 242025 . La violazione del divieto di porre domande suggestive non può essere proposta per la prima volta con l’impugnazione Sez. 6, n. 13791 del 10/03/2011, M., Rv. 249890 - 01 . Più specificatamente si è chiarito che l’eccezione circa la proposizione di domande suggestive deve essere proposta al giudice innanzi al quale si forma la prova, essendo rimessa al giudice dei successivi gradi di giudizio soltanto la valutazione in ordine alla motivazione del provvedimento di accoglimento o di rigetto della eccezione stessa Sez. 5, n. 27159 del 02/05/2018, H., Rv. 273233 - 01 Quanto al caso in esame, non risulta che la difesa dell’imputato avesse eccepito l’irregolare conduzione dell’esame della minore davanti di Giudice nel corso dello svolgimento dell’incidente probatorio, e dunque non risulta che avesse tempestivamente dedotto l’eccezione essendosi limitato a dedurre la nullità/inutilizzabilità della prova testimoniale nei motivi di appello terzo motivo di appello . Quanto, poi, alla doglianza di omessa risposta sulla censura terzo motivo di appello osserva il Collegio che si devono intendere disattesi i motivi di ricorso manifestamente infondati, in quanto, si rammenta, non dà luogo nè alla sanzione di inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte, nè ad una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 c.p.p. Sez. 3, n. 52435 del 03/10/2017, M., Rv. 271883 - 01 . Sotto altro profilo secondo motivo di ricorso si è già evidenziata la genericità della deduzione difensiva non avendo il ricorrente argomentato quali domande suggestive e/o nocive avrebbero compromesso il positivo giudizio di attendibilità della minore vedi supra , sicché il questo motivo di ricorso appare inammissibile per difetto di specificità. In ogni caso, osserva, il Collegio, che la sentenza impugnata fonda il positivo giudizio di attendibilità della minore persona offesa del reato sulla coerenza del narrato in entrambe le occasioni nelle quali è stata sentita pag. 19-21 dapprima davanti all’ufficiale di PG, in data 22 maggio 2018, dichiarazioni non oggetto di censura dal parte del ricorrente, e poi nel corso dell’incidente probatorio del 29 gennaio 2019, quello in cui avrebbe avuto rilievo la violazione della legge processuale per la somministrazione di domande suggestive. 6. Anche il ricorso nell’interesse di G.L. non è fondato. Il primo motivo di ricorso, e collegato motivo aggiunto, con cui si deduce la violazione dell’art. 106 c.p.p., è infondato in ragione della adeguatezza e congruità della motivazione spesa dai giudici dell’impugnazione nell’esaminarlo e nel disattenderlo. Mette conto rilevare, in primo luogo, che la sentenza impugnata non dà rilievo unicamente, ai fini del rigetto della nullità sollevata, alla diversità degli avvocati che avevano assistito la ricorrente al momento della predisposizione della denuncia querela del 2016 e del difensore che aveva difeso nel corso del giudizio abbreviato la medesima, motivazione che non sarebbe congruente con il disposto di cui all’art. 106 c.p.p., ma perviene al rigetto della censura sulla scorta di una articolata motivazione che è immune da censure. La sentenza impugnata, a pag. 19, dà rilievo alla insussistenza di una posizione inconciliabile tra gli imputati tale da determinare un contrasto radicale tra gli stessi si da rendere impossibile per il medesimo difensore di assumere la difesa di entrambi. Infatti, entrambi gli imputati avevano respinto radicalmente le accuse a loro rivolte, sicché non era prospettabile nè davanti al giudice del giudizio abbreviato alcuna situazione di contrasto di interessi che impediva all’unico difensore di esercitare il mandato difensivo nei confronti di entrambi, nè del giudice dell’impugnazione sulla prospettata e sopravvenuta rispetto al giudizio abbreviato inconciliabilità delle posizioni in ragione della presentazione, nel 2016 ma scoperta successivamente al giudizio di primo grado , di una denuncia querela da parte della G. nei confronti dell’I. che aveva originato un fascicolo per l’ipotesi di reato di maltrattamenti che era stato archiviato poiché il giorno seguente la G. aveva rimesso la querela. L’incompatibilità che a norma dell’art. 106 c.p.p., comma 1, vieta l’affidamento della difesa di più imputati a un unico difensore, è causa di nullità della decisione soltanto se il contrasto di interessi tra coimputati è effettivo, concreto ed attuale, nel senso, cioè, che sussiste un conflitto che rende impossibile la proposizione di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili, implica una posizione processuale che rende concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa ed è riscontrabile in relazione a specifici atti del procedimento Sez. 5, n. 39449 del 17/05/2018, De Luca, Rv. 273766 - 01 . L’art. 106 c.p.p., postula che vi sia un conflitto attuale, concreto ed effettivo, situazione che è stata esclusa, sotto tutti i profili, dalla corte territoriale sul rilievo che la ricorrente non aveva mai fatto dichiarazioni pregiudizievoli per il coimputato nel processo in cui si deduce la violazione dell’art. 106 c.p.p., avendo costei strenuamente sostenuto di non credere alle accuse della figlia. Dunque, sia al momento della scelta del giudizio abbreviato non vi era alcuna inconciliabilità delle posizioni difensive, ma anche successivamente non sussisteva alcun contrasto, poiché la denuncia querela era stata archiviata sulla ritenuta inattendibilità della donna e sul rilievo che rimaneva inalterato il dato che la donna aveva sempre strenuamente dichiarato di non credere alla figlia, e dunque non si può parlare di una situazione di conflitto tra le versioni difensive tale da impedire al difensore l’esercizio del mandato difensivo nei confronti di entrambi. In tale contesto non può ritenersi che il giudice avrebbe dovuto attingere al personale patrimonio conoscitivo per avere disposto l’archiviazione delle accuse promanate dalla denuncia querela del giugno 2016, il cui contenuto della denuncia circoscritta all’ipotesi di maltrattamenti in famiglia, giammai avrebbe concretizzato il conflitto di interesse che avrebbe dovuto essere rimosso a pena di nullità. Si consideri, infine, che l’imputato I. non risponde in questo procedimento del reato di maltrattamenti verso la moglie, ma entrambi rispondono del reato di maltrattamenti nei confronti delle figlie. Quanto poi al richiamato art. 106 c.p.p., comma 4 bis, rileva il Collegio che esso non è pertinente per il caso in esame. Il divieto di assunzione da parte di uno stesso difensore della difesa di più imputati, posto dall’art. 106 c.p.p., comma 4 bis, postula che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nello stesso procedimento o in procedimento connesso o collegato, ed è predisposto per evitare che la comunanza delle posizioni difensive influisca sulla genuinità ed indipendenza delle dichiarazioni stesse e comporta la nullità, ancorché non espressamente prevista, solo in presenza di un effettivo e concreto pregiudizio difensivo dell’imputato Sez. 6, n. 8067 del 08/02/2012, Meloni, Rv. 252428 - 01 , ma si tratta, all’evidenza, di una norma non applicabile al caso in esame per mancanza dei presupposti applicativi. Il difensore, dietro la deduzione della violazione della legge processuale, si duole della scelta operata dal precedente difensore di definire la posizione di entrambi gli imputati con il giudizio abbreviato, ritenendo più efficace dal punto di vista della difesa tecnica, quella di procedere al dibattimento, doglianza che è estranea dal perimetro di applicazione dell’art. 106 c.p.p 7. Alla stessa sorte non si sottrae il secondo motivo di ricorso con cui si denuncia il vizio di motivazione, per contraddittorietà della stessa, in relazione ai presupposti del concorso causale omissivo della ricorrente nel reato di atti sessuali con minorenne, materialmente posti in essere dal compagno. Costituisce indirizzo ermeneutico assolutamente consolidato quello secondo cui il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell’art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell’integrità psico - fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all’art. 40 cpv. c.p., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli allorquando sussistano le condizioni rappresentate a dalla conoscenza o conoscibilità dell’evento b dalla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul garante c dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento Sez. 3, n. 4730 del 14/12/2007, Rv. 238698 - 01 Sez. 3, n. 36824 del 08/07/2009, Rv. 244931 - 01 Sez. 3, n. 26369 del 09/06/2011, Rv. 250624 - 01 Sez. 3, n. 1369 del 11/10/2011, Rv. 251624 - 01 . Ne consegue che risponde del reato di violenza sessuale in danno del figlio minore, commesso da terzi, il genitore che, consapevole del fatto, non si attivi per impedirlo ed anzi consenta il protrarsi degli abusi Sez. 3, n. 40663 del 23/09/2015, Rv. 267594 - 01 . Ormai da tempo la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’inosservanza dell’obbligo di garantire la protezione del bene, la cui fonte è stata individuata nell’art. 147 c.c., che, nell’ambito dei doveri che gravano sui genitori, prevede, in particolare, l’obbligo di tutelare la vita, l’incolumità e la moralità sessuale dei figli minori contro eventi naturali o altrui aggressioni e nel successivo art. 330 c.c., che stabilisce che il Giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri, con grave pregiudizio del figlio , determina una situazione giuridica di parificazione al comportamento di colui che compie l’azione tipica e che in forza della clausola di cui all’art. 40 comma 2 c.p. deve essere ascritta anche al titolare della posizione di garanzia. Neppure la difesa contesta la sussistenza in capo alla ricorrente della posizione di garanzia. La censura si appunta sulla motivazione resa con riguardo ai sopra delineati requisiti per ritenere sussistente il concorso omissivo che, per la clausola di equivalenza, comporta la responsabilità della stessa. La sentenza impugnata, in applicazione di tali principi, ha ritenuto dimostrati i presupposti per configurare in capo alla ricorrente la responsabilità concorsuale omissiva, derivante dalla sua posizione di garanzia rispetto alla vittima dei reati sessuali posti in essere dal di lei compagno e l’ha congruamente argomentata sulla base degli elementi probatori presenti nell’orizzonte cognitivo. Quanto al profilo della conoscenza o conoscibilità dell’evento, i giudici del merito, con motivazione congrua e giuridicamente corretta, hanno argomentato la conoscenza certa e non la mera conoscibilità da cui l’infondatezza del terzo motivo di ricorso , a partire dalla fine del 2016 - inizio 2017 si tenga a mente che gli abusi sono proseguiti sino all’08/11/2017 allorché la minore è stata collocata in comunità , sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla teste de relato della zia dell’imputata S.L. che aveva dichiarato che la nipote odierna imputata le aveva raccontato che il suo compagno Nicolas abusava sessualmente di Maria cfr. pag. 24 , oltre a circostanze tratte dal comportamento della ricorrente la gelosia manifesta, volontà di protezione dell’imputato e alcune frasi pronunciate tra cui una frase assolutamente inequivoca circa la sua conoscenza degli abusi perpetrati, riportata a pag. 24 del seguente tenore puttana scema stai con mio marito voi due state insieme . Al riguardo, rammenta il Collegio che in tema di testimonianza indiretta non richiede alcun riscontro, potendo il giudice riconoscere attendibilità all’una o all’altra deposizione quella in contrasto con quella de relato in base al principio generale del libero convincimento, non essendo stata posta dal legislatore una gerarchia tra i detti mezzi di prova Sez. 3, del 27/11/2014 n. 16898, P.F.N. Sez. 6, del 5.3.2004 n. 26027, Pulcini, Rv. 229967 Sez. 3, del 30.11.2007 n. 2010, Vitiello, Rv. 338626 Sez. 1, del 7.10.2010 n. 39662, Valpiani, Rv. 248478 . La motivazione offerta dalla Corte di merito, oltre che conforme ai canoni ermeneutici sopra riferiti nel ritenere attendibile la S. sul punto conoscenza degli abusi, circostanza negata dalla madre della minore/imputata, è anche sorretta da elementi di conforto, di natura logica, da cui ha tratto la dimostrazione della conoscenza degli abusi in capo all’imputata con motivazione priva di manifesta illogicità. Quanto alla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul garante , sul punto, la Corte territoriale ha condivisibilmente affermato che la stessa si evinceva dall’intercettazione ambientale effettuata nei corridoi della Questura, ma soprattutto ha dato rilievo alla circostanza, tratta dalla denuncia querela del giugno 2016, che l’I. le aveva imposto di dormire con la figlia minore E. , mentre lui dormiva in altra stanza con la minore M. , persona offesa del reato, da cui ha tratto la conclusione non solo che l’imputata era in grado di rendersi conto dell’evento, ma anche che era in grado di porre in essere l’azione per impedirlo, la cui omissione integra il concorso nel reato di atti sessuali con minorenne commesso dall’I. . 8. Il quarto motivo di ricorso con cui si censura l’omessa motivazione sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale non è fondato. Secondo il consolidato orientamento di questo giudice di legittimità, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria, accertamento rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Rv. 229666 . Ancora, questa Corte regolatrice ha affermato che, mentre la decisione di procedere a rinnovazione in appello della istruzione dibattimentale deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell’acquisizione probatoria, viceversa, nella ipotesi di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento Sez. 6, n. 5782 del 18/12/2006, Rv. 236064 . Alla stregua di tali principi si appalesa priva di fondamento la censura difensiva avendo la corte di merito implicitamente respinto la richiesta sul ritenuto e argomentato rilievo della completezza degli elementi per confermare il giudizio di penale responsabilità. 9. Connotati da genericità estrinseca sono le censure in merito all’affermazione della responsabilità con riguardo ai reati di cui all’art. 572 c.p. capo B e di cui all’art. 388 c.p. capo D . La sentenza impugnata in continuità con quella di primo grado che in presenza di c.d. doppia conforme si saldano in un unico complesso argomentativo, ha evidenziato che la minore era costretta ad assistere a sistematici litigi tra sua madre e il compagno, ad assistere a condotte violente e offensive di un genitore ai danni dell’altro, tra cui anche ad un episodio di accoltellamento cfr. pag. 13 sentenza del Tribunale , oltre a subire condotte maltrattanti dirette consistite nell’impedirle di andare a scuola e di uscire con i suoi coetanei manifestando gelosia, dichiarazioni confermate dalla sorella E. , che rendevano dolorose le relazioni famigliari. Allo stesso modo cfr. pag. 16 dalle testimonianze in atti era emerso che in data 16 marzo 2018, l’imputata aveva violato il provvedimento del Tribunale dei Minorenni che aveva imposto il divieto di contatti, recandosi presso la comunità che ospitava la figlia cercando di allontanarsi con lei. 10. Conclusivamente i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali. Gli imputati devono anche essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di L’Aquila con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendone il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di L’Aquila con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendone il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.