Va sanzionato il detenuto che definisce “lager” il carcere

Fatale una missiva in cui l’uomo costretto dietro le sbarre definisce lager” la struttura penitenziaria. Evidente, secondo i giudici, l’oltraggio compiuto nei confronti degli operatori del carcere. Legittimo, quindi, il provvedimento con cui il detenuto è stato escluso per quindici giorni dalle attività in comune.

Va sanzionato il detenuto che definisce lager il carcere. Evidente per i giudici l’offesa così rivolta agli operatori della struttura penitenziaria. Cassazione, sentenza n. 35516/20, sez. I Penale, depositata l’11 dicembre . Casus belli è una missiva. In quello scritto il detenuto , sottoposto al regime del 41- bis , definisce lager” il carcere – Rebibbia, per la precisione – in cui è recluso. Consequenziale il provvedimento adottato dalla direzione, che sanziona il detenuto con quindici giorni di esclusione dalle attività in comune . Questo provvedimento è ritenuto assolutamente legittimo prima dal Magistrato di sorveglianza e poi dal Tribunale di sorveglianza . Inequivocabile, difatti, il comportamento tenuto dal detenuto e, viene sottolineato, consistito nell’aver scritto, in una lettera inviata al carcere di Sassari ove prima era ristretto, che all’atto della deportazione nel lager di Rebibbia” non gli sarebbe stata consegnata una somma di denaro . Secondo i giudici ci si trova di fronte a un atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari . A margine, poi, viene anche ritenuta corretta l’applicazione dell’ulteriore divieto di acquisto di generi alimentari durante l’esclusione dalle attività in comune , poiché, rilevano i giudici, la legge prevede che in tale periodo sono assicurati il vitto ordinario e la normale disponibilità di acqua, lasciando così intendere che è lecita l’esclusione della possibilità di operare acquisti . Inutili le ulteriori obiezioni proposte in Cassazione dal legale del detenuto. Anche per i giudici del Palazzaccio, difatti, è da considerare legittima la sanzione disciplinare adottata dalla direzione della struttura penitenziaria. Respinto il richiamo difensivo al diritto alla manifestazione del pensiero . Su questo punto i magistrati sottolineano che la definizione del carcere di Rebibbia come lager, ove si sarebbe ristretti per deportazione, implica giocoforza una offesa alla professionalità di quanti in quella struttura operano, perché il loro lavoro e il loro impegno viene automaticamente oltraggiato con la riconduzione al ruolo di aguzzini e torturatori . Per chiudere la questione, infine, viene anche affrontato il contestato divieto di acquisto di generi alimentari durante l’esclusione dalle attività in comune . I giudici della Cassazione annotano, innanzitutto, che il provvedimento impugnato dal detenuto non contiene alcuna disposizione di divieto di acquisto di generi alimentari ma, con ogni probabilità si è trattato di un divieto opposto nel corso dell’esecuzione . E per quanto non oggetto di espressa previsione esso attiene alle modalità con cui legittimamente è eseguita la sanzione dell’esclusione dalle attività in comune , sanciscono i giudici. A sostegno di questa considerazione anche il richiamo alla gestione del trattamento penitenziario , e più precisamente alla norma con cui si stabilisce che durante l’isolamento, anche quello che inerisce all’esecuzione della sanzione dell’esclusione dalle attività in comune, sono assicurati il vitto ordinario e la normale disponibilità di acqua , e dunque è logico ritenere che durante quel periodo non si abbia possibilità per il detenuto di acquisto di generi alimentari aggiuntivi , chiosano dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 ottobre – 11 dicembre 2020, n. 35516 Presidente Iasillo – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo di Al. At., detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. pen., avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza ha rigettato la richiesta di annullamento della sanzione disciplinare di giorni 15 di esclusione dalle attività in comune irrogata dalla Direzione del carcere di Rebibbia con atto del 25 novembre 2017. Il comportamento disciplinarmente rilevante è consistito nell'aver scritto, in una lettera inviata al carcere di Sassari, ove prima era ristretto, che all'atto della deportazione nel lager di Rebibbia non gli sarebbe stata consegnata una somma di denaro. 2. In risposta ai rilievi del reclamante il Tribunale ha osservato che non ha importanza la mancata preventiva comunicazione della data e dell'orario di convocazione per la contestazione, dato che tali requisiti non sono previsti dalla disciplina di legge. Ha poi chiarito che il fatto contestato è inquadrabile nella previsione di cui all'art. 77, n. 15, D.P.R. n. 230 del 2000 ed ha precisato che il divieto di acquisto di generi alimentari opera nel periodo in cui viene eseguita la sanzione dell'esclusione dalle attività in comune, dato che la legge prevede che in tale periodo sono assicurati il vitto ordinario e la normale disponibilità di acqua, lasciando così intendere che è lecita l'esclusione della possibilità di operare acquisti. Al pari, non sono significativi, ai fini della valutazione di legittimità del provvedimento, le deduzioni circa la non previsione della fattispecie nell'elenco delle infrazioni disciplinari 3. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di Al. At., che ha articolato più motivi. 3.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge per violazione dell'art. 81, comma 4, D.P.R. n. 230 del 2000 in conseguenza della mancata preventiva comunicazione della data e dell'orario di convocazione per la contestazione. 3.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge per violazione del principio di tassatività, attesa la mancata corrispondenza tra il fatto concreto e la fattispecie astratta. La condotta addebitata non è espressamente prevista come infrazione del Regolamento. 3.3. Con il terzo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge nella parte in cui si è affermata la sussistenza del divieto di acquistare generi alimentari durante l'esecuzione della sanzione dell'esclusione dalle attività in comune. Considerato in diritto 1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte. 2. Il primo motivo è infondato. Il ricorrente lamenta di non aver ricevuto una preventiva comunicazione circa la data e l'orario di convocazione per la contestazione ma non anche che l'omessa comunicazione gli impedì di presenziare dinnanzi al Consiglio di disciplinare e li far valere le sue ragioni. Dall'esame del fascicolo processuale si ricava che il 24 novembre 2017 gli fu contestato l'addebito e che in quell'occasione rese dichiarazioni a discolpa e che il giorno successivo si tenne il Consiglio di disciplina dinnanzi al quale egli, nonostante la lamentata omissione, comparve per discolparsi nel merito, spiegando le ragioni per le quali aveva definito il carcere di Rebibbia un lager. In quella sede fece soltanto una contestazione di tipo procedurale, rilevando l'assenza dell'Ispettore capo Reparto. 2.1. Pur a voler ritenere che l'omessa preventiva comunicazione integri una nullità - in tal senso il precedente giurisprudenziale citato in ricorso, Sez. 1, n. 43862 del 7 ottobre 2019 -, si rileva che la mancata deduzione della stessa dinnanzi al Consiglio di disciplina ne ha determinato la sanatoria, essendo onere dell'incolpato eccepirla, a pena di decadenza, al momento dell'apertura dell'udienza stessa, trovando applicazione le disposizioni in materia di nullità processuale, tra cui l'art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen. - Sez. 1, n. 13085 del 06/03/2020, Dell'Aquila, Rv. 278894 -. 3. Anche il secondo motivo è infondato. Il Tribunale di sorveglianza ha con adeguatezza di argomenti spiegato che il comportamento tenuto dal ricorrente trova qualificazione nella previsione di cui all'art. 77, n. 15, D.P.R. n. 230 del 2000, che indica come condotta disciplinarmente rilevante l'atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell'istituto per ragioni del loro ufficio o per visita . Non può essere revocato in dubbio, senza che possa invocarsi il diritto alla manifestazione del pensiero, che la definizione del carcere di Rebibbia come lager, ove si sarebbe ristretti per deportazione , implica giocoforza una offesa alla professionalità di quanti in quella struttura operano, perché il loro lavoro e il loro impegno viene automaticamente oltraggiato con la riconduzione al ruolo di aguzzini e torturatori. 4. Il terzo motivo è parimenti infondato. Il provvedimento oggetto di reclamo non contiene alcuna disposizione di divieto di acquisto di generi alimentari ma, con ogni probabilità, nonostante l'assenza di specificazioni sia nell'ordinanza del Tribunale di sorveglianza che nel ricorso, si è trattato di un divieto opposto nel corso dell'esecuzione. Esso, per quanto non oggetto di espressa previsione, attiene alle modalità con cui legittimamente è eseguita la sanzione dell'esclusione dalle attività in comune. Stabilisce l'art. 73 D.P.R. n. 230 del 2000 che durante l'isolamento, anche quello che inerisce all'esecuzione della sanzione dell'esclusione dalle attività in comune, sono assicurati il vitto ordinario e la normale disponibilità di acqua -comma 5 - è dunque logico ritenere che durante quel periodo non si abbia possibilità per il detenuto di acquisto di generi alimentari aggiuntivi. Non si è di fronte, in tal modo, ad una sanzione ulteriore che si sovrappone, nel silenzio della legge, all'altra tipica, con compromissione del principio di legalità dell'apparato disciplinare, quanto di una modalità con cui si pone in esecuzione, nell'ambito delle espresse previsioni di legge, la misura dell'isolamento, componente ordinaria della sanzione di cui ora si discorre. 5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.