Procacciamento di consensi e prova del “metodo mafioso”: la rilevanza dell’appartenenza al clan

In relazione al reato di scambio politico mafioso, quando il procacciatore di voti sia intraneo all’associazione mafiosa, non é necessario che l’accordo preveda le specifiche modalità per la gestione della campagna elettorale” potendosi intendersi immanente all’illecita pattuizione il metodo mafioso al contrario, quando il procacciatore sia esterno al clan o, sebbene intraneo, agisca uti singuli”, ai fini della rimproverabilità, occorre la prova che questi applichi il metodo mafioso.

Lo ha stabilito la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8518, depositata in cancelleria il 3 marzo 2021. Scambio politico mafioso, in prospettiva Senato. Nel caso di specie, un uomo è stato sottoposto, con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, alla misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di scambio politico mafioso ex art. 416- ter , c.p., in relazione all’ intermediazione che avrebbe svolto nel procurare voti per l’elezione di altri al Senato. La decisione è stata confermata dal Tribunale del riesame, adito con ricorso della difesa. La vicenda è dunque finita all’attenzione dei Giudici di legittimità dinanzi ai quali si è discusso in relazione a numerosi passaggi motivazionali dei giudici di prime cure che attestavano la ricorrenza di relazioni tra l’uomo e diversi clan calabresi. La sentenza della Suprema Corte merita particolare attenzione per le ponderate considerazioni rese con riferimento al reato contestato. Gli elementi strutturali del reato. In proposito, la Corte ha cura di sottolineare come il reato di cui all’art. 416- ter , c.p. come modificato ad opera della l. n. 62/2014, abbia la finalità di proteggere l’ordine pubblico e la legalità democratica nelle competizioni elettorali. Tale fattispecie delittuosa implica la punibilità di chi promette di procurare voti o di chi accetta la promessa, laddove l’impegno preveda, da un lato che l’acquisizione dei voti avvenga con il c.d. metodo mafioso i.e. avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di mera che ne derivano per commettere reati e, dall’altro, l’erogazione o la promessa di denaro o altra utilità. Possono essere chiamati a rispondere del reato in analisi tanto il mediatore, il promittente mafioso e il candidato. È sufficiente, sotto il profilo dell’elemento materiale, che tra questi sia stato raggiunto l’accordo c.d. voto contro favori ” i.e. non occorre, proprio per la risonanza mafiosa del reato, riscontrare l’effettiva attivazione di condotte finalizzate al procacciamento dei voti , ciò che contraddistingue la fattispecie quale reato di pericolo, a consumazione anticipata. L’appartenenza o meno al clan. In giurisprudenza – ricorda la Suprema Corte – è stato altresì sottolineato come laddove il soggetto che si impegna al recupero dei voti risulti intraneo all’associazione mafiosa, non è necessario che l’accordo preveda una precisa campagna elettorale mafiosa”, potendosi quest’ultima intendersi immanente all’illecita pattuizione. Al contrario, se il procacciatore di voti risulti esterno al clan ovvero agisca uti singuli”, ai fini della rimproverabilità a termini dell’art. 416-ter, cit. occorre la prova che questi applichi il metodo mafioso. L’esistenza dell’intesa al procacciamento di consensi elettorali con ricorso a modalità mafiose – spiegano i giudici del Palazzaccio – può desumersi anche in via indiziaria contesto territoriale in cui dilaga l’assoggettamento della popolazione al soggetto storicamente afferente al clan fama criminale dell’interlocutore del politico, etc. . Arresti domiciliari confermati. Sulla base dei sopra sinterizzati elementi costitutivi del reato, gli Ermellini, avuto riguardo alle dinamiche fattuali sinora emerse, hanno mandato indenne da critica la decisione gravata, per l’effetto confermando la misura inflitta, con condanna al pagamento delle spese del processo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 settembre 2020 – 3 marzo 2021, n. 8518 Presidente Tardio – Relatore Cairo Ritenuto in fatto Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza in data 3 febbraio 2020 applicava nei confronti di G.G.A. la misura degli arresti domiciliari, per la condotta di voto di scambio politico mafioso di cui all’art. 416 ter c.p., in ragione dell’intermediazione svolta da G. nel procurare voti per l’elezione al Senato in favore di S.M. , avvalendosi del supporto di L.D. . L’adito Tribunale del riesame confermava il provvedimento applicativo sia per il profilo afferente la gravità degli indizi di colpevolezza, sia per quello che si collegava alle esigenze cautelari. Dava conto della complessa attività d’indagine che aveva permesso di acquisire una serie d’informazioni confluite nell’operazione cd Eyphemos, attraverso cui era stata ricostruita la complessa organizzazione attiva sul territorio di OMISSIS , legata alla famiglia degli A. . Attraverso le intercettazioni eseguite nei confronti di L.D. si registravano particolari importanti sul collegamento gerarchico-mafioso che caratterizzava i rapporti tra i due nuclei criminali, con un costante canale informativo verso gli A. , da parte delle diverse articolazioni territoriali individuate nelle zone di competenza. Il Tribunale di Reggio Calabria richiamava i risultati del procedimento crimine e quelli del processo cd. infinito che ricostruivano la storia del gruppo di ndrangheta, la sua organizzazione in un direttorio centrale la Provincia o il cd Crimine e la divisione nei tre mandamenti del [ ]X, dello [ ] e del centro della città di OMISSIS . All’interno di ciascuno di essi vi erano poi le cdd. locali con capillare funzione di controllo e gestione del territorio affidato. Le funzioni di vigilanza sui rapporti tra locali, di natura orizzontale, erano affidate alla Provincia. Il Tribunale ha spiegato che la conoscenza organizzativa del territorio di Sinopoli e delle aree limitrofe era stata assicurata da diversi procedimenti, le cui sentenze erano in cosa giudicata, sentenze che avevano acclarato l’esistenza della cosca A. e dei diversi sottogruppi familiari tra loro strettamente coesi. È stato richiamato l’accertamento del procedimento prima che certificava l’esistenza della cosca A. e dei ceppi familiari originari carni i cani paiechi merri pallunarii testazza cudalunga . Nei richiami ai giudizi arca e cent’anni di storia si evidenziava come la cosca A. avesse continuato a operare nonostante le iniziative giudiziarie e come la forza di intimidazione si fosse rivelata e manifestata, ancora, nel concorso dell’esecuzione dei lavori di rifacimento della rete autostradale Salerno-Reggio Calabria, oltre che in fase di esecuzione della piattaforma relativa al centro di siderurgia di OMISSIS , anche attraverso intese con i P. . La cosca A. era stata anche destinataria di altri procedimenti e tra questi era stato richiamato quello noto giudiziariamente come virus, oltre ai procedimenti [ ] e OMISSIS , mentre nel giudizio OMISSIS si era accertato che il settore estorsivo nell’area sinopolese era appannaggio appunto della cosca anzidetta. Nel procedimento [ ], ancora, erano stati individuati i nuovi assetti della criminalità locale e i luoghi in cui avvenivano gli incontri per deliberare sui delitti e sui temi e le questioni associative. Così era emerso nella presente indagine che la cosca A. era insediata in OMISSIS e che il reggente era, appunto, L.D. . Quanto alla vicenda relativa all’elezione al Senato di S.M. , nell’anno 2018, il Tribunale della libertà ha osservato che era stato concluso uno scambio politico mafioso con l’intermediazione di G.G.A. , medico chirurgo in rapporto, di amicizia sia con S. che con L.D. . Egli, invero, aveva incontrato costui facendo riferimento alla necessità di procacciare voti, oltre ad attivare i diversi aderenti alla struttura, affinché i voti stessi confluissero verso S. eletto con una maggioranza rilevante. Di ciò dava conto la conversazione del 5 marzo 2018 con G. , in cui si sottolineava il gran numero di preferenze espresse in favore del S. in occasione della consultazione elettorale. Dopo due mesi il 5 maggio 2018, L. contattava personalmente G. e chiedeva un incontro personale con S. . L’incontro non si riusciva a realizzare, ma L. interloquiva con G. , sollecitando l’assunzione del figlio e il trasferimento di Z.A. . Si trattava di una ragazza in servizio presso le poste di [ ], nipote di L.N. , storico associato, che era stata trasferita presso l’ufficio postale di [ ]X, città natale del marito e luogo in cui aveva, appunto, chiesto di. essere trasferita. Il Tribunale riteneva sussistenti i gravi indizi a carico di G.G.A. che rivolgendosi a L. aveva svolto funzioni di intermediario nel procacciare i voti a favore di S. . L’incontro con costui presso la segreteria romana e la concatenazione temporale degli eventi successivi all’incontro del febbraio 2018 faceva intendere che era stato concluso un accodo elettorale tra il politico e lo ‘ndranghetista. Era certo che G. , secondo il Tribunale della libertà, avesse conoscenza della caratura criminale di L. . Ciò perché lo incontrava per 40 minuti in ragione della sua figura e del canale di procacciamento di voti che egli rappresentava nè si sarebbe potuto ritenere che la richiesta di voti da G. a L. avvenisse uti singulus. Per altro verso, interloquendo con L. si era inteso che il riferimento era stato alòplurale ci ha chiamato in un’ottica per la quale,pur essendo intervenuta l’interlocuzione con uno solo dei soggetti, in realtà si faceva affidamento sull’intero gruppo. Il metodo mafioso richiesto dalla norma si poteva ritenere integrato secondo il Tribunale anche implicitamente quando il patto era siglato da un appartenente nell’interesse del sodalizio, come era accaduto nel caso in esame. Il collegamento tra L. e G. era certo, tanto che tra il 7 marzo 2017 e il 24 gennaio 2020 c’erano stati almeno 200 contatti telefonici a dimostrazione dell’assiduità dei rapporti tra i due. G. era a conoscenza del nominativo della ragazza in servizio presso il Consiglio regionale della Calabria e nel corso della perquisizione del 22 maggio 2018 presso il domicilio di G. era stata rinvenuta una cambiale di 4000 Euro dell’impresa edile di L. , titolo di cui v’era traccia in una conversazione precedente 22 maggio 2018 . In quella circostanza L. aveva chiesto a G. di emettere un assegno a copertura della cambiale anzidetta. Era ritenuto, poi, esistente il pericolo di recidiva, valorizzandosi la gravità dei fatti l’intervento posto in essere e i rapporti esistenti tra G. e L. elemento di spicco della criminalità mafiosa. 2. Ricorre per cassazione G.G.A. , con il ministero dei difensori di fiducia avvocati Francesco Calabrese e Caterina Condemi, e deduce quanto segue. 2.1. Con il primo motivo oltre a sviluppare una premessa generale enuclea gli elementi determinanti e l’omessa motivazione su di essi pur trattandosi, afferma, di fattori decisivi nella prospettiva decisoria. Si era contestato a G. di essere intermediario nel procacciamento di voti tramite L. a beneficio del candidato, S. . Il provvedimento impugnato non aveva approfondito le coordinate giuridico-fattuali su cui era stata costruita la contestazione e si era limitato a una riepilogazione sommaria che non ne considerava la rilevanza effettiva rispetto alla contestazione. La contestazione si articolava sul ruolo di intermediario che G. aveva svolto tra L. e S. . L. era un esponente di vertice della locale criminalità e da ciò era derivato un accordo finalizzato alla promessa di procurare voti da parte della ‘ndrangheta legata alla famiglia A. . Simmetricamente vi era stata l’assunzione, da parte del politico, di soddisfare interessi ed esigenze dell’associazione, assicurando vantaggi alla cosca tra cui era stato ottenuto anche il trasferimento di Z.A. , dipendente delle poste. Sui temi centrali l’analisi dimostrativa sarebbe dovuta essere estremamente precisa e dettagliata, perché costituente l’in se dell’integrazione della fattispecie ascritta. In primo luogo, si affronta il tema della conoscenza in capo al ricorrente del profilo criminale di L. . La questione era stata affrontata nel titolo impugnato in maniera congetturale. Vi era stato un incontro, presso la segreteria politica, tra S. e L. , incontro durato circa 40 minuti e che confermava un cd. pactum sceleris. L’oggetto dell’incontro far conoscere i nominativi degli elettori al politico e della durata di esso era fondato su elementi meramente congetturali, afferma il ricorrente. Egli era stato visto accedere con L. al plesso ove era la segreteria politica di S. . Si era trattenuto per 39 minuti e ciò non dimostrava, tuttavia, che avessero incontrato S. immediatamente e che per tutto il tempo si fossero pertanto intrattenuti con lui. L’ordinanza impugnata aveva surrettiziamente introdotto un meccanismo di inversione dell’onere della prova, rimettendo al ricorrente la prova della liceità dell’incontro. Manifestamente illogica era, poi, l’ordinanza impugnata nella parte in cui era stata inferita la mafiosità della richiesta essendo stata utilizzata nel dialogo la prima persona plurale, così deducendo che si era chiesto l’intervento del sodalizio. In ogni caso essendo possibili più interpretazioni sarebbe dovuta prevalere quella retta dal principio in dubio pro reo. Il testo del provvedimento impugnato aveva, in sostanza, sottolineato come L. si fosse espresso con l’inciso, - ci aveva mandato a chiamare quello per sottolineare come non si trattasse di una convocazione riferita al singolo, ma ad una pluralità di soggetti di cui egli era vertice. Era stato, pertanto, manifestamente illogico il parallelismo tra l’impiego della prima persona plurale e l’intesa di essa come collegamento con il sodalizio mafioso. Il ricorso, contrariamente, non condividendo l’impostazione data ha ritenuto frutto di una congettura il richiamo alla vicenda S. , là dove quell’espressione evocava altro e diverso soggetto, come elemento che aveva preso contatto, convocando L. . L’ordinanza era censurabile anche nella parte in cui aveva posto un onere di conoscenza di L. nel contesto di ‘ndrangheta in capo a G. , in virtù di un solo rapporto di amicizia, mai contestato, secondo un meccanismo del non poteva non sapere. 2.2. Il ricorso affronta, poi, la questione del mancato utilizzo del metodo mafioso per la raccolta di voti. Posto che non si rendeva necessaria la prova dell’impiego del metodo mafioso, là dove la richiesta fosse pervenuta da un appartenente il provvedimento impugnato non aveva considerato che nella fattispecie faceva difetto proprio il dato anzidetto. Si era indicato senza che il punto fosse oggetto di riflessione nel provvedimento impugnato che era necessario che il L. si segnalasse come elemento di spicco del gruppo criminale e come tale si relazionasse con G. . Il tema non aveva costituito oggetto di nessuna valutazione, nonostante fosse centrale. 2.3. Si affronta e si deduce, indi, la questione relativa all’incontro e all’intervenuto pactum sceleris. Oltre a quanto già indicato, si era inteso dal provvedimento impugnato, che era stato G. a chiedere un incontro con L. , in funzione dei voti da far giungere a S. . Ciò avrebbe, tuttavia, dimostrato che la richiesta avesse ad oggetto un singolo soggetto e non coinvolgesse il gruppo. Ancora la circostanza che era stata disattivata un’applicazione che avrebbe permesso di rintracciare il cellulare non documentava che il tutto fosse accaduto in funzione dell’incontro incriminato del 28 febbraio 2018 ,essendo piuttosto emerso che la disfunzione era durata per qualche giorno e a prescindere dall’incontro stesso. Il ripristino, infatti, era avvenuto il 3 marzo 2018 e dunque non nella fase immediatamente conclusiva dell’appuntamento. Nè all’oggetto dello scambio si erano effettivamente collegate le vicende relative al trasferimento di Z.A. e alla possibile assunzione del figlio di L. , temi che non avevano valenza decisiva e che, in ogni caso, avrebbero riguardato un possibile accordo del tutto fisiologico nella dinamica dei rapporti tra elettore e candidato. 2.3. Affronta poi il ricorso la questione relativa a un accordo finalizzato all’erogazione di utilità in favore di L. . La vicenda rilevante e le conclusioni tratte erano, ancora una volta, mosse da un profilo congetturale. Non era in primo luogo dimostrata la conoscenza del ricorrente della provenienza di L. . Non era dimostrato che per effetto di detta conoscenza ci si fosse rivolti a L. , nè che costui avesse mai dirottato voti verso S. . Infine L. non aveva mai richiesto una contropartita per il sostegno elettorale. Da ciò discendeva che il percorso conclusivo era fondato su asserzioni manifestamente illogiche. 2.4. Si affronta, poi, il tema della mancata dimostrazione della sussistenza di un impegno alla erogazione di utilità al sodalizio. Si era ritenuta erroneamente infondata la tesi difensiva secondo cui le utilità erano state riconosciute ai singoli e non al sodalizio. Si era contrariamente osservato come si potesse conciliare un’ipotesi di utilità al sodalizio a fronte di un corrispettivo di cui avrebbe goduto un soggetto esterno. Anche sul punto l’ordinanza impugnata non si era confrontata con la tesi difensiva. 3. Sono state espresse così una serie di considerazioni conclusive sul reato oggetto di contestazione esaminando 3.1. la conoscenza in capo al ricorrente e a S. , innanzitutto, della condizione di appartenente apicale al sodalizio di L. . Alcuno tra gli elementi a disposizione dava conto di questo aspetto, secondo quanto affrontato nello sviluppo critico precedente. 3.2. La condizione dell’impiego del metodo mafioso quale elemento dimostrativo del fatto che vi sia stata una interlocuzione con il sodalizio e non con il singolo soggetto ritenuto facente parte della struttura. La stessa ordinanza impugnata escludeva che vi fosse stato impiego di metodo mafioso per condizionare il procacciamento di voti. 3.3. In relazione alla sussistenza dell’impegno a elargire utilità al sodalizio. La stessa ordinanza aveva accertato che non ricorresse dazione o promessa in favore del sodalizio e che non fosse stato utilizzato allo scopo, si era detto, metodo mafioso per il procacciamento di voti. 3.4. In relazione al successo elettorale del candidato S. , quale elemento dimostrativo della integrazione del reato. Anche sul punto l’ordinanza commetteva l’errore di inferire detto aspetto d’ausilio dall’intervenuto esito favorevole elettorale. Il successo elettorale, d’altro canto, poteva derivare da più elementi che andavano dalla capacità propria del candidato all’intervento del sodalizio o del singolo appartenente. Nessuno degli elementi a disposizione, tuttavia, dava conto di ciò ed era indicatore della dimostrazione dell’intervento del gruppo mafioso. 3.5. In relazione alle utilità chieste da L. come elemento di integrazione del pactum sceleris. Il dato si collegava all’interessamento di L. , diversi mesi dopo le elezioni, al trasferimento di Z.A. . Tuttavia, osserva il ricorrente, nessun elemento permette di ritenere che quella richiesta rientrasse in un pactum pregresso. Un accordo assume rilevanza mafiosa e, dunque, carattere d’antigiuridicità nei casi in cui coinvolga un sodalizio mafioso o un soggetto appartenente alla medesima struttura, realizzando utilità per il candidato con metodi mafiosi e determinando utilità anche per il sodalizio o per il singolo soggetto che ne faccia parte. In ciò si coglie la differenza con il delitto di corruzione elettorale D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 96 nessun elemento in fatto era stato enucleato dall’ordinanza impugnata. 4. Con separato motivo si deduce la violazione degli artt. 292 e 275 c.p.p L’ordinanza impugnata si è limitata a proporre il contenuto dell’atto proveniente dalla Pubblica Accusa senza esplicitare le ragioni per le quali si è inteso incidere sulla libertà personale dell’indagato. Manca, dunque l’autonoma valutazione circa l’adeguatezza della misura applicata rispetto alle esigenze cautelari ritenute esistenti. Il pericolo di reiterazione è stato ritenuto esistente alla luce della gravità del fatto e del tipo di reato che denotava la vicinanza del ricorrente a contesti di criminalità organizzata. Tutto ciò senza considerare l’assunto difensivo e, cioè, che le condotte si collegavano nell’o stretto ambito temporale dell’anno 2018 e che faceva difetto il pericolo concreto e attuale di nuova commissione di delitti. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va respinto. 1. L’art. 416 ter c.p., nella sua formulazione derivante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 62 del 2014, ha la finalità indiscutibile di proteggere l’ordine pubblico e la legalità democratica nelle competizioni elettorali. Esso sanziona le condotte di chi promette di procurare voti o di chi accetta la promessa, laddove l’impegno preveda, da un lato, che l’acquisizione dei voti avvenga con le modalità descritte nell’art. 416-bis c.p. avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano per commettere reati e, dall’altro, òl’erogazione o la promessa di denaro o di altra utilità. Il delitto è configurabile nei confronti di chiunque . Ne possono rispondere, pertanto, anche il mediatore, oltre che il promittente ‘mafiosò e il candidato e sussiste nei suoi elementi costitutivi per il solo fatto che sia stata raggiunta l’intesa di cdd. voti contro favori. Il fatto può essere qualificato come delitto di pericolo, a cd. consumazione anticipata, risultando arretrata la soglia di punibilità rispetto alle iniziative che dovessero concretamente essere adottate per la ricerca dei voti. Invero, l’illecito si qualifica, così differenziandosi da altre figure affini per l’impegno al procacciamento del consenso elettorale con le evocate ‘modalità mafiosé. Esse si considerano sussistenti in re ipsa, laddove il promittente sia per certo intraneo ad un sodalizio criminale di stampo mafioso ovvero abbia agito per conto di tale associazione delinquenziale. Devono essere, al contrario, provate come oggetto dell’intesa se manca quel requisito. Ciò accade nei casi in cui chi promette operi a titolo individuale” oppure non risulti affiliato ad un clan di tipo mafioso. Questa Corte ha avuto modo anche di puntualizzare che, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, come previsto dall’art. 416 ter c.p., nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 62 del 2014, quando il soggetto che si impegna a recuperare voti è persona intranea ad una consorteria di tipo mafioso ed agisce per conto e nell’interesse di quest’ultima, non è necessario che l’accordo concernente lo scambio voto/denaro o altra utilità contempli l’attuazione, o l’esplicita programmazione, di una campagna elettorale mediante intimidazioni. In tal caso, infatti, il ricorso al reclutamento del consenso - tramite la modalità di cui all’art. 416 bis c.p., comma 3, - può dirsi immanente all’illecita pattuizione. Là dove, di converso, il soggetto che assume l’impegno a procacciare voti sia una persona estranea alla consorteria di tipo mafioso o un intraneo che agisce uti singulus è necessaria la prova della pattuizione delle modalità di reclutamento del consenso con metodo mafioso Sez. 6, n. 16397 del 03/03/2016, La Rupa, Rv. 266738 Sez. 1, n. 19230/16 del 30/11/2015, Zappalà, Rv. 266794 Sez. 6, n. 25302 del 19/05/2015, P.M., Albero, Rv. 263845 . In altri termini, l’esistenza dell’intesa al procacciamento di consensi elettorali con ricorso a modalità mafiose può desumersi anche in via indiziaria. Lo sviluppo argomentativo valorizza alcuni indicatori sintomatici della natura dell’accordo. Tra essi si evidenzia, in primo luogo, l’assoggettamento, che in determinate, aree territoriali vi è nella forza intimidatrice propria di chi è storicamente appartenente ad un’associazione di stampo mafioso. Rilevano, ancora, la fama criminale dell’interlocutore del politico e la sua possibilità di incidere sul territorio di riferimento con i metodi tipici della mafiosità. Ciò spinge il candidato a raggiungere l’accordo nella consapevole e implicita evidenza delle modalità attraverso cui è veicolato in suo favore il reclutamento elettorale. D’altro canto, proprio in questo nucleo particolare sta la logica della scelta dello specifico interlocutore Sez. 6, n. 18844 del 23/02/2018, Pignataro, non mass. . 2. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha fatto buon governo dei principi di diritto così delineati, principi da cui non v’è motivo di discostarsi. 2.1. Il primo motivo di ricorso, articolato in più punti, che possono essere trattati congiuntamente per lo stretto collegamento logico, è infondato e, per certi versi, proposto fuori dei casi ammessi. Contrariamente a quanto dedotto la vicenda è frutto di un’elaborazione critica degli elementi emersi dalle indagini e dà conto, sia pur in funzione della valutazione cautelare da compiere, di una solida base di gravità indiziaria. Il provvedimento impugnato ha spiegato come l’elezione di S. fosse stata collegata allo scambio elettorale politico-mafioso, concluso con l’intermediazione di G.G.A. che si era rivolto a L.D. , per procacciare i voti, in occasione della consultazione elettorale al Senato della Repubblica nell’anno 2018. All’epoca era ben noto che L. fosse un capo cosca per l’area territoriale in questione e a parte la percezione che se ne aveva sul territorio egli era stato già raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 4 settembre 2013, nel procedimento OMISSIS quale componente la cosca A. . Nella congiuntura delle elezioni, pendeva, infatti, il giudizio d’appello avverso la sentenza che lo aveva assolto. Il ruolo da costui rivestito e la percezione che se ne traeva in capo a costui era, del resto, confermata dal contenuto delle conversazioni intercettate. Le stesse captazioni davano conto dei rapporti tra G. e L. , rapporti improntati a un legame di chiara familiarità e di stretta conoscenza che si estendeva alla consapevolezza da parte di G. del ruolo di ‘ndranghetista di L. . Diversamente il primo non si sarebbe rivolto al secondo per procacciare i voti, attribuendogli una sorta di posizione di grande elettore come si ricava dal contenuto delle conversazioni intercettate, emergendo che l’anzidetto L. avrebbe spostato un numero di consensi importante, pur non esprimendo nè una forza politica, nè uno spessore elettorale che potesse giustificare un interessamento di quella natura e un risultato come quello poi conseguito dal politico variabile tra il 46,10 e il 63,41 fl. 6 ordinanza impugnata . Il 6 febbraio 2018 si era registrato un primo contatto telefonico tra G. e L. in cui il ricorrente anticipava di volerlo incontrare per novità politiche e il giorno successivo lo aveva incontrato presso il suo studio. Durante l’incontro spiegava della candidatura di un amico S. al S. ed esternava l’intento di procurare voti e quindi ora gli voglio procurare un pò di voti . Era immediata l’accettazione di L. che replicava dicendogli e qual è il problema? L. si impegnava premettendo che non aveva altri impegni elettorali e aggiungendo ci aveva mandato a chiamare quello ma gli ho detto io . In questa logica si affronta una delle prime questioni poste dal ricorso e il significato da attribuire al plurale utilizzato da L. , per sottolineare che si muovesse non come singolo, ma in qualità di gruppo. L’espressione, riferita anche a un terzo soggetto che aveva richiesto la convocazione di L. , invero, non era idonea, secondo il Tribunale del riesame, a disarticolare la ricostruzione a carico. La posizione di L. , invero, si legava, in generale, a una prestazione che avrebbe, comunque, offerto nella sua qualità di esponente della cosca e quale capo di più soggetti e non come singolo individuo, conoscente di G. . A confermare l’interpretazione data v’era la locuzione cfr. fl. 17 attraverso cui L. presentava il candidato ai possibili elettori e con tono fermo usava nuovamente il plurale È un amico nostro questo . Ciò dimostrava come non fosse una promessa di voto garantita uti singulus, ma come espressione di un consenso che si rivolgeva al gruppo di ‘ndrangheta. Dopo l’incontro con G. , infatti, lo stesso L. si recava a OMISSIS e rendeva partecipe del colloquio, N. , al quale raccontava della richiesta di voti, avanzatagli da G. e da far confluire in favore di S. . Anche sulla scorta di quanto premesso, pertanto, secondo un ragionamento logico immune da censure e insindacabile in questa sede, non ha avuto dubbi il Tribunale del riesame sui rapporti di profonda conoscenza tra L. e G. . Dopo il contatto del 21 febbraio, durante il quale L. chiedeva di lasciare il materiale elettorale necessario per la propaganda, G. organizzava l’appuntamento per il giorno seguente per incontrare S.M. alle 14 00, 14 30. Il ricorrente era a conoscenza della vita privata del capo cosca. Lo incontrava mentre faceva sport, interloquiva a telefono ripetutamente, lo frequentava recandosi all’incontro con il politico che aveva contattato e rispetto al quale fungeva da intermediario per procurare i voti. Allo stesso ricorrente L. non aveva remora a confidare di trovarsi presso lo studio del difensore proprio nella congiuntura temporale della pendenza del giudizio d’appello avverso la sentenza OMISSIS . È, pertanto, infondato il rilievo sulla circostanza che il Tribunale avesse omesso di motivare sulla conoscenza tra i due soggetti anche alla luce del rinvenimento di una cambiale di 4000 Euro dell’impresa edile di L. presso il domicilio di G. e sulla mancanza di prova della consapevolezza da parte di G. del ruolo di L. . Si erano registrati, anche, diversi contatti con l’esponente di rilievo della cosca, tra il 7 marzo 2017 e il 24 gennaio 2020. G. e L. si erano sentiti almeno 200 volte e ciò era ulteriore indicatore di un’assidua frequentazione tra i due. Lo stesso servizio di osservazioneiche documentava la presenza di G. e di S.M. presso la segreteria politica del candidato a Reggio Calabria, e un accesso, che durava dalle 13 31 alle 14 10, confermavano che vi fosse uno stretto rapporto in funzione delle elezioni prossime allo svolgimento. L’incontro era organizzato proprio perché G. lo aveva anticipato a L. , nel presentarsi per rivolgere la richiesta di sostegno elettorale. In occasione dell’accesso presso la segreteria politica non era stata possibile alcuna intercettazione, poiché, L. stesso aveva provveduto a disattivare l’applicazione che avrebbe consentito l’ascolto e l’aveva riattivata solo il 3 marzo successivo. Il quattro marzo L. , dunque, istruiva un gruppo di soggetti affinché il voto venisse espresso a favore di S. questo è S. . Una croce e via . Dando istruzioni sul voto, ancora, L. , si è visto, indirizzava il consenso presentando il candidato e indicandolo come amico loro , attuando, così, l’impegno assunto. Si intende allora come non vi fosse stato nessun approccio congetturale sulla questione e come anche l’incontro presso la segreteria politica tra S. e L. , in un itinerario di coerenza logica, confermasse il cd. pactum sceleris. Nè vale il richiamo all’assenza di motivazione sul punto specifico che L. avesse dirottato voti verso il politico, in ragione della sua appartenenza, poiché, si è anticipato, egli dopo aver parlato della questione del sostegno elettorale chiesto da G. , nell’interesse di S. , affrontava la questione con N. , altro aderente e richiedeva i voti affermando che il candidato era amico loro . Quanto al metodo mafioso il Tribunale del riesame ha confermato che esso si sarebbe potuto ritenere anche implicito, proprio perché siglato con un esponente del clan che agiva per il gruppo. Non occorreva, pertanto, un esercizio di forza di intimidazione diretta, ma lo stesso rapporto e il pactum sceleris, attuato con un esponente mafioso, portava con sé il metodo anzidetto. Non vale, allora, sottolineare la mancanza di elementi concreti e di una specifica motivazione in fatto sull’impiego della forza di intimidazione. Ciò poiché,si è visto, questo aspetto della condotta è connaturato al tipo di interlocuzione che è avvenuto tra il ricorrente e L. ed è implicitamente ritratto dal comportamento successivo all’elezione che fa intendere il significato dell’impegno profuso per procurare voti all’esponente politico stesso Sez. 6, n. 18844 del 23/02/2018, Pignataro, non mass. Sez. 6, n. 9442 del 20/02/2019, PMT Zullo Dante, Rv. 275157 . Anche infondate risultano le deduzioni sulla mancanza di prova poiché nella specie, alla luce di quanto detto il provvedimento impugnato ha chiarito la ragione in forza della quale il patto avveniva non confrontandosi con il singolo, ma con il gruppo, pur non essendo, come anticipato, necessaria una prova specifica in tal senso, appartenendo L. indiscutibilmente ad una consorteria criminale e risultando elemento di vertice di essa. Il -tribunale ha escluso che si dovesse apprezzare il contatto sul piano esclusivamente personale svolgendo, come visto, un ragionamento immune da censure e valorizzando essenzialmente il contenuto delle conversazioni. A parte il richiamo al plurale, che la difesa assume utilizzato per designare4convocazione del L. da parte di altri, l’aspetto stesso risulta valorizzato, richiamando anche la presentazione del candidato a L. che lo indica come amico loro , aspetto con’ cui il ricorso non si confronta compiutamente e che vale a sorreggere il ragionamento articolato. Non a caso, dopo l’intervento di G. per la presentazione e la richiesta di voti, L. i rivolgeva, come spiegato, ad altro elemento del gruppo ‘ndranghetista, N. , proprio per segnalargli il candidato da votare. Nè il ricorso considera che il contenuto illecito del patto si ricava proprio dalla modalità di presentazione del candidato agli elettori cui siffatto cenno. L’indicazione che si trattasse di un amico loro, avvenuta dopo l’incontro presso la segreteria politica, postulava che in quella sede si fosse chiuso l’accordo illecito, poiché giammai L. avrebbe introdottb agli elettori il candidato con quella presentazione se non si fosse realizzato il cd. in idem placitum. I gruppi criminali tra le finalità tipiche hanno proprio quella di controllare le consultazioni elettorali e L. , proprio per il ruolo di vertice dell’area di riferimento, non avrebbe offerto nulla, nè si sarebbe impegnato nel procacciare voti se non gli fosse stata assicurata un’adeguata controprestazione. Risulta, pertanto, logicamente coerente la ricostruzione del Tribunale secondo cui la comunanza d’intenti ad oggetto illecito si fosse, appunto, chiusa proprio in occasione dell’incontro di presentazione del politico al capo clan. Non è un caso, del resto, che immediato era stato il contatto con N. , con cui discuteva della richiesta avanzatagli. Dopo l’elezione di S. , L. prendeva contatto con G. proprio per pressarlo e per ottenere un posto di lavoro per il figlio oltre che per il trasferimento di Z.A. , cugina di L.N. , altro elemento di spicco della criminalità di OMISSIS . Il trasferimento di Z. era una vicenda emblematica ed era attuato in maniera, osserva il Tribunale, irrituale essendo stata la donna dipendente delle Poste trasferita da [ ] a [ ]X, con creazione di un posto ad hoc e con l’intermediazione proprio di G. cui L. si era rivolto. La ragione per la quale si è logicamente ritenuto che L. si dovesse rivolgere a G. era evidente e si legava al precedente impegno elettorale che L. stesso, per conto della cosca, aveva prestato su richiesta di G. al politico di riferimento. Costui nella specifica congiuntura era stato attivato, invero, per far fronte al patto di riconoscenza che trovava fondamento nell’incontro avvenuto con lo stesso elettore. La prova del pactum dunque qui ha portata logico-materiale e si collega ad una serie di elementi in sequenza ritratti dalla qualità dei singoli e dai contenuti delle conversazioni telefoniche. Non si è, pertanto, come annotato in ricorso, sul piano congetturale, ma su quello di una ricostruzione supportata, ben oltre l’ipotesi investigativa, da elementi concreti correttamente valorizzati dal Tribunale della libertà che integrano la piattaforma dei gravi indizi di colpevolezza. Nè ha rilievo la circostanza relativa al numero delle preferenze conseguite dal candidato S. anche richiamate durante i colloqui , che costituiscono un post factum del tutto irrilevante, ai fini della configurabilità del delitto in argomento, aspetto che il provvedimento impugnato ha avuto chiaramente presente. L’illecito invero si consuma nel momento dello scambio delle promesse, a nulla rilevando l’eventuale mancato rispetto degli impegni assunti o la necessità che l’accordo si traduca nel compimento di atti specifici dopo l’elezione. Anche privi di decisività sono i riferimenti alla durata dell’incontro e alla mancanza di prova che il colloquio si fosse svolto per quaranta minuti e con un oggetto illecito. Sono particolari non risolutivi, non occorrendo affatto che il colloquio durasse 40 minuti e che i presenti si intrattenessero su temi illeciti. Anche un contatto di pochi minuti avrebbe, infatti, integrato il pactum sceleris in ragione dell’oggetto e degli argomenti trattati, interloquendo il candidato alle elezioni con il vertice di una locale di ‘ndrangheta. 3. Il secondo motivo è parimenti infondato. Quanto al requisito di autonoma valutazione e alla sua mancanza in relazione all’ordinanza del tribunale del riesame si deve ribadire che essa non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art. 292 c.p.p., comma 2, con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte , essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante In motivazione, la Corte ha precisato che, con riferimento ai provvedimenti cautelari diversi dall’ordinanza genetica ex art. 292 c.p.p., possono farsi valere unicamente i vizi della motivazione o la motivazione assente o apparente , Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019 dep. 2020 , Del Duca Michele, Rv. 278122 . Il Tribunale della libertà ha, contrariamente a quanto dedotto, affrontato la questione connessa al profilo delle esigenze cautelari ritenendo che fossero persistenti quelle collegate al pericolo di recidiva e che misura adeguata fosse quella degli arresti domiciliari in atto. Si trattava di un delitto caratterizzato dalla duplice presunzione relativa e gli elementi addotti -se non valorizzando l’incensuratezza di G. - non erano idonei a disarticolare il ragionamento sviluppato dal Tribunale della Libertà. Invero, si è osservato come il pericolo di reiterazione fosse concreto e attuale in ragione del legame di frequentazione che G. aveva con il vertice della criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista locale. L’intera vicenda in concreto, attestava un pericolo immutato e rendeva ininfluente il tempo trascorso dai fatti. In questa logica si è, pertanto, ritenuto corretto il giudizio di adeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari in atto a carico del ricorrente. Le deduzioni a discarico a parte la genericità tendono a richiedere una rivalutazione da parte di questa Corte del quadro cautelare, secondo un meccanismo per più versi anche inammissibile, risultando la motivazione priva di illogicità o di difetti idonei al sindacato di cassazione. Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.