La Cassazione torna a pronunciarsi sul c.d. Caso Contrada: ci sarà un ulteriore grado di giudizio della procedura di riparazione

I Giudici di legittimità, sollecitati da due articolati ricorsi, si esprimono in relazione ad una vicenda che s’è caratterizzata, oltre che per il lunghissimo percorso processuale, per gli interventi delle Corti regolatrici, nazionale ed europea, ed ha consolidato compositi principi di diritto, che regolano a tutt’oggi il campo dell’ingiusta detenzione.

Nella fattispecie, peraltro, lo fanno imponendo una nuova prosecuzione territoriale che, dovendosi concretare in un giudizio indirizzato a risolvere rilevanti temi di merito, non è escluso possa dare la stura” all’ennesima impugnazione, di chi potrà ancora censurare, avendone interesse e navigando in una materia complessa, il prossimo punto d’arrivo. Il caso. Il giudizio a quo è di certo noto al lettore e, per ragioni di sintesi, se ne ometterà un analitico riepilogo doverosamente svolto nelle prime cinque pagine della sentenza . In quest’ottica, sarà sufficiente collocarsi a valle dell’ordinanza della II Sezione Penale della Corte d’Appello di Palermo che, nel Novembre 2019, aveva liquidato al richiedente la somma di € 667.000 – dei quali € 507.000 per gli otto anni complessivamente trascorsi in custodia, € 50.000 per il danno non patrimoniale diretto morale, reputazionale e biologico ed € 110.000 per il pregiudizio subito a causa delle sofferenze patite dai figli e dalla moglie – a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione patita nell’inchiesta svolta nei suoi confronti per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso con motivazione depositata il 6/4/2020 e già commentata in questa Rivista cfr. La Corte d’Appello di Palermo torna a pronunciarsi sul caso Contrada” . Hanno proposto ricorso per Cassazione sia il Procuratore generale presso la locale Corte d’Appello, sia, per il tramite dell’Avvocatura generale, il Ministero dell’Economia e delle Finanze. I due atti, pur connotati da una prospettiva strutturalmente diversa, s’accomunano per la natura di alcune doglianze, contestando violazione di legge processuale e carenze della parte motiva dovute ad un’erronea lettura del dictum europeo, che avrebbe trascurato come l’intervento del giudice in executivis sia possibile solo per rimuovere effetti penali diversi dall’espiazione della pena detentiva, rendendo contraddittorio il richiamo all’istituto ripristinatorio assenza di motivazione, con riguardo alla valutazione della colpa grave o lieve dell’interessato che, con diversi gradi di incidenza su an o quantum debeatur , avrebbe dovuto essere attentamente apprezzata anche in forza dell’insegnamento sovranazionale violazione di legge sostanziale e processuale, per aver considerato il danno d’immagine una posta risarcitoria diversa e non ricompresa nella liquidazione per l’ingiusta detenzione, in questo modo sostenendone la natura non onnicomprensiva error in procedendo , per la mancata pronunzia circa l’eccezione di formazione di precedente giudicato dedotta dalla difesa del Dicastero. L’Inquirente, poi, denuncia pure l’asserita abnormità del provvedimento, nella parte in cui ha ritenuto di invocare questioni esecutive nel contrasto della previsione tabellare e, altresì, con modalità incoerenti rispetto alla sequenza procedimentale de quo. La sentenza. Il Collegio, su parere conforme del Procuratore generale sostenuto anche con requisitoria scritta accoglie i ricorsi – ritenendo infondato il primo motivo dedotto dalla Procura generale palermitana ed assorbiti quelli inerenti l’entità del ristoro concesso – annullando l’ordinanza e rinviando alla Corte d’Appello di Palermo per una nuova fase, in cui si tenga conto delle indicazioni fornite. L’Estensore riesce nell’arduo compito di compendiare una storia processuale decisamente strutturata, fornendo le coordinate iniziali indispensabili ad assicurare la tenuta logica dell’iter motivo, che descrive in modo organico le soluzioni cui si è giunti sulle numerose lacune indicate dalle parti, tracciando la via da seguire in sede di rinvio. Le molteplici criticità dell’ordinanza. Ed infatti, il provvedimento censurato risente, secondo gli Ermellini, di differenti vizi, giuridici e logici. In primis , sotto il profilo strettamente processualpenalistico, viene impropriamente esteso l’incidente di esecuzione ad una domanda estranea al rapporto già esaurito, illogicamente escluso il ricorso all’istituto della riparazione che riguarda pure l’espiazione pena ed è dotato di un orizzonte non così riduttivo , superato, con la somma assegnata, il tetto massimo normativamente previsto per l’azione radicata in proposito, si cita Cass., SS. UU. Pen., 9/5/2001, n. 24287 ed erroneamente applicata la compensazione delle spese, operativa nella sede civile, esclusa dagli stessi decisori con la qualificazione della richiesta come incidente d’esecuzione. Secondariamente, l’ordinanza non si pronuncia sulla sussistenza di dolo, colpa grave o colpa lieve dell’istante, elementi soggettivi capaci di escludere o ridurre l’entità della riparazione, determinando l’assorbimento degli altri motivi in punto di quantum. Le mancanze dell’iter motivo. Con riguardo alla determinazione della somma da liquidare, inoltre, il sillogismo giudiziale da conto di una riflessione aggiuntiva, certamente interessante per l’operatore del diritto. Più in dettaglio, analizzando i relativi motivi – parzialmente sovrapponibili – dei ricorsi, gli Ermellini chiariscono come non ci si trovi in presenza di c.d. motivazione implicita, poiché nel testo non si rinvengono neppure le ragioni che, nel complessivo contesto della spiegazione fornita, rispondono a specifici interrogativi posti ai giudici di merito dai ricorrenti, pur senza illustrarli espressamente tecnica espositiva che sarebbe invece ammissibile, come statuito, da ultima, da Cass., Sez. I Pen., 12/2/2019, n. 12624, RV. 275057-01 . Conclusioni. La decisione in analisi fornisce nuova linfa ad un caso di cronaca che da tempo impegna la giurisdizione e gli interpreti, per l’ampio contraddittorio, sostanziale e procedurale, che lo ha caratterizzato e lo caratterizza. Al netto dell’epilogo della singola vicenda, tuttavia, ciò che più conta per il giurista pratico sono le i principi enucleati, di volta in volta, dalle Corti Supreme che lo hanno trattato, la cui applicabilità estesa ha consentito – e consentirà – di pronosticare in modo più affidabile, per coloro che potrebbero ambire all’accertamento dell’ingiustizia della detenzione subita, l’effettiva esperibilità o convenienza dei rimedi apprestati dall’ordinamento.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 gennaio – 25 febbraio 2021, n. 7436 Presidente Piccialli – Relatore Cenci Ritenuto in fatto 1. La Procura generale della Corte di appello di Palermo ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze ricorrono per la cassazione dell’ordinanza con cui la Corte di appello di Palermo, Sez. 2 penale, il 12 novembre 2019 - 6 aprile 2020, in parziale accoglimento dell’istanza avanzata da C.B. il 3 luglio 2019, ha liquidato a favore del richiedente la somma di 667.000,00 Euro a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione patita nel procedimento penale avviato nei sui confronti per la ritenuta violazione degli artt. 110 – 416 – 416 bis c.p 2. Trattandosi di vicenda assai complessa, per una migliore comprensione appare opportuno ripercorrere i passaggi essenziali, traendo informazioni dalle memorie delle parti, dai documenti versati in atti e dalle motivazioni del provvedimento impugnato, della decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo da ora in poi, per brevità, Corte EDU del 14 aprile 2015 e delle sentenze di legittimità via via richiamate. 2.1. Ebbene, il Tribunale di Palermo con sentenza del 5 aprile 1996 ha condannato C.B. alla pena di dieci anni di reclusione, oltre alla interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’applicazione della misura di sicurezza di tre anni di libertà vigilata, a pena espiata, siccome ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 110, 416 e 416 bis c.p., per avere, tra il 1979 e il 1988, in qualità di funzionario della Polizia di Stato, di capo di gabinetto dell’alto commissario per la lotta alla mafia e di vicedirettore del servizio segreto civile Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica acronimo S.I.S.De. , fornito un contributo sistematico alle attività e al perseguimento degli scopi illeciti dell’associazione mafiosa denominata cosa nostra . 2.2. Proposta impugnazione da parte dell’imputato e del Procuratore della Repubblica, la Corte di appello di Palermo il 4 maggio 2001 ha assolto C.B. dal reato ascrittogli, perché il fatto non sussiste. 2.3. Su ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Palermo, la Corte di cassazione, Sez. 2, con sentenza n. 15756 del 12 dicembre 2002, dep. 2003, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo. Decidendo in sede di rinvio, la Corte di appello di Palermo il 25 febbraio 2006 ha confermato la decisione di condanna del Tribunale il 10 maggio 2007 la S.C., Sez. 6, con sentenza n. 542/2007, dep. 2008 Rv. 238241-01, 238242-01, 238243-01 , ha rigettato il ricorso della difesa, determinando l’irrevocabilità della pronuncia. 2.4. La Corte EDU, adita da C.B. , con decisione del 14 aprile 2015 ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art. 7 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per brevità, CEDU . In particolare, si è ritenuto che la fattispecie del concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso fosse chiara e prevedibile solo a partire dal 1994 - ovvero dal momento in cui è intervenuta la prima delle sentenze chiarificatrici delle Sezioni unite in questa materia, Sez. U, n. 16 del 05/10/1994, Demitry, Rv. 199386-01, riconoscendo, per il periodo successivo, la correttezza della configurazione dell’istituto in questione, così come elaborata dalle Sezioni unite Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671-01 . In particolare, la Corte EDU ha censurato la condanna emessa nei confronti di C. sotto il profilo della conoscibilità temporale del reato per il quale l’imputato era stato condannato, osservando, nel paragrafo n. 72 della sentenza, che la Corte di appello di Palermo pronunciandosi sull’applicabilità della legge penale in materia di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, si è basata sulle sentenze Demitry, n. 16 del 5 ottobre 1994, Mannino n. 30 del 27 settembre 1995, Carnevale, n. 22327 del 30 ottobre 2002 e Mannino, n. 33748 del 17 luglio 2005 LI tutte posteriori ai fatti ascritti al ricorrente . 2.5. A seguito di tale pronuncia la difesa di C. ha attivato due distinti percorsi di tutela il giudizio di revisione davanti alla Corte di appello di Caltanissetta e l’incidente di esecuzione dinanzi alla Corte di appello di Palermo. 2.5.1. Il giudizio di revisione - nuovamente - instaurato da C. tre precedenti istanze di revisione, proposte in epoca antecedente alla richiamata decisione della Corte EDU, erano state dichiarate inammissibili dalla Corte territoriale davanti alla Corte di appello di Caltanissetta è stato rigettato con sentenza del 18 novembre 2015, essendosi ritenuto che la decisione della Corte EDU del 14 aprile 2015 non influisse sulle fonti di prova sulla base delle quali l’imputato era stato condannato, anche in considerazione delle peculiari funzioni professionali svolte dall’istante all’epoca dei fatti, che imponevano di ritenere che lo stesso fosse consapevole dell’applicabilità dell’istituto del concorso di persone ex art. 110 c.p., anche alla fattispecie dell’art. 416 bis c.p La difesa di C.B. , quindi, ha proposto ricorso per Cassazione, cui però ha in seguito rinunziato, sicché la Corte di cassazione, Sez. 5, con sentenza n. 9439 del 20/01/2017 ne ha dichiarato l’inammissibilità. 2.5.2. Il parallelo percorso defensionale attivato - incidente di esecuzione dinanzi alla Corte di appello di Palermo - è stato deciso con ordinanza di inammissibilità dell’11 ottobre 2016, che, su ricorso di C. , è stata annullata senza rinvio dalla sentenza di Sez. 1, n. 43112 del 06/07/2017. Nell’occasione, la Corte di cassazione ha dichiarato ineseguibile ed improduttiva di effetti penali , a seguito della decisione della Corte EDU del 14 aprile 2015, la sentenza che era stata emessa nei confronti di C.B. dalla Corte di appello di Palermo il 25 febbraio 2006, confermativa della condanna inflitta dal Tribunale irrevocabilità in data 10 maggio 2007 . In motivazione la S.C. ha affermato i seguenti principi di diritto La previsione dell’art. 46, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nelle ipotesi di violazione delle norme del testo convenzionale, impone al giudice nazionale, limitatamente al caso di cui si controverte, di conformarsi alle sentenze definitive della Corte Europea dei diritti dell’uomo e di eliminare fin dove è possibile le conseguenze pregiudizievoli della violazione riscontrata, con riferimento non soltanto alla pena principale - nel caso di specie interamente scontata - ma anche agli effetti penali ulteriori della condanna. Fattispecie nella quale il giudice dell’esecuzione si era sottratto all’obbligo conformativo adducendo che la decisione della Corte Europea non forniva alcuna indicazione sugli strumenti processuali utilizzabili per consentire all’ordinamento italiano di adempiervi Rv. 273905-01 L’incidente di esecuzione regolato dagli artt. 666 e 670 c.p.p., costituisce strumento appropriato per l’attuazione di una decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo quando questa non impone la riedizione del processo per violazione dell’art. 6 della Convenzione, realizzabile con lo strumento della revisione Europea Corte Cost. n. 113 del 2011 , ma la mera rimozione degli effetti pregiudizievoli della condanna, alla quale il giudice dell’esecuzione è senz’altro abilitato fino a quando non si sia esaurito il rapporto esecutivo. Fattispecie relativa alla violazione dell’art. 7 della Convenzione, ritenuta dalla Corte Europea per l’asserita imprevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, riportata dal ricorrente in relazione a fatti commessi prima della sentenza S.U. n. 16/1994, Demitry Rv. 273906-01 . 3. Ciò premesso, la struttura dell’ordinanza della Corte di appello di Palermo del 12 novembre 2019 - 6 aprile 2020, oggi impugnata, è la seguente riassunto della complessiva vicenda processuale di C.B. e delle richieste dallo stesso avanzate alla Corte di merito pp. 1-10 ricostruzione delle posizioni e delle richieste delle parti pp. 10-25 decisione di accoglimento pp. 25-31 , in cui, dopo aver escluso sia l’applicabilità dell’istituto della riparazione dell’errore giudiziario ex art. 643 c.p.p., p. 27 sia la necessità, sottolineata dalla difesa in linea subordinata, di sollevare questione di costituzionalità in quanto ritenuta non rilevante pp. 27-28 , la Corte territoriale ha dichiarato non potersi fare ricorso all’istituto di cui agli artt. 314 - 315 c.p.p., affermando Escluso, infine, resta il rimedio di cui all’art. 314 c.p.p., che, attenendo alla custodia cautelare sofferta, ha portata particolarmente riduttiva rispetto agli ulteriori danni causati dal C. dall’ingiusta condanna . , così alla p. 29 ed ha affermato di dover decidere attraverso lo strumento disciplinato dagli artt. 666 e 670 c.p.p., ossia il procedimento di esecuzione, come già ritenuto dalla S.C. nella sentenza, che è richiamata espressamente sul punto, di Sez. 1, n. 43112 del 06/07/2017 pp. 29-30 liquidazione a C.B. della somma di 507.000,00 Euro per la complessiva permanenza in carcere ed in detenzione domiciliare Sulla base dei noti parametri utilizzati anche ai sensi dell’art. 315 c.p.p. così alla p. 31 dell’ordinanza e dispositivo , aggiungendo ad essa a titolo equitativo nessun altro parametro di riferimento essendo possibile utilizzare altri 50.000,00 Euro per l’ulteriore danno non patrimoniale subito da C.B. , quale, ad esempio, il danno all’immagine, per l’intera vicenda personale altri 50.000,00 Euro a causa del danno subito dallo stesso a causa delle sofferenza del figlio A. altri 30.000,00 Euro a causa del danno subito dallo stesso a causa delle sofferenza del figlio G. altri 30.00,00 Euro per il danno subito dal richiedente per le sofferenze patite dalla moglie, nel frattempo deceduta p. 31 e così sino a complessivi 667.000, Euro p. 32, dispositivo decisione di compensazione delle spese tra le parti, attesa la difficoltà interpretativa ed applicativa delle norme e dei principi sopra richiamati p. 31 . 4.Ricorrono, come anticipato, per la cassazione di tale ordinanza la Procura generale della Corte di appello di Palermo ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, affidandosi a quattro motivi ciascuno, con cui denunziano violazione di legge, sotto vari profili, e difetto di motivazione, anche per mancanza dell’apparato giustificativo e per omissione di pronunzia. 5. Il ricorso della Procura generale si articola come segue. 5.1. Con il primo motivo lamenta la ritenuta abnormità di cui si richiama la nozione secondo consolidata giurisprudenza del provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto di ricorrere allo strumento di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p., anche in violazione della previsione tabellare, sia per la - ritenuta incongruenza rispetto alla sequenza procedimentale da cui è derivato, sia con riferimento alla - censurata - assoluta atipicità ed incoerenza logica e sistematica del contenuto dispositivo. 5.2. Con il secondo motivo censura la ritenuta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 666 e 670 c.p.p Il ragionamento della Corte di merito prenderebbe le mosse, ad avviso del P.G., da un’erronea interpretazione dei principi di diritto enunciati dalla S.C. nella decisione di Sez. 1, n. 43112 del 06/07/2017, con cui è stata dichiarata ineseguibile ed improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna della Corte di appello di Palermo nei confronti di C.B. del 25 febbraio 2006. Richiamati i passaggi motivazionali essenziali della sentenza in questione, sottolinea il ricorrente p. 7 che l’obbligo di conformazione della sentenza della Corte EDU impone al giudice nazionale l’eliminazione dei soli effetti penali ulteriori e diversi rispetto a quelli connessi all’esecuzione della pena principale , pena che C.B. ha terminato di espiare nell’ottobre 2012. In definitiva, ad avviso del P.G. di Palermo, l’intervento del giudice dell’esecuzione sarebbe possibile, sulla scia della richiamata sentenza di Sez. 1, n. 43112 del 06/07/2017, e, soprattutto, dell’insegnamento, quanto alla effettiva portata degli artt. 666 e 670 c.p.p., che si trae da Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, P.M. in proc. Gatto in tema di consumazione del rapporto esecutivo, soltanto per rimuovere gli effetti penali diversi dall’esecuzione della pena detentiva, mentre quando, come nel caso di specie, la pena inflitta, giudicata convenzionalmente illegittima, sia stata integralmente espiata, viene meno in rerum natura la possibilità di una restituitio in integrum del ricorrente attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione così alla p. 9 dell’impugnazione . 5.3. Con il terzo motivò il P.G. territoriale si duole della inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 314 e 315 c.p.p Il ricorrente conviene sulla impossibilità di ricorrere all’istituto di cui all’art. 643 c.p.p., e prende atto della ritenuta irrilevanza della questione di costituzionalità prospettata dalla difesa di C. con riferimento all’art. 643 c.p.p., rispetto ai parametri di cui agli artt. 3, 24 e 117 Cost., nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina della riparazione per errore giudiziario in relazione all’ipotesi di sentenza di condanna dichiarata inefficace a seguito di una sentenza della torte EDU. Ciò posto, ritiene la Procura generale che la Corte di merito abbia escluso erroneamente l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 314 c.p.p., in quanto l’istituto prevede non soltanto i danni derivanti dalla custodia cautelare ma anche quelli derivanti dalla esecuzione della pena. Ulteriore errore di diritto consisterebbe nell’avere considerato il danno non patrimoniale all’immagine e quelli per effetto delle sofferenza patite dai figli e dalla moglie ulteriori e diversi da quelli che sono già compresi nella liquidazione prevista dall’art. 315 c.p.p 5.4. Il Procuratore generale di Palermo con l’ultimo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultanti dal testo dell’ordinanza impugnata, sotto vari profili, che si indicano in sintesi. 5.4.1. In primo luogo, sottolinea la mancanza di motivazione quanto al precedente giudicato sul risarcimento dei danni lamentati da C.B. , già liquidati dalla sentenza della Corte EDU dell’8 aprile 2015, ai punti nn. 78-81, che ha condannato lo Stato italiano al pagamento al richiedente di diecimila Euro a titolo di danno morale. 5.4.2. Lamenta inoltre che la Corte di appello di Palermo avrebbe creato per via giurisprudenziale un istituto che esula dal novero degli strumenti processuali riconosciuti dall’ordinamento vigente per ottenere riparazione dei danni provocati da attività giudiziaria, così tradendo la premessa - posta all’origine del suo ragionamento - in ordine alla tassatività delle ipotesi legislativamente previste, non suscettibili di analogia proprio in ragione della loro natura eccezionale così alla p. 13 del ricorso . 5.4.3. Ancora il provvedimento impugnato sarebbe, ad avviso del Requirente, manifestamente illogico, non comprendendosi a che titolo la Corte di merito abbia stabilito di liquidare la complessiva somma di 667.000,00 Euro, tra l’altro, prima, escludendo di potere ricorrere all’art. 315 c.p.p., p. 29 ma, poi, contraddittoriamente, ricorrendovi in maniera espressa p. 31 . 5.4.4. In ogni caso, la decisione giudiziale avrebbe omesso qualsiasi accertamento circa la sussistenza di eventuali cause ostative al riconoscimento del diritto all’equa riparazione. Si sottolinea, in particolare, la compatibilità alle norme della Convenzione EDU della disciplina interna sulla riparazione per ingiusta detenzione, richiamando la giurisprudenza della S.C. di cassazione Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, Farris e altro, Rv. 245311-01 secondo la quale In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, non si pone in contrasto con l’art. 5, par. 5 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo la previsione dell’art. 314 c.p.p. che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, posto che l’indennizzo, come previsto dalla fonte sopranazionale citata, spetta soltanto a chi sia stato vittima di una detenzione in violazione dell’art. 5 cit. Nell’affermare tale principio, la Corte ha altresì rilevato che una diversa interpretazione della norma internazionale finirebbe per contraddire il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e comportare una violazione dell’art. 2 Cost. . 6. Il ricorso dell’Avvocatura erariale si affida a quattro motivi di doglianza. 6.1. Con il primo lamenta inosservanza degli artt. 666 e 670 c.p.p., violazione dell’art. 112 c.p.c., e mancanza e contraddittorietà della motivazione. In tal senso si evidenzia che la Corte di appello, in maniera contraddittoria, dopo avere richiamato gli artt. 667 e 670 c.p.p., in assenza di espressa domanda del ricorrente, e pur essendo stato convenuto il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha richiamato in dispositivo gli artt. 314 - 315 c.p.p Inoltre, errato e fuorviante sarebbe il richiamo, alla p. 30 dell’ordinanza, alla recentissima decisione di Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054-01-02, essendosi ritenuto di rintracciare in essa il principio dell’obbligo giuridico per lo Stato non soltanto di versare le somme attribuite dalla Corte EDU a titolo di equa soddisfazione ai sensi dell’art. 41 del regolamento EDU ma anche di adottare ogni misura a contenuto ripristinatorio idonea ad eliminare il pregiudizio subito dal ricorrente in realtà, il senso della decisione invocata è quello di escludere che la decisione della Corte EDU nel caso C. abbia i caratteri della sentenza-pilota , trattandosi invece - si sottolinea - di una decisione ritenuta, sotto più profili, peculiare. 6.2. Con il secondo motivo l’Avvocatura dello Stato censura ulteriore violazione di legge artt. 666 e 314 c.p.p. e mancanza e/o contraddittorietà della motivazione, sotto un duplice profilo. 6.2.1. In primo luogo, l’ordinanza impugnata, pur partendo dalla premessa dell’inapplicabilità nel caso di specie dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, ne richiama contraddittoriamente la disciplina ai fini della quantificazione dell’indennizzo. Sul punto svolge, in sostanza, le medesime considerazioni della Procura generale. 6.2.2. Sotto l’ulteriore profilo, la decisione impugnata sarebbe in violazione dell’art. 314 c.p.p., avendo omesso di valutare, pur essendovi tenuta, la condizione di carattere negativo dell’assenza di dolo o colpa grave che abbiano dato causa all’errore. 6.3. Mediante l’ulteriore motivo il Ministero ricorrente si duole della violazione dell’art. 314 c.p.p., artt. 1227 e 2056 c.c., e di omessa motivazione sul punto della quantificazione dell’indennizzo. Nonostante la specifica eccezione dell’Avvocatura erariale nella memoria depositata, la Corte di appello nòn si è pronunziata, così incorrendo nel vizio di omissione di pronunzia, sul tema della sussistenza di un’eventuale colpa lieve del Dott. C. , colpa lieve che, secondo costante insegnamento di legittimità, avrebbe potuto avere rilevo nella determinazione del quantum debeatur. 6.4. Con l’ultimo motivo di ricorso, analogamente al quarto motivo della Procura generale v. punto n. 5.4.1. , si denuncia omissione di pronuncia circa la eccezione di formazione di un precedente giudicato che era stata svolta dalla difesa erariale in relazione alla già avvenuta attribuzione da parte della Corte EDU della somma di diecimila Euro al ricorrente quale equa soddisfazione ex art. 41 della CEDU, con contestuale rigetto di tutte le ulteriori richieste risarcitorie, compresa quella avente ad oggetto la ricostruzione della carriera, sottolineando che l’amministrazione da cui dipendeva C.B. ha provveduto alla ricostruzione della carriera, anche con rideterminazione dell’importo pensionistico adeguato alla qualifica restituita. Entrambi i ricorrenti chiedono, dunque, l’annullamento dell’ordinanza. 7. Il Procuratore generale della S.C. nella propria requisitoria scritta ex art. 611 c.p.p., dell’1-5 novembre 2020 ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza, così argomentando quanto al primo motivo del Procuratore generale di Palermo, esso appare al P.G. di legittimità non condivisibile poiché, alla stregua dell’orientamento della S.C. che si richiama Sez. 1, n. 12484 del 01/02/2007, Merico ed altro, Rv. 236383-01 , la competenza appartiene all’Ufficio giudiziario nel suo complesso, non attenendo le previsioni tabellari alla capacità nè alla competenza del giudice quanto agli altri motivi del P.G. e dell’Avvocatura dello Stato con la sola eccezione di cui si dirà , il P.G. della S.C. ritiene gli stessi fondati per le considerazioni svolte alla pp. 3-8 della requisitoria, adesive, con alcune puntualizzazioni ritenute opportune, rispetto agli argomenti dei ricorrenti quanto, infine, alla ultima questione sollevata dal Ministero, relativa alla ritenuta sussistenza di una illegittima duplicazione, si ritiene l’assunto infondato, in quanto l’ equa soddisfazione di cui all’art. 41 della C.E.D.U. non sarebbe in rapporto di esclusione con eventuali rimedi apprestati dall’ordinamento nazionale nè vi sarebbe integrale sovrapponibilità tra i pregiudizi presupposto dell’equa riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., ed i danni richiesti di cui ai parr. nn. 78 e 78 della decisione della Corte EDU del 14 aprile 2015 fermi gli obblighi di fornire adeguata motivazione e di tenere conto di quanto già riconosciuto. 8. Con ampia memoria pervenuta in Cancelleria il 30 dicembre 2020 la difesa di C.B. ha replicato alle argomentazioni svolte nei ricorsi chiedendo la declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto degli stessi, sottolineando la competenza della Corte di appello di Palermo, quale Ufficio giudiziario, e la non abnormità del provvedimento. Ha evidenziato l’insussistenza della violazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. richiamati nell’ordinanza impugnata. Quanto alle pretese condotte gravemente colpose o dolose di C.B. , che sarebbero ostative al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, il ricorrente ha sottolineato che la sentenza di condanna è stata cancellata dalla Corte EDU e che ha perso ogni efficacia ed autorità sul piano giudiziario. Si dà altresì atto che il difensore di C. ha ulteriormente replicato alle requisitoria del P.G. con memorie pervenute alla Cancelleria della Corte di cassazione il 4 gennaio 2021 ed il 12 gennaio 2021, insistendo nelle conclusioni già rassegnate. Considerato in diritto 1. Entrambi i ricorsi sono fondati. 2. Va, in primo luogo, disatteso il primo motivo di impugnazione della Procura generale pp. 3-5 con il quale si lamenta abnormità del provvedimento e mancanza di competenza a decidere in capo alla Sez. 2 penale della Corte di appello di Palermo. 2.1. Infatti, secondo autorevole insegnamento di legittimità, opportunamente richiamato dalla difesa di C.B. nella memoria del 30 dicembre 2020 alla p. 5 , È affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215094-01 tale condivisibile sentenza si inserisce nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale di cui è espressione la decisione di Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603-01 in conformità, tra le affermazioni successive delle Sezioni semplici della Corte di cassazione, v. Sez. 2, n. 27716 del 05/06/2003, P.O. in proc. Biagia, Rv. 225857-01 Sez. 2, n. 7320 del 10/12/2013, dep. 2014, Fabozzi, Rv. 259158-01 Sez. 2, n. 29382 del 16/05/2014, PMT in proc. Veccia, Rv. 259830-01 Sez. 2, n. 2484 del 21/10/2014, dep. 2015, Tavoloni ed altro, Rv. 262275-01 Sez. 3, n. 23018 del 27/05/2020, Sgambati . Quello impugnato non è, infatti, provvedimento strutturalmente abnorme, poiché corrisponde al potere in effetti attribuito al giudice dall’ordinamento di valutare, eventualmente accogliendola, una richiesta qualificata come avente ad oggetto riparazione per ingiusta detenzione o per errore giudiziario, nè funzionalmente abnorme, in quanto non si è creata alcuna stasi processuale. 2.2.Quanto al rilievo che le questioni esecutive spettino tabellarmente alla Sez. 1 penale e quelle di equa riparazione alla Sez. 2 della Corte di merito, è appena il caso di rammentare che, secondo il condivisibile orientamento della Corte di cassazione, puntualmente richiamato dal P.G. di legittimità, In materia di esecuzione, la competenza del giudice attiene all’ufficio giudiziario e non al giudice persona fisica o alla sezione che ha emesso la pronuncia in sede di cognizione, poiché la suddivisione degli affari tra le sezioni attiene ad una questione tabellare interna e non alla capacità e tantomeno alla competenza del giudice Sez. 1, n. 12484 del 01/02/2007, Merico ed altro, Rv. 236383-01 . Si tratta di espressione, nella specifica materia del procedimento di esecuzione, del generale principio, posto dall’art. 33 c.p.p., comma 2, secondo cui Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici . In relazione a tale previsione si è, in più occasioni, precisato che causa di nullità assoluta e insanabile del processo penale è il difetto di capacità generica all’esercizio del potere giurisdizionale, non già la mancanza di condizioni specifiche di esercizio della funzione giudicante. Tale mancanza non elimina nel giudice la sua capacità di organo giudiziario, con la conseguenza che per incapacità del giudice deve intendersi la mancanza dei requisiti occorrenti per l’esercizio di determinate funzioni, mentre non attengono alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni e sulla formazione dei collegi, a meno che a meno che la violazione dei criteri di assegnazione interna sia stata effettuata al di fuori di ogni criterio, in maniera arbitraria, con stravolgimento dei principi e canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario v., ex plurimis, Sez. 1, n. 3831 del 07/03/1994, Toso, Rv. 196990-01 Sez. 6, n. 27856 del 14/07/2005, Colubriale, Rv. 232310 - 01 Sez. 3, n. 38112 del 03/10/2006, Sensini, Rv. 235030-01 Sez. 3, n. 4841 del 18/07/2012, dep. 2013, Mocanu Sticlaru e altri, Rv. 25440601 Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, P.G., P.C. in proc. Fitto e altri, Rv. 271278-01 . 3. Richiamata, dunque, la struttura argomentativa dell’ordinanza impugnata di cui si è dato atto al punto n. 3 del ritenuto in fatto , rileva il Collegio che la Corte di appello di Palermo, dopo un’ampia ricostruzione delle posizioni e delle richieste delle parti pp. 10-25 , ha dedicato una stringata parte alla decisione in senso proprio pp. 25-31 , svolgendo un ragionamento che, per plurimi aspetti, puntualmente segnalati dalle parti ricorrenti, risulta insoddisfacente e contraddittorio, oltre che in violazione di legge. Le aporie sono le seguenti. 3.1. La Corte di appello, applicando gli artt. 666 - 670 c.p.p., ha esteso l’intervento del giudice dell’esecuzione ad una domanda estranea ad un rapporto esecutivo già esaurito, instaurando peraltro un incidente di esecuzione inspiegabilmente con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. 3.2. L’accoglimento del ricorso, così qualificato dalla Corte di appello, è stato automaticamente correlato alla pronuncia della CEDU ed alla sentenza di Sez. 1, n. 43112 del 06/07/2017. 3.3. È stato illogicamente escluso il ricorso all’istituto della riparazione sul duplice rilievo errato che l’istituto attiene soltanto alla custodia cautelare e che l’indennizzo da liquidare si rivelerebbe, sotto tale profilo, particolarmente riduttivo p. 29 della ordinanza impugnata . In tal modo la Corte di appello ha disatteso il principio secondo il quale il diritto all’equa riparazione per la detenzione ingiustamente patita può fondarsi anche su di un erroneo ordine di esecuzione sentenza della Corte costituzionale n. 310 del 12 giugno - 25 luglio 1996 , così potendosi configurare, per analogia, il danno per imputazione ingiusta oggetto del caso in esame. 3.4. La Corte territoriale non ha tenuto conto che l’intera motivazione della decisione della Corte EDU non influisce sulle fonti di prova che hanno condotto i giudici del merito ad affermare la penale responsabilità dell’imputato, avendo il giudice Europeo individuato la violazione dell’art. 7 della Convenzione per la ritenuta imprevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso riportata dal ricorrente in relaizone a fatti commessi prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 16/1994, ric Demitry. 3.5. La Corte di appello ha omesso ogni valutazione circa la sussistenza del dolo o della colpa grave del ricorrente, quali elementi ipoteticamente ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione. 3.6. I giudici di merito hanno altresì omesso di affrontare l’aspetto della eventuale colpa lieve, espressamente posto dall’Avvocatura erariale con il terzo motivo di ricorso. Infatti, è ben noto che Nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo bensì per l’eventuale riduzione della sua entità Sez. 4, n. 51343 del 09/10/2018, V., Rv. 27400601 in termini, v. già Sez. 4, n. 21575 del 29/01/2014, Antognetti, Rv. 25921201 Sez. 4, n. 2430 del 13/12/2011, dep. 2012, Popa, Rv. 251739 e che Nel procedimento per la riparazione dell’errore giudiziario, la concorrente condotta colposa della vittima, pur non ostativa al riconoscimento del diritto, deve essere valutata dal giudice ai fini della determinazione dell’indennizzo Sez. 4, n. 13504 del 22/02/2017, Min. Economia e Finanze in proc. Razzano, Rv. 2697391 nello stesso senso, cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 27529 del 20/05/2008, Okumboro e altro, Rv. 240889-01 . 3.7. Nella liquidazione della somma, dopo avere richiamato l’art. 315 c.p.p., la Corte di merito ha superato il tetto massimo normativamente previsto di 516.456,90 Euro Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Min. Tesoro e Caridi, Rv. 218975-01 . 3.8. Infine, l’ordinanza nell’ultima parte ha aperto alla possibilità della valutazione in differente sede di ulteriori danni, non meglio indicati, subiti a titolo personale dai suddetti familiari . , se sussistenti e se giuridicamente tutelati, nella competente sede civile e, infine, ha compensato le spese, attesa la difficoltà interpretativa ed applicativa delle norme e dei principi sopra richiamati p. 31 , trascurando, tuttavia che le spese sono compensabili soltanto ove si agisca in ambito civilistico e non già squisitamente penalistico, quale l’incidente di esecuzione, che è il procedimento che alla pagina precedente del medesimo provvedimento si era ritenuto daglì stessi giudici essere quello applicabile. 4. Tirando le fila del ragionamento sinora svolto, va posta in evidenza la compatibilità alle norme della Convenzione EDU della disciplina interna sulla riparazione per ingiusta detenzione, nella parte in cui subordina la corresponsione dell’indennizzo all’assenza di dolo o di colpa grave. Infatti, la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p., affermando che In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, non si pone in contrasto con l’art. 5, par. 5 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo la previsione dell’art. 314 c.p.p., che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, posto che l’indennizzo, come previsto dalla fonte sopranazionale citata, spetta soltanto a chi sia stato vittima di una detenzione in violazione dell’art. 5 cit. Nell’affermare tale principio, la Corte ha altresì rilevato che una diversa interpretazione della norma internazionale finirebbe per contraddire il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e comportare una violazione dell’art. 2 Cost. Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, Farris e altro, cit. , essendo il fondamento solidaristico e non già risarcitorio dell’istituto non seriamente discutibile cfr. al riguardo Sez. U, n. 1 del 06/03/1992, P.M. e Min tesoro in proc. Fusilli, Rv. 191149 . 5. Non possono ritenersi disattese implicitamente le questioni poste dalle parti, come sostenuto dalla difesa di C.B. pp. 16-17 della prima memoria . Infatti, la motivazione implicita è, in linea di principio, ammessa, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ove i motivi della soluzione relativa ad una determinata questione siano contenuti per implicito necessario nelle considerazioni e nelle ragioni esposte per dare conto della soluzione adottata rispetto ad altra questione a determinate condizioni Sez. 1, n. 9561 del 27/05/1975, Cristello, Rv. 131663-01 Sez. 4, n. 810 del 15/03/1971, Biadene, Rv. 118827-01 Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020, Rafanelli, Rv. 278944-01, in motivazione, sub n. 4 del considerato in diritto , pp. 8-9 cfr. altresì, in vari sensi, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. ed altri, Rv. 271227-01 Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli s.r.l., Rv. 275114-01 Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635-02 Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Dulan, Rv. 275057-01 . Nel caso di specie, tuttavia, non si può ritenere di essere in presenza di una motivazione, per quanto implicita, in tema di quantum debeatur, registrandosi una omissione di pronunzia quanto a temi eventuali compensazioni e/o duplicazioni quanto alla somma riconosciuta dalla Corte Europea con la sentenza del 14 aprile 2015, parr. nn. 78-81, ed alla disposta ricostruzione della carriera, anche sotto il profilo pensionistico, di C.B. eventuale sussistenza di profili di colpa grave concausativi della privazione della libertà o di colpa lieve ipoteticamente rilevanti ai fini del calcolo del dovuto che, espressamente posti dai ricorrenti nel grado di merito, non sono stati in alcun modo presi in considerazione dalla Corte adita. 6.Non può neanche condividersi l’affermazione della difesa di C. secondo cui dovrebbe accordarsi prevalenza al dispositivo sulla motivazione pp. 4-5 della memoria depositata il 30 dicembre 2020 e p. 3 di quella depositata il 4 gennaio 2021 , in quanto si tratta di ordinanza all’esito di procedura camerale e, A differenza della sentenza, il cui dispositivo letto in udienza costituisce l’atto con il quale il giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto, di modo che le affermazioni contenute nella relativa motivazione, qualora non trovino rispondenza nel dispositivo, non sono, di per sé sole, suscettibili di conseguenze giuridiche, l’ordinanza emessa a seguito di rito camerale presenta il carattere unitario del complesso procedimento logico nel quale si compendia la decisione adottata, sicché, non essendovi momento distintivo tra dispositivo e motivazione, ma costituendo dette parti del provvedimento nel loro insieme la decisione, all’eventuale discrepanza esistente nel primo può ovviarsi con la lettura del provvedimento nel suo complesso. Fattispecie relativa a ordinanza conclusiva di procedimento di riesame, nel cui dispositivo figuravano, per macroscopico e riconoscibile errore di fatto, le generalità di persona diversa da quella, correttamente indicata nella motivazione della decisione, alla quale questa si riferiva così Sez. 1, n. 4857 del 09/07/1999, Garreffa, Rv. 21408901 in conformità, Sez. 6, n. 30075 del 29/05/2001, Cataldi, Rv. 219819-01 Sez. 5, n. 27787 del 20/05/2004, Fattorusso, Rv. 228709-01 . L’ordinanza emessa all’esito del procedimento camerale si caratterizza, infatti, per l’inscindibilità tra dispositivo e motivazione, con la conseguenza che, in caso di divergenza tra le due parti, ai fini dell’individuazione del suo significato è doverosa una lettura integrata dell’intero atto v. Sez. 6, n. 5087 del 23/01/2014, P.M. e Bartolone, Rv. 258050-01, sia pure in fattispecie, non coincidente con quella in esame, di ordinanza del Tribunale per il riesame . 7.Risultano assorbite dalle precedenti considerazioni tutte le doglianze sul quantum debeatur v. terzo e quarto motivo dell’Avvocatura dello Stato e pp. 11-14 del ricorso del P.G. in ogni caso, ove la Corte di merito nella sua autonomia dovesse determinarsi per l’attribuzione di somme di denaro al richiedente, dovrà, naturalmente, fornire corretta e congrua motivazione della decisione, senza eludere le questioni che sono state poste ed argomentate dalle parti quanto alla eventuale presenza sia di ipotetiche duplicazioni rispetto a richieste che abbiano già avuto positivo sbocco, anche solo parziale, sia di voci non liquidabili o in linea di principio ovvero per mancanza in concreto di prova . 8. In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo.