Divieto di avvicinamento e specificazione dei luoghi oggetto del divieto: la questione alle Sezioni Unite

Nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282-ter c.p.p., il giudice deve necessariamente determinare specificamente i luoghi oggetto del divieto?

È la questione che la VI Sezione Penale ha rimesso alle Sezioni Unite con l’ordinanza n. 8077/21, depositata il 1° marzo. La questione è sorta dopo che il Tribunale di Palermo ha confermato l’ordinanza con cui il GIP aveva disposto ad un indagato il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla madre, persona offesa del reato provvisoriamente contestatogli ai sensi dell’art. 572 c.p La misura prevedeva inoltre il divieto di comunicare con la donna e l’obbligo di mantenere una distanza di almeno 300 metri . La difesa ha impugnato il provvedimento dinanzi alla Cassazione. Il Collegio ha sottolineato il contrasto giurisprudenziale in relazione all’interpretazione dell’ art. 282-ter, comma 1, c.p.p Da un lato, viene ritenuto legittimo il provvedimento che obblighi il destinatario a mantenere una certa distanza dalla persona ovunque essa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto , soprattutto laddove la condotta si caratterizzi proprio per la ricerca di un avvicinamento alla vittima come nei casi di stalking. Dall’altro lato, un diverso indirizzo giurisprudenziale fa leva sulla necessità che il giudice della cautela indichi i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa e di conseguenza soggetti ad inibitoria. Secondo tale soluzione interpretativa in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa che garantisce il giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza e minor sacrificio per l’indagato. Dato atto dei diversi orientamenti, la pronuncia ritiene di rimettere alle Sezioni Unite la questione se nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282 ter c.p.p., il giudice deve necessariamente determinare specificamente i luoghi oggetto di divieto .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 28 gennaio – 1 marzo 2021, n. 8077 Presidente Bricchetti – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo ha confermato quella emessa il 19 giugno 2020 dal G.i.p. dello stesso Tribunale con cui è stata imposta a G.T. la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla madre S.N. , persona offesa dal reato provvisoriamente contestatogli di cui all’art. 572 c.p., divieto assistito dalle ulteriori prescrizioni di non comunicare con la stessa e di mantenere la distanza di almeno 300 metri da lei. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, che deduce plurimi motivi di censura. Violazione e falsa applicazione dell’art. 292 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 572 c.p., riguardo all’assenza di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari nonché dello stesso Tribunale delle emergenze indiziarie in funzione del giudizio in fase cautelare. Violazione e falsa applicazione dell’art. 275 c.p.p., art. 192 c.p.p., comma 2, circa l’assenza di una congrua motivazione riferita ai gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato oggetto di provvisoria imputazione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 273 c.p.p., e art. 572 c.p., in relazione alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di maltrattamenti, in particolare dell’elemento soggettivo del reato. Violazione e falsa applicazione degli artt. 275, 292 e 282 ter c.p.p., e art. 572 c.p., in ordine alla mancata indicazione specifica dei luoghi rispetto ai quali vige il divieto di avvicinamento alla persona offesa. Considerato in diritto 1. Reputa il Collegio che la decisione del ricorso vada rimessa alle Sezioni Unite, posto che la risposta al quarto motivo di censura impone la soluzione di una questione ermeneutica relativa all’applicazione dell’art. 282 ter c.p.p., comma 1, su cui si registra un perdurante contrasto nella giurisprudenza di questa Corte. 2. Nel dichiarare infondata la doglianza relativa alla mancata indicazione specifica dei luoghi rispetto ai quali vige il divieto di avvicinamento alla persona offesa, il Tribunale di Palermo ha stabilito che deve ritenersi legittimo il provvedimento reso ai sensi dell’art. 282 ter c.p.p., che obblighi il destinatario della misura a mantenere una certa distanza dalla persona, ovunque questa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto, allorquando la condotta si connoti per una persistente ricerca di avvicinamento alla vittima. Tale principio, affermato soprattutto dalla giurisprudenza formatasi sul reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., ha trovato espressione in plurime pronunce della Quinta Sezione Sez. 5, n. 18139 del 26/03/2018, Rv. 273173 Sez. 5, n. 28677 del 14/03/2016, C., Rv. 267371 Sez. 5, n. 48395 del 2014, Rv. 264210 Sez. 5, n. 36887 del 2013, Rv. 257184 Sez. 5, n. 19552 del 2013, Rv. 255113 Sez. 5, n. 19552 del 2013, Rv. 255512 Sez. 5, n. 13568 del 2012, Rv. 253297 Sez. 5, n. 13568 del 16/01/2012, Rv. 253296 ed altre e riscontro anche in una decisione di questa Sesta Sezione Sez. 6, n. 42021 del 13/09/2016, C., Rv. 267898 e vede come corollario l’affermazione che la specificazione dei luoghi trova giustificazione solo quando le modalità della condotta non manifestino un campo di azione che esuli dai luoghi che costituiscono punti di riferimento della vita, dovendo invece il divieto di avvicinamento essere riferito alla stessa persona offesa e non ai luoghi dalla stessa frequentati ove la condotta di cui si teme la reiterazione si connoti per la persistente e invasiva ricerca di contatto con la vittima, ovunque questa si trovi Sez. 5, n. 30926 del 08/03/2016, S., Rv. 267792 . Come tempestivamente segnalato dal Massimario di questa Corte nella relazione n. 11 del 2014 avente ad oggetto il contrasto interpretativo appena insorto, è stata l’evoluzione normativa contrassegnata dall’introduzione della figura di reato di atti persecutori D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 7, convertito dalla L. 23 aprile 2009, n. 38 e dalla conseguente necessità di adeguare la misura del divieto di avvicinamento di cui all’art. 282 ter c.p.p., comma 1, D.L. n. 11 del 2009, art. 9, cit. ad avere indotto tale filone giurisprudenziale a modulare sulla persona fisica della vittima del reato e non sui luoghi dalla stessa frequentati il contenuto delle prescrizioni accessorie al divieto di avvicinamento, atteso che nelle relative fattispecie la condotta oggetto della temuta reiterazione assume spesso i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in quanto tale. L’imposizione in tale situazione di una predeterminazione dei luoghi comporterebbe, infatti, una inammissibile limitazione del libero svolgimento della vita sociale ella persona da proteggere, che viceversa costituisce precipuo oggetto di tutela della norma. Tale opzione interpretativa non sarebbe del resto contrastante con le previsioni della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio U.E. n. 2001 del 13 dicembre 2011, in tema di ordine di protezione Europeo, posto che l’art. 5, lett. c , che contempla il divieto di avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito, si attaglia pienamente alla previsione dell’art. 282 ter c.p.p., richiedendo unicamente che sia definito il perimetro all’interno del quale scatta la protezione. Non essendo, però, sempre possibile adottare tale prescrizione, a causa della possibilità che agente del reato e persona offesa vengano occasionalmente in contatto, risulta ragionevole ed anche più garantista per il soggetto gravato dal divieto, imporre a quest’ultimo di avvicinarsi ai normali recapiti della vittima e ferma restando la sua libertà di recarsi in ogni altro luogo, di allontanarsene nel caso in cui incontri, anche prevedibilmente, la persona da tutelare. L’interpretazione propugnata si collocherebbe, infine, nel solco dello adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva 2011/99/UE in tema di ordine di protezione Europeo, avvenuto con l’emanazione del D.Lgs. 11 febbraio 2015, n. 9, atteso che tra le misure poste a base dell’ordine di protezione vi è anche il divieto di cui all’art. 282 ter c.p.p., che risulta particolarmente efficace ove adottato in forma rafforzata. 4. Permane, tuttavia, il contrasto all’interno della stessa Quinta Sezione Sez. 5 n. 27798 del 04/04/2013, S., Rv. 257697 Sez. 5, n. 28225 del 26/05/2015, F., Rv. 265297 Sez. 5, n. 5664 del 10/12/2014, B., Rv. 262149 ed altre nonché rispetto ad alcune decisioni di questa Sesta Sezione, centrate queste ultime in prevalenza sulla diversa figura di reato di maltrattamenti Sez. 6, n. 8333 del 22/01/2015, R., Rv. 262456 Sez. 6, n. 14766 del 18/03/2014, F., Rv. 261721 Sez. 6, n. 26819 del 07/04/2011, C. Rv. 250728 iniziatrice del diverso indirizzo , sul tema della necessità per il giudice della cautela di indicare i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa soggetti a inibitoria. Secondo tale orientamento ermeneutico, infatti, la specificazione dei luoghi s’impone al fine di consentire al provvedimento di assumere una conformazione completa, che ne favorisca l’esecuzione e agevoli il controllo delle prescrizioni funzionali al tipo di tutela che si intende assicurare. Completezza e specificità del provvedimento costituiscono, inoltre, garanzia del giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, imperniate sulla tutela della vittima e minor sacrificio della persona sottoposta ad indagini v. più diffusamente la relazione del Massimario n. 19 del 2016 attestante la persistenza del contrasto . 5. Il Collegio osserva che, a parte i condivisibili argomenti che sostengono il primo orientamento e la necessità che la misura sia calibrata sulla situazione di fatto che si intende tutelare, la lettera della legge non offre indicazioni dirimenti circa la correttezza e l’adeguatezza dell’una o dell’altra opzione interpretativa. L’art. 282 ter c.p.p., comma 1, - sostanzialmente replicato nella sua struttura dal comma 2, riferito ai prossimi congiunti della persona offesa o dalle persone con questa conviventi o comunque ad essa legate da relazione affettiva - stabilisce che con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis. L’impiego della congiunzione o” non appare, infatti, decisivo nè per sostenere che quando il divieto di avvicinamento riguardi la persona fisica del soggetto tutelato dalla misura, possa prescindersi dalla indicazione dei luoghi da questi abitualmente frequentati nè per affermare che quella indicazione debba indefettibilmente accompagnare la prescrizione del divieto di avvicinamento. È pertanto in relazione alle concrete esigenze di tutela che si vogliono garantire con l’imposizione della misura, in rapporto alle peculiari modalità di esplicazione delle condotte illecite e particolarmente al loro profilo statico o dinamico nonché al tipo di reato configurabile è d’uopo pensare come poli terminali della riflessione alle due figure paradigmatiche degli artt. 572 e 612 bis c.p. che dovrà misurarsi lo sforzo interpretativo, non necessariamente in termini di alternatività delle indicate opzioni, bensì con l’adozione delle opportune precisazioni circa i limiti di applicazione delle prescrizioni secondo le necessità richieste dalla specificità del caso. Questa sembra essere del resto la prospettiva di una decisione di questa Sesta Sezione a suo tempo segnalata dal Massimario nella citata relazione n. 19 del 2016. Definita nella relazione di tipo intermedio la SQZ. 6, n. 28666 del 23/06/2015, J.A.K.W.S. non massimata afferma, infatti, che l’art. 282 ter c.p.p., consente di modulare il divieto di avvicinamento sia guardando ai luoghi frequentati dalla vittima che prendendo come parametro di riferimento direttamente il soggetto che ha patito l’azione delittuosa, potendo l’iniziativa cautelare essere strutturata imponendo all’indagato di tenersi ad una certa distanza dalla vittima . La pronuncia prosegue che non si tratterebbe di due misure diverse ma di un’unica misura con contenuto flessibile da declinare a seconda delle esigenze di neutralizzazione del rischio di reiterazione imposte dal caso di specie . Quando il provvedimento si limiti a fare riferimento alla persona offesa e non anche ai luoghi da questa frequentati, non è necessario delimitare, attraverso l’indicazione di luoghi ben individuati, il perimetro di operatività del divieto viceversa quando il provvedimento faccia anche riferimento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, il divieto di avvicinamento deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali è inibito l’accesso all’indagato . 6. Per tutte le ragioni che precedono si reputa, dunque, necessario rimettere alle Sezioni Unite di questa Corte la questione Se nel disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, ex art. 282 ter c.p.p., il giudice deve necessariamente determinare specificamente i luoghi oggetto di divieto . P.Q.M. rimette il ricorso alle Sezioni Unite.