Ladra cleptomane: possibile riconoscere il vizio di mente ed escluderne l’imputabilità

A mettere in discussione la condanna dell’imputata pronunciata in Appello è il riferimento alla cleptomania che la affligge e che è stata riconosciuta anche in un altro procedimento.

La cleptomania può salvare il ladro seriale. Plausibile, difatti, ipotizzare l’esistenza di un vero e proprio vizio di mente Cassazione, sentenza n. 153/21, depositata il 5 gennaio . Per l’Enciclopedia Treccani la cleptomania è una tendenza impulsiva al furto , che prescinde dal valore dell’oggetto e che può verificarsi in molteplici malattie mentali demenza senile, paralisi progressiva, eccitamento maniacale e nell’isteria . Per la giustizia italiana, invece, si può parlare di vero e proprio vizio di mente che può minare la capacità di intendere e di volere del soggetto . Per questo, ora, viene messa in discussione la condanna emessa in Appello – seguendo la falsariga tracciata in Tribunale – nei confronti di una donna affetta da cleptomania e comunque ritenuta colpevole per tentato furto aggravato e che si è vista applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata . I Giudici di merito hanno riconosciuto solo il vizio parziale di mente . Col ricorso in Cassazione il legale dell’imputata ribadisce la richiesta del riconoscimento del vizio di mente , postulando l’incidenza della patologia psichiatrica sulla capacità di intendere e volere della sua cliente, come ritenuto in altro procedimento risalente al 2018, e mettendone in discussione l’imputabilità. Riflettori puntati, quindi, sulla effettiva capacità di intendere e di volere della imputata. A questo proposito, i Giudici del Palazzaccio ricordano che nel superare una visione della malattia mentale costretta in una rigida catalogazione psichiatrica si è affermato, circa quindici anni fa, come, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere , escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa , per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale E in tale ottica viene rimarcata l’esigenza di una verifica di tipo causale, specificamente ancorata al rapporto di derivazione tra le abnormità psichiche e disturbi della personalità e la concreta fattispecie, ferma restando l’irrilevanza, ai fini dell’imputabilità, di altre anomalie caratteriali, o alterazioni e disarmonie della personalità, che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità . È evidente, chiariscono i Giudici, che siffatta verifica, svolta rebus sic stantibus , involge, necessariamente, il fattore temporale nella verifica di contesto, trattandosi di disaminare se il fatto tipico, hic et nunc , rappresenti necessaria conseguenza di un disturbo psichico, manifestatosi in un impulso irrefrenabile che espliciti una frattura rappresentativa e volitiva . In questo quadro si inserisce anche la cleptomania , tradizionalmente definita quale tendenza impulsiva al furto, riscontrabile in molteplici malattie mentali . Di conseguenza, il soggetto affetto da una malattia che provochi tale tendenza impulsiva può essere ritenuto infermo di mente ai sensi degli articoli 88 o 89 del Codice Penale se la sua capacità di intendere e di volere ne risulti totalmente o parzialmente esclusa , all’esito della verifica causale strettamente correlata alle concrete circostanze del caso concreto . Viene poi aggiunto che già in passato si è ritenuto come ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato rilevano anche gli accertamenti peritali compiuti in procedimenti diversi , purché riferibili ad epoca corrispondente ed a fatti eziologicamente omogenei , e proprio valorizzando la specificità del caso concreto va ribadito come l’accertamento dell’infermità di mente dell’imputato va compiuto in relazione al fatto addebitatogli ed al tempo in cui è stato commesso, in tal senso opinando come la perizia psichiatrica espletata in altro procedimento, relativo a diverso fatto, non sia mai vincolante nel giudizio successivo, nel quale la valutazione della capacità di intendere e di volere dell’imputato è correttamente compiuta alla stregua di un accertamento peritale del tutto indipendente da quello eseguito in precedenza. Precisazione, quest’ultima, che, non a caso, valorizza evidentemente in riferimento alla concreta fattispecie disaminata il dato temporale . In questo caso specifico, però, pur dando atto della produzione difensiva inerente la perizia svolta in diverso procedimento, definito con sentenza irrevocabile, per analoghe condotte commesse in continuità temporale con quelle per cui si procede , i Giudici territoriali hanno formulato una immotivata ed acritica opzione per le conclusioni svolte dal perito nel presente giudizio , riconoscendo il vizio parziale di mente ma omettendo anche solo di confrontarsi con il dato temporale dell’accertamento reso nelle diverse sedi processuali e delle valutazioni rassegnate nella sentenza irrevocabile . Peraltro, osservano dalla Cassazione, la decisione emessa in Appello si rivela contraddittoria laddove – al punto relativo alla valutazione di pericolosità sociale della imputata – finisce per delineare un’irrefrenabilità dell’impulso cleptomane, in tal guisa eludendo le censure difensive riguardo all’effettiva incidenza del disturbo sull’imputabilità in correlazione al fattore temporale, rimasto privo di effettiva verifica causale e, sostanzialmente, risolto nella mera adesione ad un unico contributo tecnico . Necessario perciò un nuovo processo in Appello per valutare la cleptomania che affligge la imputata e la possibile incidenza sulla sua imputabilità .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 novembre 2020 – 5 gennaio 2021, n. 153 Presidente Palla – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, emessa il 7 giugno 2019, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale di Pisa del 22 febbraio 2017, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di Ro. Go. per il reato di tentato furto aggravato ed applicata alla medesima la misura di sicurezza della libertà vigilata, riconosciuto il vizio parziale di mente. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputata per mezzo del difensore, avv. Ivo Gronchi, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte territoriale rigettato la prospettazione, intesa al riconoscimento del vizio di mente, in applicazione della giurisprudenza di legittimità SU Raso , che postula l'incidenza della patologia psichiatrica sulla capacità di intendere e volere, come invece ritenuto nei confronti della stessa imputata nella sentenza irrevocabile emessa nel 2018 in altro procedimento, prodotta in giudizio e non valutata. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. Il tema che il ricorso impone, prioritariamente, di affrontare, in riferimento alla latitudine del vizio di mente, investe il rapporto tra le conclusioni del perito e la delibazione rimessa al giudice, oltre alla contestualizzazione temporale degli accertamenti tecnici svolti al fine dell'accertamento della capacità di intendere e di volere. 1.1. Nel superare una visione della malattia mentale costretta in una rigida catalogazione psichiatrica, le Sezioni unite di questa Corte n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317 hanno affermato come, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità , che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità , purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Hanno, a tal fine, rimarcato l'esigenza di una verifica di tipo causale, specificamente ancorata al rapporto di derivazione tra le abnormità psichiche e disturbi della personalità e la concreta fattispecie, ferma restando l'irrilevanza, ai fini dell'imputabilità, di altre anomalie caratteriali, o alterazioni e disarmonie della personalità, che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità . Siffatta verifica, svolta rebus sic stantibus, involge, necessariamente, il fattore temporale nella verifica di contesto, trattandosi di disaminare se il fatto tipico, hic et nunc, rappresenti necessaria conseguenza di un disturbo psichico, manifestatosi in un impulso irrefrenabile che espliciti una frattura rappresentativa e volitiva. 1.2. Nelle categorie richiamate si inscrive la cleptomania, tradizionalmente definita quale tendenza impulsiva al furto, riscontrabile in molteplici malattie mentali Sez. 2, n. 2945 del 05/10/1982 - 1983, Valente, Rv. 158311 , con la conseguenza per cui il soggetto affetto da una malattia che provochi tale tendenza impulsiva potrà essere ritenuto infermo di mente ai sensi degli artt. 88 o 89 cod. pen. se la sua capacità di intendere e di volere ne risulti totalmente o parzialmente esclusa, all'esito della verifica causale strettamente correlata alle concrete circostanze del caso concreto. 1.3. In linea di continuità con gli enunciati principi, questa Corte ha ritenuto come, ai fini dell'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato, rilevano anche gli accertamenti peritali compiuti in procedimenti diversi, purché riferibili ad epoca corrispondente ed a fatti eziologicamente omogenei Sez. 6, n. 27747 del 15/09/2020, A., Rv. 279619 in fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, in cui era stata riconosciuta la seminfermità dell'imputato, per avere la corte di appello omesso di considerare le conclusioni espresse dai consulenti in altri procedimenti, definiti con sentenza irrevocabile di proscioglimento per difetto di imputabilità, relativamente alla compromessa competenza dell'imputato a cogliere il disvalore delle proprie condotte e alla compromissione del volere nel momento di passaggio all'atto ed è proprio valorizzando la specificità del caso concreto che Sez. 2, n. 13778 del 08/03/2019, Mosta, Rv. 276415 ha affermato come l'accertamento dell'infermità di mente dell'imputato vada compiuto in relazione al fatto addebitatogli ed al tempo in cui è stato commesso, in tal senso opinando come la perizia psichiatrica espletata in altro procedimento, relativo a diverso fatto, non sia mai vincolante nel giudizio successivo, nel quale la valutazione della capacità di intendere e di volere dell'imputato è correttamente compiuta alla stregua di un accertamento peritale del tutto indipendente da quello eseguito in precedenza precisazione, quest'ultima, che - non a caso - valorizza evidentemente in riferimento alla concreta fattispecie disaminata il dato temporale. 2. La Corte d'appello di Firenze non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi. Pur dando atto della produzione difensiva inerente la perizia svolta in diverso procedimento, definito con sentenza irrevocabile, per analoghe condotte commesse in continuità temporale con quelle per cui si procede, la Corte territoriale ha formulato una immotivata ed acritica opzione per le conclusioni svolte dal medesimo perito nel presente giudizio, omettendo anche solo di confrontarsi con il dato temporale dell'accertamento reso nelle diverse sedi processuali e delle valutazioni rassegnate nella sentenza irrevocabile. Per altro verso, la motivazione si rivela contraddittoria laddove - al punto relativo alla valutazione di pericolosità sociale - finisce per delineare un'irrefrenabilità dell'impulso cleptomane, in tal guisa eludendo le censure difensive riguardo all'effettiva incidenza del disturbo sull'imputabilità in correlazione al fattore temporale, rimasto privo di effettiva verifica causale e, sostanzialmente, risolto nella mera adesione ad un unico contributo tecnico. 3. Sulla scorta delle considerazioni sopra svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata perché il giudice del merito, in piena libertà di giudizio ma facendo corretta applicazione degli enunciati principi, proceda a nuovo esame. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'appello di Firenze.