Il manifesto è ritenuto inequivocabilmente minatorio, soprattutto perché in esso era richiamata l’aggressione subita dal professore universitario in occasione di un convegno. Respinta la tesi difensiva, mirata a catalogare l’episodio, cioè il sit-in con distribuzione di volantini, come concretizzazione del diritto di espressione del pensiero e del diritto di critica.
Può bastare un volantino per beccarsi una condanna per il reato di minaccia. A constatarlo alcuni anarchici che alcuni anni fa presero di mira un professore universitario, prima lanciandogli contro vernice rossa durante un convegno e poi, in occasione del processo relativo a quell’episodio, distribuendo manifesti ritenuti chiaramente minatori nei confronti del docente Cassazione, sentenza numero 36260/20, depositata oggi . All’origine della vicenda c’è l’aggressione subita dal professore docente di Diritto costituzionale comparato durante un convegno – organizzato dall’Università di Trento – che lo vede relatore sulla tematica delle “missioni di pace” dell’esercito italiano. Siamo alla fine di ottobre del 2010 e il docente viene «attaccato da un gruppo di persone che, lanciando vernice rossa contro di lui e altri relatori, impediscono la prosecuzione dei lavori». L’episodio ha un inevitabile strascico giudiziario, con gli aggressori – appartenenti a un gruppo anarchico – che finiscono sotto processo. E proprio dinanzi al Tribunale di Trento che ospita il procedimento, a metà dicembre del 2012, undici anarchici effettuano un sit-in e distribuiscono due volantini uno «intitolato “Rosso sangue”, con la didascalia “Nessuna pace per chi vive di guerra”» un altro «recante l’effigie del professore imbrattata di vernice rossa e la dicitura “Per noi il concetto rimane ancora lo stesso un po’ di vernice è il minimo!”». Anche quest’ultima manifestazione di protesta ha uno strascico giudiziario. E gli anarchici vengono ritenuti colpevoli, sia in primo che in secondo grado, per il reato di minaccia. Per i Giudici di merito, difatti, è decisiva la constatazione che «gli scritti si riferivano all’azione violenta subita dal docente nell’ottobre 2010, minacciandone la ripetizione anzi in modo più grave » e così «si aveva non già la manifestazione di un legittimo dissenso esercizio di un diritto , ma una chiara condotta intimidatoria idonea a turbare la serenità della vittima». Evidente, in sostanza, «la carica intimidatoria insita nell’evocazione, a dicembre 2012, delle stesse modalità aggressive e violente» dell’episodio verificatosi nell’ottobre 2010. Al docente aggredito viene anche riconosciuto il diritto ad un risarcimento. Per le persone sotto processo, però, la valutazione compiuta in Appello è errata, poiché, sostengono, «non è stato correttamente considerato il significato degli scritti, che rivelava la libera espressione del pensiero e del diritto di critica costituzionalmente tutelato, con effetti scriminanti nonostante i modi e i toni forti e aspri adoperati». Il riferimento è, nello specifico, «alla responsabilità del sangue versato da chi rimane coinvolto nei cruenti fatti di guerra che il convegno sdoganava come giustificati», spiegano gli anarchici tramite i loro legali. Queste osservazioni non sono sufficienti però, ribattono dalla Cassazione, a mettere in discussione il carattere minatorio degli «scritti che vennero diffusi nel dicembre 2012». A questo proposito, viene rilevato che «le frasi “Nessuna pace per chi vive di guerra” e “Per noi il concetto rimane ancora lo stesso un po’ di vernice è il minimo per chi vive di guerra”, costituivano la didascalia che accompagnava la fotografia del professore con il viso e il busto imbrattati di vernice rossa», e così «si richiamava chiaramente la reiterazione delle particolari modalità del gesto violento che il professore aveva subito» nell’ottobre 2010, sottolineano i magistrati. Evidente, quindi, la minaccia rivolta al docente. Impossibile, invece, riconoscere «la scriminante dell’esercizio del diritto di espressione del pensiero», poiché «la possibilità di manifestare il dissenso e la critica anche mediante l’uso di toni forti e di espressioni particolarmente aspre non ha nulla a che fare con l’intimidazione» rivolta al docente, destinatario, a causa delle «sue opinioni non condivise» dagli anarchici, della prospettazione di una nuova aggressione.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 novembre – 17 dicembre 2020, numero 36260 Presidente Boni – Relatore Binenti Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano, con la sentenza indicata in epigrafe resa in sede di giudizio rinvio ai sensi dell'articolo 627 cod. proc. penumero , in parziale riforma della sentenza di primo grado, previa esclusione dell'aggravante del modo simbolico della minaccia, riduceva la pena inflitta a Gi. Be., Ag. Tr., Ka. Be. Al. De Me., Da. Ba., Sa. Na., Ma. Ox., Gi. Pe., Lu. Br., Fr. Mo. Lu., St. Pa. Mo. e Ma. Na., in quanto ritenuti responsabili del reato di cui agli articolo 612, secondo comma anche in relazione all'articolo 339 cod. penumero , limitatamente ai fatti commessi il 17 dicembre 2012, con esclusione pertanto di quelli, parimenti contestati ai predetti con il medesimo capo di imputazione, svoltisi nei giorni immediatamente precedenti e successivi tale esclusione era già definitivamente intervenuta in primo grado . Riduceva, inoltre, l'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno in favore della persona offesa, costituita parte civile, Ro. To 2. Secondo la ricostruzione esposta in detta sentenza di appello, l'antefatto si verificava il 28 ottobre 2010, quando la persona offesa, docente di diritto costituzionale comparato e relatore in un convegno sulle missioni di pace tenuto all'Università di Trento, veniva attaccato da un gruppo di persone che, lanciando contro di lui e altri relatori vernice rossa, impediva la prosecuzione dei lavori. Nella stessa sentenza, passando all'esame del fatto per cui si è riconosciuta la responsabilità degli imputati, si espone che il 17 dicembre 2012 gli stessi, svolgendo un sit-in davanti al Tribunale di Trento, chiamato a celebrare il processo per i suddetti fatti del 28 ottobre 2010, distribuivano un volantino intitolato Rosso sangue , con la didascalia Nessuna pace per chi vive di guerra in un altro volantino distribuito dai medesimi imputati, recante l'effigie del prof. Ro. To. imbrattata di vernice rossa, era riportata la dicitura Per noi il concetto rimane ancora lo stesso un po' di vernice è il minimo! . Secondo gli apprezzamenti dei giudici di merito, tale fatto, pacificamente posto in essere dagli imputati, integrava gli estremi del reato di minaccia come contestato, poiché gli scritti si riferivano all'azione violenta subita dal docente il 28 ottobre 2010, minacciandone la ripetizione anzi in modo più grave si aveva così non già la manifestazione di un legittimo dissenso esercizio di un diritto , ma una chiara condotta intimidatoria idonea a turbare la serenità della vittima. La motivazione della sentenza prima di giungere a tali conclusioni, soffermandosi sui rilievi che avevano determinato l'annullamento in sede di legittimità, osservava che non potevano sorgere dubbi circa la verificazione dell'episodio delittuoso del 28 ottobre 2010, poiché essa era stata riconosciuta nella sentenza che lo aveva giudicato, pervenendo all'assoluzione di alcuni degli imputati in quel processo, ma soltanto per non avere commesso il fatto. In forza di ciò, si riteneva confermata la carica intimidatoria insita nell'evocazione il 17 dicembre 2012 delle stesse modalità aggressive e violente del 28 ottobre 2010. 3. Propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati, con un unico atto e tramite il comune difensore, svolgendo doglianze affidate a tre motivi. 3.1. Il primo motivo lamenta violazione dell'articolo 51 cod. penumero , sul rilievo che non è stato correttamente considerato il significato degli scritti che rivelava la libera espressione del pensiero e del diritto di critica costituzionalmente tutelato, con effetti scriminanti nonostante i modi e i toni forti e aspri adoperati. Esercizio di tale diritto verificatosi nella specie attraverso i riferimenti alla responsabilità del sangue versato da chi rimane coinvolto nei cruenti fatti di guerra che il convegno - al quale si alludeva - sdoganava come giustificati. 3.2. Il secondo motivo denuncia vizi della motivazione, non essendo stati esaminati i rilievi che avevano rappresentato gli estremi di detta scriminante. Inoltre, la sentenza impugnata, affermando la natura minacciosa del contenuto dei volantini distribuiti il 17 dicembre 2012, è incorsa in un chiaro travisamento, richiamando il diverso contenuto di altri volantini affissi nei giorni precedenti, in relazione ai quali però era intervenuta la pronuncia di assoluzione in primo grado, secondo conclusioni confermate in seguito dalla Corte di Cassazione. Così, non si era neppure considerato che le parole è il minimo , contenute nello striscione in detta data, si riferivano invece ai militari . 3.3. Il terzo motivo, lamenta violazione dell'articolo 339, primo e secondo comma, cod. penumero , non ravvisandosi in motivazione idonee spiegazioni in ordine alle due aggravanti contestate, a fronte di contenuti del volantino preso in considerazione che non prospettavano specificamente un male determinato e di fatti addebitati a più di dieci persone, ma non posti in essere in presenza della persona offesa, si da non potersi comunque riconoscere le suddette circostanze. Considerato in diritto 1. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili per le ragioni di seguito illustrate. 2. I primi due motivi richiedono una trattazione unitaria che deve prioritariamente considerare i rilievi che prospettano il travisamento con riferimento ai contenuti degli scritti che vennero diffusi il 17 dicembre 2012. Le questioni poste a tal riguardo sono prive di qualsiasi incidenza sui chiari ragionamenti che hanno portato a ravvisare la minaccia, così come contestata. Infatti, le deduzioni come esposte non intaccano la rappresentazione nella motivazione della sentenza secondo cui nella circostanza le frasi Nessuna pace per chi vive di guerra e Per noi il concetto rimane ancora lo stesso un pò di vernice è il minimo per chi vive di guerra , costituivano la didascalia che accompagnava la fotografia di Ro. To. con il viso e il busto imbrattati di vernice rossa. Si richiamava così chiaramente la reiterazione, per gli stessi motivi, delle particolari modalità del gesto violento che il professore aveva subito il 28 ottobre 2010. Da ciò derivava la minaccia rivolta a tale persona offesa. Questo fondamentale profilo ricostruttivo di merito non viene minimamente considerato dalle censure dei ricorrenti che prospettano il travisamento, facendo riferimento alla collocazione nello striscione, e non nei volantini, di una parte delle frasi di cui sopra e alla mancata citazione delle parole Contro i militari , a fronte del chiaro significato sulla destinazione della minaccia mostrato dalla fotografia. I rilievi di cui trattasi, pertanto, oltre a porre una questione neppure specificatamente dedotta nei motivi di appello al cospetto della medesima rappresentazione di merito già intervenuta in primo grado , rimangono affetti da genericità e, comunque, non possiedono alcuna attitudine a smentire la logicità del percorso che ha portato a individuare la minaccia e il chiaro destinatario della stessa in Ro. To. mentre, per il resto, sullo stesso tema si espongono argomentazioni meramente rivalutative, basate su assertive letture alternative. Gli altri rilievi, dedotti più diffusamente nel primo motivo, che evocano la scriminante dell'esercizio del diritto di espressione del pensiero, ripropongono un'ipostazione che è stata disattesa dalla sentenza di appello in forza di considerazioni legate alla ben diversa qualità sostanziale della minaccia di cui il ricorso non tiene in alcun modo conto, quando ribadisce concetti, quali la possibilità di manifestare il dissenso e la critica anche mediante l'uso di toni forti e di espressioni particolarmente aspre, che non hanno nulla a che fare con l'intimidazione che invece prospettava alla persona offesa, le cui opinioni non erano condivise, la sottoposizione, così come già avvenuto, a un male ingiusto. Da ciò deriva la manifesta infondatezza anche di queste ultime doglianze. 3. Il terzo motivo si rivela parimenti inammissibile, poiché deduce questioni e vizi motivazionali circa il riconoscimento degli estremi fattuali delle aggravanti. nonostante sul punto non fossero stati mossi rilievi e avanzate richieste davanti ai giudici di secondo grado, secondo quanto risulta dai motivi di appello. 4. Dalla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi, discende la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, considerati i profili di colpa, della somma determinata in Euro tremila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.