Reddito di cittadinanza diviso con la compagna che va via di casa: legittimo il sequestro della relativa PostePay

Confermata la decisione con cui il Tribunale, seguendo la linea tracciata dal GIP, ha ritenuto legittimo il sequestro della PostePay su cui venivano erogati gli emolumenti relativi al reddito di cittadinanza. In questo caso il cittadino ha ripartito in fatto il corrispettivo con la sua ex convivente e così ha deciso autonomamente di destinare il sussidio secondo proprie valutazioni slegate dai requisiti di legge, e senza fornire alcuna informazione circa la modificazione dello stato personale.

Reddito di cittadinanza ottenuto e diviso con la compagna, poi andata via di casa. L’omessa comunicazione in merito alla modificazione dello stato personale è sufficiente non solo per dare solidità all’accusa penale ma anche per legittimare il sequestro della relativa PostePay. Cassazione, sentenza n. 30302/20, depositata oggi . Scenario della vicenda è la provincia siciliana. Lì un cittadino, che ha visto accolta la richiesta relativa al reddito di cittadinanza , viene indagato per avere ottenuto indebitamente il beneficio , avendo, secondo l’accusa, non fornito tutte le informazioni necessarie, omettendo, tra l’altro, di indicare la posizione lavorativa retribuita della sua convivente – con cui ha condiviso la somma percepita – e non comunicando la modificazione dello stato personale, una volta andata via di casa la compagna. A corredo arriva però anche il provvedimento con cui il GIP del Tribunale dispone nel febbraio del 2020 il sequestro preventivo della carta PostePay su cui venivano erogati gli emolumenti riferibili al reddito di cittadinanza . E questa decisione è condivisa nel maggio del 2020 dal Tribunale quale Giudice delle misure cautelari reali. Il cittadino contesta il sequestro e col ricorso in Cassazione pone in evidenza, tramite il proprio legale, alcune circostanze. In particolare, egli fa riferimento alla situazione di convivenza con la compagna che si è allontanata dall’abitazione comune ma è destinataria di metà del reddito di cittadinanza da lui percepito. Allo stesso tempo, lo stesso sostiene la propria mancata conoscenza del rapporto di lavoro della compagna, peraltro di brevissima durata . Ragionando in questa ottica, poi, contesta anche l’elemento psicologico del reato , osservando che la fattispecie è punita a titolo di dolo mentre invece egli, spiega, non era a conoscenza dell’attività lavorativa della compagna, una volta allontanatasi dalla residenza familiare . Dalla Cassazione ribattono ritenendo concreti, come stabilito dal Tribunale, i requisiti per procedere alla conferma del vincolo reale apposto sulla carta PostePay , ossia l’esistenza tanto del fumus quanto del periculum . In premessa, i Giudici ricordano che il fumus commissi delicti per l’adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p., necessita comunque dell’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato . Invece, quanto al periculum , esso deve presentare i requisiti della concretezza e attualità e richiede che sia dimostrato un legame funzionale essenziale, e non meramente occasionale, fra il bene e la possibile commissione di ulteriori reati o l’aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede . Tornando alla vicenda in esame, va tenuto presente che in materia di reddito di cittadinanza il delitto è acclarato in caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute , anche parziali, dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del beneficio, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione . E a questo proposito è stato previsto che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni , mentre l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio, è punita con la reclusione da uno a tre anni . In questa vicenda specifica, il cittadino, osservano i Giudici, ha quantomeno dato conto di avere percepito il reddito di cittadinanza, peraltro ammettendo di averne ripartito in fatto il corrispettivo con la sua ex convivente allontanatasi dall’alloggio comune , in buona sostanza così decidendo autonomamente di destinare il sussidio secondo proprie valutazioni slegate dai requisiti di legge, tra l’altro al venire meno della situazione di convivenza e senza fornire alcuna informazione circa la modificazione dello stato personale, con ogni incidenza sulle ricadute economiche .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 settembre – 2 novembre 2020, n. 30302 Presidente Izzo – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 13 maggio 2020 il Tribunale di Agrigento, quale Giudice delle misure cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da Gi. Co. - indagato per il reato di cui all'art. 7, comma 1, del decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito nella legge 28 marzo 2019, n. 26 - nei confronti del sequestro preventivo del 28 febbraio 2020 emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, avente ad oggetto la carta Poste Pay sulla quale venivano erogati gli emolumenti riferibili al cd. reddito di cittadinanza, oggetto del richiamato provvedimento legislativo. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi di impugnazione. 2.1. Col primo motivo, invocando vizio motivazionale, il ricorrente ha lamentato la mancata considerazione delle circostanze di avvenuta presentazione della richiesta, quanto alla situazione di convivenza con Daniela Catalano, allontanatasi dall'abitazione comune ma destinataria di metà del reddito di cittadinanza percepito dal ricorrente. Né il provvedimento impugnato aveva motivato quanto alla mancata conoscenza del rapporto di lavoro di costei, peraltro di brevissima durata. Né risultava essere stata contestata al ricorrente la posizione di James Burgio, figlio della convivente, né la posizione di costui era stata mai indicata nell'istanza di concessione del beneficio. 2.2. Col secondo motivo, in ordine alla violazione della legge penale ed all'elemento psicologico del reato contestato, la fattispecie era punita a titolo di dolo, mentre in proposito il Co. non era a conoscenza dell'attività lavorativa della Catalano una volta allontanatasi dalla residenza familiare, si che poteva al più ricondursi a colpa del ricorrente la condotta da costui tenuta. Né infine sussisteva alcun periculum in mora, stante la ragionevole previsione che non vi sarebbe stata alcuna restituzione d'indebito in favore dell'Istituto previdenziale. 3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. I motivi di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente, attesa la stretta connessione esistente tra i medesimi. Al riguardo, il provvedimento impugnato ha dato conto dei requisiti per procedere alla conferma del vincolo reale apposto sulla carta Poste pay, assumendo al riguardo l'esistenza tanto del fumus quanto del periculum. In proposito, il fumus commissi delicti per l'adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273 cod. proc. pen., necessita comunque dell'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep. 2020, Gheri, Rv. 278152 . Laddove, in ogni caso, può essere rilevato anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, purché esso emerga ictu oculi cfr. ad es. Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e altro, Rv. 266896 cfr. inoltre Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015 . Del pari, quanto al periculum, esso deve presentare i requisiti della concretezza e attualità e richiede che sia dimostrato un legame funzionale essenziale, e non meramente occasionale, fra il bene e la possibile commissione di ulteriori reati o l'aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede Sez. 3, n. 42129 del 08/04/2019, M., Rv. 277173 . 4.2. Ciò posto, è stato già osservato da questa Corte che integrano il delitto di cui all'art. 7, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione finalizzata all'ottenimento del reddito di cittadinanza , indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio Sez. 3, n. 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573 . In proposito, invero, è stato colà previsto che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni comma 1 . Mentre l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni comma 2 . 4.2.1. Alla stregua di quanto precede, pertanto, e fatte salve le successive determinazioni quanto alla corretta qualificazione della condotta e ad ogni indagine eventuale sull'elemento soggettivo del comportamento, il ricorrente ha quantomeno dato conto di avere percepito il reddito di cittadinanza peraltro ammettendo di averne ripartito in fatto il corrispettivo con la sua ex convivente allontanatasi dall'alloggio comune , in buona sostanza così decidendo autonomamente di destinare il sussidio secondo proprie valutazioni slegate dai requisiti di legge, tra l'altro al venire meno della situazione di convivenza e senza fornire alcuna informazione circa la modificazione dello stato personale, con ogni incidenza sulle ricadute economiche. 4.2.2. Al riguardo le considerazioni svolte dall'ordinanza impugnata non possono che essere integralmente condivise, quantomeno in relazione alla fase processuale cautelare in cui esse sono intervenute. 5. In ragione pertanto dei principi esposti, l'impugnazione si pone nel perimetro della manifesta infondatezza, con la conseguente inammissibilità del ricorso. 5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.