Emergenza COVID-19 e sospensione dei termini processuali: vale anche per il giudizio di riesame

Il procedimento di riesame, nella normativa emergenziale legata alla emergenza pandemica da COVID-19, non rientra tra le eccezioni alla regola del rinvio d'ufficio di tutti i procedimenti penali a data successiva al 31 maggio 2020. In mancanza di richiesta esplicita di trattazione dell'udienza, pertanto, i termini perentori entro cui deve essere depositata la decisione devono intendersi sospesi.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31765/20, depositata il 12 novembre. Gli strascichi del lockdown. Mentre tutta l'Italia si barricava in casa per sfuggire al contagio della prima ondata” - con numeri che se paragonati a quelli di oggi ci sarebbe da metterci la firma con entusiasmo – il Governo, tra le mille incombenze cui faceva fronte, abbracciava la condivisibilissima scelta del rinvio dei procedimenti penali a data successiva al 31 maggio. Il processo, infatti, è per sua natura un'occasione di contatto sociale. Nell'intento di limitare al massimo la circolazione del virus, specialmente in un momento nel quale il servizio sanitario stava organizzandosi per reagire al diffondersi del contagio, era necessario contenere il più possibile le circostanze in cui ci si potesse trovare a formare un assembramento” in luoghi chiusi. Il protagonista della sentenza che oggi ci occupa aveva presentato richiesta di riesame prima dell'entrata in vigore della disciplina emergenziale e, una volta emanata quest'ultima, non chiedeva espressamente di dare luogo alla trattazione dell'udienza che, quindi, veniva rinviata. L'ordinanza de libertate veniva quindi depositata ben oltre il termine del decimo giorno dalla ricezione degli atti imposto dal codice di rito. Nel ricorso per cassazione si solleva la questione del mancato rispetto del termine suddetto, con ogni consequenziale ricaduta in termini di efficacia del provvedimento custodiale. Una regola e alcune eccezioni. La regola generale, lo abbiamo già detto, era quella del rinvio d'ufficio di tutti i processi penali. Le eccezioni rientravano in due macrocategorie la prima riguardava le udienze di convalida delle misure precautelari, quelle dei procedimenti nei quali durante il periodo di sospensione scadevano i termini custodiali e le udienze nei procedimenti in cui erano state richieste o applicate misure di sicurezza detentive. La seconda categoria, invece, era relativa ai procedimenti a carico di persone detenute o quelle riguardanti vicende processuali in cui erano applicate misure cautelari. Questa seconda species di procedimenti, per essere trattati, richiedevano una espressa richiesta proveniente dall'interessato o dal suo difensore. In mancanza, la soluzione era quella del rinvio con contestuale sospensione dei vari termini processuali e di prescrizione del reato. Nel procedimento di riesame occorreva la richiesta esplicita di trattazione. La lettura della norma non lasciava spazio ad interpretazioni alternative. Tra l'altro, il termine entro cui poter chiedere la trattazione dell'udienza veniva determinato dai capi degli Uffici Giudiziari in assoluta autonomia, giustificata dalla diversa incidenza dell'epidemia nelle varie regioni del Paese. La Suprema Corte, in considerazione della formulazione della norma emergenziale, non accede alla tesi secondo cui la presentazione della impugnazione cautelare equivaleva a implicita richiesta di trattazione dell'udienza. La soluzione viene appoggiata” ad alcuni principi formatisi in giurisprudenza in tema di rinuncia alla sospensione dei termini feriali estivi. Anche in questo caso la presentazione della richiesta di riesame non equivale a implicita rinuncia alla sospensione feriale, per ottenere la quale serve una espressa manifestazione di volontà. Anche in occasione di calamità naturali particolarmente gravi, quali ad esempio i terremoti, si è adottata una regola del tutto analoga a quella elaborata per fare fronte alla epidemia da COVID-19. Nessuna violazione del diritto di difesa, pertanto. Nè del termine perentorio entro cui il tribunale della libertà deve depositare la propria decisione. Vedremo se la questione verrà riproposta in altre occasioni, e temiamo – dato l'andamento dell'epidemia, e speriamo di sbagliarci – che non passerà affatto di moda.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 settembre – 12 novembre 2020, n. 31765 Presidente Tardio – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 22 ottobre 2018 il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, condannava B.G. alla pena complessiva di anni dodici di reclusione, -già applicato l’aumento a titolo di continuazione della pena inflitta al medesimo imputato con la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, irrevocabile il 18 ottobre 2012-, in quanto ritenuto responsabile di concorso nei tentati omicidi, commessi il omissis , in danno di O.S. e di M.G. e dei connessi reati di porto in luogo pubblico di un fucile kalashnikov cal. 7,26 x 39, arma da guerra, e di tre pistole, due cal. 9x21 ed una cal. 9 corto, delitti aggravati perché commessi per agevolare organizzazione di stampo mafioso, con l’uso di armi e da un numero di partecipanti superiore a cinque. Al B. era ascritta e ritenuta dimostrata la partecipazione, quale vedetta - staffetta, all’azione, realizzata da un gruppo di soggetti alle dipendenze di S.G. , esponente di vertice del clan dei casalesi, fazione B. -S. , consistita nel portarsi dapprima nei pressi dell’abitazione di O.S. e nell’esplodere dall’esterno dell’immobile numerosissimi colpi di arma da fuoco al fine di colpire lo stesso ed i suoi familiari, riusciti a scampare all’agguato, quindi nel ripetere la medesima condotta in danno di F.P. , anche in questo caso senza successo per essere stata attinta una vicina di casa, M.G. , colpita durante quest’ultima sparatoria. La ricostruzione come frutto di unica strategia criminale dei due episodi criminosi, sin all’apparenza accomunati da similitudini operative, era ritenuta riscontrata dai reperti balistici recuperati presso le due abitazioni bersagliate e risultati essere stati esplosi da armi già impiegate in precedenti azioni omicidiarie di matrice camorristica, quindi era confermata dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia P.G. , L.S. , G.G. , T.L. e F.S. , i quali avevano riferito quanto appreso de relato nell’ambito del gruppo criminoso di appartenenza sulle vicende, nonché dalle chiamate in correità di C.N. e B.M.U. , che avevano partecipato quali esecutori ai fatti contestati a B. e lo avevano indicato quale partecipe alle due azioni con funzioni di vedetta allo scopo di proteggere la fuga degli esecutori. Proposto appello da parte dell’imputato, la Corte di appello di Napoli con sentenza in data 5 novembre 2019 riformava parzialmente la pronuncia di primo grado e, applicate le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti contestate e ritenuta la continuazione con i fatti giudicati dalla sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli dell’11 dicembre 2013, irrevocabile il 28 febbraio 2017, rideterminava in anni tre di reclus e l’aumento per i reati giudicati. Confermava nel resto l’impugnata sentenza ed il giudizio di responsabilità, ulteriormente avvalorato dalle dichiarazioni rese nel giudizio di appello anche dalla persona offesa O.S. , divenuto collaboratore di giustizia a sua volta, il quale aveva affermato di avere appreso da altri della partecipazione anche di B. all’attentato contro la sua persona. 2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso l’imputato con due atti distinti, a firma dei suoi difensori. 2.1 Con il ricorso a firma dell’avv.to D.M.P.D. ha dedotto a vizio di motivazione in relazione all’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e ed all’art. 192 c.p.p., per avere la Corte di appello affermàto in termini apodittici e stereotipati di condividere le motivazioni del primo giudice ed essersi limitata a ripercorrere la ricostruzione del fatto, omettendo la disamina dei motivi di appello, in particolare sui contrasti esistenti nelle dichiarazioni rese dai collaboratori C. e B. . b Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192 c.p.p., in riferimento agli artt. 110, 56 e 575 c.p La conferma del giudizio di responsabilità si basa sul recepimento acritico del dichiarato del C. e del B. , disomogeneo ed impreciso, non convergente sul ruolo svolto dal ricorrente e sulla descrizione della fase preparatoria dei delitti, senza che la Corte di appello abbia condotta una indagine autonoma circa la loro attendibilità soggettiva ed oggettiva, adempimento reso tanto più necessario dal fatto che uno dei coimputati era stato mandato assolto, come risulta dalla sentenza della Corte di cassazione agli atti. In particolare, in ordine alla marca ed al colore del veicolo a bordo del quale B. avrebbe preso parte al duplice tentato omicidio, alle persone a bordo del mezzo, alla presenza di B. durante le riunioni preliminari per l’organizzazione dei delitti, al fatto che dopo le sparatorie anche il veicolo da questi condotto si sarebbe recato presso l’abitazione di tale F.A. , seguendo le due autovetture con a bordo, in una S. e C. , nell’altra G. e G. , i due collaboratori hanno reso indicazioni difformi ed è sospetta la scelta dagli stessi intrapresa di collaborare con la giustizia negli stessi tempi, il che fonda il dubbio di una concertazione calunniosa in danno del ricorrente. Anche in ordine alla valutazione delle conversazioni intercettate in ambientale n. 894 e 904 del 12/12/2008, che offrirebbero dati di conferma al narrato dei collaboratori predetti, non si è tenuto conto del fatto che la prima contiene un accenno a tale G. di incerta identificazione nel ricorrente. Le dichiarazioni rese da F.S. , collaboratore di giustizia, nel procedimento celebrato presso il Tribunale di S.M. Capua Vetere sono state del tutto ignorate dai giudici di merito perché costui nessun accenno aveva fatto a B. ed aveva anche escluso il coinvolgimento di B.M. . Le dichiarazioni di O.S. in ordine al coinvolgimento del ricorrente nell’azione commessa ai suoi danni è frutto di conoscenze acquisite de relato da G.D. e I.G. , non già della sua conoscenza diretta le stesse non sono comunque convergenti col narrato di C. e di B.M. , per i quali il mandato sarebbe stato loro conferito da S.G. e non da S.N. , come riferito dall’O. , il quale ha descritto diversi assalitori rispetto a quanto affermato dagli altri due collaboratori. Nè è legittimo desumere la prova della partecipazione del ricorrente ai delitti contestatigli dalla partecipazione al clan capeggiato da S. , come accertata da sentenza di condanna irrevocabile, poiché tale valutazione risulta disancorata dalla disposizionè di cui all’art. 192 c.p.p b Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 62-bis, 133 e 81 cpv. c.p., per non essere state applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti e non avere contenuto la pena entro il minimo edittale, nonostante il riconosciuto ruolo marginale del ricorrente. 2.2 Col ricorso a firma dell’avv.to Davino si è dedotto a violazione di legge e mancanza, apparenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. La Corte di appello non ha ritenuto di assegnare rilievo, avendole svalutate, alle rilevanti ed inconciliabili divergenze nella ricostruzione dei fatti, operata dai collaboratori C. e B.M. in merito alla vettura in uso al ricorrente la sera dei fatti, alla presenza di coimputati all’interno di tale veicolo, al ruolo svolto dal ricorrente, assente nella fase preparatoria e negli appostamenti, cui aveva preso parte il collaboratore F. , all’arrivo di S. presso l’abitazione di F.A. , al rifiuto opposto da C. di uccidere anche i familiari di O. . Secondo la difesa tali discrasi& amp indicavano, o che C. aveva arricchito il proprio racconto con indicazioni non veritiere, oppure B.M. non aveva preso parte alle azioni. È stata altresì omessa la considerazione di ulteriore profilo di divergenza nelle versioni dei fatti rese dai due propalanti in ordine ai soggetti che si erano portati nelle traverse ove erano ubicate le abitazioni di O. e F. , che per B.M. includevano anche B. , mentre per C. costui si era trovato già a casa di F. quando gli esecutori vi avevano fatto ritorno, doglianza significativa della casuale presenza di B. sul luogo dei fatti e dell’assenza di un suo contributo concorsuale, sul qualè gli esecutori non avevano fatto affidamento. Il giudizio espresso dalla Corte di appello di irrilevanza di tali aspetti, perché marginali, e comunque significativi della genuinità delle propalazioni acquisite è inficiato da illogicità e da apparenza giustificativa e comunque non rispetta la sequenza di operazioni valutative prescritte dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite in ordine alla chiamata in correità, difettando il vaglio di credibilità intrinseca delle due fonti utilizzate. Inoltre, non è stato preso in esame il diverso contributo conoscitivo fornito da altro collaboratore di giustizia, F.S. , il quale, escusso in separato procedimento sulla stessa vicenda, aveva escluso la partecipazione del ricorrente ed anche di B.M. al duplice tentato omicidio, fornendo una terza ricostruzione degli accadimenti diversa da quella degli altri due propalanti, i quali avevano maturato contestualmente la scelta della collaborazione con la giustizia dopo aver preso cognizione degli atti processuali con plausibili reciproci condizionamenti. Anche la valutazione del materiale intercettativo presenta vizi di carente ed apparente motivazione poiché non tiene conto del diverso contenuto della perizia trascrittiva della Dott.ssa S. , prodotta dalla difesa in fase cautelare, nella quale era smentita la pronuncia della parola B. nella conversazione n. 904 del 12/12/2008, mentre il riferimento a tale G. non necessariamente riguardava l’imputato ed anche le dichiarazioni de relato e doppiamente indirette di O.S. non rappresentano un elemento idoneo a riscontrare le dichiarazioni dei collaboratori perché, oltre ad essere di contenuto generico, differiscono da queste ultime in ordine all’identità del mandante, all’autovettura condotta dal ricorrente, al numero ed alla tipologia dei mezzi a bordo dei quali erano sopraggiunti gli assalitori. b Vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge processuale in riferimento agli artt. 64 e 210 c.p.p. e art. 438 c.p.p., comma 6, circa l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da C. e da B.M. , in quanto, poiché spontaneamente rese, in assenza di un effettivo contraddittorio, impossibile per il mancato esame degli imputati, nemmeno il rito abbreviato ne consente l’utilizzo ed esse non possono mai costituire prova a carico dell’imputato, soggetto terzo rispetto al dichiarante. c Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 c.p. e vizio di motivazione apparente ed illogica. Difetta la motivazione circa la mancata conduzione del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche e le operate scelte sanzionatorie. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va dunque respinto. 1. I due atti d’impugnazione prospettano questioni per lo più sovrapponibili in ordine al giudizio di responsabilità ed al trattamento sanzionatorio e possono essere oggetto di trattazione unitaria. 1.1 La difesa investe il giudizio di affidabilità espresso dai giudici di merito in ordine ai contributi conoscitivi offerti dai collaboratori di giustizia ed il conseguente loro utilizzo probatorio a carico del ricorrente. 1.2 La sentenza impugnata ha confermato l’attribuzione a B.G. della partecipazione concorsuale alla fase esecutiva del duplice tentato omicidio di O.S. e F.P. , -quest’ultimo non raggiunto dalla sparatoria perché diretta per errore contro l’abitazione vicina, occupata dalla famiglia di M.G. , rimasta gravemente ferita-, compiuto per deliberazione e mandato di S.G. , all’epoca a capo della fazione B. -S. del clan camorristico dei casalesi, di cui era partecipe anche B. , per punire le vittime designate a causa di pregressi contrasti col predetto S. , intenzionato a ristabilire il proprio controllo sul territorio di influenza. Ha in primo luogo richiamato le emergenze offerte dall’attività intercettativa telefonica ed ambientale, condotta nei riguardi di O.S. , dalle quali ha dedotto la dimostrazione del fatto che costui aveva descritto l’agguato come condotto mediante il tentativo di attirarlo all’esterno della sua abitazione col pretesto di consegnargli dolci e vino e poi, al suo rifiuto, mediante una protratta sparatoria ed aveva riconosciuto alcuni assalitori in G.P. , R.A. e B.G. , soggetti organici al clan S. . Ha confermato la riconducibilità di entrambe le azioni di fuoco ad un unico gruppo di aggressori per il contesto esecutivo, unitario sul piano spazio-temporale e delle modalità. operative, nonché per le risultanze delle indagini balistiche, indicative dell’impiego dello stesso fucile kalashnikov e delle medesime pistole già utilizzate in precedenti azioni omicidiarie, commesse dal gruppo di fuoco a disposizione di S.G. . 1.3 La Corte di appello ha aderito pienamente anche al giudizio di utilizzabilità degli apporti dichiarativi, forniti dai collaboratori di giustizia C.N. ed B.M.U. , siccome integranti valide chiamate in correità a carico di B.G. , formulate nel giudizio di appello del processo a loro carico n. 6662/2012 R.g.n. r. e ha così respinto l’eccezione sollevata dalla difesa. Al riguardo, a pag. 9 della motivazione, ha osservato che, mentre B.M. si era sottoposto ad esame nel rispetto delle garanzie previste dall’art. 210 c.p.p., assistite dagli avvisi di rito e dalla redazione di verbale corredato da fonoregistrazione agli atti, senza che la difesa avesse subito nessuna forma di pregiudizio, C. aveva reso spontanee dichiarazioni, verbalizzate in contesto dibattimentale alla presenza dei difensori e la scelta del rito abbreviato, operata da B. , aveva reso utilizzabili tali atti. 1.3.1 Col secondo motivo del ricorso proposto dall’avv.to Davino si contesta il giudizio così espresso, ribadendo che il dichiarato di entrambi i collaboratori avrebbe potuto essere utilizzato soltanto a carico degli stessi autori delle propalazioni, ma non contro terzi, per il difetto di un contraddittorio effettivo, reso impossibile dal mancato esame delle fonti con le modalità stabilite dal sistema processuale. 1.3.2 La doglianza è in parte aspecifica, in parte infondata. In primo luogo, la difesa accomuna le dichiarazioni delle due fonti escusse in separato procedimento ed ignora che da entrambe le sentenze di merito emerge la loro diversa natura giuridica, in quanto soltanto quelle provenienti da C.N. costituiscono frutto di spontanea iniziativa di tale coimputato, mentre quelle di B.M. risultano essere state rese nel corso di regolare esame dibattimentale, condotto nel contraddittorio delle parti e previa formulazione degli avvisi di cui all’art. 64 c.p.p Pertanto, il dubbio di inutilizzabilità investe soltanto le prime, non già le seconde, validamente utilizzate anche sotto il profilo di illegittimità denunciato dalla difesa. 1.3.3 Quanto alle prime, il giudizio di utilizzo quale elemento a carico di B. riposa sulla considerazione della mancata contestazione della loro natura spontanea e della inapplicabilità a tali dichiarazioni della disciplina di cui all’art. 64 c.p.p., comma 3-bis, con la conseguente inutilizzabilità delle stesse nei confronti degli imputati di reato connesso o collegato, sanzione che postula la sottoposizione del dichiarante ad interrogatorio esse restano soggette alla diversa regola di cui all’art. 350 c.p.p., comma 7, che ne sancisce l’inutilizzabilità esclusivamente nel dibattimento relativo al giudizio ordinario. La giurisprudenza di questa Corte ha già affermato, e qui si ribadisce, la piena utilizzabilità di tali apporti dichiarativi nel processo celebrato nelle forme del rito abbreviato anche nei confronti di terzi chiamati in reità o in correità per la scelta difensiva comportante l’abdicazione volontaria alle garanzie di formazione della prova in contraddittorio a fronte del vantaggio conseguibile in termini di riduzione della pena sez. 6, n. 24679 dell’11/7/2006, Pm in proc. Adamo, rv. 235135 sez. 3, n. 48508 del 3/11/2009, Di Ronza, rv. 245622 sez. 3, n. 10643 del 20/1/2010, Capozzi ed altri, rv. 246590 sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, Pg, Bianco ed altri, rv. 252852 sez. 5, n. 2929 del 5/11/2018, dep. 2018, Governanti, rv. 274588 . Se dunque a norma dell’art. 494 c.p.p., il rilasciare in modo spontaneo dichiarazioni costituisce facoltà esercitabile dall’imputato in ogni stato e grado del processo e sebbene con tale adempimento si veicoli in linea generale la difesa personale di chi è accusato, non può però escludersi che il contenuto sia di tenore confessorio e persino accusatorio nei confronti di terzi sez. 5, n. 10041 del 13/06/19998, Altissimo ed altri, rv. 211392 . È altrettanto vero però che la scelta del rito alternativo rende inoperante la regola, stabilita dall’art. 526 c.p.p., comma 1-bis, che priva di valenza probatoria il dichiarato di chi al dibattimento si sia volontariamente sottratto all’esame delle parti. Tanto esclude che sia ravvisabile la sanzione dell’inutilizzabilità per assunzione di una prova in contrasto con un divieto normativo o affetta da nullità assoluta, ossia in presenza di un vizio invalidante, il cui rilievo è sottratto al potere dispositivo delle parti ed è operante anche nell’ambito del giudizio abbreviato. Sul punto si registra dunque il perfetto allineamento della sentenza ai principi interpretativi, dettati dalla giurisprudenza di legittimità, senza sia dato ravvisare i vizi denunciati. 1.4 Non ha fondamento nemmeno la censura rivolta nei due atti di ricorso al giudizio di attendibilità espresso in riferimento ai contributi dichiarativi dei due collaboratori. 1.4.1 In primo luogo non è sfuggito alla valutazione dei giudici distrettuali la maturazione della scelta della collaborazione con la giustizia da parte di C. e B.M. soltanto nel corso del separato giudizio di appello, celebrato a loro carico, ma hanno apprezzato, a favore della genuinità delle loro rivelazioni, sia il loro contenuto principalmente autoaccusatorio, sia la rievocazione delle vicende riguardanti B. in termini dettagliati, coerenti e privi di profili di irrazionalità. Inoltre, sul piano della credibilità soggettiva hanno riscontrato la condivisa e risalente militanza di entrambi i propalanti nel clan capeggiato da S. , circostanza che dà conto del patrimonio di conoscenze acquisite e della possibilità di riferire su vicende decise e realizzate nel contesto di tale appartenenza e per finalità proprie di tale sodalizio. Hanno poi escluso la plausibilità di un intento calunniatorio comune alla base di una versione falsa dei fatti, concordata per inimicizia personale o per intenti vendicativi, mai rappresentati dalla difesa, nè emersi dalle investigazioni, tanto più che il ruolo assegnato a B. era certamente secondario, essendo stata esclusa la sua partecipazione alla deliberazione ed organizzazione dei delitti. Inoltre, anche sul piano logico non assume rilievo l’aspettativa di conseguire benefici personali, che è comune a qualsiasi scelta di collaborazione con la giustizia, ma che perciò solo non compromette la affidabilità della fonte. 1.4.2 Diversamente da quanto affermato negli atti di ricorso, la Corte distrettuale non ha ignorato, nè minimizzato le divergenze nelle rispettive propalazioni, segnalate dalla difesa nell’appello, ma ha ritenuto di poterle superare in base all’apprezzamento della rilevanza oggettivamente trascurabile di tali aspetti di divergenza, che non coinvolgono il nucleo essenziale e fondante l’accusa, ossia la partecipazione, riferita in modo costante e conforme, di B.G. alla fase realizzativa dei due tentati omicidi, la sua partenza dall’abitazione di F.A. a bordo di un’autovettura unitamente a B.M. ed agli esecutori materiali, occupanti altri due veicoli e la sua funzione di staffetta e di vedetta per garantire al gruppo di S.G. sicurezza ed efficienza delle azioni di fuoco e della successiva fuga. 1.4.3 Ciascuno degli aspetti di discrasia nella narrazione delle due fonti dichiarative, ovvero l’identità della persona presente a bordo dell’autovettura occupata da B. ed il modello e colore del veicolo, è stato analizzato e considerato in termini comparativi e valutato come insufficiente a destituire di credibilità ciascun apporto conoscitivo ed a pregiudicare la possibilità di ravvisarne la convergenza, posto che era coincidente la descrizione del movente, degli obiettivi, dei partecipanti alle due azioni, del loro rispettivo coinvolgimento in quanto appartenenti all’ala stragista del clan S. , degli esecutori materiali e del mandante, delle modalità operative, del ruolo di staffettista svolto da B. , della sua mancata partecipazione alla fase preparatoria ed organizzativa dei delitti. La Corte di merito ha offerto anche una spiegazione perfettamente logica circa la divergente descrizione dell’autovettura utilizzata da B. quella sera e circa la presenza a bordo della stessa auto di un terzo soggetto a nome C. ha osservato che l’imputato era descritto come avente la disponibilità di più veicoli, utilizzati alternativamente e che tale C. non era stato già conosciuto dai due collaboratori e non aveva svolto un ruolo decisivo e di rilievo, essendo possibile che uno dei due ne avesse dimenticato la presenza nella concitazione del momento. La sentenza impugnata è sorretta da adeguata motivazione laddove ha condotto la verifica dell’attendibilità dei collaboratori di giustizia, soggetti intranei all’associazione di stampo mafioso di riferimento ed a diretta conoscenza dei fatti delittuosi oggetto del processo nei quali, per loro stessa ammissione, erano stati coinvolti e ha riscontrato la confluenza delle rispettive narrazioni nel rispetto dei criteri di metodo dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 3, come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema. Al riguardo, giova ricordare che, in tema di valutazione della convergenza delle dichiarazioni di reità o di correità dei collaboranti e - più in generale - della concordanza della prova orale, questa Corte ha stabilito il principio di diritto, per il quale il nucleo essenziale della propalazione deve essere individuato e apprezzato, non già in termini astratti dal contesto delle rappresentazioni, con esclusivo e limitato riferimento alla azione tipizzata dalla norma incriminatrice, bensì in rapporto allo specifico fatto materiale oggetto dalla narrazione nella sua interezza e alla stregua del rilievo assegnato dal dichiarante, nell’impianto narrativo, agli accadimenti, ai fatti, alle circostanze evocati sez. 6, n. 47198 dell’8/10/2018, Bombardino, rv. 277393 sez. 1, n. 34102 del 14/07/2015, Barrato ed altro, rv. 264368 sez. 1, n. 28221 del 14/02/2014, De Falco, rv. 260936 sez. 1, n. 18539 del 15/04/2009, Daut, n. m. sez. 1, n. 28443 del 7/06/2007, Sapienza, n. m. sez. 2, n. 7437 del 30/04/1999, Cataldo, rv. 213845 sez. 2, n. 3616 del 17/12/1999, dep. 2000, Calascibetta, rv. 215558 sez. 4, n. 6221 del 20/04/ 2005, Aglieri, rv. 233085 . 1.4.4 Non hanno dunque pregio le obiezioni difensive, che ripropongono, per denunciare vizi di motivazione, pretese omissioni o carenze giustificative in realtà del tutto assenti e che sono finalizzate soltanto a manifestare dissenso per una valutazione dagli esiti sgraditi, ma non immotivata, nè assunta in violazione di legge. Va anche aggiunto che l’effettiva mancata considerazione della differente descrizione da parte dei due collaboratori della presenza anche della vettura con a bordo B. all’interno dei vicoli che avevano condotto all’abitazione di O.S. , anziché descriverla in sosta in altro luogo in attesa del ritorno degli esecutori della sparatoria programmata, costituisce un dettaglio effettivamente secondario, che, per la sua scarsa rilevanza, non inficia la tenuta logica della ricostruzione complessiva degli episodi e non pregiudica nemmeno la possibilità di individuare il contributo materiale e morale, dato dal ricorrente alla realizzazione dei delitti ascrittigli quale vedetta e poi staffetta sino al raggiungimento del luogo convenuto di riunione dei partecipanti. Siffatta condotta è stata valutata come apporto penalmente rilevante alla realizzazione del proposito criminoso dei correi secondo un giudizio non irrazionale, nè frutto di travisamento dei dati probatori. 1.4.5 Non hanno fondamento le obiezioni dei difensori circa la parziale non coincidenza tematica delle rappresentazioni fattuali dei chiamanti in correità, che sottendono una concezione errata del concetto di concordanza dei dati accusatori. Invero, la pretesa della perfetta coincidenza degli elementi forniti dalle fonti dichiarative, oltre ad essere in sé sospetta, non trova rispondenza nell’art. 192 c.p.p., comma 3 e nella lezione interpretativa di questa Corte Suprema di cassazione, che a Sezioni Unite ha affermato la reciproca conferma della attendibilità delle dichiarazioni delle persone imputate in procedimenti connessi a norma dell’art. 12 c.p.p., ovvero imputate di reato collegato ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b , non esige che le propalazioni attengano all’idem dictum è bensì sufficiente che i fatti rappresentati siano in rapporto di univoca implicazione rispetto alla specifica condotta criminosa da provare Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, n. m. sul punto . 1.4.6 Tutte le ulteriori censure esposte nei due atti di ricorso attengono a questioni probatorie già congruamente risolte dalla Corte distrettuale. 1.4.6.1 È del tutto generico ed indimostrato, quindi non valutabile in questa sede di legittimità, il rilievo contenuto nel ricorso dell’avv.to De Marco circa l’intervenuta assoluzione di uno dei coimputati, sottoposto a distinto giudizio non è dato comprendere a chi si alluda, con quale sentenza ne sia stato disposto il proscioglimento e le relative ragioni, posto che si è richiamata una sentenza della Corte di cassazione agli atti senza specificarne gli estremi identificativi, nè fornire migliori delucidazioni sul punto onde consentire la verifica e la comprensione del dato storico e di trarne conclusioni valevoli per il presente procedimento. 1.4.6.2 Il limitato portato conoscitivo delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia F.S. , che non aveva incluso B. tra i soggetti del clan S. impegnati nella preparazione dell’omicidio di O. e F. , è stato apprezzato in relazione alla sua condizione personale di soggetto di recentissimo avvicinamento al clan, dichiaratamente non ammesso alla completa conoscenza delle sue iniziative e non in possesso di ricordi lucidi, alla mancata partecipazione dello stesso alla fase esecutiva dei delitti, alla mancata esplicita esclusione del coinvolgimento del ricorrente nella vicenda. Inoltre, la riferita assenza dal commando di B.M. è stata considerata circostanza smentita dalle altre risultanze probatorie e dal fatto che il predetto coimputato è reo confesso sul punto. 1.4.6.3 La rilevanza della conversazione intercettata n. 894 del 12 dicembre 2008, nella quale B.G. e G.P. , -due dei componenti del gruppo di fuoco che circa quattro ore dopo attenterà alla vita di O. e di F. , in questo secondo caso colpendo per errore l’incolpevole M. -, avevano deciso di portare con loro anche G. per farlo sciogliere un pò, è stata apprezzata come riguardante la persona di B. per la coincidenza di nome proprio, per la mancata dimostrazione del fatto che egli fosse chiamato soltanto con il diverso nome di M. e per la comune appartenenza dei dialoganti e dello stesso al sodalizio di S. , circostanza quest’ultima già accertata irrevocabilmente in separati processi, dato che avvalora la plausibilità del collegamento e la logicità dell’inferenza. Per contro, non risulta utilizzata in sentenza la conversazione n. 904 del 12/12/2008, sicché nessun pregiudizio può lamentare il ricorrente dalla mancata considerazione della perizia trascrittiva della Dott.ssa S. , prodotta dalla difesa in fase cautelare, 1.4.6.4 Le informazioni fornite dalla vittima O.S. sono state valutate per il limitato contributo conoscitivo offerto all’accertamento dei fatti e come solo parzialmente attendibili per avere egli indicato quali mandanti della sparatoria S.N. e V.C. in contrasto con quanto confidato all’amico P. nell’immediato nel corso di conversazione intercettata, allorché aveva affermato di avere riconosciuto un gruppo di assalitori comandato da S. , mentre in giudizio, dopo avere intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia, aveva riferito anche della partecipazione di B. quale notizia appresa successivamente de relato da altri esponenti del clan dei casalesi. Anche con riferimento a tali elementi la sentenza non si espone a censure. Deve concludersi che la conferma del giudizio di responsabilità riposa su un compendio probatorio adeguatamente vagliato in coerenza con i criteri legali e sorretto da motivazione coerente, logica, completa anche nell’offrire risposta alle censure difensive, che sono state riproposte in termini ripetitivi e non del tutto correlati al percorso argomentativo della sentenza contestata. 1.4.6.5 In particolare, osserva il Collegio che i dubbi di una versione dei fatti concordata tra i due collaboratori di giustizia C. e B.M. si alimenta soltanto della circostanza della loro scelta di collaborare con la giustizia non immediatamente dopo l’arresto, ma in un momento successivo alla condanna riportata nel separato processo, senza peraltro che siano indicati apprezzabili e concreti aspetti di sospetta coincidenza o di smentita, ricavabili da altri mezzi di prova, nè credibili ragioni di un consapevole mendacio. Le altre fonti di prova, diverse dai due predetti propalanti, non negano la partecipazione di B. , ma descrivono soltanto segmenti diversi delle due iniziative e non offrono una ricostruzione completa e frutto di conoscenze dirette. Del resto si mostra da parte delle difese di ignorare che le accuse mosse a B. ritagliano per lo stesso un ruolo di secondo piano nell’esecuzione dei due agguati, non compatibile, come già osservato dalla Corte di merito, con una falsa accusa, che avrebbe, invece, cercato di comprometterne maggiormente la posizione e che il suo coinvolgimento è reso plausibile dalla dimostrata appartenenza al medesimo clan camorristico, dei quali erano sodali gli altri correi ed i suoi accusatori, e nel cui interesse i due episodi erano stati compiuti. La sentenza impugnata resiste dunque alle critiche che le sono state mosse. 2. Anche in ordine alle scelte sanzionatorie la Corte di appello ha offerto congrua giustificazione e ha operato una notevole mitigazione del rigore della prima decisione. Quanto al diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti in realtà nessun argomento difensivo già rappresentato ai giudici di secondo grado milita per siffatto più favorevole bilanciamento, posto che il ruolo meno determinante rivestito nei fatti di reato è già valso l’applicazione, assai benevola, delle predette circostanze, mentre in senso negativo sono state valorizzate la mancata confessione, nonché l’assenza di revisione critica e di altre circostanze valutabili in suo favore. Altrettanto dicasi quanto all’aumento di pena operato per i reati unificati per continuazione sulla pena base già inflitta per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., che risulta proporzionato alla gravità dei fatti ed all’incremento stabilito per l’altro reato di cui all’art. 374-bis c.p., parimenti aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, ed in origine separatamente giudicato. Per le considerazioni svolte il ricorso, infondato in tutte le sue deduzioni, va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.