Respinta la richiesta avanzata dal detenuto e mirata ad ottenere la detenzione domiciliare. Il problema fisico da lui lamentato non è ritenuto così significativo da rendere insopportabile il carcere.
Carcere confermato nonostante il serio problema agli occhi causato da un forte trauma cranico ed oculare. Non decisiva, per i giudici, la conseguente rilevante menomazione nella visione riportata dal detenuto. Cassazione, sentenza numero 477/21, sez. I Penale, depositata l’8 gennaio . Dal Tribunale di sorveglianza arriva una risposta negativa alla richiesta avanzata dal detenuto e mirata ad ottenere «la misura alternativa della detenzione domiciliare». Confermato, quindi, il carcere, poiché «all’esito della perizia» Il Tribunale osserva che «le condizioni di salute del detenuto, affetto da un’importante patologia oftalmica, sono in ogni caso gestibili in sede intramuraria, previa allocazione in un istituto dotato di opportuni presidi terapeutici». Col ricorso in Cassazione, però, il legale del detenuto pone in evidenza «complessità e ingravesienza dello stato clinico» del suo cliente, «affetto da gravi esiti di trauma cranico ed oculare, e fortemente menomato nella visione», e lamentando che il Tribunale di sorveglianza ha operato «una valutazione di compatibilità con lo stato detentivo meramente astratta, senza tenere in debito conto la già accertata insufficienza della risposta terapeutica nell’istituto di attuale detenzione, e senza procedere al necessario bilanciamento tra i profili di indefettibilità dell’esecuzione e di umanità della pena». Prima di addentrarsi nella vicenda, dalla Cassazione ribadiscono che «ai fini del differimento facoltativo della pena detentiva, o della detenzione domiciliare, è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito operare un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività». In questo caso, per i magistrati «il quadro sanitario ricostruito tramite l’apposito accertamento peritale, scrupolosamente disposto» ha fatto risaltare «l’assenza dei presupposti di legge» per la concessione della detenzione domiciliare. Ciò perché «non risulta che l’espiazione della pena contrasti con il diritto alla salute o con il senso di umanità costituzionalmente garantiti, in quanto non si evidenziano malattie organiche tali da porre in pericolo la vita, o da provocare conseguenze dannose scongiurabili solo mediante cure praticabili esclusivamente in ambito extramurario, né l’espiazione della pena appare offendere, per le eccessive sofferenze, la dignità umana, così da privare la pena di significato rieducativo». Legittima, quindi, la decisione del Tribunale di sorveglianza, poiché in essa si è fatto riferimento «alla necessità di tutela del diritto alla salute ma anche ai profili di dignità e umanità dell’espiazione» e, al contempo «all’insussistenza, riscontrata tramite l’indagine peritale, di un quadro patologico allarmante», sempre tenendo presente «il dovere istituzionale dell’amministrazione penitenziaria di assicurare al detenuto l’assegnazione, certamente praticabile, in struttura penitenziaria idonea all’effettuazione delle cure del caso».
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 ottobre 2020 – 8 gennaio 2021, numero 477 Presidente Iasillo – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro negava al detenuto Fr. Tr. la richiesta misura alternativa della detenzione domiciliare di cui all'articolo 47-ter, comma 1-ter Ord. penumero , sostitutiva del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena. All'esito dell'espletata perizia, Il Tribunale constatava infatti che le condizioni di salute di Tr., affetto da importante patologia oftalmica, fossero in ogni caso gestibili in sede intramuraria, previa sua allocazione in istituto dotato di opportuni presidi terapeutici. 2. Tr. ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia. Nell'unico motivo il ricorrente - dopo aver richiamato la complessità, e ingravescenza, del suo stato clinico ricordando di essere affetto da gravi esiti di trauma cranico ed oculare, e fortemente menomato nella visione - denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando come il Tribunale di sorveglianza abbia operato una valutazione di compatibilità con lo stato detentivo meramente astratta, senza tenere in debito conto la già accertata insufficienza della risposta terapeutica nell'istituto di attuale detenzione, e senza procedere al necessario bilanciamento tra i profili di indefettibilità dell'esecuzione e di umanità della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Secondo consolidati principi, ripetutamente affermati da questa Corte, ai fini del differimento facoltativo della pena detentiva, di cui all'articolo 147, primo comma, numero 2 , cod. penumero - o della detenzione domiciliare ex articolo 47-ter, comma 1-ter, Ord. penumero , che ne mutua i presupposti - è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, dovendosi in proposito operare un bilanciamento tra l'interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività Sez. I, numero 789 del 18/12/2013, dep. 2014, Mossuto, Rv. 258406-01 Sez. 1, numero 972 del 14/10/2011, dep. 2012, Farinella, Rv. 251674-01 . Al contempo la giurisprudenza di legittimità rileva che, rispetto al differimento, debbano considerarsi anche patologie di entità tale da far apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma contenuta nell'articolo 27 Cost. Sez. 1, numero 17947 del 30/03/2004, Vastante, Rv. 228289-01 , dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria Sez. 1, numero 22373 del 08/05/2009, Aquino, Rv. 244132-01 . 3. L'ordinanza impugnata non si è discostata da questi principi, di cui ha fatto buon governo nella specie. Essa ha preso adeguatamente le mosse dal quadro sanitario ricostruito tramite l'apposito accertamento peritale, scrupolosamente disposto, e lo ha fedelmente riassunto, facendo risaltare l'assenza dei presupposti di legge. Non risulta infatti, su tale base, che l'espiazione della pena in atto contrasti, allo stato, con il diritto alla salute o con il senso di umanità costituzionalmente garantiti, in quanto non si evidenziano malattie organiche tali da porre in pericolo la vita, o da provocare conseguenze dannose scongiurabili solo mediante cure praticabili esclusivamente in ambito extramurario, né l'espiazione della pena appare offendere, per le eccessive sofferenze, la dignità umana, così da privare la pena di significato rieducativo. L'ordinanza dunque correttamente motiva, facendo riferimento alle necessità di tutela del diritto alla salute, ma anche ai profili di dignità e umanità dell'espiazione, dal ricorrente assertivamente confutati, e combina tali appropriati richiami all'insussistenza, riscontrata tramite la ricordata indagine peritale, di un quadro patologico allarmante sotto tutti gli aspetti considerati, in rapporto al dovere istituzionale dell'Amministrazione penitenziaria, esso stesso appropriatamente evocato, di assicurare al detenuto l'assegnazione, certamente praticabile, in struttura penitenziaria idonea all'effettuazione delle cure del caso. 4. Segue la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 cod. penumero , al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.