Il medico di una struttura privata convenzionata viene pagato dalla paziente per l’intervento: c’è concussione?

Affinchè si possa parlare di concussione del medico inserito in una struttura convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, è necessario provare che l’intervento presso detta struttura fosse ritenuto dalla paziente l’unica speranza”, e che via sia stata una strumentalizzazione della malattia della paziente da parte del sanitario tale da creare una situazione di pressione sulla stessa, in funzione della soluzione salvifica” dell’intervento presso la struttura convenzionata, cosicchè la stessa si sia determinata solo per tale motivo a consegnargli una somma di denaro.

L’imputato, medico chirurgo in servizio presso una clinica convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, veniva condannato per il delitto di concussione previsto dall’art. 317 c.p. per un fatto commesso tra il dicembre 2012 e l’aprile 2013 , per avere costretto una paziente a consegnargli una somma di denaro per il compimento di un intervento chirurgico presso detta struttura. Ebbene, avverso la sentenza della Corte di Appello, il medico proponeva ricorso per cassazione deducendo una serie di motivi. In primo luogo, contestava la qualifica soggettiva prevista dall’art. 317 c.p. deducendo che l’attività svolta andava inquadrata in un rapporto esclusivamente privatistico . In secondo luogo, lamentava l’errata interpretazione dell’art. 317 c.p. sotto il profilo dell’ elemento soggettivo del reato, atteso che risultava del tutto assente, in atti, la prova della costrizione nella consegna del denaro da parte della paziente che, invece, l’avrebbe consegnata a titolo di regalia. Sulla qualifica soggettiva dell’imputato. Preliminarmente, la Corte si sofferma ad analizzare la qualificazione del ricorrente nel caso specifico, tenuto conto che al medico veniva contestata una condotta di abuso costrittivo, relativa alla effettuazione di un intervento chirurgico presso una clinica accreditata con il SSN in regime di convenzione. In tali strutture, infatti, l’attività medica svolta è effettuata in funzione integrativa e di supporto della struttura pubblica . Il rapporto sussistente tra la struttura privata e l’ente pubblico di riferimento è di tipo concessorio, con la conseguenza che, a seguito del provvedimento di accreditamento, la prima viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, tali strutture non sono libere di effettuare le prestazioni sulla base della mera presentazione della richiesta su moduli del SSN ed infatti, in quanto gravanti sulla spesa pubblica, è previsto un volume programmato di prestazioni che le stesse possono svolgere. Tutto quanto detto comporta, comunque, che la qualifica del medico che presta la propria attività lavorativa presso una struttura privata convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, sia quella di pubblico ufficiale che, con la propria attività concorre a formare e manifestare la volontà della P.A., esercitando, in sua vece, sia poteri autoritativi” attività che esplicano un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto che poteri certificativi” attività di documentazione alle quali viene assegnata efficacia probatoria . Sull’elemento oggettivo del reato contestato. Secondo la Corte è fondato il motivo di ricorso che inerisce all’elemento materiale del reato di concussione. Ed invero, al fine di meglio chiarire le conclusioni cui giungono, i Giudici chiariscono, in primis, le nozioni delle condotte di costrizione” e di induzione” richiamate dagli artt. 317 successivo alla riforma del 2012, dato che i fatti sono del 2013 e 319- quater c.p Entrambe le fattispecie appena richiamate sono caratterizzate dalle medesime modalità realizzative l’ abuso della qualità personale del soggetto agente o dei poteri connessi alla sua qualità. In altre parole, l’abuso è possibile per l’esistenza, in capo ad un dato soggetto, di uno specifico diritto all’uso di determinate qualità e poteri. L’abuso, nondimeno, costituisce elemento essenziale della condotta costrittiva o induttiva, e non già un presupposto della stessa. Affinchè tale abuso della qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio possa rilevare nel caso specifico è, pertanto, necessario che si concreti in una condotta commissiva in un facere e deve avere efficacia psicologicamente motivante per il soggetto privato”. Differenza tra le fattispecie di concussione e induzione. La Corte nel richiamare la nota sentenza Maldera, resa dalle Sezioni Unite in materia, ricorda che il delitto di concussione si caratterizza per l’elemento dell’abuso costrittivo. Si tratta cioè di un mezzo coattivo con il quale attraverso violenza o, più comunemente, con minaccia, si obbliga il soggetto passivo a tenere un dato comportamento che, diversamente, non avrebbe tenuto. In tale condotta, i comportamenti dell’ intraneus si estrinsecano in quella condotta costrittiva che rileva nel delitto di concussione e che trova la sua origine nell’abuso di un potere allo stesso legittimamente affidato. Infatti, il contenuto di tale abuso costituisce la costrizione ex se che forza il soggetto extraneus alla prestazione non dovuta o, comunque, allo svolgimento di un facere non dovuto. Nell’induzione, invece, ai sensi dell’art. 319-quater c.p., viene alterato il processo volitivo altrui che, sebbene già in qualche modo condizionato da una situazione di mancanza di parità tra le parti, consente tuttavia più ampi margini decisionali. In definitiva, afferma la Corte, il giudice deve accertare, per distinguere le due condotte, se la volontà altrui è stata piegata” o semplicemente condizionata”. Il bene giuridico sottostante il rapporto. Secondo i Giudici, peraltro, ai fini di una corretta qualificazione giuridica del fatto, è importante rilevare il bene giuridico coinvolto. In questo senso, dunque, si parla di concussione, piuttosto che di induzione, tutte quelle volte in cui la prestazione indebita sia volta a preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato come, ad esempio, il bene della vita. Ad ogni modo, nel caso di specie, la paziente avrebbe ben potuto effettuare, presso una qualunque struttura pubblica l’intervento, pertanto, la condotta del medico non può ritenersi in alcun modo permeata da quell’abuso costrittivo di cui parla la giurisprudenza.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 settembre – 20 ottobre 2020, n. 28952 Presidente Mogini – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva condannato l’imputato R.M. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di concussione art. 317 c.p. , commesso tra il omissis . All’imputato era stato contestato di aver, in qualità di sanitario che prestava la sua attività professionale di medico chirurgo presso una clinica convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, costretto S.R. , sua paziente affetta da stenosi alla spina dosale, a consegnargli una somma di denaro per il compimento di un intervento chirurgico presso la suddetta struttura. In particolare, si legge nella imputazione, il medico tra il dicembre 2012 e il febbraio 2013 era stato più volte contattato dalla paziente che aveva in cura, la quale richiedeva di essere sottoposta ad intervento chirurgico per le gravi sofferenze patite, e alle sue richieste aveva temporeggiato limitandosi a prescriverle medicinali, così costringendola a promettergli il pagamento della somma non dovuta trattandosi di intervento a carico del Servizio Sanitario Nazionale di 1.000 Euro. Una volta assicuratosi la diponibilità del denaro, il medico aveva fissato l’intervento senza neppure visitarla. Denaro che la figlia della paziente, F.A. , provvedeva a consegnargli due giorni dopo l’intervento il OMISSIS , una volta che il medico si era assicurato della assenza nella stanza del personale infermieristico. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. c.p.p 2.1. Vizio di motivazione art. 606 c.p.p., lett. e in ordine alla valutazione delle prove liberatorie indicate nell’appello e in ordine alle testimonianze di C. , C. , B. e M. . La sentenza impugnata ha fondato la condanna del R. sull’assunto della pacifica attendibilità della parte civile, senza valutare almeno su tale punto le prove testimoniali di segno contrario. Quanto al primo aspetto, la Corte di appello ha ritenuto in modo apparente e illogico sufficiente per valutare la credibilità delle persone offese - delle quali non è stato considerato il risentimento per la morte della loro congiunta - che nella querela le predette si fossero concentrate sugli aspetti professionali piuttosto che sull’episodio concussivo. In ordine agli elementi di contrasto non considerati la Corte di appello li ha illogicamente definiti neutrali si fa presente che - il racconto di F.A. quanto all’episodio, della dazione dei soldi all’imputato , confermato dalle altre parti civile solo de relato, è stato seccamente smentito dalla infermiera chiamata in causa C.G. - l’altra infermiera della clinica C.A. ha smentito di aver assistito o avuto conoscenza di dazioni di denaro all’imputato. Questi dati non considerati sono in grado di travolgere la logicità della motivazione. Illogicamente la Corte di appello ha ritenuto di elevare a riscontro della tesi accusatoria le testimonianze di due ex pazienti M. e B. del R. , che non avevano subito fatti concussivi, ma che si erano limitati ad una spontanea regalia a titolo di ringraziamento di qualche centinaio di Euro. Illogicamente la Corte di appello ha considerato inattendibile la versione fornita dalla M. solo perché sproporzionata alle sue entrate e non consentita la sua accettazione dal codice comportamentale dei pubblici dipendenti. Ininfluente a sostenere la tesi accusatoria è il riscontro del pegno degli oggetti, posto che in ogni caso risultava non coincidente la somma ricavata con quella indicata come prezzo della concussione. 2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 317 c.p. quanto alla qualifica soggettiva in capo al ricorrente art. 606 c.p.p., lett. b . L’attività svolta dal ricorrente va in quadrata in un rapporto esclusivamente privatistico la prima visita fu fatta a domicilio e in clinica non vi era alcuna lista di attesa per l’intervento richiesto, di guisa che alcun favoritismo e abuso era stato compiuto dal medesimo nel programmare l’intervento pacificamente necessario. 2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 317 c.p., in ordine all’elemento oggettivo del reato art. 606 c.p.p., lett. b . Difetta nella condotta accertata alcuna forma di costrizione nella consegna del danaro quale contropartita dell’intervento chirurgico. Era stata la stessa figlia della S. ad aver affermato che la somma venne concordata come compenso per la sua prestazione professionale. Era comunque emerso che la S. si era rivolta al R. in quanto la sua vicina M. le aveva raccontato della sua esperienza e della regalia versata spontaneamente alla prima visita il R. aveva escluso un intervento per il peso della S. la richiesta sarebbe stata fatta solo durante una telefonata e la consegna sarebbe avvenuta ad intervento effettuato. Ne consegue un rapporto paritetico tra cliente e professionista, nel quale era stata la S. ad insistere per effettuare l’intervento che poteva effettuare liberamente altrove e nella stessa clinica nella quale non c’era lista di attesa e ad effettuare la dazione ad intervento riuscito il che avvalora la tesi della spontaneità . I fatti andavano qualificati sin dall’inizio nell’alveo della induzione indebita, con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni della F. ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 2, ovvero, in caso di errore della vittima nella doverosità delle somme consegnate, in quello della truffa. 2.4. Violazione di legge in relazione all’art. 62 c.p., n. 4 e art. 323-bis c.p., in trattandosi di fatto di particolare tenuità art. 606 c.p.p., lett. b . La Corte di appello ha tralasciato di considerare i motivi di appello relativi al grado dell’offesa e che il reato avrebbe consentito all’imputato di conseguire il modesto profitto di 1.000 Euro. 3. Con atto depositato dalla difesa del ricorrente, è stato proposto un motivo nuovo, con riferimento al primo motivo di vizio di motivazione sopra indicato. Si denuncia la palese illogicità della motivazione là dove ha ritenuto attendibili le dichiarazioni della parte civile F.A. nonostante palesi contraddizioni intrinseche ed estrinseche, rappresentate dalle dichiarazioni dei testi B. e M. relative a dazioni di regalie a fronte di efficaci prestazioni mediche , da quelle delle infermiere C. e C. che aveva escluso di aver assistito a dazioni di danaro dall’ira dimostrata dalle parti civili nei confronti dell’imputato alla morte della congiunta, tanto da richiedere l’intervento della polizia dato pretermesso dalla Corte di appello e indicato nei motivi di appello dalla mancanza di un vantaggio immediato per la S. nel pagamento della somma di danaro non vi era alcuna lista di attesa e alcun favoritismo per il ricovero . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate. 2. Va in primo luogo affrontato il motivo concernente la qualifica soggettiva dell’imputato. 2.1. La prestazione professionale, oggetto dell’imputazione, in ordine alla quale è contestata all’imputato la condotta di abuso costrittivo, riguardava l’effettuazione di un intervento chirurgico presso una clinica accreditata con il Servizio Sanitario Nazionale di seguito SSN in regime di convenzione ovvero i cui oneri economici erano addebitati al SSN, fatta salva la compartecipazione dell’utente con il pagamento del ticket . Si trattava pertanto non del normale sviluppo del rapporto professionale privato, già esistente tra il medico e la paziente, bensì del segmento relativo al ricovero ed intervento della paziente presso una clinica convenzionata, quindi di un rapporto parificato dalla normativa di settore al rapporto pubblico D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 . La qualifica pubblicistica del medico che svolge la sua attività professionale presso una struttura convenzionata è stata da tempo affermata dalla giurisprudenza di legittimità. Al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998 Citaristi, Rv. 211190 . Nella fattispecie in esame, l’attività delle strutture convenzionate e di coloro che in essa operano trova la sua fonte nella legge istitutiva del servizio sanitario nazionale. Si è affermato con riferimento al regime previsto dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale che le convenzioni tra il SSN e le case di cura o minori strutture private hanno natura di contratto di diritto pubblico e danno vita a rapporti che si inquadrano nelle concessioni amministrative di pubblico servizio, in quanto con tali convenzioni vengono attribuite a soggetti privati, in funzione integrativa e di supporto della struttura pubblica, attività proprie del servizio sanitario nazionale Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, Rv. 191174 . Tali principi sono applicabili anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 502 del 1992, che ha riordinato la disciplina in materia sanitaria. Invero, si è affermato che la natura del rapporto tra struttura privata e ente pubblico non è mutata con la nuova disciplina, che resta di tipo concessorio, atteso che la prima, a seguito del provvedimento di accreditamento, viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della P.A., venendo investita dello svolgimento di attività funzionale al perseguimento dell’interesse generale alla realizzazione del diritto alla salute Sez. U civ., n. 16336 del 18/06/2019, Rv. 654412 . 2.2. Esclusa la natura privata dell’attività svolta dal medico nella struttura privata accreditata in relazione a prestazioni sanitarie erogate in regime di convenzione, va stabilito quale sia la sua qualifica soggettiva - pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio - stante la rilevanza della questione ai fini della configurabilità della fattispecie concussiva ratione temporis, trattandosi di fatto commesso prima della riforma della L. n. 69 del 2015, che ha nuovamente inserito tra i soggetti attivi del delitto de quo l’incaricato di un pubblico servizio. Va rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza, nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base del parametro oggettivo sopra indicato, la pubblica funzione si distingue dal pubblico servizio per la presenza nell’una o la mancanza nell’altro dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dall’art. 357, comma 2, predetto Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998 Citaristi, cit. . La qualifica di pubblico ufficiale deve essere invero riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell’ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati, mentre sono incaricati di pubblico servizio, a tenore dell’art. 358 c.p., coloro i quali, pure agendo nell’ambito di attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, mancano dei poteri tipici di questa, purché non svolgano semplici mansioni di ordine, nè prestino opera meramente materiale Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, cit. . Nel concetto di poteri autoritativi rientrano non soltanto i poteri coercitivi, ma tutte quelle attività che sono esplicazione comunque di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto, che viene a trovarsi così su un piano non paritetico - di diritto privato - rispetto all’autorità che tale potere esercita. La nozione dei poteri certificativi , attiene a tutte indistintamente quelle attività di documentazione cui l’ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado. In applicazione di questi principi, si è affermato che il sanitario che presta la sua opera libero-professionale per una casa di cura convenzionata, in virtù di un rapporto di natura privatistica, è pubblico ufficiale, in quanto partecipe delle pubbliche funzioni che il SSN svolge per il tramite della struttura privata mediante la convenzione. Egli agisce così per la pubblica amministrazione, concorrendo a formare ed a manifestarne la volontà in materia di pubblica assistenza sanitaria, nonché esercitando in sua vece poteri autoritativi e poteri certificativi con riferimento alla compilazione della cartella clinica, di ricette, impegnative di cura e di ricoveri ed attestazioni di malattie rilevanti nei rapporti di lavoro pubblico e privati, nonché nello status assistenziale o previdenziale del paziente. Con effetti che incidono quindi su questo, sul medesimo servizio sanitario e su altri enti pubblici, tenuti ad erogare i farmaci e le prestazioni assistenziali o previdenziali prescritte o riconosciute, nonché in relazione alla salute pubblica, sull’intera collettività Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992, Delogu, cit. . Nel solco di questa linea interpretativa è stata riconosciuta al medico convenzionato con il SSN la qualifica di pubblico ufficiale in relazione all’attività con la quale egli prescrive esami, svolge la sua attività, indipendentemente dal rapporto fiduciario esistente con il paziente, per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione Sez. 6, n. 35836 del 22/02/2007, Manzoni, Rv. 238439, in tema di corruzione per la prescrizione di esami diagnostici Sez. 6, n. 4072 del 09/02/1994, Mambelli, Rv. 197983, in tema di corruzione in relazione a poteri di accertamento e di ammissione del paziente ad ulteriori prestazioni mediante l’esercizio di poteri di certificazione , ovvero nella redazione della cartella clinica Sez. 5, n. 19557 del 17/02/2010, Allegra, Rv. 247506 . Laddove il medico svolga all’interno della struttura convenzionata attività tipicamente sanitaria visite ambulatoriali , si è inoltre affermato che in tale veste assume la qualificazione di incaricato di pubblico servizio, perché investito di funzioni di carattere pubblicistico aventi nel contempo natura sanitaria ed amministrativa una volta infatti inseritosi nella struttura, il medico non può scindere le funzioni di sanitarie di competenza da quelle amministrative Sez. 3, n. 1913 del 22/12/1999, dep. 2000, Borghesi, Rv. 215696 . 2.3. Venendo al caso in esame, appare corretta alla luce dei superiori principi, la qualificazione di pubblico ufficiale attribuita all’imputato, quale medico chirurgo operante presso una casa di cura accreditata. Le contestate condotte costrittive sono state poste in essere dall’imputato abusando di tale pubblica qualità, in base alla quale gestiva un apposito spazio operatorio per conto del SSN e con mansioni che non venivano a limitarsi alla sola attività sanitaria, ma implicavano scelte quanto ai tempi di esecuzione e poteri certificativi la cartella clinica , questi ultimi tra l’altro funzionali all’erogazione del rimborso delle prestazioni da parte del SSN. 3. Fondato, con portata assorbente sui restanti motivi, è invece il motivo con il quale il ricorrente contesta, sotto vari profili, la motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato contestato. Se la sentenza impugnata offre una trama argomentativa non censurabile in ordine alla prova della dazione della somma di danaro all’imputato per l’intervento chirurgico eseguito in regime di convenzione con il SSN, in quanto basata su plurimi elementi, seri, gravi e convergenti, a diverse conclusioni deve pervenirsi per la dimostrazione che la ragione di tale dazione fosse da identificarsi nell’abuso costrittivo, che connota la condotta di concussione. 4. Vanno in primo luogo rammentati, per un corretto inquadramento della vicenda, i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sin dalla sentenza delle Sezioni Unite Maldera Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014 in ordine alla distinzione tra la condotta di costrizione e quella di induzione richiamate rispettivamente dall’art. 317 come sostituito dalla riforma del 2012 e dall’art. 319-quater c.p Tali fattispecie penali sono accomunate, oltre che da uno stesso evento dazione o promessa dell’indebito , da una medesima modalità di realizzazione l’abuso della qualità o dei poteri dell’agente pubblico. Ovvero dalla strumentalizzazione da parte del soggetto pubblico di una qualità effettivamente sussistente abuso della sua qualità o delle attribuzioni ad essa inerenti abuso dei suoi poteri per il perseguimento di un fine immediatamente illecito . In sostanza, nelle richiamate norme, l’abuso è indicativo dell’esistenza, in capo all’agente pubblico, di un diritto all’uso della qualità o dei poteri, che viene però deviato dalla sua funzione tipica e si atteggia come contrapposto logico dell’uso così come positivamente delineato e, in quanto tale, inclusivo di imprescindibili limiti. L’abuso non è quindi un presupposto del reato ma integra un elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione, nel senso che costituisce il mezzo imprescindibile per ottenere la dazione o la promessa dell’indebito. L’abuso in altri termini è legato da un nesso di causalità con lo stato psichico determinato nel soggetto privato ed è idoneo, in ulteriore sequenza causale e temporale, a provocare la dazione o la promessa dell’indebito. Quanto in particolare all’abuso di qualità che viene in rilevo nel caso in esame , le Sezioni Unite nel medesimo arresto hanno chiarito che esso consiste nell’uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione da parte di costui non di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva - senza alcuna correlazione con atti dell’ufficio o del servizio - così da fare sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di prestazioni non dovute. Ovviamente l’abuso della qualità, per assumere rilievo come condotta costrittiva o induttiva, deve sempre concretizzarsi in un facere non è configurabile in forma omissiva e deve avere una efficacia psicologicamente motivante per il soggetto privato costui cioè deve comunque avvertire la possibile estrinsecazione dei poteri del pubblico agente, con conseguenze per sé pregiudizievoli o anche ingiustamente favorevoli e, proprio per scongiurare le prime o assicurarsi le seconde, decide di aderire all’indebita richiesta. Quanto all’elemento che differenzia le fattispecie di reato, le Sezioni Unite Maldera hanno precisato che il delitto di concussione viene a caratterizzarsi per l’abuso costrittivo, quale tipico mezzo di coazione, che, attraverso la violenza o, più frequentemente, la minaccia quale prospettazione di un male o danno ingiusto anche realizzata con toni velati o allusivi , obblighi il soggetto passivo a tenere un comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto. La modalità costrittiva rilevante nel delitto di concussione va enucleata quindi dalla combinazione dei comportamenti tenuti dall’intraneus con il risultato che i medesimi producono, e trova la sua genesi nell’abuso della qualità o dei poteri. È il contenuto di tale abuso, che si concretizza, al di là del dato formale, nel prospettare alla vittima un danno ingiusto contra ius , a integrare la costrizione ed a porre il soggetto passivo in una condizione di sostanziale mancanza di alternativa, vale a dire con le spalle al muro evitare il verificarsi del più grave danno minacciato, che altrimenti si verificherà sicuramente, offrendo la propria disponibilità a dare o promettere una qualche utilità danno minore che sa non essere dovuta certat de damno vitando . Deve rimanere in altri termini estranea alla sfera psichica e alla spinta motivante dell’extraneus qualsiasi scopo determinante di vantaggio indebito, considerato che, in caso contrario, il predetto non può essere ritenuto vittima agli effetti dell’art. 317 c.p., perché finisce per perseguire, con la promessa o con il versamento dell’indebito, un proprio tornaconto, divenendo co-protagonista della vicenda illecita. Nell’induzione che qualifica la diversa fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p., si è invece in presenza dell’alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi di importanza primaria, quali l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione. Si tratta quindi di verificare gli effetti che si riverberano sulla volontà del privato ovvero se quest’ultima, nel suo processo formativo ed attuativo, sia stata piegata dall’altrui sopraffazione ovvero semplicemente condizionata od orientata da pressioni psichiche di vario genere, diverse però dalla violenza o dalla minaccia e prive del relativo carattere aggressivo e coartante. La tipicità della fattispecie induttiva è in definitiva integrata dall’abuso prevaricatore del pubblico agente e dal fine determinante di vantaggio indebito dell’extraneus. Le Sezioni Unite hanno evidenziato inoltre come la corretta qualificazione giuridica del fatto come concussione piuttosto che come induzione indebita vada parametrata anche dal confronto e dal bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale quello oggetto del male prospettato e quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall’altrui pressione. Il riferimento per il C.M. era a quelle situazioni in cui l’extraneus, attraverso la prestazione indebita, intende soprattutto preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato si pensi al bene vita, posto in pericolo da una grave patologia . Non a caso le Sezioni Unite hanno fatto l’esempio di una condotta concussiva, richiamando quella del primario dell’unità operativa di cardiochirurgia di una struttura pubblica, il quale, per operare personalmente e con precedenza su altri un paziente, pretenda dal medesimo, allarmandolo circa l’urgenza dell’intervento salvavita , una certa somma di denaro. In tal caso il paziente, accondiscendendo alla richiesta del medico, pur assicurandosi un trattamento di favore rispetto ad altri pazienti non disposti a cedere all’abuso, è gravemente condizionato dalla componente coercitiva evincibile dall’intero contesto l’intervento al cuore potenzialmente salvifico, condizionato al pagamento indebito, omettendo il quale, il paziente avverte di esporre a grave rischio la propria vita . In continuità con tali principi, la Suprema Corte ha ravvisato l’abuso costrittivo nella condotta del dirigente ospedaliero che aveva subdolamente prospettato alla paziente che intendeva sottoporsi ad un intervento di interruzione di gravidanza l’esistenza di impedimenti burocratici e difficoltà organizzative presso la pubblica struttura per dare forza alle sue pretese di dirottare la stessa, dietro pagamento del suo compenso, al suo studio privato. In tal caso la paziente aveva subito una brutale forma di pressione, posta di fronte all’alternativa di subire un male ingiusto, consistente in un danno alla sua salute e alla sua riservatezza se non avesse accettato l’unica soluzione prospettata come praticabile di sottoporsi ad un aborto clandestino a pagamento nello studio privato Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, C., Rv. 275463 . 5. Nel caso in esame, la Corte di appello ha semplicisticamente richiamato i suddetti principi, senza esaminare il contesto in cui la vicenda si è articolata, per inferirne che la persona era stata costretta al pagamento della somma indebita in quanto posta di fronte all’alternativa cruciale di continuare a soffrire o di essere operata dall’imputato, pagando a questi una somma di danaro per una prestazione a lei dovuta. 5.1. Per meglio comprendere le carenze motivazionali che il Collegio intende rilevare, è opportuno affrontare le modalità di accesso ai servizi sanitari pubblici sia forniti da strutture pubbliche che da quelle convenzionate con il SSN da parte dell’utente. Per le prestazioni farmaceutiche, specialistiche e ospedaliere l’accesso è subordinato ad apposita prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del Servizio sanitario nazionale D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-bis da sanitario operante per conto di tale servizio. Pertanto, venendo alla vicenda in esame, ai fini dell’intervento specialistico era pur sempre necessaria una proposta di ricovero da parte di un medico prescrittore del SSN medico ospedaliero, medico di base, medico della c.d. guardia medica . Su tale punto le sentenze di merito nulla dicono, mentre tale circostanza assumeva rilievo al fine della prospettazione dell’alternativa sofferenza-intervento dietro pagamento, posto che la necessità dell’intervento doveva come poi lo è stato essere in ogni caso stabilita, per l’accesso al SSN, da un medico prescrittore. Quanto poi alle modalità di effettuazione dell’intervento specialistico, va considerato che le Regioni garantiscorde prestazioni sanitarie attraverso soggetti accreditati - strutture autorizzate, pubbliche o private e i professionisti che ne facciano richiesta - sulla base di appositi accordi contrattuali D.Lgs. cit., artt. 8-quater e 8-quinquies . In tal modo è ampliata la piattaforma dei servizi sanitari offerti all’utente da parte del SSN, così da evitare tendenzialmente i tempi di attesa. Le strutture accreditate non sono tuttavia libere di effettuare le prestazioni sanitarie con la mera presentazione della richiesta sul modulario SSN, ma devono attenersi - per ragionevoli limiti della spesa pubblica - al volume di prestazioni che il SSN ha programmato per la struttura o per il professionista privato accreditato. Gli appositi accordi contrattuali definiscono infatti i programmi di attività con la indicazione dei volumi in termini di budget e delle tipologie di prestazioni erogabili e la remunerazione corrispettiva sono nell’ambito del programma definito dall’accordo, il soggetto accreditato assume la qualifica di gestore del servizio pubblico. In tale prospettiva, gli utenti che intendano scegliere per il loro ricovero, proposto con ricetta SSN, una determinata struttura privata accreditata possono ottenere soddisfazione a seconda del raggiungimento o meno del volume massimo di prestazioni erogabili da tale struttura. Nel caso in esame, in sede di merito è stato accertato che l’imputato operava in una struttura privata convenzionata come libero professionista utilizzando un determinato spazio operatorio assegnato dalla clinica, che poteva gestire con autonomia quanto ai tempi necessari di esecuzione degli interventi e senza lista di attesa. Ebbene, anche con riferimento a tale situazione, la Corte di appello non ha spiegato, pur a fronte di precise contestazioni della difesa, perché l’intervento presso la struttura accreditata, una volta ottenuta la proposta di ricovero su ricetta SSN, fosse l’unica speranza per la paziente, là dove era pur sempre possibile il ricorso a strutture pubbliche o comunque ad altre cliniche private accreditate. Non sono invero emerse - nè la Corte di appello ne ha fatto cenno - forme di strumentalizzazione da parte dell’imputato nella gestione della malattia della persona offesa l’imputazione contestava all’imputato di aver temporeggiato sui tempi di effettuazione dell’intervento , tali da creare una situazione di pressione sulla paziente in funzione della soluzione salvifica dell’intervento presso la struttura convenzionata. 6. Tale ultimo aspetto della vicenda si connette ad un altro profilo critico della motivazione in ordine all’accertamento del fatto-reato. L’abuso costrittivo ad opera dell’imputato è stato invero ricostruito attraverso le testimonianze dei parenti della paziente, deceduta prima dell’inizio delle investigazioni. In particolare, è la figlia della paziente, F.A. , a riferire di come la stessa le abbia raccontato del contenuto della proposta avanzata dall’imputato nel corso di una telefonata doveva operarsi ma il problema erano i soldi . È poi il marito della paziente, F.G. , a riferire che la donna gli aveva confidato in lacrime della medesima telefonata fatta dall’imputato per richiedere denaro per operarla. Il tema della attendibilità delle loro testimonianze si doveva quindi confrontare non solo con i principi in tema di valutazione della prova dichiarativa proveniente dalla parte civile, ovvero da persona portatrice di pretese economiche - che richiedono una verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci tra tante, per tutte Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S, Rv. 275312 - ma anche significativamente con la natura indiretta o mediata della prova stessa. Nel caso in esame, la impossibilità di esaminare la fonte diretta e la mancanza in ogni caso di dichiarazioni direttamente acquisite dalla stessa nel corso delle indagini preliminari, se non determinava alcuna limitazione al valore probatorio delle testimonianze indirette - che devono essere configurate, al pari di ogni altra prova storica, come rappresentazione dello stesso fatto che si assume di voler provare, sia pure soggettivamente mediata attraverso il testimone indiretto imponeva tuttavia al giudice di apprezzare con particolare attenzione e prudenza il mezzo di prova, nella misura in cui attraverso tali testimonianze mediate doveva essere ricostruito lo stato di costrizione della persona offesa. Era quindi necessaria sul punto una adeguata motivazione, nella specie mancante. E ciò vale anche con riferimento a quei dati distonici quanto alle modalità costrittive adoperate, provenienti dalle testimonianze di coloro che erano venuti in diretto contatto con l’imputato, liquidate in modo semplicistico dalla Corte di appello come inattendibili. In particolare, la teste M.M. aveva consigliato la persona offesa di rivolgersi al Dott. R. , per le sue capacità professionali, precisando che ad avvenuta guarigione gli aveva consegnato 400 Euro a titolo di pura liberalità. Suggerimento rivolto dalla M. anche al cognato della persona offesa, B.E. , che aveva riferito di aver appreso da costei che per farsi operare dal R. bisognava consegnargli una somma di danaro extra, che costui aveva poi effettivamente versato al predetto senza essere stato sollecitato. In definitiva, le loro testimonianze, per come sintetizzate in motivazione, dimostravano che il dottore R. era stato scelto e consigliato per le sue capacità professionali e che la dazione della somma di danaro in suo favore - al di là della spontaneità o meno della stessa - era stata riconnessa alla possibilità di essere operati da lui stesso, mentre nulla hanno riferito in merito al collegamento del medico alla struttura convenzionata. 7. Sulla base di quanto premesso si impone dunque un nuovo giudizio che colmi le carenze motivazionali sopra indicate. Restano assorbiti tutti gli altri punti oggetti di ricorso, che dovranno essere oggetto di nuova disamina da parte del giudice di rinvio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.