Maltrattamenti e violenze sessuali: marito colpevole

Evidenti non solo i maltrattamenti ai danni della consorte. Lapalissiane anche le violenze sessuali da lei subite. Decisiva la constatazione che i rapporti sessuali erano l’ultima tappa del comportamento violento dell’uomo impossibile per la moglie esprimere il proprio dissenso, che era comunque evidente seppur implicito.

Maltrattata dal marito e poi costretta a rapporti sessuali da lei non voluti. Difficile pensare che la donna potesse comunque trovare la forza di esprimere il proprio dissenso. Evidente, quindi, la colpevolezza dell’uomo Cassazione, sentenza n. 36901/20, sez. III Penale, depositata il 22 dicembre . Ricostruita la triste vicenda, i Giudici di merito ritengono lapalissiana la colpevolezza dell’uomo sotto processo. Conseguente la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione per i maltrattamenti e le condotte di violenza sessuale compiute tra le mura domestiche nei confronti della coniuge. A inchiodare l’uomo sono soprattutto le dichiarazioni della moglie, dichiarazioni ritenute veritiere dai Giudici e sufficienti a certificare l’incubo da lei vissuto a casa. Proprio sui racconti della donna si sofferma, in prima battuta, il difensore dell’uomo, ritenendo evidenti genericità ed indeterminatezza delle accuse provenienti dalla donna che non aveva inquadrato mai in un preciso spazio temporale le violenze e le minacce , sottolineando poi la presunta mancanza di riscontri e inoltre la mancanza di abitualità quanto ai maltrattamenti. E in questa ottica il legale mette sul tavolo anche le ripetute remissioni di querela operate dalla donna. Dalla Cassazione ribattono però che il quadro probatorio delineato tra primo e secondo grado è inequivocabile dopo due anni di vessazioni subite e consistite soprattutto in percosse come del resto riconosciuto dallo stesso marito di fronte agli agenti nonché in offese e minacce, la donna, dapprima in querela e poi in sede di sommarie informazioni, ha riferito che le offese erano proseguite con cadenza settimanale e ha poi passato in rassegna il contenuto di dette dichiarazioni, riportando i passaggi testuali relativi alla frequenza delle condotte maltrattanti subite ogni giorno lui per motivi futili litigava e mi picchiava ” lui mi minacciava sempre, anche quando pretendeva rapporti sessuali” ultimamente succedeva che litigavamo, lui picchiava sia me che la figlia, poi lui mi chiudeva in camera e mi obbligava a rapporti sessuali contro la mia volontà. Ultimamente questo succedeva spessissimo” . A confermare queste parole anche le numerose annotazioni di polizia giudiziaria relative ad accessi presso la abitazione coniugale su chiamata della donna e dalla relazione dei ‘Servizi sociali’ del Comune . Inoltre, la scelta di non sporgere querela in un’occasione o di rimettere altra precedente querela in un’altra occasione non sono, spiegano i giudici della Cassazione, elementi di contraddizione , avendo tali scelte una spiegazione logica poiché la stessa persona offesa ha sottolineato che, malgrado tutto, l’imputato era comunque suo marito . Nessun elemento quindi per mettere in discussione la credibilità della donna. Resta da prendere in esame il capitolo riguardante alle violenze sessuali lamentate dalla moglie.Su questo fronte il difensore contesta la sussistenza del dolo nelle condotte tenute dall’uomo, e pone in evidenza, invece, l’emersa mancanza del dissenso della moglie al congiungimento con il marito, anche alla luce della loro normale consuetudine sessuale . I Giudici della Cassazione ribattono che le dichiarazioni della persona offesa chiariscono circostanze fondamentali, e sono sufficienti per affermare che l’uomo non poteva certo essere convinto dell’altrui consenso allorquando si congiungeva carnalmente con la moglie . In sostanza, è emerso con chiarezza l’atteggiamento dell’uomo, caratterizzato abitualmente dall’usare dapprima violenza verso la donna, subito dopo chiudendola in camera per poi obbligarla a rapporti sessuali, continuando anche a picchiarla se ella si opponeva a fronte di tale quadro non vi era certo spazio per l’espressione di un sia pur minimo dissenso da parte della donna, sanciscono i magistrati. E difatti il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali da parte della persona offesa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 ottobre – 22 dicembre 2020, numero 36901 Presidente Rosi – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. Do. Vi. ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna che ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna in data 10/03/2017 di condanna alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 572 e 61 numero 11 cod. penumero e 609 bis cod. penumero in relazione, rispettivamente, a maltrattamenti e condotte di violenza sessuale nei confronti della coniuge convivente. 2. Con un primo motivo lamenta l'inosservanza degli artt. 192, 530 e 533 cod. proc. penumero nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione essendosi la stessa limitata a riprodurre la decisione confermata dichiarando, in termini apodittici e stereotipati, di aderirvi senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione questi, in particolare, censuravano la genericità ed indeterminatezza delle accuse provenienti dalla persona offesa che non aveva inquadrato mai in un preciso spazio temporale le violenze e minacce asseritamente perpetrate, nonché la mancanza di riscontri. Si erano dedotte altresì la mancanza di abitualità quanto al reato ex art. 572 cod. penumero , le ripetute remissioni di querela e la iniziale richiesta di archiviazione del P.M. Né potrebbe ritenersi esaustivo il richiamo fatto dalla sentenza alla chiamata al 113 fatta da Do. Angela. 3. Con un secondo motivo deduce l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e la mancante e illogica motivazione quanto alla sussistenza del dolo nel reato di violenza sessuale, in particolare quanto all'emersa mancanza del dissenso della persona offesa al congiungimento con il marito anche alla luce della normale consuetudine sessuale tra i due. Né dirimente in senso opposto sarebbero le annotazioni di p.g. e le relazioni dei servizi sociali. Contraddittoria con tale quadro sarebbe poi la mancata concessione dell'attenuante del fatto di lieve entità. 4. Con un ultimo motivo lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riduzione della pena nella massima estensione per effetto delle già riconosciute attenuanti generiche e di riduzione dell'aumento di pena per la continuazione, avendo per entrambi gli aspetti la Corte territoriale completamente dimenticato di motivare. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza a fronte delle censure mosse con l'atto di appello, essenzialmente volte, quanto al reato di maltrattamenti, a rimarcare la mancanza di specificità, sotto il profilo temporale, delle dichiarazioni della persona offesa anche con riguardo al carattere dell'abitualità delle condotte, la sentenza impugnata ha in realtà puntualmente ricordato come, dopo due anni di vessazioni subite e consistite soprattutto in percosse come del resto riconosciuto dallo stesso imputato di fronte agli agenti nonché in offese e minacce, la donna, dapprima in querela e poi in sede di sommarie informazioni, aveva riferito che le offese erano proseguite con cadenza settimanale ha poi passato in rassegna il contenuto di dette dichiarazioni riportando i passaggi testuali relativi alla frequenza delle condotte maltrattanti subite ogni giorno lui per motivi futili litigava e mi picchiava lui mi minacciava sempre anche quando pretendeva rapporti sessuali ultimamente succedeva che litigavamo, lui picchiava sia me che la figlia, poi lui mi chiudeva in camera e mi obbligava a rapporti sessuali contro la mia volontà. Ultimamente questo succedeva spessissimo . La sentenza ha anche dato adeguata motivazione in ordine ai riscontri della veridicità di tali dichiarazioni, dati dalle numerose annotazioni di p.g. relative ad accessi presso la abitazione coniugale su chiamata della donna e dalla relazione del 13/11/2014 dei servizi sociali del Comune di Bologna. Né la scelta di non sporgere querela il 21/08/2014 o di rimettere in data 7/10/2014 altra precedente querela, appaiono rappresentare, nella sentenza impugnata, elementi di contraddizione avendo di tali scelte dato una spiegazione logica, ricordata dalla Corte territoriale, la stessa persona offesa quando ha sottolineato, malgrado tutto, essere comunque l'imputato suo marito. In definitiva, quindi, il percorso argomentativo della sentenza impugnata non appare essersi sottratto ai compiti di dare adeguata spiegazione alla affermata credibilità della donna. 2. Anche il secondo motivo è inammissibile le dichiarazioni della persona, anche in tal caso riportate dai giudici di appello, chiariscono le circostanze per le quali non poteva l'imputato certo essere convinto, nonostante l'assunto in tal senso del ricorso, dell'altrui consenso allorquando si congiungeva con la persona offesa dalle stesse emerge con chiarezza che l'atteggiamento dell'uomo, caratterizzato abitualmente dall'usare dapprima violenza verso la donna, subito dopo chiudendola in camera per poi obbligarla a rapporti sessuali, continuando anche a picchiarla se la stessa si opponeva, non era certo tale da potere lasciare spazio già all'espressione di un sia pur minimo dissenso. Del resto, questa Corte ha giù chiarito che, il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali tra le tante, Sez.3, numero 17676/19 del 14/12/2018, R., Rv. 275947 . 3. Il terzo motivo è invece fondato a fronte dell'atto di appello con il quale si invocava una maggiore estensione di riduzione della pena per effetto delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche e della riduzione dell'aumento operato per la continuazione, la sentenza impugnata ha omesso di motivare, giacché, sotto il primo profilo, ha rilevato avere l'imputato già fruito delle suddette circostanze, in tal modo sembrando anche tradire una non esatta comprensione del motivo, e, sotto il secondo, ha omesso ogni risposta. 4. Ne consegue che, inammissibile nel resto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.